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Autore: rossella93    17/05/2013    0 recensioni
Nel mondo in cui vive la principessa Daphne gli dei, i vampiri e i lupi mannari non sono leggende ma realtà. Lei appartiene alla grande stirpe delle pantere, il cui sangue è considerato il più sacro di tutte le creature soprannaturali, in grado di guarire e dare la forza. Dopo che la tribù delle pantere della Francia è stata completamente sterminata dai Ribelli, i licantropi più temuti al mondo, Daphne scappa insieme a Lydia, la sua serva e all'umano che era stato catturato dalle pantere per il rito del concepimento. Il suo intento è raggiungere l'ultima tribù di pantere risiedenti in Grecia, la terra sacra, e unirsi a loro per continuare una stirpe che sta ormai per estinguersi. Ma lei non sa che i ribelli sono sulle sue tracce poichè Ade, il grande dio degli inferi, li ha assoldati per rapirla.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In una zona remota della Francia, non molto distante dai monti in cui morì la dolce Pirene, dove i rami degli alberi s'intrecciano tra loro come mani, viveva la sacra stirpe delle pantere.
Un tempo cara al grande Zeus, tanto da averla a corte come corpo di guardia, in seguito al tradimento della fiera e potente Unna, pantera avida di potere, la stirpe fu relegata nelle zone più remote della terra e resa mortale. Erano passati 6000 anni da quel tragico evento e ormai non ne restavano che pochi esemplari.
 

 
 
La giovane principessa Daphne vagava serena nei boschi con la sua serva fidata Lydia quando Apollo, ormai compiuto il suo lavoro, stava per cedere il posto a Ecate.
Non era sicuro per due pantere vagare da sole, poiché le tenebre erano complici dei lupi mannari, loro eterni nemici.
— Principessina, l’ora del coprifuoco si avvicina. Sarebbe più prudente se ritornassimo alla fortezza. — la voce della serva era carica di preoccupazione. Gestire la principessa non era un incarico semplice, il suo carattere ribelle la rendeva indomabile.
— No, voglio restare ancora. Abbiamo ancora qualche minuto a disposizione prima di ritornare in quella prigione deprimente e isolata. — affermò Daphne con cocciutaggine.
— Ma come potete parlare così della vostra casa! Non vi manca nulla.—
— Peccato che vi abiti mia madre che cerca di rendere la mia vita un inferno. Sempre lì pronta a dettare ordini.—
La regina Elisea era ricordata particolarmente per la sua rigidezza e per un rigoroso rispetto per le leggi della loro stirpe. Ovviamente il suo carattere non combaciava minimamente con quello della figlia.
Daphne era l’esatto opposto. Aveva una forte inclinazione alla ribellione. Essere rinchiusa per anni nella fortezza l’aveva resa desiderosa di provare emozioni, adrenalina, desiderosa di vivere.
Trascorreva le sue giornate correndo per i boschi e giocando con gli animali.
Una farfalla le passò davanti agli occhi e Daphne non perse tempo a trasformarsi e a rincorrerla.
— Principessina, ritornate qui, vi prego. — la serva le corse dietro cercando di fermarla — Il sole sta tramontando. Se la regina scoprisse che abbiamo oltrepassato i confini mi frusterebbe! —
Ma Daphne non ne voleva sapere di tornare e continuò la sua corsa.
Molto tempo dopo, la serva e la principessa ripresero la strada del ritorno.
Man mano che la luce diminuiva il loro passo aumentava, non prestando attenzione ai fiori che calpestavano.
A Daphne non sembrava di aver percorso tutto quel tragitto mentre era impegnata a seguire una piccola farfalla dai mille colori.
— Quanto pensi che manchi ancora prima di arrivare alla fortezza? — la voce della principessa era preoccupata.
— Non saprei, principessina. Ma ho l'impressione che stiamo andando nella direzione sbagliata. —
Daphne si fermò di colpo, Lydia aveva ragione, quella non era la giusta direzione.
Ma ormai era quasi buio e non avrebbero mai fatto in tempo a ritornare entro il coprifuoco.
— Così non riusciremo mai a tornare in tempo, dobbiamo farlo! — ordinò Daphne con sguardo deciso.
Alle pantere era concesso trasformarsi solo se strettamente necessario. Più nascondevano la loro vera identità maggior tempo sarebbe stata la loro stirpe al sicuro.
In passato erano state più volte prede di altre creature sovrannaturali, avide del loro sangue in grado di dare la forza. Di conseguenza furono sterminati centinaia di villaggi di questi ormai rari esemplari.
