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Autore: MissNothing    16/05/2013    7 recensioni
"Gerard continuò a fissare le luci dei lampioni stradali fuori dal finestrino della macchina in cui si trovava in quel momento, pensando al fatto che non aveva idea di dove si sarebbe riparato dall'alluvione che era da poco cominciata. Fissò le luci che si appannavano nelle tante piccole goccioline colorate di cui era tempestato il vetro che lo separava di qualche centimetro dalla pioggia battente, e ci poggiò una mano sopra nel tentativo di bilanciare il suo peso prima di trovarsi col volto schiacciato contro la fredda superficie trasparente. Sospirò, il calore della sua bocca che si condensava in vapore contro il finestrino e formava un piccolo cerchio."
[In cui Gerard fa il "mestiere più antico del mondo" e Frank ha una casa discografica e troppi soldi da sprecare. Oppure, volendo, "motivi per cui non avrei mai dovuto vedere Pretty Woman" o "La fiera del cliché" uwu]
!!INTERROTTA A TEMPO INDETERMINATO!!
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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When The Sun Goes Down

-I, adagio-




Erano le due, o forse erano le tre. 

Cazzo. 
Frank non ricordava nemmeno se fosse già entrata in vigore l'ora legale, dato che tutti gli altri orologi che possedeva la cambiavano automaticamente. 
Guidava verso i novanta chilometri orari in un'autostrada deserta, direzione Stockport, rassicurato solo dal fatto che era ancora fra i confini di Manchester e che se mai si fosse addormentato alla guida e avesse fatto un incidente di quelli cazzuti che si vedono nei programmi, almeno avrebbero saputo dove cercarlo. Più o meno.
Guidare gli era sempre piaciuto, anche in casi come quelli in cui non aveva una vera e propria meta. Certo, "direzione Stockport" dava quasi l'idea che sapesse dove andare e come arrivarci, ma non era così. "Direzione Stockport" era per uno con le idee chiare. Forse più la parola "direzione" che la parola "Stockport", perché almeno mentre guidava ne aveva una, di direzione. 
In effetti la direzione gli era sempre mancata, un po' in tutti gli ambiti.
E anche la moderazione.
E la considerazione.
Ed era per questo che adesso si trovava a guidare verso la periferia di Manchester, più che verso questa fantomatica Stockport che non aveva mai visto in vita sua, su un'autostrada che aveva imboccato per un motivo ben preciso.
Insomma, l'idea era anche semplice: pagare qualcuno che facesse finta di stare con lui per una settimana, così anche quella volta sarebbe riuscito ad abbindolare sua madre, suo padre, le vecchie con più botox che cervello che frequentavano e anche i vecchi con i capelli trapiantati.
Anzi, l'idea di per sé era proprio elementare -roba che un bambino di cinque anni sarebbe stato più capace di quanto dopo il primo, il secondo e altri svariati tentativi non lo fosse stato Frank-, ma il problema era proprio questo: l'idea era semplice, era la parte pratica che forse lo era un po' meno. Il problema, Frank aveva deciso dopo aver fermato la quinta persona nel giro di un'oretta, forse erano i soggetti che gli si ponevano davanti, non proprio lui. 
Avete presente quei soggetti che forse sarebbero stati più a loro agio ai tempi del successo dei Village People?
Quelli muscolosi, con la testa rasata e la barba curata? L'orecchino d'oro e la canottiera?
Ecco. 
Quelli non solo a Frank facevano salire i conati di vomito, ma con i loro fisici da armadio e quei cinque centimetri in più di altezza gli facevano anche paura. 
Se c'era una cosa che la vita gli aveva insegnato, era che con il suo carattere finiva sempre per far incazzare le persone, in un modo o nell'altro. E se c'era una cosa che la vita non gli aveva insegnato e che preferiva di gran lunga aver imparato per supposizione e non per esperienza, era proprio che, una volta appreso come finivano le cose ogni santissima volta, doveva escludere a priori i palestrati e gli stanghettoni dalla sua vita sentimentale- finta o vera che fosse.
Ad un certo punto aveva anche pensato che forse sarebbe andato più sul sicuro con una ragazza: certo, sarebbe stato stupido darla vinta ai suoi -con i quali aveva combattuto da quando aveva sedici anni per dimostrare che non era "solo una fase"-, ma a quel punto era talmente disperato che forse fare ricorso agli estremi rimedi non era proprio un problema. Infondo non doveva farci effettivamente qualcosa, eh. Era tutta scena.
