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Autore: angelofcaffeine    22/05/2013    5 recensioni
Settimane dopo esser diventato improvvisamente single, mentre siede di fronte a Sebastian Smythe (che sta facendo i suoi compiti, peraltro) ad un tavolo del Lima Bean, Kurt si rende conto di due cose: 1) trascorre troppo tempo in quel locale; 2) finiva sempre per diventare amico di una persona che detestava.
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Dal primo capitolo:
Naturalmente, dato che sembrava vivere lì e con frequenza piuttosto inquietante, l’ombra di Sebastian Smythe si era subito stagliata sul suo quaderno.
Sollevò lo sguardo, disinteressato. “Posso aiutarti?” domandò, lo stomaco che si ribaltava alla vista di Sebastian, quel viscido e bastardo suricata, che incombeva su di lui.
Il giovane non si preoccupò di rispondere, si limitò ad inarcare un sopracciglio alla vista di Kurt tutto solo. “Dov’è il fidanzato carino?” domandò.

Traduzione a cura di therentgirl.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NdT: e trascorso un mese, eccoci giunti al secondo capitolo! Ho avuto un feedback abbastanza positivo per questa storia e, come sempre, mi sono divertita ed emozionata al tempo stesso a vedere le scene che avevo letto troppo tempo fa per ricordarle. Quantomeno a ricordare quanto sia perfetto questo pairing e quanto angelofcaffeine lo faccia adorare ancor di più con il suo stile! Adoro profondamente ognuno di voi, da quelli che hanno recensito a quelli che si sono limitati a mettere la fan fic tra le preferite/ricordate/seguite. Ne vale la pena, ve lo garantisco. E lo adora anche l’autrice che, cito testualmente, ‘sta leggendo anche lei, anche se non capisce nulla, perché è la sua opera’. Se non è un onore questo. :’)
E quindi ringraziamo come sempre @nameless colour e la sua infinta pazienza, che ci permettono di avere il capitolo betato e grammaticalmente corretto. A questo punto vi lascio alla lettura, ci vediamo il mese prossimo!
Link al capitolo originale

CAPITOLO 2

Kurt non si sentì nemmeno imbarazzato del fatto che la sua prima reazione fosse stata stringere Sebastian in un veloce, e subito dopo veloce-imbarazzato, abbraccio. Si scostò immediatamente, incapace di sentirsi confuso, ma sapendo comunque che fosse il momento sbagliato per sentire quelle sensazioni, e ripeté: “Sono un finalista.” Abbassò lo sguardo sulla lettera, scorrendo le parole brevemente per accertarsi che non fosse uno stratagemma di Sebastian per spezzargli il cuore, dunque esalò un tremolante ma felice sospiro. “Sono un finalista!”

“Sei un finalista!” esclamò Sebastian di rimando, e la sua espressione era aperta e felice, tutto il sarcasmo era defluito via in quel momento.

Strinse la lettera più forte, dunque disse, “Penso di aver bisogno di sedermi.”

“Hey, ecco qua, tigre,” mormorò Sebastian, aiutandolo a sedersi come se ne avesse bisogno. “Cerca di non svenire.”

“Non ne ho intenzione,” sbottò in risposta. “Oh, mio Dio. Devo chiamare mio padre. E Rachel. E tutti quelli che ho incontrato nella mia vita.” Quando l’altro rise, ad una maniera spensierata e spontanea, Kurt gli rivolse un’altra occhiata infastidita. “Non chiamarmi tigre, quanti anni hai, quaranta?”

“Chiama tuo padre,” gli ordinò il giovane. “Devo finire i compiti. E potresti cercare di essere meno agitato?”

“Potresti provare ad essere meno un-” cominciò, dunque concluse la frase con una parolaccia. Per qualche strana ragione, ciò fece ridere Sebastian, così anche Kurt rise, perché era un finalista della NYADA, e stava condividendo quel momento con Sebastian Smythe tra tutte quelle che conosceva.

Fu in quel momento, con Kurt incapace di smettere di ridere e guardare gli occhi di Sebastian sgranarsi per il divertimento che rise e Burt rispose al telefono.

Kurt?”

“Oh, mio Dio,” rispose, cercando di placare il respiro. “Scusa, non stavo pensando. Papà, oddio. Io… io non riesco, non so come dirtelo.”

“Sputa il rospo e basta,” consigliò Sebastian dall’altra parte del tavolo. Stava davvero sorridendo, come se fosse davvero per lui, e Kurt chiuse gli occhi per assaporare quel momento.

“Papà,” cominciò di nuovo. “Tuo figlio, Kurt Hummel, è un finalista per la NYADA.”

Cominciò a ridere di nuovo quando suo padre diede praticamente di matto dall’altra parte del telefono, per poi cercare di non scoppiare a piangere durante il balbettante discorso da padre orgoglioso che ne seguì.

