NdT:
e trascorso un mese, eccoci giunti al secondo capitolo! Ho avuto un
feedback
abbastanza positivo per questa storia e, come sempre, mi sono divertita
ed
emozionata al tempo stesso a vedere le scene che avevo letto troppo
tempo fa
per ricordarle. Quantomeno a ricordare quanto sia perfetto questo
pairing e
quanto angelofcaffeine lo faccia adorare ancor di più con il
suo stile! Adoro
profondamente ognuno di voi, da quelli che hanno recensito a quelli che
si sono
limitati a mettere la fan fic tra le preferite/ricordate/seguite. Ne
vale la
pena, ve lo garantisco. E lo adora anche l’autrice che, cito
testualmente, ‘sta
leggendo anche lei, anche se non capisce nulla, perché
è la sua opera’. Se non
è un onore questo. :’)
E quindi ringraziamo come sempre @nameless
colour e la sua infinta pazienza, che ci permettono di avere
il capitolo
betato e grammaticalmente corretto. A questo punto vi lascio alla
lettura, ci
vediamo il mese prossimo!
Link
al capitolo
originale
CAPITOLO 2
Kurt non si
sentì nemmeno imbarazzato del fatto che la
sua prima reazione fosse stata stringere Sebastian in un veloce, e
subito dopo
veloce-imbarazzato, abbraccio. Si scostò immediatamente,
incapace di sentirsi
confuso, ma sapendo comunque che fosse il momento sbagliato per sentire
quelle
sensazioni, e ripeté: “Sono un
finalista.” Abbassò lo sguardo sulla lettera,
scorrendo
le parole brevemente per accertarsi che non fosse uno stratagemma di
Sebastian
per spezzargli il cuore, dunque esalò un tremolante ma
felice sospiro. “Sono un
finalista!”
“Sei un
finalista!” esclamò Sebastian di rimando, e la
sua espressione era aperta e felice,
tutto il sarcasmo era defluito via in quel momento.
Strinse la lettera
più forte, dunque disse, “Penso di
aver bisogno di sedermi.”
“Hey, ecco
qua, tigre,” mormorò Sebastian, aiutandolo
a sedersi come se ne avesse bisogno.
“Cerca
di non svenire.”
“Non ne ho
intenzione,” sbottò in risposta. “Oh,
mio
Dio. Devo chiamare mio padre. E Rachel. E tutti
quelli che ho incontrato nella mia vita.” Quando
l’altro rise, ad una
maniera spensierata e spontanea, Kurt gli rivolse un’altra
occhiata infastidita.
“Non chiamarmi tigre,
quanti anni
hai, quaranta?”
“Chiama tuo
padre,” gli ordinò il giovane. “Devo
finire i compiti. E potresti cercare di essere meno agitato?”
“Potresti
provare ad essere meno un-” cominciò, dunque
concluse la frase con una parolaccia. Per qualche strana ragione,
ciò fece
ridere Sebastian, così anche Kurt rise, perché
era un finalista della NYADA, e
stava condividendo quel momento con Sebastian Smythe tra tutte quelle
che
conosceva.
Fu in quel momento,
con Kurt incapace di smettere di
ridere e guardare gli occhi di Sebastian sgranarsi per il divertimento
che rise
e Burt rispose al telefono.
“Kurt?”
“Oh, mio
Dio,” rispose, cercando di placare il respiro.
“Scusa, non stavo pensando. Papà, oddio.
Io… io non riesco, non so come
dirtelo.”
“Sputa il
rospo e basta,” consigliò Sebastian
dall’altra parte del tavolo. Stava davvero sorridendo, come
se fosse davvero
per lui, e Kurt chiuse gli occhi per assaporare quel momento.
“Papà,”
cominciò di nuovo. “Tuo figlio, Kurt Hummel,
è
un finalista per la NYADA.”
Cominciò a
ridere di nuovo quando suo padre diede
praticamente di matto dall’altra parte del telefono, per poi
cercare di non
scoppiare a piangere durante il balbettante discorso da padre
orgoglioso che ne
seguì.
“No,
papà, non osare appendere striscioni. Non farlo!
Vado, sto prendendo il caffè con… una persona.
Vado. Sì, ti voglio bene anche
io.” Rise di nuovo mentre riattaccava, dunque
asciugò gli occhi per un momento.
Sebastian
sbuffò. “‘Un caffè con una
persona’… sei
così dolce.”
“Questo
è un caffè e penso
che tu sia una persona,” rispose Kurt calmo mentre cominciava
a scrivere un messaggio. “Potresti anche essere una mangusta
incredibilmente
alta.”
Ci fu una breve
pausa, dunque il telefono di Sebastian
squillò. “L’hai mandato a me,
genio.” Afferrò il cellulare e Kurt
riuscì a
sentirsi ravvivare mentre leggeva
il
suo sms: KURT HUMMEL È UN
FINALISTA PER
LA NYADA, ALLA FACCIA VOSTRA.