Poi però lo vide.
E si chiese quanto sarebbe suonata stupida quella frase scritta da qualche parte, mentre una parte un abbastanza lontana di lui pensava che forse ci sarebbe rimasto anche un po' male se avesse rifiutato
Probabilmente aveva la sua età, qualcosa giù di lì. Sicuramente era sotto i trenta. 
Aveva il naso spigoloso nel senso migliore del termine, e Frank avrebbe tanto desiderato di poter vedere il colore dei suoi occhi. I capelli erano neri, "sistemati" in quel tipico taglio-non taglio che probabilmente su di lui non era nemmeno una scelta stilistica, e sinceramente gli pulsavano le dita dalla voglia che aveva di spostarglieli dal volto e raccoglierne una ciocca dietro l'orecchio, anche solo per finta. Alla fine non era quello l'intero scopo della faccenda? L'obiettivo non era recitare?
Frank pensò che forse stava andando a rimuginare troppo su delle cose alle quali in quel momento avrebbe preferito non pensare, quindi accostò dal lato opposto della strada, spense la radio per evitare che "First Day Of My Life" dei Bright Eyes contrastasse troppo con l'immagine da duro che in quel momento voleva dare di sé e bloccò il motore prima di poterci pensare due volte.
Osservò ancora un po' il ragazzo fermo sul marciapiede accanto e si prese il tempo per decidere cosa dire e, soprattutto, come dirlo.
Chiunque fosse, se ne stava appoggiato contro un lampione. Come se fosse semplicemente ciò che faceva normalmente, come se non fossero le due (o forse le tre, cazzo, Frank continuava a non saperlo), come se starsene a piedi in autostrada fosse perfettamente normale.
Ogni tanto si portava una sigaretta fra le labbra, aspirando e successivamente espirando con la bocca curvata in una "o" perfetta mentre la sua testa giaceva leggermente piegata all'indietro, la stessa espressione di puro relax che Frank aveva in volto praticamente ogni volta che lasciava il suo studio per una pausa nicotina. 
Se non fosse stato per la strada in cui si trovavano e l'orario, probabilmente Frank avrebbe pensato che fosse esattamente uno come tanti. Era strano rendersi conto che forse questo ragazzo durante il giorno aveva una vita, perché per quanto fosse triste dirlo, ormai sembrava appartenere a quel posto. Sembrava che tutta la sporcizia e lo schifo che in quel momento lo circondavano a quel punto fossero diventati parte di lui, e l'idea che probabilmente appena poche ore prima era stato una normale persona mentre ora agli occhi di molti poteva apparire come un semplice oggetto era... degradante. Faceva sentire persino Frank -che poco e niente c'entrava con la situazione- sporco dentro. O forse, per quanto ben intenzionato, anche Frank stesso stava contribuendo alla situazione che poco prima aveva tanto criticato. Cazzo.
Non capiva perché, ma ogni volta che faceva una critica mentale alla società finiva sempre per escludersi dai suoi stessi discorsi. Condannava stronzi, maschilisti, violenti e quant'altro, come se poi per lui esistesse un discorso a parte, come se potesse per un po' astrarsi dallo schifo circostante e guardare con obiettività il mondo con il successivo scopo di criticare con quelle solite parole taglienti che proprio non riusciva a tenersi dentro.
Frank stava contribuendo alla situazione, che gli piacesse o meno.
Non importava la visione da buon samaritano compassionevole che aveva di sé stesso, perché anche se gli faceva tristezza vederlo così non si era fatto il minimo scrupolo quando aveva fermato la macchina dal lato opposto della strada e aveva osservato il ragazzo come fosse carne al taglio, merce sul banco, un oggetto all'asta: stava alimentando lo stesso fuoco che avrebbe calpestato con i suoi stessi piedi se solo fosse stato sicuro che sarebbe servito a spegnerlo, ma se proprio doveva farlo allora ci avrebbe messo del suo. Certi fuochi non è che puoi spegnerli, e magari è meglio lasciartici scottare, che tanto è di lunga più facile.