“No, papà, non osare appendere striscioni. Non farlo! Vado, sto prendendo il caffè con… una persona. Vado. Sì, ti voglio bene anche io.” Rise di nuovo mentre riattaccava, dunque asciugò gli occhi per un momento.

Sebastian sbuffò. “‘Un caffè con una persona’… sei così dolce.”

“Questo è un caffè e penso che tu sia una persona,” rispose Kurt calmo mentre cominciava a scrivere un messaggio. “Potresti anche essere una mangusta incredibilmente alta.”

Ci fu una breve pausa, dunque il telefono di Sebastian squillò. “L’hai mandato a me, genio.” Afferrò il cellulare e Kurt riuscì a sentirsi ravvivare mentre leggeva il suo sms: KURT HUMMEL È UN FINALISTA PER LA NYADA, ALLA FACCIA VOSTRA.

“L’ho mandato a tutta la mia rubrica,” rispose, dunque fece una pausa, realizzando che ciò includeva Blaine. Sollevò lo sguardo al sorrisetto di Sebastian, prima di decidere che non gli importava. “Dunque, questo doveva essere un caffè per i nervi, ma adesso è per festeggiare.”

Sebastian sollevò il suo bicchiere. “A New York,” suggerì.

Kurt sentiva un sorriso ancora incerto sulle labbra, era come se fosse rilassato e teso al tempo stesso. “A New York,” convenne. “O Parigi. O dovunque il mondo ci porti.”

*

Gli incontri al Lima Bean dovevano essere delle coincidenze durante le quali aiutavano la caffetteria prendendo il minor numero di tavoli possibili. Non erano programmati. Se non avesse più visto Sebastian, gli sarebbe andata bene. Sarebbe stato strano, ma l’avrebbe accettato.

Così naturalmente, Kurt fu preso in contropiede da un messaggio a un paio di giorni dall’apertura della lettera della NYADA che diceva solo:

Ci vediamo al Lima Bean questo pomeriggio? Qualcuno deve forzarmi a scrivere questo saggio o trascorrerò tutto il tempo su FB.

Sbatté le palpebre, esitante mentre allungava la mano libera verso il suo armadietto.

Dopo un momento, si volse per poggiarvisi contro e scrivere la risposta. Non sono il tuo babysitter, rispose in ogni caso, dunque aggrottò le sopracciglia. Devo studiare Matematica. Sto lavorando sulla teoria che la Matematica esiste solo per rendere la mia vita più difficile.

Fissò il messaggio per qualche secondo prima di mandarlo, quindi tornò a volgersi al suo armadietto.

“Chi era, dolcezza?” domandò Mercedes, sopraggiungendo al suo fianco. “Sembri tutto corrucciato. Ti verranno le rughe, lo sai.”

Kurt si sforzò di rilassare la propria espressione facciale. “Nessuno di importante,” rispose. “Hai visto la gonna di Rachel? Ero sicuro di avergliela gettata via.”

“Ne ha più di una,” rispose la ragazza. “L’ho vista nasconderle durante la tua grande purga del guardaroba del 2011.”

Kurt scosse il capo. “Dovrebbe sapere meglio di…”

Il telefono squillò di nuovo.

Fortunatamente per te, gestisco la matematica come un Imperatore Romano. Ci vediamo dopo. X (baci. NdT)

Fu quella ‘X’ alla fine, più di ogni altra cosa, che gli fece osservare il cellular, accigliato.

“Kurt?”

Sollevò lo sguardo. “Oh, scusa, Mercedes. Stavo solo programmando il pomeriggio.”

Mercedes sorrise, dunque lanciò un’occhiata dall’altra parte del corridoio. Kurt seguì il suo sguardo sino a incontrare quello di Sam. “Qualcosa di interessante?” domandò la giovane.

“Prenderò il caffè con qualcuno che odio,” rispose. “Niente di più interessante del solito. Che succede tra te e Sam?”

Cambiare discorso funzionò: Mercedes abboccò all’amo e trascorse il tragitto verso la loro classe parlando a bassa voce di cosa stesse accadendo tra lei e Sam. Kurt sapeva benissimo come muoversi, così riuscì a farle le giuste domande e fare i giusti commenti mentre lanciava occasionalmente delle occhiate al suo cellulare.

*

In qualche modo, nella confusione di Kurt che odiava la Matematica e il desiderio di Sebastian di ‘sventrare la sua relazione di Storia’, si erano scambiati i compiti.

Di solito, Kurt era contro il barare in qualsiasi modo (gli piaceva vincere onestamente; aveva sempre avuto un problema col senso di colpa) ma sembrava che Sebastian stesse davvero cercando di sventrare la sua relazione, a giudicare dal contenuto.