“L’ho
mandato a tutta la mia rubrica,” rispose, dunque
fece una pausa, realizzando che ciò includeva Blaine.
Sollevò lo sguardo al
sorrisetto di Sebastian, prima di decidere che non gli importava.
“Dunque,
questo doveva essere un caffè per i nervi, ma adesso
è per festeggiare.”
Sebastian
sollevò il suo bicchiere. “A New York,”
suggerì.
Kurt sentiva un
sorriso ancora incerto sulle labbra,
era come se fosse rilassato e teso al tempo stesso. “A New
York,” convenne. “O
Parigi. O dovunque il mondo ci porti.”
*
Gli incontri al Lima
Bean dovevano essere delle
coincidenze durante le quali aiutavano la caffetteria prendendo il
minor numero
di tavoli possibili. Non erano programmati. Se non avesse
più visto Sebastian,
gli sarebbe andata bene. Sarebbe stato strano, ma l’avrebbe
accettato.
Così
naturalmente, Kurt fu preso in contropiede da un
messaggio a un paio di giorni dall’apertura della lettera
della NYADA che
diceva solo:
Ci
vediamo al Lima Bean
questo pomeriggio? Qualcuno deve forzarmi a scrivere questo saggio o
trascorrerò
tutto il tempo su FB.
Sbatté le
palpebre, esitante mentre allungava la mano
libera verso il suo armadietto.
Dopo un momento, si
volse per poggiarvisi contro e
scrivere la risposta. Non sono il tuo
babysitter, rispose in ogni caso, dunque aggrottò
le sopracciglia. Devo studiare Matematica.
Sto lavorando
sulla teoria che la Matematica esiste solo per rendere la mia vita
più
difficile.
Fissò il
messaggio per qualche secondo prima di
mandarlo, quindi tornò a volgersi al suo armadietto.
“Chi era,
dolcezza?” domandò Mercedes, sopraggiungendo
al suo fianco. “Sembri tutto corrucciato. Ti verranno le
rughe, lo sai.”
Kurt si
sforzò di rilassare la propria espressione
facciale. “Nessuno di importante,” rispose.
“Hai visto la gonna di Rachel? Ero
sicuro di avergliela gettata via.”
“Ne ha
più di una,” rispose la ragazza.
“L’ho vista
nasconderle durante la tua grande purga del guardaroba del
2011.”
Kurt scosse il capo.
“Dovrebbe sapere meglio di…”
Il telefono
squillò di nuovo.
Fortunatamente
per te,
gestisco la matematica come un Imperatore Romano. Ci vediamo dopo. X (baci. NdT)
Fu quella
‘X’ alla fine, più di ogni altra cosa,
che
gli fece osservare il cellular, accigliato.
“Kurt?”
Sollevò lo
sguardo. “Oh, scusa, Mercedes. Stavo solo
programmando il pomeriggio.”
Mercedes sorrise,
dunque lanciò un’occhiata dall’altra
parte del corridoio. Kurt seguì il suo sguardo sino a
incontrare quello di Sam.
“Qualcosa di interessante?” domandò la
giovane.
“Prenderò
il caffè con qualcuno che odio,” rispose.
“Niente di più interessante del solito. Che
succede tra te e Sam?”
Cambiare discorso
funzionò: Mercedes abboccò all’amo e
trascorse il tragitto verso la loro classe parlando a bassa voce di
cosa stesse
accadendo tra lei e Sam. Kurt sapeva benissimo come muoversi,
così riuscì a
farle le giuste domande e fare i giusti commenti mentre lanciava
occasionalmente delle occhiate al suo cellulare.
*
In qualche modo,
nella confusione di Kurt che odiava
la Matematica e il desiderio di Sebastian di ‘sventrare la
sua relazione di
Storia’, si erano scambiati i compiti.
Di solito, Kurt era
contro il barare in qualsiasi modo
(gli piaceva vincere onestamente; aveva sempre avuto un problema col
senso di
colpa) ma sembrava che Sebastian stesse davvero
cercando di sventrare la sua relazione, a giudicare dal
contenuto.
“Ma non vuoi
essere promosso?” domandò Kurt, sconcertato,
mentre riscriveva un’altra riga
della relazione scritta a metà. “Stai cercando di
fallire di proposito?”
Sebastian
sollevò a stento lo sguardo dal compito di
Kurt. “Sono bravo con gli esami,” disse.
“Sono bravo coi fatti, e a capire le
cose. Odio le relazioni e odio la Storia. E odio la professoressa di
Storia.”
“Non ho
idea di cosa significhi la metà di tutto
ciò,”
rispose Kurt. “È come se l’avessi
scritto da ubriaco.” Dopo una pausa, sollevò
lo sguardo, inorridito. “Oddio, ma tu l’hai scritto
davvero da ubriaco.”
“Sono
occupato ad essere l’Imperatore Romano della
Matematica, va’
via,” rispose il
giovane.