Ridicole ed eccessive analisi a parte, Frank aveva pensato persino che anche il ragazzo lo stesse guardando. E se non avesse saputo troppo bene come stavano le cose, allora a quel punto si sarebbe sentito le farfalle nello stomaco e tutte quelle stronzate lì, ma in quel momento, nella realtà in cui si trovavano, probabilmente stava solo fissando una macchina come tante, chiedendosi chi ci fosse dentro e valutando l'opportunità di guadagno.
Nient'altro.
Quindi, in conclusione, perché Frank doveva sentirsi così intimidito e farsi tutti quegli scrupoli per colpa di un bel visino come tanti?
Abbassò il finestrino, facendogli cenno di avvicinarsi con la testa. 
Il ragazzo gli fece il sorriso più finto del mondo, gettò via la sua sigaretta ormai finita e si attraversò in maniera agonizzantemente lenta la strada. Più si avvicinava, più Frank cominciava a sudare freddo. Insomma, un'idea elementare non era necessariamente un'idea giusta, e più ripassava mentalmente il piano, più si rendeva conto che forse stava per fare un grandissimo errore.
«Hey.» Disse lo sconosciuto, poggiando il gomito sul finestrino aperto dell'auto e usando la mano per sorreggersi il volto che intanto aveva leggermente piegato verso sinistra. Frank avrebbe voluto fermare l'immagine come quando una scena di un film è così bella che ti alzi, prendi il telecomando del lettore DVD e metti in pausa per renderti giusto un secondo conto di ciò che hai appena visto. Per metabolizzarlo. E cazzo se in quel momento aveva da metabolizzare, quel povero coglione di Frank.
Ecco, ce le avete presenti quelle bambole di porcellana? Perfette, bianche, pallide, con la pelle liscia perché- bhè, perché grazie al cazzo, sono finte?
Quel ragazzo ne era forse la trasfigurazione più realistica che ne avesse mai visto. E forse era la luce della luna o la mancanza di un'effettiva fonte di luce, forse era il fatto che Frank quella mattina aveva dimenticato le lenti a contatto e l'effetto sfumato faceva guadagnare parecchi punti un po' a tutti, forse stava solo perdendo il cervello -e sinceramente ci pensava molto a quest'ultima ipotesi, molto spesso e in relazione a molti dei gesti che stava compiendo in quell'ultimo periodo-, ma la voglia che aveva di toccargli le guance anche solo con un dito era forse troppa da sopportare per una sola persona. 
Frank però non fece nulla di tutto quello. Si schiarì la gola e si spronò mentalmente a fare la persona seria, pensando improvvisamente alla faccia ridicola che probabilmente aveva fatto mentre lo osservava. Sentì tutto il sangue che aveva in corpo affluirgli alle guance.
«Hey.» Provò a dire, cercando di sembrare rilassato quanto lui. Come se andasse a puttane ogni venerdì sera (anche se a dire il vero non sapeva quanto una cosa del genere avrebbe potuto fargli onore ai suoi occhi) quando poi la verità era che Frank non riusciva a non pensare al fatto che la faccia dello stesso ragazzo che poco prima aveva osservato come fosse l'ultimo essere umano rimasto sulla terra era a distanza di pochi centimetri dalla sua. 
«Come ti chiami?» Chiese l'altro, spostando il peso da una gamba all'altra e facendo una veloce scansione dell'interno dell'auto e del suo conducente. Provò anche a sorridere, e sinceramente Frank si sentì un po' male nel notare quanto ognuno di quei gesti fosse calcolato nel minimo dettaglio, quanta esperienza doveva avere per fare tutto in maniera così meccanica. Si chiese quanti fossero venuti prima di lui quella sera. Doppisensi a parte.
«Frank.» Disse, e non riuscì a non notare il modo in cui l'altro cercò di trattenere una risata. «Che c'è?» Chiese... nemmeno aveva iniziato e già stava sbagliando qualcosa. A +.
«No, seriamente, andiamo, Frank?»
«Questo dovresti dirlo a mia madre.»
«Oh. Cazzo.» Disse l'altro, sbarrando gli occhi e dimostrando tutto il suo improvviso imbarazzo. «Scusami, di solito nessuno dice il suo vero nome. Wow.» Continuò a giustificarsi mentre il muro di persona confidente che si era costruito cominciava già a cadere un po' a pezzi: non era altro che un ragazzo come lui, Frank doveva cominciare a capirlo. «Che fallito.» 
«No, non lo sei... tranquillo. Tu invece?» 
