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Autore: addictedtokenji    19/05/2013    2 recensioni
'Era una ragazza così carina, dolce e premurosa, e proprio non riuscivo a capire perché aveva avuto la pazza idea di ospitare un tipo come me nella sua, a parer suo, umile dimora.'
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chester Bennington, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  Capitolo 2.

“Finito di ordinare il salotto, mi sedetti sul divano di pelle scura, stanca. Ero sfinita. Avevo approfittato del mio tempo libero per sistemare anche la cucina che era in uno stato pietoso: piatti da lavare, una miriade di posate sparse qua e là, il tavolo completamente sommerso da fogli, tovaglie, bicchieri e tovaglioli, sedie disordinate e fornelli grassi.

Chester mi aveva aiutato molto, aveva sistemato assieme a me il tavolo del salotto e riordinato le sedie. Aveva preparato la lavastoviglie mentre io pulivo i fornelli, e riponeva i piatti puliti nelle apposite mensole mentre io cambiavo tovaglia al tavolo della cucina. Era un ottimo aiuto. Dopo la cucina, toccò al salone, ancora più in disordine.
Il ragazzo con le fiamme sui polsi si sedette accanto a me, e prese la sua giacca, dalla quale sfilò il famoso barattolino.

‘Non farlo.’ Gli dissi mentre era intento ad aprire il coperchio con uno sguardo concentrato.

‘Devo.’ Mi confessò.

‘Posso sapere il perché?’

‘Ale…’ sospirò. ‘Ti prego.’ Concluse.

‘Non sei costretto a farlo… non ti porterà a niente tutto questo, posso assicurartelo.’ Balbettai.
Non ricevetti risposta, lui si ingoiò una pillola velocemente e strizzò gli occhi per due, tre secondi, per poi riaprirli e tornare alla realtà scuotendo leggermente la testa.

‘E’ più forte di me, scusa.’ Mi confessò.

Porca puttana, non potevo permettermelo. Se voleva drogarsi, lo doveva fare fuori casa mia. Non volevo più sentir parlare di droga, mai più.

‘Cosa è più forte di te? Questa merda!?’ Mi alzai quasi urlando.

C’era qualcosa in quel Chester che mi rendeva abbastanza strana. Non potevo permettere che quella fottuta sostanza risucchiasse anche lui in quel fottuto tunnel. No. Nonostante ci conoscessimo da poche ore, ero particolarmente legata a quel Chester, lo consideravo come un mio vecchio amico d’infanzia.

‘Sono solo luride pasticche che non fanno altro che divorarti vivo giorno dopo giorno.’ Rivelai.

‘Non sei nessuno tu per giudicarmi. Faccio quel che cazzo voglio, capito?’ Si alzò anche lui iniziando a gesticolare. Avevo paura in quel momento. Forse mamma aveva ragione. Farsi i cazzi propri è utile, davvero utile.

‘Ti è venuta la folle idea di portare a casa tua un drogato del cazzo… cosa aspetti che faccia? Che ti distribuisca volantini sulla felicità nel mondo?’ Aggiunse.

Mi diressi verso l’angolo del salone, vicino alla tv, posta sotto una mensola piena di foto: quelle foto.

‘Non piangere. Non piangere Alessandra.’ Pensavo tra me e me.

Iniziavo a singhiozzare, le gambe mi tremavano. Chester aveva urlato contro di me, e la cosa più devastante è che aveva fottutamente ragione. Cosa mi aspettavo? Che neanche in ventiquattro ore si sarebbe tolto quella dipendenza da dosso?  Non feci in tempo a rispondere a tutte le mie domande che mi accorsi di star piangendo.

‘Stai piangendo…’ mi disse, preoccupato.

‘Stai piangendo per me?’ Aggiunse.
Riuscii solamente a balbettare un ‘no’ sottile per poi allontanarmi dalla tv. Chester era vicinissimo a me. Improvvisamente, d’istinto, guardai quelle foto, quelle fottute foto, poi lui, e corsi in bagno per chiudere la porta dietro di me, appoggiarmi ad essa per poi scivolare lentamente sul pavimento con le ginocchia al petto, piangendo ancora, cercando di togliere tutti i brutti ricordi che tempestavano la mia mente.” 