Kurt tornò
a immergersi nella relazione, tra le frasi
messe insieme e a dipanarle, perché sembrava piuttosto ovvio
che Sebastian non
riuscisse a scrivere come si doveva, e tornò a concentrarsi
sulla Guerra
Civile. Durante tutto ciò, Sebastian aveva lasciato il
tavolo ed era tornato
con più caffè, e gli aveva fatto un cenno di
ringraziamento.
Quasi
un’ora dopo, Kurt si stiracchiò, cercando di
rilassare gli arti in tensione. Scrollò le spalle.
“Quando devi consegnare
questa roba?” domandò.
Sebastian aveva messo
il compito di Matematica di Kurt
da una parte (e completo, notò con un verso allegro) e stava
leggendo un altro
foglio, gli occhi sgranati per la concentrazione. “Uh,
Lunedì?” disse. “Sono
sicuro che sia per Lunedì.”
“Posso
finirlo domani?” domandò. “Trascorro
troppo
tempo qui dentro, devo assicurarmi che esista un modo là
fuori, ogni tanto.”
Lo sguardo di
Sebastian luccicò in sua direzione, le
labbra si piegarono in un sorrisetto. “Certo, va benissimo.
Ma dobbiamo fare
un’ultima cosa, prima.”
“Sì,
ecco come chiedi un favore, tu,” replicò,
asciutto.
Sebastian
roteò gli occhi, dunque spostò la sedia sino
a trovarsi al suo fianco, invece che di fronte. “Ti sto
facendo un favore,
genio,” disse. “Infatti, mi sento così
magnanimo che potrei bruciare tutto il
tuo guardaroba e comprarti dei vestiti da ragazzo.”
“Non
è colpa mia se non riesci ad apprezzare i capi
fashion,” rispose.
“Non fai
schifo in Matematica,” rispose il giovane,
cambiando subito argomento. “Non ti piace.
C’è una certa differenza.”
Kurt
sgranò gli occhi. “La odio. Forse più
di quanto
odi te. Tu che fai i miei compiti di matematica, dev’essere
un segno
dell’apocalissi.”
“A meno
che,” disse Sebastian lentamente, prendendo
poi l’ultimo test del suo libro di matematica. “Tu
non arrivi alla risposta
giusta.”
Kurt
scrollò le spalle. “Non è impossibile,
solo che è
troppo difficile.”
“Sì,
anche se sbagli,” rispose l’altro.
“Continui a
rendere tutto più complicato di quanto ce ne sia bisogno. Ti
dimostrerò come
uscire da questo schema.”
Un’ora
più tardi, erano ancora seduti al tavolo del
Lima Bean, Kurt era chino su un foglio nuovo, dimostrando come
completare
l’equazione che Sebastian aveva creato appositamente, e il
giovane sorrideva.
Tutto sommato, era
stata una strana giornata. Quando
lasciarono il Lima Bean, dopo essersi messi d’accordo per
incontrarsi
l’indomani e finire la relazione di Sebastian (e, Kurt
insistette, riscriverla
come se l’avesse scritta davvero lui), era pronto per cenare
e rannicchiarsi
sotto le coperte con un buon libro. O magari avrebbe chiamato Rachel, o
avrebbe
battuto Finn e Sam a Mario Kart. Qualunque cosa avesse scelto, sarebbe
stata
rilassante.
Era quasi giunto alla
sua macchina quando colse
Sebastian, di fronte alla sua macchina, la fronte corrugata.
“Tutto
bene?” urlò dall’altro lato del
parcheggio.
“Hai dimenticato come si entra in macchina? Lo so,
dev’essere difficile per te
imparare a vivere come un normale essere umano.”
Sebastian gli
lanciò un’occhiata. “Non
parte,” rispose
semplicemente, dunque sospirò. Kurt non poté
sentirlo, ma vide il petto e le
spalle contrarsi a quel gesto frustrante.
Sospirò a
sua volta, guardando desideroso lo sterzo
della sua macchina, poi si volse.
“Cos’ha?” domandò, avanzando
verso il
giovane.
“Uh, non
parte?” provò Sebastian. “È
praticamente
quello il problema.”
Kurt gli
lanciò un’occhiataccia.
“Cos’è successo,
genio? È partita e poi si è
spenta? Hai sentito un click dall’interno?”
Le sopracciglia
dell’altro s’inarcarono a quella
domanda, ma il giovane si riprese velocemente. “No, niente di
tutto ciò.”
“Fa’
vedere,” disse.
“Stavo per
chiamare -”
“Fammi
vedere così posso tornare a casa,” insistette,
sovrastandone la voce.
Scuotendo il capo, il
giovane tornò a sedersi in
macchina e girò la chiave. Non accadde nulla.
Kurt
sospirò di nuovo. Non era davvero dell’umore.
