Storie originali > Horror
Segui la storia  |       
Autore: atassa    29/05/2013    0 recensioni
Una serie di sfortunati racconti è una storia di undici capitoli ormai completata. Qualcosa nel mondo sta succedendo, qualcosa di malvagio, di oscuro e chi lo fermerà? Una serie di destini che sono condannati ad intrecciarsi fra di loro, ma non per tutti è una condanna.
Genere: Horror, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Quattro.

-Alcune persone mi chiamano babysitter, altre bambinaia, le più sofisticate o quelle che credono di esserlo mi chiamano colf, ma io mi ritengo un mostro per la costituzione. Certo qui c’è gente proveniente da tutto il mondo, gente di cui il giorno sacro è il venerdì, gente che non mangia carne di maiale e persino gente che crede che in una sua altra vita fosse un bue. Ma anche gente che crede nel bene e non del male. Io credo nel cannibalismo, che brutta parola, tutti noi mangiamo carne, io mangio quella più buona, quella di un bambino.-

Carla appariva come una donna paffuta con le guance rosse. Si avviava sulla sessantina e le tremavano perennemente le mani, questo era dovuto a una dieta di sola carne. Portava i capelli corti, scalati e tinti di castano scuro. Aveva piccoli e quadrati occhiali rossi, con dietro una corda nera che evitava di farglieli cadere. Aveva due abiti adibiti al suo lavoro. Uno era una camicia nera con un comodo pantalone di stoffa, anch’esso nero e un maglione con farfalle colorate. Un altro, il suo preferito era una camicia si seta color seppia con dei pantaloni elastici crema e una graziosa sciarpa rosa. Oggi indossava il secondo modello.  Barcollando lievemente scese dal taxi e si avviò verso il vialetto della casa dei signori Fabozzi. Doveva tenere la loro bambina di quindici mesi per quattro ore, mentre loro andavano a vedere uno spettacolo al teatro. Suonò al campanello. Attese silenziosamente mentre si guardava intorno qualche secondo, poi La signora Fabozzi le aprì con un sorriso smagliante. Indossava un completo nero, con una scollatura orizzontale e sul petto una miriade di perline. I capelli raccolti in una treccia sul lato destro della spalla. Odorava di pulito e lavanda. La sua bambina sarebbe stata altrettanto graziosa. Mi fecero entrare e accomodare sul divano. La casa era splendente. Adornata di quadri che costavano quanto una macchina. Carla sorrideva dolce. La signora Fabozzi tornò poco dopo con la bambina in braccio. Che si guardava intorno con gli occhi socchiusi. La madre la dondolò lievemente e la baciò sulla fronte.
“Agatha ha appena mangiato, tra poco si addormenterà, se vuole lei, può usufruire del nostro frigo, data l’ora in cui l’ho chiamata e in caso non avesse fatto in tempo a mangiare”. Disse lei mentre osservava la rampa delle scale con attenzione. Il signor Fabozzi scese con in dosso un completo anch’esso nero, in giacca scura e cravatta color crema. La signora Fabozzi le sorrise. Tornando a porre la sua attenzione alla colf si avvicinò, porgendole la bambina che strepitava di voler tornare in braccio alla madre. I bambini certe cose le sentono. La signora Fabozzi inclinò lievemente la testa, a osservare la bambinaia che addolciva la bambina con delle carezze al pancino. La signora sorrise.
