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Autore: Helen Lance    03/12/2007    5 recensioni
<< Avrebbe voluto che noi lavorassimo insieme. Per prendere i campanellini, intendo. Come una squadra. >>
<< ...Ah. >>
[Che poi, volendolo o no, era quello che erano.]
Una squadra che non era una squadra.
---
<< Avremmo dovuto vivere per qualcosa di più che per il sangue. >>
<< Oh, ma io ho vissuto per molto di più, vivo per molto di più, principessa, per molto di più. >>
La guardò, nei suoi occhi scintillava qualcosa di splendido e terribile, vibrante.
<< Io vivo per la vita, Tsunade. >>
E nei suoi occhi, negli occhi del serpente, Tsunade vide Jiraiya guardarla, e capi che lei ne aveva bisogno, di quel bruciore sulla nuca, come del brivido del sorriso di Orochimaru.
Ma, ovviamente, non era mai stato possibile.
Non per una squadra che squadra non era mai stata.
----
-[OrochimaruTsunadeJiraiya, Threesome, angst]-
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jiraya, Orochimaru, Tsunade
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Epilogue




Alla fine, come del resto aveva previsto, al termine di quel corridoio era sola. Ci aveva messo parecchio tempo, a trovare quel posto.
Meno di quanto si sarebbe aspettata, comunque, perché probabilmente lui stesso l'aveva voluta lì.
Aveva pianificato di tornare a Konoha, chiedere degli ANBU a Sarutobi-sensei, che senz'altro glieli avrebbe assegnati, e poi sfondare l'entrata e poi combattere, e poi... e poi... e poi...
E invece.
Invece il corridoio era sì, freddo come se lo era immaginato, sì, inquietante come sapeva essere il gusto del suo compagno di squadra, ma non c'erano ANBU e non c'era sangue e non c'era nessuno, dannazione, nessuno.
Nessuno con cui combattere, così che il sangue le desse un minimo di coraggio, nessuno che la intralciasse, per avere possibilità di avere una scusa per fermarsi, invece di andare avanti sempre, in quel corridoio troppo lungo e troppo buio.
Forse, pensò, aveva pianificato anche tutto questo, lui.

Tsunade guardava il sangue scuro raggrumato sulla coperta bianca, boccheggiando.
Le girava la testa.
Le sua mani vagavano sulla nera armatura da ANBU del compagno, tremanti, impotenti, [non ero lì non ero lì non ero lì perché non ero lì, perché?] senza trovare un punto in cui fermarsi.
Sarutobi-sensei stava lì, non si muoveva, in piedi, stava solo lì, la guardava.
<< Mi dispiace, Tsunade. >>
<< Sarutobi-sensei, lei l'aveva sempre saputo, i campanellini, i campanellini, io il mio non l'ho buttato, sa, è ancora lì, nel cassetto della scrivania, io non l'ho buttato. >>
<< Mi dispiace, Tsunade. >>
Non riusciva a distogliere lo sguardo da quella macchia di sangue così scuro, così secco, così morto.
[E lei non era stata lì.]


La porta in fondo al corridoio era di legno, scura, vecchia e rovinata, di quelle che si potrebbero buttare giù con un pugno, anche senza la sua forza.
Eppure, non riusciva nemmeno a sfiorarla.
Arrivare fin lì aveva già esaurito tutte le sue energie, come risucchiandole e, come quella volta, mentre guardava il sangue su quella coperta bianca del lettino dell'ospedale, le girava la testa.
Il cuore nelle tempie, nella gola.
Ma stavolta era lì, davanti a quella porta.