“Tieni questa,” disse, mettendogli tra le mani la
borsa a tracolla. “Oh,”
aggiunse, abbassando lo sguardo sulla propria giacca. “No,
tieni anche questa,”
disse anche, sfilandosi l’indumento. Sollevò le
maniche sino ai gomiti e girò
attorno al cofano.
“Non voglio
che qualcuno che non sia un professionista
metta le mani sulla mia macchina,” insistette Sebastian,
alzandosi in piedi e
gettando le sue cose sul sedile. Kurt gli lanciò
un’ultima occhiata glaciale,
dunque aprì il cofano.
“Non vuoi
che nessuno
tocchi la macchina, incluso te, giusto?” domandò,
una mano posta sul fianco. “Okay,
probabilmente si tratta della batteria. Fammi un favore,”
disse. “Le mie chiavi
sono nella tasca di fronte della borsa. Apri il bagagliaio e prendi la
cassetta
degli attrezzi.” Ascoltando il giovane frugare nella borsa
per trovare le
chiavi, lanciò un’occhiata alla batteria e
aggiunse, “Tocca qualcos’altro e ti
farò a pezzi come hai fatto con il tuo saggio di
storia.”
Quando il giovane
tornò con la cassetta degli
attrezzi, la sua espressione era incredula. “Hai una cassetta degli attrezzi,” disse.
“Sì,
lo so,” rispose Kurt, prendendo la cassetta dale sue
mani e rovistandovi alla ricerca di un cacciavite. Si chinò
in avanti e piantò
il cacciavite tra il connettore e la parte terminale della batteria,
dunque lo
ruotò saldamente. “Prova adesso.”
Sebastian
gioì quando il motore si azionò. Kurt prese
tutte le sue cose velocemente. “Grazie,” disse il
giovane, suonando sincere in
quel preciso istante. “Non sapevo ti intendessi di
macchine.”
“Oddio,
vorrei non saperne niente,” rispose. “Dovresti
anche far pulire o riparare i cavi. E imparare qualcosa sulle macchine.
Mio
padre è il proprietario della Hummel Tires and Lube, se hai
bisogno di qualcuno
che le dia un’occhiata.”
L’espressione
di Sebastian s’illuminò di divertimento
a quella notizia, e Kurt dovette trattenersi a stento dal sollevare gli
occhi
al cielo. “Davvero, grazie. Aggiungerò
‘rattoppa-motori’ alla brevissima lista
dei tuoi pregi, assieme a ‘abilità a scrivere
saggi’ e ‘davvero divertente da
far arrabbiare’.”
Kurt sorrise
vivacemente, la cassetta degli attrezzi
in una mano e la giacca d’alta moda nell’altra.
“Arrivederci, Sebastian,” disse
con tono allegro. “Spero che inciampi su un mattoncino
Lego.”
*
Cose di cui Kurt
Hummel non aveva tenuto conto il
giorno in cui aveva aiutato Sebastian con la sua macchina: 1) lavandosi
le
mani, quella sera, si era ricordato dell’impresa e si era
ritrovato, in qualche
modo, a completare la relazione di Sebastian, 2) in Matematica, il
giorno dopo,
trovò l’argomento molto più facile e
aveva sorriso per tutta la lezione, e 3)
Sebastian era andato davvero alla Hummel Tires and Lube.
Comunque, quando
giunse Sabato mattina, Kurt si
svegliò e trovò sei messaggi; quattro di questi
erano da parte di Rachel, che
gli chiedeva di organizzare presto un altro pigiama party
perché le mancavano
le ‘chiacchiere tra ragazze’ (Kurt le rispose: Quando butterai via quelle gonne, sai di quali parlo),
uno da parte
di Sam che gli chiedeva quando avrebbe visto di nuovo Mercedes (Kurt
rispose: Probabilmente Domenica, e non sei
autorizzato a unirti a noi – la prossima volta, almeno
aspetta che io sia sveglio
per parlarmi), e uno da SMYTHE.
Vengo
in officina alle
undici. Ci vediamo lì?
Il piano di Kurt,
all’inizio, era di chiamare Tina e
vedere se fosse disposta a uscire, ma non trascorreva un po’
di tempo con suo
padre da un po’. Invece, si cambiò con abiti
più sobri (rovinarli in officina
sarebbe stato troppo) e preparò il pranzo del padre da
portare con sé.
“Tutto
bene, figliolo?” domandò Burt quando si sedette
di fronte a lui.
“Ti ho
preparato il pranzo,” rispose, mostrandogli il
porta-pranzo. “È salutare. Quindi mangia e non
lamentarti.”
Burt rise, prima che
il suo sguardo diventasse più
serio. “Non vieni spesso, a meno che tu non desideri
qualcosa. Spara.”
Kurt tornò
a rilassarsi contro lo schienale, lanciando
un’occhiata all’orologio. Erano quasi le undici.