“Ma non vuoi essere promosso?” domandò Kurt, sconcertato, mentre riscriveva un’altra riga della relazione scritta a metà. “Stai cercando di fallire di proposito?”

Sebastian sollevò a stento lo sguardo dal compito di Kurt. “Sono bravo con gli esami,” disse. “Sono bravo coi fatti, e a capire le cose. Odio le relazioni e odio la Storia. E odio la professoressa di Storia.”

“Non ho idea di cosa significhi la metà di tutto ciò,” rispose Kurt. “È come se l’avessi scritto da ubriaco.” Dopo una pausa, sollevò lo sguardo, inorridito. “Oddio, ma tu l’hai scritto davvero da ubriaco.”

“Sono occupato ad essere l’Imperatore Romano della Matematica,  va’ via,” rispose il giovane.

Kurt tornò a immergersi nella relazione, tra le frasi messe insieme e a dipanarle, perché sembrava piuttosto ovvio che Sebastian non riuscisse a scrivere come si doveva, e tornò a concentrarsi sulla Guerra Civile. Durante tutto ciò, Sebastian aveva lasciato il tavolo ed era tornato con più caffè, e gli aveva fatto un cenno di ringraziamento.

Quasi un’ora dopo, Kurt si stiracchiò, cercando di rilassare gli arti in tensione. Scrollò le spalle. “Quando devi consegnare questa roba?” domandò.

Sebastian aveva messo il compito di Matematica di Kurt da una parte (e completo, notò con un verso allegro) e stava leggendo un altro foglio, gli occhi sgranati per la concentrazione. “Uh, Lunedì?” disse. “Sono sicuro che sia per Lunedì.”

“Posso finirlo domani?” domandò. “Trascorro troppo tempo qui dentro, devo assicurarmi che esista un modo là fuori, ogni tanto.”

Lo sguardo di Sebastian luccicò in sua direzione, le labbra si piegarono in un sorrisetto. “Certo, va benissimo. Ma dobbiamo fare un’ultima cosa, prima.”

“Sì, ecco come chiedi un favore, tu,” replicò, asciutto.

Sebastian roteò gli occhi, dunque spostò la sedia sino a trovarsi al suo fianco, invece che di fronte. “Ti sto facendo un favore, genio,” disse. “Infatti, mi sento così magnanimo che potrei bruciare tutto il tuo guardaroba e comprarti dei vestiti da ragazzo.”

“Non è colpa mia se non riesci ad apprezzare i capi fashion,” rispose.

“Non fai schifo in Matematica,” rispose il giovane, cambiando subito argomento. “Non ti piace. C’è una certa differenza.”

Kurt sgranò gli occhi. “La odio. Forse più di quanto odi te. Tu che fai i miei compiti di matematica, dev’essere un segno dell’apocalissi.”

“A meno che,” disse Sebastian lentamente, prendendo poi l’ultimo test del suo libro di matematica. “Tu non arrivi alla risposta giusta.”

Kurt scrollò le spalle. “Non è impossibile, solo che è troppo difficile.”

“Sì, anche se sbagli,” rispose l’altro. “Continui a rendere tutto più complicato di quanto ce ne sia bisogno. Ti dimostrerò come uscire da questo schema.”

Un’ora più tardi, erano ancora seduti al tavolo del Lima Bean, Kurt era chino su un foglio nuovo, dimostrando come completare l’equazione che Sebastian aveva creato appositamente, e il giovane sorrideva.

Tutto sommato, era stata una strana giornata. Quando lasciarono il Lima Bean, dopo essersi messi d’accordo per incontrarsi l’indomani e finire la relazione di Sebastian (e, Kurt insistette, riscriverla come se l’avesse scritta davvero lui), era pronto per cenare e rannicchiarsi sotto le coperte con un buon libro. O magari avrebbe chiamato Rachel, o avrebbe battuto Finn e Sam a Mario Kart. Qualunque cosa avesse scelto, sarebbe stata rilassante.

Era quasi giunto alla sua macchina quando colse Sebastian, di fronte alla sua macchina, la fronte corrugata.

“Tutto bene?” urlò dall’altro lato del parcheggio. “Hai dimenticato come si entra in macchina? Lo so, dev’essere difficile per te imparare a vivere come un normale essere umano.”

Sebastian gli lanciò un’occhiata. “Non parte,” rispose semplicemente, dunque sospirò. Kurt non poté sentirlo, ma vide il petto e le spalle contrarsi a quel gesto frustrante.

Sospirò a sua volta, guardando desideroso lo sterzo della sua macchina, poi si volse. “Cos’ha?” domandò, avanzando verso il giovane.

“Uh, non parte?” provò Sebastian. “È praticamente quello il problema.”