“Forse avevo esagerato. Non dovevo urlarle contro. Ma ho ragione, cazzo. Non può dirmi quello che devo fare. Non mi conosce neanche, e
poi si sa, se neghi la droga ad un drogato è come negare ad un bambino il suo giocattolo preferito… ma a differenza di quest’ultimo, che piange solamente, i tossicodipendenti hanno reazioni piuttosto diverse e maggiormente preoccupanti. In fondo, però, aveva dannatamente ragione anche lei. Ero un pazzo. Non mi avrebbe portato a niente, e lo sapevo, e pur conoscendo i rischi a cui andavo giornalmente incontro, continuavo, e continuavo, fregandomene di tutto e tutti.
Non capivo però la sua reazione. Perché aveva iniziato a piangere? Piangeva per me? E perché ora era chiusa in bagno?
Ricapitolando il tutto; lei ha iniziato a piangere solamente dopo aver visto quelle foto.
Mi avvicinai a quella mensola.
Le foto erano state scattate in una località turistica, pareva, ed incorniciate molto accuratamente.
 Raffiguravano Alessandra in compagnia di un uomo ed  una bambina.

‘Allora è sposata.’ Pensai tra me e me.

Ale era felice, spensierata. Il ragazzo anche. La bimba, invece, tra le braccia dei due rideva, felice. Non era una bambina normale. Era malata, e si vedeva.  Avrà avuto si e no  due, tre anni.
Mi diressi verso la porta del bagno e bussai capendo di aver fatto, un’ennesima cazzata.

‘Ale, ti prego, scusami…’

‘Va’ via.’ Rispose singhiozzando.

‘Ti ho chiesto scusa… ho esager…’ Non feci in tempo a finire la frase.

‘Va’ via!’ Disse quasi urlando.

Perché di punto in bianco mi stava trattando così? Il giorno prima mi ospita a casa, ed il pomeriggio seguente, dopo aver sistemato assieme l’intera casa, mi cacciava via? Ah, ma che si fotta. Le persone sono strane, confuse e pazze.

‘Vuoi che vada via? Ok, me ne vado. Fottiti, Ale. Prima mi ospiti a casa, mi cucini, sistemiamo la casa, ed ora mi tratti così, cacciandomi? Hai il ciclo, per caso? Ti consiglierei di calmarti.’ Dissi senza peli sulla lingua, per poi percorrere il corridoio ed uscire dall’appartamento sbattendo la porta.

Mi dispiaceva, mi sentivo un verme per ciò che avevo detto. Volevo solamente morire. Sicuramente in quel momento piangeva ancora, ed io l’avevo mandata a farsi fottere.
Ah, sei un emerito idiota Chester, un cretino pezzo di merda.
Dovevo rimediare a quella situazione, lei era l’unica persona che mi aveva offerto il suo aiuto, ed io avevo mandato tutto a puttane. No, non potevo permettermelo.
Dovevo farmi perdonare, ma come? Non facendo più uso di questa merda? No, non potevo, era la mia vita.

Mi sedetti sulla panchina sotto casa, vicino ad un negozio di scarpe abbastanza costose, ed iniziai a ricordare ogni singola parola scambiata con Ale, e mi resi conto che alle cinque e mezza avrei dovuto prendere un gelato con lei.
Ma certo. Le avrei portato del gelato. Che fottuto genio.
Mi diressi verso la gelateria, chiedendo una confezione di gelato da tre etti.

‘Cosa ci vuole?’ mi domandò il ragazzo dietro il bancone pronto ad inserire i gusti che avrei ordinato.

E che ne sapevo io, ora? Non la conoscevo neanche.
Non ci pensai due volte, e feci mettere i gusti che piacevano a me: cioccolato, pistacchio, nocciola e amarena. Ringraziai il commesso, lo pagai ed uscii dalla gelateria soddisfatto. Era una scusa bella e buona. Avrebbe sicuramente accettato il gelato e mi avrebbe perdonato. Le donne sono così.

Anche se Ale era diversa. Mi piaceva, l’ammetto. E non potevo vivere con l’idea di sapere che l’unica persona, in venticinque anni, che ha offerto di aiutarmi, ce l’avesse con me e con la mia esagerata e stupida reazione.”




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Heeello, questo capitolo è un po' di passaggio, nel prossimo sapremo meglio perché Ale si è comportata così, anche se alcuni di voi, credo l'abbiano già immaginato. c: 
Insomma, ho moltissime idee per questa FF, la voglio continuare, perciò approfitto nel scrivere altri due, tre capitoli oggi per pubblicarli questa settimana, poiché sono piena di interrogazioni e verifiche, e non avrò tempo per pubblicare molto.
Comunque, ringrazio tutte quante per le tre recensioni, mi avete fatto felicissima, davvero. 
Per concludere, *schiarisce la gola*, spero che questo capitolo sia di vostro gradimento. Ora mi dissolvo, ciao!
Rage&Love.
  
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