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Autore: ADDICT    25/05/2013    1 recensioni
Non ci credo. Non c’è nessuno in giro eppure al MIO baracchino c’è coda. Un ragazzo un po’ più alto di me con i capelli castani disordinati sta ordinando un gelato. Non riesco a vederlo in faccia ma poco importa: deve muoversi o io non prenderò il mio caffè, arriverò tardi a lezione, mi addormenterò sul banco, verrò bocciata all’esame, e mi troverò fra qualche anno a gestire un lurido locale sulle autostrade con tanto di divisa rossa e cappellino da idiota con stampato il mio nome sopra.
Tutto se lui non si muove. Passano i minuti e noto che il ragazzo ha delle difficoltà a parlare italiano. Probabilmente è straniero. O idiota. Vada per la seconda.
- Non capisco, quanti soldi pagato?- chiede al venditore ambulante.
- Sono due euro,amico – spiega l’altro.
Mi piacerebbe dargli un calcione del sedere, urlargli che la sua lentezza è straziante ma appena vedo che il ragazzo tira fuori il portafoglio dalla tasca posteriore dei pantaloni non posso che rimanere in fissa su due cose: primo, il suo sedere, non è proprio niente male. Pervertita!
Secondo: il mio sguardo è catturato dalle sue mani. Sono sempre stata fissata con le mani. E le sue sono proprio stupende.
Genere: Comico, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono diretta all’Università. Sto studiando Fashion Styling in un istituto prestigioso che si trova in centro. Come al solito, sono in un fottuto ritardo. Ho lezione alle 8 e 30, ho messo la sveglia alle sette perché ci metto un’ora per arrivare da casa con il tram. Ma, sempre come al solito, non ho sentito la sveglia. O meglio sono certa di aver sentito la voce sensuale e  profonda di Michael Bublè che mi destava dal mio sonno ma sono ancora più certa di aver posticipato la sveglia di 10 minuti dopo aver aperto un solo occhio e aver cercato a tentoni il cellulare. E sono ancora più sicura di aver posticipato la sveglia almeno altre tre volte. Perfetto. Sono le otto meno un quarto.
E io sono in ritardo. Esco di casa di corsa, e corro alla fermata del tram con una brioche in bocca, la borsa a tracolla che vola da tutte le parti, la giacca appoggiata ad un braccio che sembra intenzionata a lavare tutta la via dove abito, le cuffie dell’ipod che ballano dal mio collo, i capelli disordinati ricadono sulle spalle. Comincio a correre e per poco non perdo una scarpa che nel frattempo ha deciso momentaneamente di slacciarsi.
Corro per la piazza dove al suo centro c’è la fermata del tram. E proprio lì un tram giallo con le porte aperte sembra appena essersi fermato. Arrancando corro più forte che posso, sembro una pazza.
Ho il fiatone, mi sto strozzando con il mio cornetto alla marmellata, sto perdendo le mie cose per strada e come se non bastasse mi si è rotta una cuffia. Perfetto. Come iniziare bene una giornata.
Mi lancio letteralmente dentro al tram, e finisco con lo scontrarmi con un signore anziano che non perde tempo e comincia ad imprecare sottovoce. Alzo gli occhi al cielo, mi scuso e cerco un posto a sedere.
Ovviamene sono così fortunata che non ce ne è nemmeno uno. Mi pare ovvio. Insomma, è giò tanto che io sia riuscita a non perdere questo tram.
Mi faccio largo tra i passeggeri. C’è un odore terribilmente pesante, e lo noto solo ora. Mi chiedo chi sano di mente alle otto del mattino si metterebbe a mangiare kebap. Bleah.
Una signora filippina si alza proprio davanti a me e ignorando i borbotti di alcune signore mi scaravento sul posto a sedere. Ci manca poco che non dico anche un “aaaah finalmente”.
Cerco il mio amato iPod e guardo con rammarico la mia amata cuffia, morta. Ora penzolante dal collo ce ne è solo una perché l’altra rotta, casca almeno fino all’ombelico. Perfetto, sono in lutto. Cerco di aggiustarla rimettendola al proprio posto  e vedo se funziona ugualmente, e con mia fortuna, appena digito play, le note di Ed Sheeran riempiono le mie orecchie.
Cuffia, non mi hai abbandonata! Che tu sia benedetta!