Kurt gli lanciò un’occhiataccia. “Cos’è successo, genio? È partita e poi si è spenta? Hai sentito un click dall’interno?”

Le sopracciglia dell’altro s’inarcarono a quella domanda, ma il giovane si riprese velocemente. “No, niente di tutto ciò.”

“Fa’ vedere,” disse.

“Stavo per chiamare -”

“Fammi vedere così posso tornare a casa,” insistette, sovrastandone la voce.

Scuotendo il capo, il giovane tornò a sedersi in macchina e girò la chiave. Non accadde nulla.

Kurt sospirò di nuovo. Non era davvero dell’umore. “Tieni questa,” disse, mettendogli tra le mani la borsa a tracolla. “Oh,” aggiunse, abbassando lo sguardo sulla propria giacca. “No, tieni anche questa,” disse anche, sfilandosi l’indumento. Sollevò le maniche sino ai gomiti e girò attorno al cofano.

“Non voglio che qualcuno che non sia un professionista metta le mani sulla mia macchina,” insistette Sebastian, alzandosi in piedi e gettando le sue cose sul sedile. Kurt gli lanciò un’ultima occhiata glaciale, dunque aprì il cofano.

“Non vuoi che nessuno tocchi la macchina, incluso te, giusto?” domandò, una mano posta sul fianco. “Okay, probabilmente si tratta della batteria. Fammi un favore,” disse. “Le mie chiavi sono nella tasca di fronte della borsa. Apri il bagagliaio e prendi la cassetta degli attrezzi.” Ascoltando il giovane frugare nella borsa per trovare le chiavi, lanciò un’occhiata alla batteria e aggiunse, “Tocca qualcos’altro e ti farò a pezzi come hai fatto con il tuo saggio di storia.”

Quando il giovane tornò con la cassetta degli attrezzi, la sua espressione era incredula. “Hai una cassetta degli attrezzi,” disse.

“Sì, lo so,” rispose Kurt, prendendo la cassetta dale sue mani e rovistandovi alla ricerca di un cacciavite. Si chinò in avanti e piantò il cacciavite tra il connettore e la parte terminale della batteria, dunque lo ruotò saldamente. “Prova adesso.”

Sebastian gioì quando il motore si azionò. Kurt prese tutte le sue cose velocemente. “Grazie,” disse il giovane, suonando sincere in quel preciso istante. “Non sapevo ti intendessi di macchine.”

“Oddio, vorrei non saperne niente,” rispose. “Dovresti anche far pulire o riparare i cavi. E imparare qualcosa sulle macchine. Mio padre è il proprietario della Hummel Tires and Lube, se hai bisogno di qualcuno che le dia un’occhiata.”

L’espressione di Sebastian s’illuminò di divertimento a quella notizia, e Kurt dovette trattenersi a stento dal sollevare gli occhi al cielo. “Davvero, grazie. Aggiungerò ‘rattoppa-motori’ alla brevissima lista dei tuoi pregi, assieme a ‘abilità a scrivere saggi’ e ‘davvero divertente da far arrabbiare’.”

Kurt sorrise vivacemente, la cassetta degli attrezzi in una mano e la giacca d’alta moda nell’altra. “Arrivederci, Sebastian,” disse con tono allegro. “Spero che inciampi su un mattoncino Lego.”

*

Cose di cui Kurt Hummel non aveva tenuto conto il giorno in cui aveva aiutato Sebastian con la sua macchina: 1) lavandosi le mani, quella sera, si era ricordato dell’impresa e si era ritrovato, in qualche modo, a completare la relazione di Sebastian, 2) in Matematica, il giorno dopo, trovò l’argomento molto più facile e aveva sorriso per tutta la lezione, e 3) Sebastian era andato davvero alla Hummel Tires and Lube.

Comunque, quando giunse Sabato mattina, Kurt si svegliò e trovò sei messaggi; quattro di questi erano da parte di Rachel, che gli chiedeva di organizzare presto un altro pigiama party perché le mancavano le ‘chiacchiere tra ragazze’ (Kurt le rispose: Quando butterai via quelle gonne, sai di quali parlo), uno da parte di Sam che gli chiedeva quando avrebbe visto di nuovo Mercedes (Kurt rispose: Probabilmente Domenica, e non sei autorizzato a unirti a noi – la prossima volta, almeno aspetta che io sia sveglio per parlarmi), e uno da SMYTHE.

Vengo in officina alle undici. Ci vediamo lì?

Il piano di Kurt, all’inizio, era di chiamare Tina e vedere se fosse disposta a uscire, ma non trascorreva un po’ di tempo con suo padre da un po’. Invece, si cambiò con abiti più sobri (rovinarli in officina sarebbe stato troppo) e preparò il pranzo del padre da portare con sé.

“Tutto bene, figliolo?” domandò Burt quando si sedette di fronte a lui.