“Vedo che avete già fatto amicizia, credo che torneremo per le ventitré di sera”. Si avvicinò alla bambina e la baciò sulla fronte. Poi tornò vicino al marito, che la prese sottobraccio. La tata muoveva la manina della bimba per farle salutare i genitori.  Attese che la porta si chiuse per far smettere alla bambina di salutare loro. La adagiò accuratamente sul divano e accese la televisione. Trasmettevano una nuova serie di CSI. La bambina sbadigliò lievemente. La bambinaia salì le scale attenta a non rompersi nuovamente l’anca. Si diresse verso il bagno, dotato di una grande e lucente vasca da bagno, accese l’acqua e mentre attendeva si riempisse, girò per la casa, in cerca delle cartelle mediche della bambina, le trovò nella sua camera colorata di rosa. La bambina soffriva di tonsillite e il prossimo mese l’avrebbero operata. La signora Carla da giovane aveva frequentato la facoltà di medicina con specializzazione nella facoltà di chirurgia, ma per via delle mani tremanti non l’avevano mai fatta diventare un chirurgo. Scese le scale, fino ad arrivare alla cucina. Prese sale e pepe e risalì nuovamente le scale. Aprì la confezione del sale e lo getto tutto nella vasca, così fece nuovamente con il pepe. La bambina di sotto strillava e strepitava. Carla scese le scale lentamente con la schiena che le doleva. Andò nel salone, dove aveva poco fa lasciato la bambina. Nel dimenarsi la bambina era caduta dal divano e ora si contorceva dalle urla a terra. Carla si chinò e raccolse la bambina da terra, prese anche la borsetta e salì nuovamente fino ad arrivare nella sala da bagno. Adagiò la bambina sul tappeto spugnoso e raccattò dalla borsetta una bomboletta dalle dimensioni minute con una maschera per anestetizzare. La bombola conteneva Sevoflurano, un anestetico dall’odore dolciastro. Adagiò la mascherina sul viso della bambina e aprì la bomboletta. La piccola guardava dapprima con occhi vitrei la donna, poi cominciò a perder i sensi. La donna rigirò la manopola, bloccando la fuoriuscita dell’anestetico. Prese la bambina in braccio e la depose nella vasca da bagno, che conteneva sale e pepe. Scese le scale, lasciando la bambina incustodita e prese dalla cucina pinze e forbici. Salì su le scale e s’inginocchiò accanto alla bambina che era sprofondata nell’acqua, la prese velocemente, e ne ascoltò il polso. Era ancora viva e dopo averle fatto sputare l’acqua che aveva ingerito, procedette con l’asportazione delle tonsille. S’infilò i guanti in lattice.
 Terminata l’asportazione delle tonsille, adagiò le forbici e le pinze insanguinati sull’asciugamano bianco accanto a lei. Il sangue sgorgava copioso dalla ferita e lei dopo essersi sciacquata i guanti nell’acqua intrisa di sangue per non sporcare di esso la borsetta, ne prelevò dei punti in materiale riassorbibile ed eseguì il controllo del sanguinamento, proceduta quest’ultima operazione, dopo aver controllato che l’intervento era proceduto con successo lavò le tonsille asportate e le adagiò insieme a pinze e forbici sull’asciugamano ormai sporco di sangue. Dopo aver immerso la bambina nell’acqua e averla lavata dal sangue, ne asporto il cuore, con meticolosità. Dopo lo infilò in un sacchetto di plastica e lo infilò nella borsa, lasciando la bambina morta nella vasca da bagno. Prima di uscire pulì le sue tracce e andò a piedi per un chilometro prima di chiamare un taxi per farsi riportare a casa.
Arrivo nell’abitazione mezzora dopo l’omicidio, velocemente si diresse in cucina. Prendendo una pentola e facendone bollire l’acqua all’interno, intanto in una pentola tagliava il cuore a cubetti e lo arrostiva. Prese degli spaghetti e li butto nella pentola. Pronti ci buttò dentro i cubetti di carne e dopo averci aggiunto sale e pepe, nuovamente e dopo aversi versato un bicchiere di vino rosso, cominciò a cenare. Accese la televisione sul telegiornale osservando orgogliosa la deposizione dei signori Fabozzi.
Di domenica la signora Carla si svegliava presto per andare in chiesa. La notte prima aveva mangiato il cuore della bambina Fabozzi. Si sedette sulla panca vicino all’amica Claudia. Lei la salutò baciandola sulle guancie rosse.
“Carla ti trovo in formissima!”. Disse lei sorridente. La donna annuì. Claudia abbassò lo sguardo triste.
“Hai visto stamattina il telegiornale?”. Carla scosse la testa. Claudia annui tristemente. Si fece il segno della croce prima di proseguire. Carla indossava un abito lungo color cremisi, con una sciarpa di lana che le copriva il collo.