“Non c’è un motivo,” rispose,
sentendosi improvvisamente ridicolo. Quando giunse Sebastian e lo vide
seduto
lì, capì che Kurt aveva immediatamente cambiato
programma per incontrarlo ed
era… era strano. Era strano che fosse lì?
“Volevo solo uscire.”
“Uh
huh,” rispose Burt, fissandolo come se potesse
carpire la vera ragione dalla sua espressione.
E dunque, alle sue
spalle, sentì un: “Hey, Kurt.”
“Oddio, non
dirgli nulla,” sibilò Kurt al padre, la
cui espressione era sempre più divertita. “Non
pensarci nemmeno.” Dunque, disse
a Sebastian da sopra la sua spalla: “Vedo che hai deciso di
farle dare
un’occhiata, dopo tutto.”
“Beh,”
rispose l’altro, e lo sguardo di Kurt scivolò
sull’uomo alle sue spalle, “Il mio meccanico mi ha
detto che avrei dovuto
averne più cura. Sai com’è.”
“Lei
è il signor Hummel”?” domandò
l’uomo dietro
Sebastian a Burt, che annuì. “Bene, la macchina di
mio figlio non partiva un
paio di giorni fa…”
I due uomini si
indirizzarono verso la macchina,
parlando ad bassa voce, e Kurt scrutò velocemente il padre
di Sebastian. Era
alto e magro come il figlio, e il sorriso era davvero somigliante, ma
c’era
qualcosa di molto diverso in lui – come qualcosa di
più rispettabile, pensò.
Più formale.
Sebastian sedette sul
tavolo, quasi a confermare ciò
che stava pensando. Provò a non sospirare.
“Ti
dirò una cosa divertente,” disse Sebastian,
abbassando lo sguardo al suo cellulare. “Ricordi il tuo
medley in francese di
Celine Dion? L’ho inviato a mia madre.”
“Perché
hai pensato che fosse una cosa appropriata da
fare?” domandò, scegliendo le parole con cura.
L’altro gli
lanciò un’occhiata veloce e divertita.
“Perché è Francese e tu sembri una
bambina di nove anni. Ha un ottimo senso
dell’umorismo.”
“Non voglio
nemmeno sapere quale sia la tua concezione
di ‘ottimo senso
dell’umorismo’,” commentò. E
poi, dato che ci riusciva e non
lo faceva da secoli,
passò al
Francese. “Parli francese?”
“Ovvio. Ho
trascorso metà della mia vita a Parigi, da quando ho sette
anni. Mia madre
ancora vive lì,” rispose Sebastian,
senza perdere un colpo.
Kurt
s’illuminò. “Ho
sempre voluto andarci,” disse, provando il francese
oltre la sua lingua.
Gli ricordò sua madre, e quanto avesse insistito
perché parlassero solo
francese con Kurt, quand’era bambino. “I
parenti di mia madre sono francesi. Sei fortunato ad avere scelta tra
Parigi e
New York.”
“Dovresti
visitarla,” gli disse il giovane, dunque
sollevò il cellulare. “Ho mandato
a mia madre il tuo video di Celine Dion quando l’ho trovato.
Questa è stata la
sua risposta,” disse, tornando all’inglese.
Kurt prese il
cellulare, poi rise. La risposta della
madre di Sebastian era di una sola, semplice parola:
Sposalo.
“Oh, quindi
è una fan,” rispose. “Lei e tua sorella
hanno buon gusto. È
un tratto femminile nella
tua famiglia?”
Sebastian
sogghignò. “Sì,
solo alle donne, nella mia famiglia, piacciono gli abiti femminili.
Buffo
come funzioni. E visto che siamo in tema, oggi sembri un ragazzo. Mazel
tov.
[congratulazioni]”
Kurt
abbassò lo sguardo ai propri abiti per un
momento, dunque tornò a guardare il giovane.
“Manca della tua aura di
marchetta.”
Le labbra del giovane
si contrassero in un sorrisetto,
ma non demorse. “Chiaramente non hai incontrato mia
Madre.”
Kurt
sbatté le palpebre al suo indirizzo.
“Tu… avevi
appena insultato me.”
“Starà
sollevando una tempesta a Parigi mentre parliamo,”
rispose l’altro in
Francese.
“Vivrai con lei
a Parigi, se decidi di studiare lì?” domandò.
Sebastian scosse il
capo, ma sembrava affettuoso. “Preferirei
impiccarmi con le mie stesse
budella,” rispose ancora in Francese.
“Non posso pensare di studiare per
avere una vera carriera con lei che incombe sulla mia testa offrendomi
dell’alcol. Quella donna pensa troppo a divertirsi per
pensare al suo bene.”
Kurt si
chinò sino ad appoggiare il capo alla mano,
osservando l’altro che roteava il cellulare tra le dita.
“Studieresti in
Francese? E cosa?”
“Medicina,”
rispose. “E sì, se andrò a Parigi. Non ho ancora idea di
cosa voglia fare.”