Anche se la serva era esitante non poteva che sottostare agli ordini della principessa.
In un attimo  mutarono il proprio corpo in una delle specie di felidi più belle che siano mai state create.
Il fresco fruscio degli alberi accarezzava dolcemente il loro manto e il mitico canto degli uccelli s'insinuava con energia nelle loro orecchie.
Daphne aveva avuto la necessità di trasformarsi solo tre volte nella sua vita e ognuna era stata indimenticabile. Ricordava come i colori fossero molto più nitidi, gli odori molto più intensi e qualsiasi essere nel bosco sembrava che prendesse vita.
Non appena anche Lydia fu pronta corsero quanto più veloce potevano.
Cercarono di captare l'odore delle altre pantere alla fortezza ma inutilmente, qualsiasi direzione prendessero sembrava di essere nuovamente al punto di partenza.
Intanto il buio iniziava a impadronirsi dei boschi e Daphne sperava che la madre non avesse ordinato alle guardie di cercarla, non voleva che pensasse ancora che fosse un'irresponsabile.
Fece gesto a Lydia di seguirla e ricominciarono nuovamente a correre, finchè uno strano odore colpì le sue narici.
Quella puzza le ricordava tanto quegli stupidi animali che non facevano altro che sbavare e scodinzolare, ma di cui non ricordava il nome.
Solo una volta la madre le aveva mostrato il mondo degli umani e ricordava perfettamente di questo strana creatura simile a un lupo ma molto più piccola. Ne era stata talmente spaventata che s'immobilizzò senza riuscire più a muoversi, fin quando la madre non riuscì ad allontanarla.
Si guardò attorno con sospetto ma tutto ciò che vedeva non erano altro che alberi.
Notò che anche Lydia era sull'allerta, ciò significava che davvero c'era qualcosa nascosto nel bosco che le stava spiando.
Entrambe spaventate ruggirono sperando che l'intruso fuggisse, tuttavia la puzza continuava a pervadere le loro narici.
Ripresero a correre più svelte che potevano ma dei passi veloci le seguivano.
Daphne sentiva il proprio stomaco rivoltarsi ogni volta che inspirava quel pessimo odore ma non aveva tempo per voltarsi e guardare di che razza di creatura si trattasse, doveva pensare solo a salvarsi.
Continuava a fuggire e il suo respiro aumentava sempre di più, aveva paura di non farcela.
D'improvviso il silenzio del bosco fu interrotto dal ruggito di Lydia.
La principessa si voltò e vide che la creatura aveva graffiato gran parte del manto della serva con i suoi lunghi artigli.
Si fermò poiché capì che fuggire era inutile, doveva affrontarla. D'altronde rappresentava una delle creature più forti del mondo sovrannaturale.
Si girò di scatto e come temeva scoprì con orrore di essere di fronte a un enorme lupo mannaro.
In vita sua ne aveva visto solo uno, e anche se era molto piccola ricordava perfettamente quanto fosse pericoloso.
Questo lupo le sembrava molto più grande di quello che aveva visto in passato. La sua pelliccia nera lo rendeva quasi invisibile tra le tenebre, i suoi occhi indemoniati la guardavano avidi di sangue e una bava copiosa continuava a uscire dalle sue fauci. Daphne era terrorizzata ma doveva agire o lei e Lydia sarebbero morte.
Il suo corpo esile scattò all'attacco e cercò di affondare le proprie zanne nella sua pelliccia ma questo, molto più agile e addestrato al combattimento, la scaraventò a terra con la sua enorme zampa.
Lydia, nonostante la ferita, cercò di proteggere la principessa e attaccò il lupo alle sue spalle mordendogli una zampa.
Il licantropo ululò dal dolore forte e nella rabbia colpì la serva con tanta violenza da scagliarla su un tronco lontano oltre dieci metri.
Ora guardava affamato Daphne e lentamente si avvicinava alla sua preda.
Il suo ringhio sinistro fece aumentare i battiti della principessa ormai incapace di muoversi, sapeva che era inutile combattere quella creatura, era molto più forte di entrambe e non le restava che abbandonarsi alla morte.
Ma il suo carattere forte si ribellò, doveva affrontarla. Doveva farlo per salvarsi dalla morte, ma soprattutto per salvare la propria stirpe dall'estinzione.
Pensò a ciò che la madre le aveva insegnato durante i suoi diciannove anni di vita.
Il suo compito era proteggere la sua razza e cercare di procrearsi il più possibile.