Sorrido tra me e me, e poi chiudo gli occhi. Devo avere un aspetto terribile, perché la signora cinquantenne seduta affianco a me comincia a fissarmi. Che nervoso. Apro un solo occhio a fessura e lo richiudo. E cerco di non pensarci. Insomma, la finirà prima o poi. Dieci minuti dopo, li riapro e noto a malincuore che la signora non demorde. Ancora  un attimo e le avrei chiesto quale diamine di problema avesse. Insomma, è vero. I miei capelli erano uno schifo, tutti disordinati. Il mio trucco più che a una ragazza semplice dagli occhi azzurri che volevo essere probabilmente somigliava più a quello di Amy Winehouse. Avevo messo vesiti a caso, i primi che avevo trovato in camera: un paio di pantaloni beige larghi a cui avevo risvoltato i bordi all’altezza delle caviglie, una maglietta a righe grigia e bianca, delle superga bianche, e una felpa grigia con cappuccio.
Nel complesso, dato trucco e parrucco, devo dare più l’impressione di essere Edward Mani di Forbice. Ma poco importa, devo scendere. La mia fermata: Duomo, Cordusio.
Ok, sono puntuale. Mi mancano venti minuti alla lezione e ci metto un quarto d’ora a passo svelto ad arrivare in classe per le otto e mezza. Passerò per Piazza Duomo, a quell’ora del mattino è una meraviglia. Non c’è nessuno. Solo piccioni. E mi fermerò di sicuro a prendere un caffè a qualche baracchino, ne ho bisogno o credo mi riaddormenterei sul marciapiede seduta stante.
Cammino svelta, inspirando aria pulita a pieni polmoni. Sto attraversando la piazza, un passo dopo l’altro. Alzo lo sguardo e non posso che fare una smorfia: un ragazzo con i capelli scuri e una cresta da gallo sta facendo amicizia con alcuni pennuti grigi: i piccioni, e ha uno sguardo compassionevole pronto ad accoglierli sulle sue braccia muscolose, ora tese come a fare dei trespoli. Che schifo.
Guardo bene il ragazzo. E’ carino. Peccato sia stupido. Mi sembra di averlo già visto da qualche parte. Non ne sono certa ma forse bazzica nel mio quartiere. Non riesco proprio a focalizzarlo, forse perché mi mancano gli occhiali, o forse dato il mio trucco decisamente troppo poco efficace di quella mattina.
Ho proprio necessità di un caffè o in università ci arriverò strisciando sui gomiti.
Scuoto la testa alla vista del ragazzo moro e proseguo in direzione del mio amato baracchino, e sorrido nel vedere le caldarroste e il cocco fresco appoggiati vicino. Due elementi di stagione, insomma. Si sposano che è una delizia. Non ci credo. Non c’è nessuno in giro eppure al MIO baracchino c’è coda. Un ragazzo un po’ più alto di me con i capelli castani disordinati sta ordinando un gelato. Non riesco a vederlo in faccia ma poco importa: deve muoversi o io non prenderò il mio caffè, arriverò tardi a lezione, mi addormenterò sul banco, verrò bocciata all’esame, e mi troverò fra qualche anno a gestire un lurido locale sulle autostrade con tanto di divisa rossa e cappellino da idiota con stampato il mio nome sopra.
Tutto se lui non si muove. Passano i minuti e noto che il ragazzo ha delle difficoltà a parlare italiano. Probabilmente è straniero. O idiota. Vada per la seconda.
- Non capisco, quanti soldi pagato?- chiede al venditore ambulante.
- Sono due euro,amico – spiega l’altro.
Mi piacerebbe dargli un calcione del sedere, urlargli che la sua lentezza è straziante ma appena vedo che il ragazzo tira fuori il portafoglio dalla tasca posteriore dei pantaloni non posso che rimanere in fissa su due cose: primo, il suo sedere, non è proprio niente male. Pervertita!
Secondo: il mio sguardo è catturato dalle sue mani. Sono sempre stata fissata con le mani. E le sue sono proprio stupende.
Ottimo, sono in fissa.
Per togliermi dalla testa le sue mani grandi, sbuffo rumorosamente. Lui si volta di scatto e mi guarda negli occhi, a pochi centimetri da me e mi sorride. Posso morire, il ragazzo in questione ha pure un sorriso fantastico. Apro la bocca ma non emetto alcun suono e continuo a fissarlo negli occhi, sbattendo le palpebre impercettibilmente.
Santo cielo, Sofia. Riprenditi. Ora!
  
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