«Umh... chiamami Gee.» Solo in quel momento Frank notò il tono della sua voce: era più stridulo di come lo aveva immaginato, ma sicuramente gli si addiceva di più. Il ragazz- no, Gee cominciò a guardarsi intorno, e solo in quel momento all'altro venne in mente che ciò che stavano facendo era illegale. Una scarica ingiustificata di adrenalina lo pervase al solo pensiero di ciò che sarebbe successo se lo avessero beccato, e si rese conto che tutto il fottuto mondo sarebbe venuto a saperlo. «Qual buon vento?» Disse il ragazzo, tornando a guardare Frank e usando in maniera totalmente intenzionale quell'espressione ormai praticamente scomparsa.
«Okay, ascolta, è una cosa un po'.. strana.» Disse, e in tutta risposta Gerard alzò gli occhi al cielo e sbuffò con un sorrisetto in volto, come se sapesse qualcosa che Frank non sapeva.
«L'ottanta percento delle persone che vengono da me pensa che ciò che vogliono sia strano, ma alla fine se fai questo lavoro ti ci abitui.» Rispose, tendendo un braccio verso Frank per aggiustargli la cravatta mentre quest'ultimo faceva del suo meglio per cercare di non sobbalzare a quel contatto così rassicurante e così stranamente familiare. Vide Gee sorridere, ma questa volta era diverso: fissava le sue stesse mani e non lo guardava negli occhi con quell'espressione spregiudicata, ed era come se in un certo senso stesso sorridendo a sé stesso, per un motivo che certamente a Frank non era ben chiaro. 
«No, no, credimi, strano davvero.»
«Dai, dimmelo... andiamo, vuoi legarmi al letto? Ammanettarmi? Sculacciarmi? Far finta che io sia il tuo professore di matematica del liceo? Insultarmi? Puoi andare tranquillo, ho fatto tutte queste.» Disse, e Frank non riuscì a non ridere. In realtà la risata era una di quelle fatte per nervosismo e soprattutto era anche piuttosto forzata, perché mentre Gee continuava a tirargli la cravatta e fornirgli tutte quelle immagini che sinceramente non lo stavano aiutando più di tanto, mesi e mesi di astinenza (non volontaria, sia chiaro) cominciarono improvvisamente a pesargli. Frank sospirò.
«Cominci a salire?» Propose, e il ragazzo annuì. Fece il giro per andarsi a sedere dal lato passeggeri e Frank cominciò a chiudere il finestrino, assicurandosi che nessuno li vedesse.
«Quindi?»
«Quindi. Umh. Te la farò breve: mi serve qualcuno che venga con me in California e faccia finta di essere il mio ragazzo davanti ai miei genitori. Per una settimana. E' una storia un po' ridicola, davvero, te la risparmio...» Gee sembrava abbastanza sconvolto, e sgranò gli occhi così tanto che Frank era già pronto a raccoglierli in caso gli fossero caduti dalle orbite, giusto per prevenire.
«Non risparmiarmela. Racconta.»
«Viviamo lontani e raccontargli una caterba di palle mi pareva più semplice e veloce che sorbirmi cazziate telefoniche di due ore su come sto pensando solo al lavoro e un giorno sarò solo. Blah blah blah.» 
«E tu credi che abbiano ragione? Che il lavoro ti assorba troppo, intendo?» Chiese, come se davvero gli interessasse qualcosa. Frank pensò che comunque era carino anche solo che facesse finta, quindi tanto valeva dargli corda. Magari se fosse stato amichevole ci sarebbero state più chances che accettasse.
«Forse sì. Ma è normale, ho talmente tante cose da fare che non avrei nemmeno tempo per un ragazzo, va... va bene così, direi.» Gee annuì, accavallando le gambe e girando il volto verso destra per guardare l'altro.
«Quando partiresti?»
«Lunedì.» Frank deglutì. Ora si passava alla parte seria. «Non questo, quello... dopo.» Pensò bene di specificare, sperando profondamente che sarebbe riuscito a convincerlo. «Posso darti cinquecento sterline al giorno. Per sette giorni.» Disse, rendendosi conto che probabilmente la domanda successiva sarebbe stata quella. Una convinzione che prima non c'era sembrò fare click sul volto di Gee. C'era quasi.«Ovviamente speserò io il viaggio e... qualsiasi altra cosa potrebbe servire. In qualche modo possiamo anche dormire separatamente, se ti dà fastidio, ma nella stessa camera perché altrimenti... altrimenti qualcuno sospetterebbe, hai presente?»