Se avesse permesso a quella bestia degli inferi di nutrirsi di lei e della sua devota serva avrebbe significato donare il proprio sangue sacro a un essere impuro.
Quindi si rialzò con fierezza e questa volta ruggì più forte, sperando di intimidirlo ma lo sguardo del lupo, unica cosa che rimandava alla sua vita umana, sembrava volesse burlarsi di lei, sapeva di essere lui il più forte.
Stava per attaccarla quando cinque pantere del corpo di guardia della regina saltarono su di lui, affondando le proprie fauci nella sua carne.
Daphne cercò di partecipare anche lei al combattimento ma una delle pantere l'allontanò con un ringhio feroce.
Poi vide Lydia, ancora stesa vicino all'albero, dove l'aveva scaraventata il lupo mentre cercava di salvarle la vita. Giaceva inerme nel suo corpo di umana, con gli occhi socchiusi e la schiena completamente ricoperta di sangue.
La principessa ritornò nella sua forma umana e corse dalla serva con le lacrime agli occhi.
— Lydia, Lydia. — urlò sperando che riuscisse a sentirla — Oh Lydia cara. Dieci vite non basterebbero per avere la mia riconoscenza. — ma la serva era troppo debole per reagire. Daphne le prese la mano sperando che riuscisse a sentire almeno quel contatto e la accarezzò. — Sono fiera di te, sei andata incontro alla morte per salvare la vita di un'incosciente come me. Te ne sarò sempre grata amica mia. — E le baciò la mano.
Ma quel gesto inopportuno per una principessa fece reagire la serva — Mia signora, cosa dite. — sussurrò debolmente — io ho solo fatto il mio dovere, il mio compito è quello di vegliare sulla vostra vita e in questo ho fallito. — s'interruppe per riprendere quel po' della forza che le rimaneva — la colpa è solo mia se è capitata questa tragedia. — Poi tossì e per un attimo Daphne ebbe il terrore che chiudesse gli occhi per sempre ma ella continuò — non avrei dovuto permettervi di allontanarvi. Sono stata una stupida ed è giusto che venga punita. — e chiuse gli occhi cadendo in uno stato incosciente.
Daphne sentì spezzarsi il cuore per quelle parole che rappresentavano una triste verità.
La regina l'avrebbe punita o addirittura condannata a morte per averle permesso di oltrepassare il confine, ma lei non doveva o meglio non poteva permetterlo, quella donna le aveva salvato la vita e ora lei doveva fare di tutto per salvare la sua.
Si ricordò del lupo e quando si girò non vide altro che il corpo di un umano ricoperto di sangue.
Lentamente si avvicinò per accertarsi che fosse morto. Aveva il viso barbuto e gli occhi spalancati dal terrore, tuttavia notò che il suo volto era leggermente sorpreso, quasi non fosse cosciente di ciò che stesse accadendo. Gli sentì il polso e con sollievo informò le altre pantere che era morto.
Vide una di loro sollevare il corpo esile e martoriato di Lydia e porgerlo sulla propria schiena.
Aspettarono che anche la principessa si mutasse per riprendere a correre dirette verso la fortezza.
 
Non appena Daphne varcò la porta della grande sala, la madre si alzò dal proprio trono e le andò incontro.
Il suo sguardo smeraldino era furioso e la bocca, non abituata a ridere spesso, era stretta in una linea ancora più sottile del solito.
Raggiunta la figlia le diede uno schiaffo con una forza tale da farla cadere. — Brutta incosciente! — sbraitò con furia — come hai osato disobbedire ai miei ordini! Possibile che tu debba sempre deludermi. Mi chiedo quando ti deciderai a crescere ed essere più responsabile. — camminava avanti e indietro per la sala senza calmarsi — oggi hai messo in pericolo tutte noi, per poco quel lupo non si nutriva del tuo sangue. — continuò a sbraitare — non capisci che la nostra identità non deve conoscerla nessuno! —
Daphne era mortificata, sapeva di aver sbagliato. — Mi dispiace. — sussurrò con gli occhi rivolti verso il pavimento. — Io… — balbettò — Io non volevo. —
— Non volevi cosa? Cosa? Sai che non m'incanti con queste frasi vuote! Non è la prima volta che ci metti in pericolo piccola viziata! — urlò la regina — tu sei proprio come quello stupido umano di tuo padre. Una debole incapace di rispettare le regole. Ma questa volta le cose cambiano. Eh no signorina, cambieranno eccome! — concluse con sguardo altezzoso guardando la figlia come se fosse un essere spregevole.