Si mise seduto
più dritto. “Aspetta, medicina,
seriamente?” domandò. “Sai che significa
che dovrai occuparti delle persone
senza insultarle o ferirle.”
“Ho una
personalità brillante,” rispose il giovane.
“Solo tu mi dai sui nervi. Non è colpa mia se sei
sempre stridulo e
fastidioso.”
“A me
piacerebbe impiccarti con le tue stesse budella,” rispose
Kurt, traducendo il
commento che l’altro aveva fatto prima. “Penso che
mi aiuterebbe.
Psicologicamente.”
Sebastian sorrise in
modo paterno, dunque scosse il
capo. “Nulla potrebbe aiutarti psicologicamente,
angelo.”
Kurt si
lasciò sfuggire un sospiro. “Già, mi
sono
imbattuto proprio nell’unico modo,” ammise.
*
“Riesci a
fare lo spelling di dislessico?”
domandò Kurt, leggendo un altro dei compiti del
giovane. “Sebastian, devi smetterla di farmi leggere le cose
che scrivi da
ubriaco. È indecoroso.”
L’altro
sorrise. “Non
ero ubriaco, erano
solo le tre del mattino,” ammise. “Hai un disturbo
ossessivo compulsivo per la
grammatica?”
“Il fatto
è che quello che dici ha un senso ed è
davvero chiaro,” disse, fissando lo schermo. “E
rovini tutto ignorando quelle
piccole linee rosse a zig-zag. Sai che significano che hai sbagliato a
scrivere
una parola, giusto?”
“Ho
te,” rispose Sebastian. “Non sono più
abituato a
correggere i miei errori.”
Kurt lo
fissò, dunque scosse il capo. “Un giorno, non
sarò qui al Lima Bean e tu dovrai imparare a stare al mondo
da solo. E allora, cosa farai?”
“Non
accadrà mai,” ripose il giovane, senza nemmeno
impegnarsi per sembrare preoccupato. “Ti
piace troppo
stare in mia compagnia. Ti mancherei.”
Chiuse
il
portatile. “Non
è vero,” rispose.
Gli occhi di
Sebastian si fecero più grandi. “Sì,
invece,” disse. Dio, sembravano dei dodicenni. Kurt
inspirò a fondo; il
bisogno di prendere il giovane a pugni stave andando affievolendosi
(avevano
trascorso molti pomeriggi insieme per più di un mese,
Cristo), ma aveva ancora
voglia di sbattere la testa sul tavolo.
Nonostante sapesse
quanto suonasse ridicolo, rispose
ancora: “Non è vero,”
dunque tornò ad
aprire il portatile e cominciò a scrivere.
Aveva appena finito
di correggere una frase
particolarmente maciullata nella forma quando sentì un
fastidioso schiarirsi di
gola dal tavolo loro vicino.
Dopo una breve
esitazione, disse: “Ciao, Rachel. Come
posso aiutarti?”
Rachel sorrise, ma il
calore non si estese agli occhi.
“Ti ho visto prendere un caffè con uno studente
della Dalton, e ho pensato che
fosse strano perché hai lasciato la Dalton tempo fa e i
Warblers sono i nostri
avversari più temibili -”
“Oh,”
la interruppe Sebastian, divertito. “Sei quella
Rachel.”
Ci fu un bagliore
negli occhi della ragazza. “E cosa
sai di me? Kurt, non gli hai detto niente delle New Directions,
vero?”
Kurt
sollevò gli occhi al cielo. “Ovvio che no. E non
è che abbiamo chissà che segreto, Rachel,
calmati.”
“Chiedo
solo perché… ricordi cos’è
successo al secondo
anno,” rispose Rachel. “Scusa, non ci siamo
presentati bene,” proseguì,
lanciando a Kurt un’occhiataccia prima di tendere la mano.
“Sono Rachel Berry,
uno dei co-capitani delle New Directions.”
Sebastian le strinse
la mano. “Salve, Rachel Berry.
Sono Sebastian Smythe, capitano del glee club che vi
straccerà alle Regionali.”
Gli occhi della
giovane si accesero di rabbia. “Okay,
Rachel, penso che io e Sebastian dovremmo tornare al nostro lavoro.
Perché non
torni a…?”
S’interruppe
immediatamente quando vide il tavolo che
Rachel aveva lasciato, e chi vi era seduto. Per un momento,
incontrò lo sguardo
di Blaine, dunque distolse il proprio. Tina agitò la mano
educatamente al
fianco del giovane, e Mike gli sorrise.
Quando Kurt
tornò a guardarla, Rachel ebbe la decenza
di sentirsi in colpa. “Scusa, non volevo rendere le cose
imbarazzanti,” disse.
“Lo trovi imbarazzante?”
“No,”
rispose. “Va tutto bene.”
“È
un po’ imbarazzante,” ammise Sebastian, compiaciuto
e divertito, e Kurt non riuscì più a placare il
desiderio di prenderlo a pugni
in faccia.