«Ascoltami, umh...»
«Frank.» Gli ricordò, sentendosi inspiegabilmente offeso dal fatto che l'altro non ricordasse nemmeno il suo nome. 
«Sì, Frank, giusto, ascoltami. Ho bisogno di una garanzia e soprattutto devo sistemare delle cose a casa perché la situazione è... è un po' complicata. Ci sto, ma non posso darti nessuna certezza per il momento. Perché non mi lasci il tuo numero ed io vedo di chiamarti appena so qualcosa? Ovviamente il prima possibile.» Bingo.
«Di che tipo di garanzia hai bisogno?» Chiese, cercando di sistemare almeno uno dei due problemi che Gee sembrava avere. Sinceramente non riusciva a credere che tutta quella stronzata stesse funzionando, e improvvisamente non vedeva l'ora di partire. 
«Non prenderla male, okay? Non si tratta di una garanzia economica, è che io...» Improvvisamente Frank capì. Certo. Certo che era anche solo un minimo spaventato, quando uno sconosciuto voleva portarlo dall'altro lato del paese. Per quello che Gee sapeva di lui, Frank sarebbe potuto essere chiunque. E avrebbe potuto fargli qualsiasi cosa. 
«Ho capito, tranquillo. Come vuoi gestirla?» 
«Parlami di te...?» Chiese timidamente, come se fosse qualcosa di cui vergognarsi. Frank si schiarì la voce, si sistemò per guardarlo in volto come stava facendo lui e cercò nel bauletto dell'auto il suo portafogli. Estrasse più documenti possibili e glieli mostrò. Eccetto la parte in cui aveva bisogno di conferme scritte e avrebbe ricevuto svariate migliaia di sterline per uscire con lui, quello con Gee sembrava quasi un primo appuntamento.
«Sono Frank Iero, nato a Newark il trentuno ottobre millenovecentoottantuno.» Disse, mentre Gee sfogliava le varie carte e si divideva fra patente, carta d'identità, passaporto, tessera sanitaria e quant'altro. "Corretto", sussurrò, e l'altro gli sorrise. «Umh... sono cresciuto a Belleville?» Provò a dire. Non c'era molto che gli veniva in mente quando gli veniva posta una domanda del genere. Specialmente perché se avesse cominciato a parlare di hobby, musica e film non gli avrebbe dato la concreta garanzia che cercava, ecco. Servivano dati legali. 
«Non ci credo.»
«Cosa?»
«Anche io.» Disse l'altro, stupito dal fatto che c'era una probabilità su cento di incontrare qualcuno del Jersey lì a Manchester e lui aveva beccato proprio quella. Scambiarono due parole veloci a proposito di quel buco di città in cui entrambi sembravano aver passato l'adolescenza e poi Frank continuò.
«Vivo a Manchester da quattro anni. E non so davvero che dirti? Cioè, guardami, se anche ti volessi fare... qualcosa di male, ecco, cazzo, ti arrivo appena alle spalle, potresti atterrarmi in un momento, io...» Disse, e Gee scoppiò a ridere. Poco dopo anche l'altro si rese conto della completa stronzata che aveva detto e lo seguì a ruota, quando improvvisamente entrambi furono azzittiti dalla suoneria di un cellulare che non era certamente quello di Frank. Gee frugò nelle tasche alla ricerca di uno di quei vecchi Nokia malandati e guardò lo schermo per scoprire il numero del mittente. Tutto ad un tratto sgranò gli occhi, come fosse preoccupato.
«Scusa, devo... devo rispondere.» Disse, catapultandosi fuori dalla macchina.
 
**
 
«Cazzo, eccoti.» Fu la prima cosa che disse Alicia mentre apriva la porta del suo piccolo appartamento per far entrate Gerard.
«Ciao, Alicia, ciao anche a te.» Disse il ragazzo, fiondandosi immediatamente dentro e scrollandosi dalle spalle la giacca di pelle. Improvvisamente, dopo la corsa non indifferente che aveva fatto per raggiungere la tanto ambita meta, si sentiva andare a fuoco. «Come sta?» Chiese, fermandosi nel mezzo di quel salotto così maniacalmente pulito e ordinato che si sentiva come se lo stesse sporcando anche solo con la sua presenza.