— M — madre… — balbettò Daphne con sguardo spaventato. — volete esiliarmi? —
La regina la degnò di un ultimo, lungo sguardo. Osservò la sua lunga chioma castano scuro, i suoi occhi marroni leggermente a mandorla che il più delle volte la guardavano con disprezzo e la bocca, un piccolo cuore fatto per baciare. Rivedeva in lei il suo John, l'umano con cui l'aveva concepita.
Nonostante la loro legge impedisse d'innamorarsi di un umano ma di servirsene unicamente per procreare, lei non aveva resistito al suo fascino.
Era stata ammaliata dalla sua gentilezza e la dolcezza con cui la trattava, se avesse scoperto la sua sorte e il vero scopo per cui serviva probabilmente si sarebbe comportato diversamente.
Le paroline dolci che le sussurrava all'orecchio le facevano tremare le gambe. In tutta la sua vita era sempre stata trattata con freddezza e per lei quella era una cosa nuova e sorprendentemente piacevole.
Tuttavia sapeva che amarlo sarebbe stato inutile poiché presto l'avrebbe perso.
Il giorno del rito, dopo che l'accoppiamento ebbe luogo, fu martoriato proprio come tutti gli umani usati in precedenza da offrire al grande Zeus.
Ricordava ancora il suo sguardo prima che la morte lo portasse via con sé. Non era più gioioso ma la guardava con malinconia e delusione.
Per la regina Elisea fu straziante e i giorni che seguirono non ci furono che pianti.
Ma ben presto si pentì di quel suo comportamento, non poteva cadere nella trappola dell'amore come gli umani. Iniziò a odiare John per averla fatta arrivare così in basso e a odiare la figlia che con malcontento scoprì essere una miniatura del padre.
Crescendola l'aveva trattata con freddezza e severità, evitando di provare affetto per paura di soffrire come in precedenza e sapeva che se gli unici sguardi che la figlia le rivolgeva erano di odio era solo colpa sua. Daphne era completamente diversa da lei, ribelle e romantica, aveva ereditato parte del carattere del padre.
La regina riemerse dai suoi pensieri e guardò un'ultima volta la figlia prima di dare la sua sentenza.
Guardò il suo sguardo supplichevole e sentì stringersi il cuore, ma lei era la regina e doveva dare il giusto esempio e punire la figlia per aver disobbedito uno dei codici della legge
— No, non sarai esiliata. Ma presto dovrai sottoporti al rito. Forse diventare madre riuscirà a farti essere più matura. Riguardo alla tua serva non appena sarà guarita avrà le frustate che merita, così imparerà a essere meno negligente. — per lei era straziante vederla così, ma doveva pensare prima di tutto al bene del suo popolo. Se avesse agito diversamente Daphne le avrebbe messe nuovamente in pericolo.
Senza aspettare la sua risposta girò i tacchi e proseguì verso le sue stanze, lasciando la figlia in lacrime sul pavimento
 
Lontano più di mille miglia, nei pressi del lago d'Averno, esisteva un luogo temuto da tutte le creature e completamente sconosciuto agli umani.
Lì giaceva Ade, fratello di Zeus, e dio degli Inferi, insieme alla sua bella sposa Persefone, dea della fertilità.
Non molto distante viveva l'umana Erminia, amante di Ade, che gli aveva donato un figlio, Andes, sperando così di convincerlo a renderla immortale.
Tuttavia erano trascorsi 13 anni dal loro primo incontro, ma il suo desiderio non si avverava.
Ade la raggiungeva ogniqualvolta la moglie lasciava gli inferi per portare la primavera sulla terra, circa sei mesi l'anno e lei tentava invano di farlo innamorare perdutamente così da indurlo a chiedere la sua mano e sostituire la moglie.
Intanto un giorno Persefone era intenta a far germogliare i frutti sulla terra quando vide il marito aggirarsi per le strade.
Nonostante fosse vestito da mendicante lo riconobbe e lo seguì, scoprendo quindi l'abitazione della sua amante e del figlioletto illegittimo.
Accecata dall'ira si armò di coltello e non appena calò la notte, si coprì con un mantello e si avviò presso il paesino in cui viveva la sua rivale.
Mentre s'incamminava a passo svelto per le piccole vie un ubriaco cercò di aggredirla. — ehi bellezza, fammi vedere che bel faccino cerchi di nascondere. — disse cercando di toglierle il mantello. Riusciva a stento a non strascicare le parole e il suo fiato puzzava tremendamente d'alcool.