“Ti ho preparato il pranzo,” rispose, mostrandogli il porta-pranzo. “È salutare. Quindi mangia e non lamentarti.”

Burt rise, prima che il suo sguardo diventasse più serio. “Non vieni spesso, a meno che tu non desideri qualcosa. Spara.”

Kurt tornò a rilassarsi contro lo schienale, lanciando un’occhiata all’orologio. Erano quasi le undici. “Non c’è un motivo,” rispose, sentendosi improvvisamente ridicolo. Quando giunse Sebastian e lo vide seduto lì, capì che Kurt aveva immediatamente cambiato programma per incontrarlo ed era… era strano. Era strano che fosse lì? “Volevo solo uscire.”

“Uh huh,” rispose Burt, fissandolo come se potesse carpire la vera ragione dalla sua espressione.

E dunque, alle sue spalle, sentì un: “Hey, Kurt.”

“Oddio, non dirgli nulla,” sibilò Kurt al padre, la cui espressione era sempre più divertita. “Non pensarci nemmeno.” Dunque, disse a Sebastian da sopra la sua spalla: “Vedo che hai deciso di farle dare un’occhiata, dopo tutto.”

“Beh,” rispose l’altro, e lo sguardo di Kurt scivolò sull’uomo alle sue spalle, “Il mio meccanico mi ha detto che avrei dovuto averne più cura. Sai com’è.”

“Lei è il signor Hummel”?” domandò l’uomo dietro Sebastian a Burt, che annuì. “Bene, la macchina di mio figlio non partiva un paio di giorni fa…”

I due uomini si indirizzarono verso la macchina, parlando ad bassa voce, e Kurt scrutò velocemente il padre di Sebastian. Era alto e magro come il figlio, e il sorriso era davvero somigliante, ma c’era qualcosa di molto diverso in lui – come qualcosa di più rispettabile, pensò. Più formale.

Sebastian sedette sul tavolo, quasi a confermare ciò che stava pensando. Provò a non sospirare.

“Ti dirò una cosa divertente,” disse Sebastian, abbassando lo sguardo al suo cellulare. “Ricordi il tuo medley in francese di Celine Dion? L’ho inviato a mia madre.”

“Perché hai pensato che fosse una cosa appropriata da fare?” domandò, scegliendo le parole con cura.

L’altro gli lanciò un’occhiata veloce e divertita. “Perché è Francese e tu sembri una bambina di nove anni. Ha un ottimo senso dell’umorismo.”

“Non voglio nemmeno sapere quale sia la tua concezione di ‘ottimo senso dell’umorismo’,” commentò. E poi, dato che ci riusciva e non lo faceva da secoli, passò al Francese. “Parli francese?

Ovvio. Ho trascorso metà della mia vita a Parigi, da quando ho sette anni. Mia madre ancora vive lì,” rispose Sebastian, senza perdere un colpo.

Kurt s’illuminò. “Ho sempre voluto andarci,” disse, provando il francese oltre la sua lingua. Gli ricordò sua madre, e quanto avesse insistito perché parlassero solo francese con Kurt, quand’era bambino. “I parenti di mia madre sono francesi. Sei fortunato ad avere scelta tra Parigi e New York.”

Dovresti visitarla,” gli disse il giovane, dunque sollevò il cellulare. “Ho mandato a mia madre il tuo video di Celine Dion quando l’ho trovato. Questa è stata la sua risposta,” disse, tornando all’inglese.

Kurt prese il cellulare, poi rise. La risposta della madre di Sebastian era di una sola, semplice parola:

Sposalo.

“Oh, quindi è una fan,” rispose. “Lei e tua sorella hanno buon gusto. È un tratto femminile nella tua famiglia?”

Sebastian sogghignò. “Sì, solo alle donne, nella mia famiglia, piacciono gli abiti femminili. Buffo come funzioni. E visto che siamo in tema, oggi sembri un ragazzo. Mazel tov. [congratulazioni]”

Kurt abbassò lo sguardo ai propri abiti per un momento, dunque tornò a guardare il giovane. “Manca della tua aura di marchetta.”

Le labbra del giovane si contrassero in un sorrisetto, ma non demorse. “Chiaramente non hai incontrato mia Madre.”

Kurt sbatté le palpebre al suo indirizzo. “Tu… avevi appena insultato me.”

Starà sollevando una tempesta a Parigi mentre parliamo,” rispose l’altro in Francese.

Vivrai con lei a Parigi, se decidi di studiare lì?” domandò.

Sebastian scosse il capo, ma sembrava affettuoso. “Preferirei impiccarmi con le mie stesse budella,” rispose ancora in Francese. “Non posso pensare di studiare per avere una vera carriera con lei che incombe sulla mia testa offrendomi dell’alcol. Quella donna pensa troppo a divertirsi per pensare al suo bene.”