<< Avrei dovuto essere lì, Sarutobi-sensei. >>
<< Non è colpa tua, Tsunade. >>
<< Oh, sì che lo è. Lei non capisce, Sarutobi-sensei. >>
Lui abbassò lo sguardo, e uscì.
Tsunade rimase sola, in quella stanza soffocante, eppure così fredda.
Guardò le proprie mani, vergognosamente tremanti, e poi la armatura da ANBU di lui, piena di sangue, e poi il suo collo immobile, senza movimento, senza pulsazione senza vita.
[Vita, perché non c'era vita? Succhiata come nettare da un fiore, scivolata come acqua dalle mani di un assetato?]
Il suo viso era sporco di fango, le labbra socchiuse da cui si intravedevano la bocca e i denti annegati, soffocati dal sangue, sulle guance scie di quelle sbiadite lacrime cremisi che lui era solito portare.
Gli occhi, chiusi.
E così, pensò Tsunade, non sentirò più lo sguardo di Jiraiya sulla schiena.
Perché Jiraiya era steso lì, con gli occhi chiusi, e non l'avrebbe guardata più.


Tsunade continuava a guardare la porta, anche se era così vicina che avrebbe potuto appoggiarvici la fronte contro.
Aveva perso uno sguardo che aveva sempre, in un certo modo, disprezzato, pur segretamente compiacendosene; e ora temeva di incontrare l'altro sguardo, quello che per un certo periodo della sua vita [se mai quel periodo era esistito davvero], aveva cercato.
Poi la porta si aprì verso l'interno e, nonostante le sue sembianze arrugginite, non fece il minimo rumore.
Alzò gli occhi più bruscamente di quanto era capace di sostenere, ma del resto dopo aver alzato quella volta lo sguardo su quegli occhi chiusi sentiva di poterselo permettere.
E così lo guardò, per la prima volta dopo anni.

Orochimaru sorrise del suo sorriso appuntito, i denti come zanne, e ridacchiò.
Stava lì, sulla soglia, la porta aperta per metà, i suoi occhi rilucevano nella penombra come specchi e i suoi denti bianchissimi e affilati sembravano scintillare.
<< Tsunade-hime. >>
Tsunade si chiese se quella malizia nella voce l'aveva acquisita in quel tempo [inesistente], in quell'abisso fra le [che erano le] loro vite, o se l'avesse sempre avuta in sé sigillata negli occhi del serpente.
<< Orochimaru. >>
<< È passato parecchio tempo dal nostro ultimo incontro, Tsunade-hime. >>
<< Tu sai perché sono qui. >>
<< È ovvio, Tsunade-hime. >>
Tsunade trattenne il respiro per un solo, brevissimo attimo.
Ma apparentemente Orochimaru dovette notarlo, perché il suo sorriso ferino si allargò di un po'.

[<< È ovvio. >>
<< ...lo sarà per te, ovvio. >>]


Lei cercò solo di continuare a sostenere il suo sguardo.
Nella penombra Tsunade ricordò di come aveva voluto quegli occhi per sé e quelle mani, ora una lungo il fianco destro e l'altra appoggiata allo stipite, sulla pelle.
Ed era strano come in quel momento le mancasse l'altro sguardo a scottarle la nuca poi giù, per la schiena, fra le scapole.
Orochimaru torreggiava su di lei, più alto di una spanna buona, se non di più, e sembrava davvero incredibilmente divertito.
<< Niente da dirmi, Tsunade-hime? >>
Nonostante sentisse la mente come bloccata, congelata, Tsunade sapeva cosa avrebbe dovuto rispondere [<< Perché, Orochimaru? >> oppure, << Come hai potuto, Orochimaru? >>] ma sembrava davvero troppo banale e probabilmente lui l'avrebbe guardata, e avrebbe riso, e non pensava di riuscire a sopportare una cosa del genere.
<< Sarutobi-sensei l'aveva detto, che un giorno sarebbe successo. >>
Orochimaru si inclinò in avanti e Tsunade trattenne di nuovo il respiro, senza essere capace di spostarsi.
<< Ma certo, Tsunade. Noi tutti l'avevamo sempre saputo. >>
Le sfiorò lo zigomo con le labbra pallide e poi scese, appena di fianco al suo orecchio e sussurrò:
<< Vero? >>
Tsunade si portò una mano alla bocca, sfiorando quindi la tunica bianca di lui a pochi centimetri dal suo viso, e soffocò un singhiozzo.
[Io ci avevo sperato. Io l'avevo pregato. Io l'avevo voluto. Io di voi mi fidavo. Io alla fine vi amavo davvero. Io lo volevo. Io lo volevo davvero tanto. Io ci avevo sperato io l'avevo pregato. Io l'avevo voluto io di voi mi fidavo. Io alla fine vi amavo davvero io lo volevo io lo volevo davvero tanto io ci avevo sperato io l'avevo pregato io...-]