Rachel
aggrottò le sopracciglia, ma tornò a guardare
Kurt. “Stavamo parlando di fare un numero di gruppo per il
tema di questa
settimana. Puoi unirti a noi se vuoi.” Gli rivolse
un’altra occhiataccia,
dunque tornò a osservare Sebastian.
“Kurt si
diverte in mia compagnia,” la rassicurò il
giovane. “Si diverte un mondo a fare i miei compiti. Non
è molto utile in altre aree.”
“Sarei
molto utile nel prenderti a pugni in faccia,”
replicò Kurt, pacato. “Va
tutto bene,
Rachel. Io e Sebastian eravamo occupati. Saluterò prima di
anare.”
Rachel
annuì, dunque gli strinse il braccio prima di
andarsene.
“È
stata deliziosa,” osservò Sebastian.
Kurt fissò
lo schermo del computer. “È una delle mie
migliori amiche,” rispose, correggendo un’altra
parola. “È pazza, ma è
una compagnia migliore della tua.”
Kurt non poteva farlo
con Blaine dall’altra parte del
locale. Non era giusto. Era stato
il
loro posto una volta, ma Kurt ne aveva praticamente ottenuto la
custodia; era
lì praticamente ogni giorno, ora. E aveva delle cose da
fare, compiti che non
aveva nemmeno guardato perché occupato ad aiutare Sebastian,
e all’improvviso
si sentì ridicolo a sedere di fronte a Sebastian
Smythe e aiutarlo coi compiti.
“Okay,”
disse Sebastian con voce bassa e pensosa. “Ce
ne andiamo?”
“Eravamo
qui da prima,” disse.
Poté
vedere con la coda dell’occhio il giovane che
aggrottava la fronte. “Kurt, sei sconvolto. Ce ne andiamo, ci
sono altre
caffetterie.”
Kurt
sollevò lo sguardo e contò da dieci prima per una
ragione completamente diversa dalla solita. “No, va
bene,” lo rassicurò. “È
passato più di un mese, sto- sto bene.” Non era
sicuro che fosse completamente
vero, perché c’era una parte di lui che
probabilmente non sarebbe mai stata
bene – la parte che continuava a ricordargli che non
meritasse altro che
l’essere usato
– ma non gli mancava
Blaine come prima. Era più il dolore rimasto per
ciò che era successo, il
desiderio di sapere se avrebbe mai riposto fiducia in qualcun altro.
Pensò che
avrebbe dovuto aspettarselo, comunque. La
prima persona che avesse mai amato gli aveva detto che lo ricambiava,
aveva
preso la sua verginità e poi detto oh,
non ti amo davvero. Era più che tenuto ad essere
più chiuso, per un po’.
“Sì,
non è vero,” rispose Sebastian, chiudendo il
portatile e riponendo le proprie cose. “Ce
ne andiamo.”
“Scusa,
quand’è che ho accettato di farmi comandare a
bacchetta da te?” domandò.
All’espressione esasperata dell’altro,
continuò:
“Non voglio fuggire. Non ho paura di stare nella stessa
stanza con lui –
andiamo a scuola insieme, ricordi? Non me l’aspettavo, tutto
qua.”
Sebastian scosse il
capo, dunque mise via il computer.
“Ad ogni modo, non concluderemo molto altro, oggi.”
Kurt lo
fissò per qualche attimo, dunque inspirò a
fondo. “Andrò a sedermi con loro,”
disse. “Posso farlo. Posso farlo,
sì.”
“Okay,”
rispose il
giovane. “Accomodati.”
Kurt si chiese se non
stesse facendo un errore mentre
raccoglieva le sue cose e si dirigeva all’altro tavolo. Aveva
l’opportunità di
sedere con Sebastian ancora un po’, battibeccando, lavorando
e a dire il vero
persino divertendosi, e invece
stava
sorridendo a Rachel mentre sedeva al suo fianco. Era
molto meno divertente, dopo tutto.
“Hey,
ragazzi,”
salutò. “Penso di
aver fatto abbastanza compiti per oggi. Cosa pensavate di
cantare?”
Rachel gli sorrise,
ma fu Blaine a rispondere. “Perché
eri seduto con Sebastian? Pensavo
che lo
odiassi.”
“’Odiare’
è una
parola grossa,” rispose senza pensare. “Uh. Direi
più che mi fa una ‘molta
antipatia’.”
Blaine
sembrò confuso, aggrottò le sopracciglia ad una
maniera che un tempo avrebbe trovato accattivante. “Allora
perché esci con
lui?”
“È
una bella domanda,” aggiunse Rachel. “È
in un glee
club rivale; sai che raramente va bene. Senza
offesa, Blaine.”
Kurt
scrollò le spalle, non era sicuro su come avrebbe
dovuto rispondere. Perché stava trascorrendo
così tanto tempo con Sebastian? Non erano più
incontri casuali, a quel punto;
non si preoccupava di andare al Lima se non era sicuro di doversi
incontrare
con Sebastian.