Kurt si chinò sino ad appoggiare il capo alla mano, osservando l’altro che roteava il cellulare tra le dita. “Studieresti in Francese? E cosa?”

“Medicina,” rispose. “E sì, se andrò a Parigi. Non ho ancora idea di cosa voglia fare.”

Si mise seduto più dritto. “Aspetta, medicina, seriamente?” domandò. “Sai che significa che dovrai occuparti delle persone senza insultarle o ferirle.”

“Ho una personalità brillante,” rispose il giovane. “Solo tu mi dai sui nervi. Non è colpa mia se sei sempre stridulo e fastidioso.”

A me piacerebbe impiccarti con le tue stesse budella,” rispose Kurt, traducendo il commento che l’altro aveva fatto prima. “Penso che mi aiuterebbe. Psicologicamente.”

Sebastian sorrise in modo paterno, dunque scosse il capo. “Nulla potrebbe aiutarti psicologicamente, angelo.”

Kurt si lasciò sfuggire un sospiro. “Già, mi sono imbattuto proprio nell’unico modo,” ammise.

*

“Riesci a fare lo spelling di dislessico?” domandò Kurt, leggendo un altro dei compiti del giovane. “Sebastian, devi smetterla di farmi leggere le cose che scrivi da ubriaco. È indecoroso.”

L’altro sorrise. “Non ero ubriaco, erano solo le tre del mattino,” ammise. “Hai un disturbo ossessivo compulsivo per la grammatica?”

“Il fatto è che quello che dici ha un senso ed è davvero chiaro,” disse, fissando lo schermo. “E rovini tutto ignorando quelle piccole linee rosse a zig-zag. Sai che significano che hai sbagliato a scrivere una parola, giusto?”

“Ho te,” rispose Sebastian. “Non sono più abituato a correggere i miei errori.”

Kurt lo fissò, dunque scosse il capo. “Un giorno, non sarò qui al Lima Bean e tu dovrai imparare a stare al mondo da solo. E allora, cosa farai?”

“Non accadrà mai,” ripose il giovane, senza nemmeno impegnarsi per sembrare preoccupato. “Ti piace troppo stare in mia compagnia. Ti mancherei.”

Chiuse il portatile. “Non è vero,” rispose.

Gli occhi di Sebastian si fecero più grandi. “Sì, invece,” disse. Dio, sembravano dei dodicenni. Kurt inspirò a fondo; il bisogno di prendere il giovane a pugni stave andando affievolendosi (avevano trascorso molti pomeriggi insieme per più di un mese, Cristo), ma aveva ancora voglia di sbattere la testa sul tavolo.

Nonostante sapesse quanto suonasse ridicolo, rispose ancora: “Non è vero,” dunque tornò ad aprire il portatile e cominciò a scrivere.

Aveva appena finito di correggere una frase particolarmente maciullata nella forma quando sentì un fastidioso schiarirsi di gola dal tavolo loro vicino.

Dopo una breve esitazione, disse: “Ciao, Rachel. Come posso aiutarti?”

Rachel sorrise, ma il calore non si estese agli occhi. “Ti ho visto prendere un caffè con uno studente della Dalton, e ho pensato che fosse strano perché hai lasciato la Dalton tempo fa e i Warblers sono i nostri avversari più temibili -”

“Oh,” la interruppe Sebastian, divertito. “Sei quella Rachel.”

Ci fu un bagliore negli occhi della ragazza. “E cosa sai di me? Kurt, non gli hai detto niente delle New Directions, vero?”

Kurt sollevò gli occhi al cielo. “Ovvio che no. E non è che abbiamo chissà che segreto, Rachel, calmati.”

“Chiedo solo perché… ricordi cos’è successo al secondo anno,” rispose Rachel. “Scusa, non ci siamo presentati bene,” proseguì, lanciando a Kurt un’occhiataccia prima di tendere la mano. “Sono Rachel Berry, uno dei co-capitani delle New Directions.”

Sebastian le strinse la mano. “Salve, Rachel Berry. Sono Sebastian Smythe, capitano del glee club che vi straccerà alle Regionali.”

Gli occhi della giovane si accesero di rabbia. “Okay, Rachel, penso che io e Sebastian dovremmo tornare al nostro lavoro. Perché non torni a…?”

S’interruppe immediatamente quando vide il tavolo che Rachel aveva lasciato, e chi vi era seduto. Per un momento, incontrò lo sguardo di Blaine, dunque distolse il proprio. Tina agitò la mano educatamente al fianco del giovane, e Mike gli sorrise.

Quando Kurt tornò a guardarla, Rachel ebbe la decenza di sentirsi in colpa. “Scusa, non volevo rendere le cose imbarazzanti,” disse. “Lo trovi imbarazzante?”