La dea non tollerando di essere toccata da un essere inferiore scoprì il proprio volto e lo fissò con occhi rosso sangue.
Il malcapitato si spaventò a morte e fuggì a gambe levate urlando — Il demonio, ho visto il demonio! — Persefone proseguì la piccola via finché non si ritrovò dinanzi alla sua missione.
Era una piccola casa di pietra con accanto un orticello. Non aveva bisogno di bussare poiché le bastò semplicemente girare la maniglia e la porta fu aperta.
Fu colpita da una tremenda puzza di chiuso e non avendo che la luce lunare a disposizione non riusciva a orientarsi bene.
A fatica arrivò silenziosamente nella stanza da letto dove giaceva Erminia con il giovane figlio.
Stava per colpirla con il pugnale quando questa aprì gli occhi lentamente.
— Amore mio, sei tu? — chiese con voce roca.
A quelle parole Persefone fu presa dall'ira e iniziò a pugnalare ininterrottamente la sventurata.
— Brutta sgualdrina! — ripeteva tra una pugnalata e un'altra — non avrai mai mio marito! Lui ama me! Lui vuole me! Tu non sei nulla! — quando capì che ormai la donna era morta la sua ira si placò.
Ma restava ancora il ragazzino che era stato svegliato dalle urla strazianti della madre e spaventato si era nascosto in un angolo della stanza.
— Dove credi di andare piccolo mostriciattolo. Non ti lascerò fuggire, presto raggiungerai la tua mamma — sussurrò con un sorriso sardonico. Ora il cappuccio le era caduto sulle spalle e il ragazzo fissava immobile gli occhi di Persefone resi rossi dalla furia.
Non ebbe pietà per quell'umano che non aveva la benché minima colpa se non di essere nato da una relazione troppo pericolosa e lo pugnalò allo stomaco, lasciandolo morente nella pozza del suo stesso sangue.
— Che cosa hai fatto? — urlò una voce dietro di lei.
Quando si voltò vide la faccia stravolta dall'orrore del marito. Era scioccato dalla scena straziante che i suoi occhi erano costretti a vedere.
— Che cosa hai fatto? — urlò questa volta con furia tirando il collo del mantello di Persefone.
— Quello che era giusto. — rispose la dea con calma. Lo guardava con un sorriso demoniaco, fiera di ciò che aveva fatto. Tutti quegli anni trascorsi nell'oltretomba avevano indurito il suo cuore una volta tanto sensibile, non provava emozioni o rimpianto per aver appena ucciso. Ade la lasciò disgustato per ciò che era diventata.
— Ma guarda come sei caduta in basso. — sibilò il dio tra i denti — ti sei abbassata al loro stesso livello! Ti sei macchiata le mani del loro sangue sporco per un capriccio! — ora la voce di Ade era tuonante. Era incapace di credere che ciò che stava vedendo era accaduto davvero.
— E tu allora? Non ti sei vergognato di andare da lei ogni notte approfittando della mia assenza! — urlò a sua volta la moglie senza il minimo rimorso. — Hai lasciato che avesse un figlio da te e magari un giorno l'avresti sostituita a me! —
— Non essere ridicola, sai che ci lega un patto e che dovrai essere la mia sposa per sempre ma sì, mi sarebbe piaciuto! — ammise con franchezza — con gli anni sei diventata tremendamente fredda, hai perso la freschezza di quando ancora non conoscevi il mondo e in Erminia avevo trovato una persona che mi amasse, e che mi mostrasse un po' di dolcezza. — concluse con tristezza guardando il corpo dissanguato dell'amante.
— Se sono diventata gelida, se ho perso la capacità di provare emozioni è stata tutta colpa tua, Tu mi hai costretta a vivere in quel mondo cupo e straziante! Tu mi hai… — ma di colpo Persefone smise di parlare poiché il ragazzo che pensava giacesse morto accanto a loro iniziò a lamentarsi debolmente.
Anche Ade si voltò e la moglie poté leggere nel suo sguardo il sollievo.
— C-come è possibile. Gli ho procurato una ferita mortale. — balbettò incredula.
— Allora sei vivo figlio mio. — sussurrò Ade prendendogli una mano. — Lui è per metà un dio — disse poi rivolgendosi alla moglie — ha una resistenza maggiore, Ciò non toglie che la sua ferita è grave e non resisterà a lungo se non lo curiamo."
— E come vorresti guarirlo? — chiese sprezzante Persefone.
— Lui è il mi o unico figlio e non voglio perderlo, escogiterò qualcosa! —
 
  
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