«Adesso bene, ma dovevi vederlo prima.» Sussurrò la ragazza, un po' per far abbassare il tono della voce a Gerard, un po' perché era semplicemente così che Alicia Simmons parlava. 
Alicia Simmons.
Si potevano dire mille e mille cose su di lei, ma Gerard preferiva sempre dirne una sola: dovevano farla santa, perché nonostante tutto, non era la prima volta che salvava la vita a suo fratello quando lui era così impegnato a cercare di racimolare qualche spicciolo per campare che di tempo per occuparsi di lui proprio non ne aveva.
«Che ti ha detto?» Chiese, andandosi a sedere il più delicatamente possibile sul divano per non sgualcire le federe così perfettamente sistemate. Un'altra delle cose che si potevano dire di Alicia era che se scombinavi qualsiasi aspetto della sua vita -dalla casa alla testa-, ci avresti rimesso i coglioni. Mica era una così, Alicia Simmons.
«Ha detto che non rispondevi ed è andato in panico, Gerard, non puoi continuare così, ti rendi conto che ha bisogno di te e ci sono mille altre cose che potresti fare e tu- cazzo, Gerard hai scelto la peggiore!» Alicia Simmons, poi, non conosceva le pause. E sembrava non respirasse. Alicia Simmons, per farla semplice, parlava tutto d'un fiato e ti diceva le cose così come stavano, senza addolcirti la pillola. Al massimo ti costringeva ad ingoiarla, la pillola, ma mezze misure non esistevano. Non con Alicia Simmons, almeno.
Gerard a tratti la detestava, ma molto più spesso la adorava con tutto sé stesso.
«Devi capire che quando bussano alla porta di casa tua ogni giorno perché devi pagare l'affitto e come se non bastasse hai debiti fino al collo non puoi esattamente prendertela comoda e lavorare in un fast food, Alicia. Né in un negozio. E se hai studiato alla scuola d'arte e non hai potuto pagare gli ultimi tre esami, davvero, non puoi fare proprio un cazzo.» Disse il ragazzo. Forse questa cosa dell'essere schietti glie la stava trasmettendo un po', quella grandissima stronzetta di Alicia Simmons.
Quest'ultima sospirò, arrendendosi alla pura e semplice verità. Si andò a sedere vicino a Gerard con la stessa minuziosa calma con cui si era seduto lui ed entrambi fissarono assentemente il pot-pourri sul tavolino di fronte a loro come se improvvisamente fosse diventato la cosa più interessante del mondo.
«Hai almeno intenzione di dirglielo?» Chiese, continuando ad evitare il contatto visivo. Non per vergogna o per altri impedimenti di tipo psicologico quanto per lo sforzo che muovere la testa avrebbe richiesto ad entrambi. 
«Ma scherzi? Alicia, senti, ho un'idea.»
«Spara.»
«Oggi ho incontrato questo... questo ragazzo, okay? Mi paga cinquecento sterline al giorno per sette giorni solo per far finta di stare con lui davanti ai suoi genitori. Alicia, cazzo, è la svolta. Fossero tutti così.» Sospirò il ragazzo, mentre la sua ascoltatrice sembrava quasi shoccata. «L'unico problema è che devo andare in California?» Disse Gerard, e suonò più come una domanda. Come se le stesse chiedendo implicitamente di prendersi cura di Mikey per una settimana al posto suo. 
«Se mi prometti che userai questi soldi per finire di pagare i debiti e poi cercherai immediatamente un nuovo lavoro, allora sì.»
E improvvisamente Gerard aveva dei nuovi e insoliti programmi per il lunedì successivo.
 
**
 
Buonsalve! uwu 
Bene, allora, non so che dire (?)
Mi scuso per l'attesa un po' lunga, è che ho ancora bisogno di un po' di tempo per... tipo... ambientarmi e abituarmi a scrivere una cosa così diversa delle mie solite ff, credo. 
Comunque una cosa che posso assicurare è che mi diverte tantissimo come idea, e soprattutto è una svolta, diciamo, quindi siamo a cavallo (??????)
C'è ancora questo alone di mistero dietro 'sta storia di Mikey e devo dire che la cosa è intenzionale e mi piace abbastanza, MWHAHAAHAAHDGEWFHEWRI!!!!!!!! 
Presa una un attacco di sonno, vi saluto e.e
Fatemi sapere che ne pensate!
xo
   
 
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