“Hey, di
cosa state parlando?” domandò Sebastian,
apparendo al suo fianco. Poggiò una tazza di
caffè di fronte a lui, lo
ringraziò con un cenno.
“Di
te,” rispose automaticamente, dunque strinse le
dita attorno alla tazza di cartone, calda. “Del
perché siamo qui.”
Sebastian
annuì. “Se non
fossimo qui,
Kurt dovrebbe fare i compiti di Matematica per una volta,”
spiegò, gli occhi
che brillavano mentre gli volgeva lo sguardo. Lui
roteò gli occhi.
“E
Sebastian
dovrebbe imparare a usare il correttore automatico,”
aggiunse. “Come una
persona normale.”
“La
normalità è sopravvalutata,” rispose
Sebastian. “Mi
pare di dover fare le congratulazione ad un’altra finalista
per la NYADA.”
L’espressione
di Rachel si illuminò. “Grazie,”
rispose.
Kurt si guardava le
mani strette attorno la tazza di
caffè mentre la conversazione tornava a fluire attorno a
lui, sollevando di
tanto in tanto lo sguardo per dire la propria. Più che
altro, era
super-consapevole del fatto che Sebastian fosse tra lui e Blaine, che
continuava a fare domande sui Warblers e sulla Dalton.
“Ai ragazzi
manchi, ovviamente,” commentò Sebastian,
rispondendo alle domande del giovane. “Dovresti
venire a
trovarci qualche volta.”
Kurt bevve un lungo
sorso di caffè, e appuntò lo
sguardo altrove.
“Mi
piacerebbe moltissimo,” disse Blaine, felicemente.
“Sei agitato per le Regionali?”
“Penso che
il discorso sulle Regionali non sia
esattamente appropriato,” lo interruppe Rachel.
Blaine
rise.
“Sebastian è un amico, Rachel, non
preoccuparti,” rispose. Kurt si chiese se
fossero ancora in contatto, e perché Sebastian non avesse
sentito il bisogno di
sbatterglielo in faccia. “Devo
andare,
comunque. Ci vediamo a scuola. È stato un
piacere rivederti, Sebastian.”
Kurt lo
salutò il più educatamente possibile.
Per un momento dopo
che Blaine ebbe lasciato il
tavolo, non riuscì a scostare lo sguardo dal suo
caffè. Respirò più a fondo che
poteva e lo strinse, dunque si rilassò. Non era
così male; poteva affrontarlo.
Poteva affrontare la qualunque.
Quando
sollevò nuovamente lo sguardo, si volse
automaticamente a Sebastian – che stava guardando oltre lui,
verso il
parcheggio, gli occhi quasi sgranati.
“Devo
andare anche io,” disse il giovane
distrattamente. “Ci vediamo domani,” aggiunse
rivolto a Kurt, senza incontrare
il suo sguardo, dunque si alzò e se ne andò.
“Okay,”
rispose Kurt, confuso, lo guardò raccogliere
la propria roba e andarsene.
Fu quando lo vide nel
parcheggio che realizzò che
stava seguendo Blaine.
Inizialmente
sentì sorgere la rabbia – che Kurt
pensava di aver messo da parte dopo i primi flirt di Sebastian
– seguito da una
sensazione sconosciuta, come un buco allo stomaco. Distolse gli occhi
dalla
vetrina e si impose la calma. Blaine non stava più con lui;
Sebastian poteva
fare quello che voleva con lui. Non era più affar suo, non
aveva diritto di
essere arrabbiato.
Eccetto…
Sebastian si era seduto insieme a lui quasi
ogni giorno per più di un mese. Non erano esattamente amici
– trascorrevano la
maggior parte del tempo a insultarsi – ma non contava niente?
Non c’era una
specie di codice per quelle situazioni?
Vada
a farsi fottere, pensò,
dunque fece una
smorfia a quella scelta di parole. Oddio, e se avevano fatto sesso a
casa di
Blaine, nello stesso letto in cui lui aveva perso la
verginità? Non era giusto.
Kurt
guardò fuori un’altra volta. Non riusciva a
vedere il volto di Sebastian da quell’angolazione, ma aveva
le braccia lungo i
fianchi, come se stesse spiegando qualcosa e sembrava… teso.
Blaine aveva le
braccia incrociate e la sua espressione era tesa, la fronte corrugata.
Bene. Sembrava che
non fosse interessato alle avances
dell’altro.
Kurt si disse che
aveva fatto bene, ma quella
sensazione allo stomaco, fastidiosa e sconosciuta, non era scomparsa.
*
Il
giorno dopo, Kurt era andato al
Lima bean perché Sebastian aveva un saggio e lui aveva
bisogno di aiuto in
matematica, di nuovo, e non aveva davvero diritto di essere arrabbiato.
Quando
arrivò, Sebastian gli aveva
già comprato il caffè.