Orochimaru, senza abbandonare nemmeno un istante quel sorriso quasi feroce e così terribilmente compiaciuto, si fece da parte e con un gesto ampio ed elegante, invitandola ed entrare nella stanza che, ora Tsunade lo vedeva, era spoglia e illuminata da un paio di candele sul tavolo e dalla poca luce della luna che entrava dalla larga finestra sulla parete ad ovest.
Parte del vetro era rotto, la stanza era fredda ma, in qualche modo, soffocante.
Un grande tavolo di legno, e due sedie.

Tsunade entrò, quasi come un automa, e Orochimaru richiuse la porta dietro le sue spalle.
Ma lei non lo stava guardando. Guardava dritto davanti a sé, sul tavolo, quel bagliore acceso dalla luce delle candele.
Il coprifronte di lui giaceva sul tavolo, con larghe macchie di sangue raggrumato sul margine sinistro della stoffa scura.
Il simbolo di Konoha brillava, impietoso, in mezzo alla placca metallica solcato da un lungo, profondo, taglio proprio nel centro.
Sentì un acutissimo senso di vertigine, come cadendo da un'incredibile altezza, senza appigli, sempre più giù, sempre più giù.
[Come del resto aveva fatto per tutti quegli anni.]
<< È stato lui? >>
Per un attimo, di nuovo, Tsunade sperò.
[Illusa, Tsunade.]
<< Sì. >>
La sua voce melliflua si insinuò come veleno fra le crepe di un tempo che aveva cercato di dimenticare.
E poi la trovò, quella forza senza coraggio, quella forza senza onore, né gloria.
<< Come hai potuto Orochimaru? >>
Esattamente come Tsunade aveva previsto, lui rise.
Quel suono le rimbombò nel petto come un tuono, una scarica elettrica che bruciava ogni cosa sul suo cammino, devastante come un fulmine.

<< Tsunade, Tsunade, principessa. Io non ho fatto niente; era tutto già finito molto, molto tempo fa. >>
[Non era mai iniziato, principessa.]
Tsunade singhiozzò di nuovo, quasi impercettibilmente.
<< Avremo dovuto vivere per qualcosa di più che per il sangue. >>
<< Oh, ma io ho vissuto per molto di più, vivo per molto di più, principessa, per molto di più. >>
La guardò, nei suoi occhi scintillava qualcosa di splendido e terribile, vibrante. Lei trattenne il respiro per un attimo, brevissimo.
<< Io vivo per la vita, Tsunade. >>

Tsunade continuava a fissare il coprifronte in silenzio, le labbra serrate.
Si girò completamente verso di lui, piano, poi improvvisamente gli afferrò la tunica all'altezza delle spalle, lo spinse indietro, stringendo convulsamente quel pezzo di stoffa bianca, immacolata.
<< Come hai potuto?! Come?! Perché? >>
Orochimaru non rispose, la lasciò fare, non la allontanò e continuò a sorridere.
<< Io... io pensavo... avremmo potuto... avrei voluto... non doveva andare così, non doveva, non doveva. Io pensavo che avremmo potuto essere [felici, insieme, amici, amanti] una squadra. >>
Il suo respiro era caldo sulle sue labbra, bollente, vicino.
<< Non è un po' tardi per scommettere, Tsunade-hime? >>