“No,” rispose. “Va tutto bene.”

“È un po’ imbarazzante,” ammise Sebastian, compiaciuto e divertito, e Kurt non riuscì più a placare il desiderio di prenderlo a pugni in faccia.

Rachel aggrottò le sopracciglia, ma tornò a guardare Kurt. “Stavamo parlando di fare un numero di gruppo per il tema di questa settimana. Puoi unirti a noi se vuoi.” Gli rivolse un’altra occhiataccia, dunque tornò a osservare Sebastian.

“Kurt si diverte in mia compagnia,” la rassicurò il giovane. “Si diverte un mondo a fare i miei compiti. Non è molto utile in altre aree.”

“Sarei molto utile nel prenderti a pugni in faccia,” replicò Kurt, pacato. “Va tutto bene, Rachel. Io e Sebastian eravamo occupati. Saluterò prima di anare.”

Rachel annuì, dunque gli strinse il braccio prima di andarsene.

“È stata deliziosa,” osservò Sebastian.

Kurt fissò lo schermo del computer. “È una delle mie migliori amiche,” rispose, correggendo un’altra parola. “È pazza, ma è una compagnia migliore della tua.”

Kurt non poteva farlo con Blaine dall’altra parte del locale. Non era giusto. Era stato il loro posto una volta, ma Kurt ne aveva praticamente ottenuto la custodia; era lì praticamente ogni giorno, ora. E aveva delle cose da fare, compiti che non aveva nemmeno guardato perché occupato ad aiutare Sebastian, e all’improvviso si sentì ridicolo a sedere di fronte a Sebastian Smythe e aiutarlo coi compiti.  

“Okay,” disse Sebastian con voce bassa e pensosa. “Ce ne andiamo?”

“Eravamo qui da prima,” disse.

Poté vedere con la coda dell’occhio il giovane che aggrottava la fronte. “Kurt, sei sconvolto. Ce ne andiamo, ci sono altre caffetterie.”

Kurt sollevò lo sguardo e contò da dieci prima per una ragione completamente diversa dalla solita. “No, va bene,” lo rassicurò. “È passato più di un mese, sto- sto bene.” Non era sicuro che fosse completamente vero, perché c’era una parte di lui che probabilmente non sarebbe mai stata bene – la parte che continuava a ricordargli che non meritasse altro che l’essere usato – ma non gli mancava Blaine come prima. Era più il dolore rimasto per ciò che era successo, il desiderio di sapere se avrebbe mai riposto fiducia in qualcun altro.

Pensò che avrebbe dovuto aspettarselo, comunque. La prima persona che avesse mai amato gli aveva detto che lo ricambiava, aveva preso la sua verginità e poi detto oh, non ti amo davvero. Era più che tenuto ad essere più chiuso, per un po’.

“Sì, non è vero,” rispose Sebastian, chiudendo il portatile e riponendo le proprie cose. “Ce ne andiamo.”

“Scusa, quand’è che ho accettato di farmi comandare a bacchetta da te?” domandò. All’espressione esasperata dell’altro, continuò: “Non voglio fuggire. Non ho paura di stare nella stessa stanza con lui – andiamo a scuola insieme, ricordi? Non me l’aspettavo, tutto qua.”

Sebastian scosse il capo, dunque mise via il computer. “Ad ogni modo, non concluderemo molto altro, oggi.”

Kurt lo fissò per qualche attimo, dunque inspirò a fondo. “Andrò a sedermi con loro,” disse. “Posso farlo. Posso farlo, sì.”

“Okay,” rispose il giovane. “Accomodati.”

Kurt si chiese se non stesse facendo un errore mentre raccoglieva le sue cose e si dirigeva all’altro tavolo. Aveva l’opportunità di sedere con Sebastian ancora un po’, battibeccando, lavorando e a dire il vero persino divertendosi, e invece stava sorridendo a Rachel mentre sedeva al suo fianco. Era molto meno divertente, dopo tutto.

“Hey, ragazzi,” salutò. “Penso di aver fatto abbastanza compiti per oggi. Cosa pensavate di cantare?”

Rachel gli sorrise, ma fu Blaine a rispondere. “Perché eri seduto con Sebastian? Pensavo che lo odiassi.”

“’Odiare’ è una parola grossa,” rispose senza pensare. “Uh. Direi più che mi fa una ‘molta antipatia’.”

Blaine sembrò confuso, aggrottò le sopracciglia ad una maniera che un tempo avrebbe trovato accattivante. “Allora perché esci con lui?”

“È una bella domanda,” aggiunse Rachel. “È in un glee club rivale; sai che raramente va bene. Senza offesa, Blaine.”