Una lacrima, lenta, solcò la sua guancia destra fino all'angolo della bocca, dove lui la raccolse con le proprie labbra senza abbandonare il suo sorriso feroce.
E nei suoi occhi, negli occhi del serpente, Tsunade vide Jiraiya guardarla, e capi che lei ne aveva bisogno, di quel bruciore sulla nuca, come del brivido del sorriso di Orochimaru.
Ma, ovviamente, non era mai stato possibile.
[Non per una squadra che non era una squadra e che squadra non era mai stata.]
Lei lasciò andare lentamente la sua tunica, sentendo la stoffa scivolarle via dalle dita come nello stesso momento [o magari era già successo da molto tempo] stava facendo la sua vita, che aveva avuto un inizio con i loro occhi e in quel momento, metre le venivano quasi strappati entrambi [gli uni negli altri] capì che quella, in un qualche modo, era la fine.
Si chiese quando era passato, tutto quel tempo, e cosa ci sarebbe stato, dopo.
<< Sarutobi-sensei ci conosce bene, principessa. Arrivano gli ANBU. >>

Il suo sorriso si allargò e i suoi occhi scintillarono, vivi [i suoi], un'ultima volta.
E mentre lui saltava fuori dalla finestra, mentre il vetro in frantumi cadeva e brillava sotto la luce malata della lampada in riflessi d'oro e ghiaccio, Tsunade la sentì.
La sua voce che pronunciava parole mai dette.

<< Allora questa è la fine della nostra squadra, Orochimaru. >>
<< No, Tsunade-hime. Non c'è nessuna fine, Tsunade-hime. >>
[E quella finta speranza. Che sarebbe stata delusa, già lo sapeva. ]
<< Perché? >>
[E lei l'aveva sempre saputo.]
<< Perché non c'è mai stata nessuna squadra, Tsunade-hime. >>








Ed ecco l'epilogo. Come avrete notato, non segue la story-line originale, perchè qui Jiraiya muore per mano di Orochimaru quando sono ancora molto giovani. Sono reduce da Cent'anni di solitudine, un libro che più che un libro è un'allucinazione, e sono un po' scossa, quindi chiedo perdono O_o
Ma bando agli sproloqui inutili.

Ringraziamenti dovutissimi:
Kaho_Chan: Leggere le tue recensioni è ogni volta un enorme sorriso sulle labbra. Comunque, mi ha colpito molto il tuo paragone dei Sannin a pezzi di diversi puzzle, perchè hai espresso a parole quel concetto astratto che mi ha condotto alla scrittura della shot. Ho letto la recensione e ho pensato diamine, è esattamente questo. Awww. Quanto al paragone con il Team 7, è aghiacciante come le eredità dei Sannin abbiano dato vita a personalità così diverse e al contempo così simili alle loro, di cui l'esempio più lampante, secondo me, sono Sasuke e Orochimaru con la loro ossessiva ambizione e cieca ricerca di obbiettivi irrealizzabili; Sasuke certamente si avvicina più alla realtà, pur vivendo nel passato al contrario di Orochimaru, che è proiettato nel futoro di una vita ciclica. Come Team, invece, penso siano profondamente diversi; il Team 7 si basa quasi sulla disperazione di legami troppo forti, mentre i Sanni secondo me si basavano sul rammarico di legami mai formati.
Ma come al solito parlo troppo. Solo grazie, grazie, grazie.
rekichan: Ecco, quando ho letto la tua recensione l'ho riletta, e riletta un'altra volta. I Sannin sono personaggi che mi affascinano incredibilmente da quando per la prima volta lessi di loro e della loro storia; sono gli eroi che hanno capito cosa significa essere considerati tali, e che infondo sanno a loro volta di non esserlo per niente. Credo che ci sia una sorta di rammarico in ognuna delle loro frasi del manga quando sono riferiti gli uni agli altri ed è stato questo a spingermi a scrivere, pensando che il loro legame fosse abbastanza disperatamente equilibrato da poterci fare sopra una threesome. Quindi, quando ho letto la tua recensione puoi immaginare la mia felicità.
Grazie mille, davvero.
bambi88: Considerato che era esattamente l'effetto che volevo raggiungere, non posso fare altro che ringraziarti di cuore; era l'effeto che speravo di dare ad un trio che consideravo molto complicato e sentirmi dire di esserci riuscita è fantastico. Grazie ancora!
RuKia: Leggere le tue recensioni è sempre un grande piacere ^-^ Grazie di cuore, come sempre :*

Alla prossima :3



Helen







  
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