Kurt scrollò le spalle, non era sicuro su come avrebbe dovuto rispondere. Perché stava trascorrendo così tanto tempo con Sebastian? Non erano più incontri casuali, a quel punto; non si preoccupava di andare al Lima se non era sicuro di doversi incontrare con Sebastian. 

“Hey, di cosa state parlando?” domandò Sebastian, apparendo al suo fianco. Poggiò una tazza di caffè di fronte a lui, lo ringraziò con un cenno.

“Di te,” rispose automaticamente, dunque strinse le dita attorno alla tazza di cartone, calda. “Del perché siamo qui.”

Sebastian annuì. “Se non fossimo qui, Kurt dovrebbe fare i compiti di Matematica per una volta,” spiegò, gli occhi che brillavano mentre gli volgeva lo sguardo. Lui roteò gli occhi.

“E Sebastian dovrebbe imparare a usare il correttore automatico,” aggiunse. “Come una persona normale.”

“La normalità è sopravvalutata,” rispose Sebastian. “Mi pare di dover fare le congratulazione ad un’altra finalista per la NYADA.”

L’espressione di Rachel si illuminò. “Grazie,” rispose.

Kurt si guardava le mani strette attorno la tazza di caffè mentre la conversazione tornava a fluire attorno a lui, sollevando di tanto in tanto lo sguardo per dire la propria. Più che altro, era super-consapevole del fatto che Sebastian fosse tra lui e Blaine, che continuava a fare domande sui Warblers e sulla Dalton.

“Ai ragazzi manchi, ovviamente,” commentò Sebastian, rispondendo alle domande del giovane. “Dovresti venire a trovarci qualche volta.”

Kurt bevve un lungo sorso di caffè, e appuntò lo sguardo altrove.

“Mi piacerebbe moltissimo,” disse Blaine, felicemente. “Sei agitato per le Regionali?”

“Penso che il discorso sulle Regionali non sia esattamente appropriato,” lo interruppe Rachel.

Blaine rise. “Sebastian è un amico, Rachel, non preoccuparti,” rispose. Kurt si chiese se fossero ancora in contatto, e perché Sebastian non avesse sentito il bisogno di sbatterglielo in faccia. “Devo andare, comunque. Ci vediamo a scuola. È stato un piacere rivederti, Sebastian.”

Kurt lo salutò il più educatamente possibile.

Per un momento dopo che Blaine ebbe lasciato il tavolo, non riuscì a scostare lo sguardo dal suo caffè. Respirò più a fondo che poteva e lo strinse, dunque si rilassò. Non era così male; poteva affrontarlo. Poteva affrontare la qualunque.

Quando sollevò nuovamente lo sguardo, si volse automaticamente a Sebastian – che stava guardando oltre lui, verso il parcheggio, gli occhi quasi sgranati.

“Devo andare anche io,” disse il giovane distrattamente. “Ci vediamo domani,” aggiunse rivolto a Kurt, senza incontrare il suo sguardo, dunque si alzò e se ne andò.

“Okay,” rispose Kurt, confuso, lo guardò raccogliere la propria roba e andarsene.

Fu quando lo vide nel parcheggio che realizzò che stava seguendo Blaine.

Inizialmente sentì sorgere la rabbia – che Kurt pensava di aver messo da parte dopo i primi flirt di Sebastian – seguito da una sensazione sconosciuta, come un buco allo stomaco. Distolse gli occhi dalla vetrina e si impose la calma. Blaine non stava più con lui; Sebastian poteva fare quello che voleva con lui. Non era più affar suo, non aveva diritto di essere arrabbiato.

Eccetto… Sebastian si era seduto insieme a lui quasi ogni giorno per più di un mese. Non erano esattamente amici – trascorrevano la maggior parte del tempo a insultarsi – ma non contava niente? Non c’era una specie di codice per quelle situazioni?

Vada a farsi fottere, pensò, dunque fece una smorfia a quella scelta di parole. Oddio, e se avevano fatto sesso a casa di Blaine, nello stesso letto in cui lui aveva perso la verginità? Non era giusto.

Kurt guardò fuori un’altra volta. Non riusciva a vedere il volto di Sebastian da quell’angolazione, ma aveva le braccia lungo i fianchi, come se stesse spiegando qualcosa e sembrava… teso. Blaine aveva le braccia incrociate e la sua espressione era tesa, la fronte corrugata.

Bene. Sembrava che non fosse interessato alle avances dell’altro.

Kurt si disse che aveva fatto bene, ma quella sensazione allo stomaco, fastidiosa e sconosciuta, non era scomparsa.

*

Il giorno dopo, Kurt era andato al Lima bean perché Sebastian aveva un saggio e lui aveva bisogno di aiuto in matematica, di nuovo, e non aveva davvero diritto di essere arrabbiato.

Quando arrivò, Sebastian gli aveva già comprato il caffè.

 

  
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