“E’ stata trovata un’altra bambina morta affidata a una colf”. Pronunciò il lavoro con disprezzo. Carla annuì triste.
“Ne ho sentito parlare, quale razza di persona farebbe ciò”. Disse indignata. Claudia annuì. Il prete entrò nella chiesta accompagnato dai chierichetti e cominciò la messa.
Il taxi lasciò Carla davanti alla casa. Era imponente e fatta interamente di legno. Una donna bionda dall’aria febbrile le aprì la porta ancor prima che entrasse. Carla era vestita di nero con il suo maglione con le farfalle. La signora Brivalvi la squadrò frettolosamente. E dopo averle stretto la mano, scuotendola, la spinse di corsa dentro la casa. Indicò il box che conteneva il bambino di tre anni. Biondo anche lui.
“L’agenzia mi aveva detto che era giovane”. Disse mentre indossava la sua giacca di volpe. Carla annuì. Si sedette sul divano, posando la borsa accanto.
“Se vuole, può chiamare l’agenzia nuovamente, io ero la più prossima alla sua casa”. La donna annuì con forza.
“Il bambino deve ancora mangiare, io tornerò dopo il lavoro”. Guardò l’orologio da polso e cominciò a fremere.
“Fra sette ore, sono in ritardo devo correre”. Disse e uscì di corsa dalla casa, senza nemmeno salutare il bambino. Carla sospirò e raccolse il bambino dal box, stringendolo a sé. Se lo portò in giro per la casa, accarezzandogli i capelli biondi. Lo portò nel bagno. Avevano anche loro un’enorme vasca da bagno. Aprì l’acqua, il bambino gemette. La bambinaia lo baciò sulla fronte, scompigliandoli i capelli. Cercò la sua cartella clinica, leggendo che aveva un abbassamento delle diottrie.
Tenendolo stretto a sé, andò in cucina alla ricerca di un cucchiaio per il gelato, ne trovò uno nella lavastoviglie, con il bambino in braccio che strepitava, lo lavò a mano. Prese la borsa dal soggiorno e ritornò nel bagno. L’acqua era uscita dai bordi, bagnando il pavimento, posò il bambino nel lavandino e chiuse l’acqua. Sospirò esausta e andò a cercare il mocio. Dopo aver asciugato il pavimento, prese dalla borsa la bomboletta di Sevoflurano e addormentò il bambino. S’infilò i guanti di lattice. Lo immerse nella vasca. Cercò tentoni il cucchiaio. Dopo averlo stretto nella mano, con forza ne cavò gli occhi verdi al bambino, li adagiò sulla mensola accanto alla vasca. Dopo con estrema cura, cavò il cuore al bambino e lo infilò nella busta di plastica, il sangue le schizzò sul vestito. Ripose la busta con dentro il cuore nella borsetta, così come la bomboletta. Si pulì la macchia di sangue sul maglione e lavò le sue tracce. Percorse qualche chilometro prima di chiamare un taxi che la riportasse a casa.
Tornò a casa che mancava ancora qualche ora alle otto. Si lasciò cadere esausta sulla sedia di metallo. Dopo essersi spogliata e cambiata d’abito, prese una teglia, dove ci pose nel mezzo il cuore. Tagliò due patate a pezzetti e ce li dispose attorno. Prima di mettere il tutto nel forno ci pose un po’ di rosmarino. Attese un’ora e mezza prima che si cuocesse per poi mangiarselo mentre accendeva la televisione sulla replica di cento vetrine.
Si svegliò con la schiena dolorante e si versò del tè con biscotti prima di sedersi nel divano e accendersi la televisione. La donna bionda aveva le lacrime agli occhi e stringeva a sé la coperta del figlio morto. Affianco a lei un giornalista con il volto sconvolto e dietro macchine della polizia e medici che portavano con una barella coperta fuori dalla casa il corpo del figlio.
“Che mondo”. Costatò amara Carla. Un uomo abbracciava la donna a se. Il giornalista si ricompose e strinse con forza il microfono, avvicinandoselo alle labbra.
“Questo è il secondo omicidio in cinque giorni. Entrambi hanno come vittime neonati dall’età inferiore ai due anni, a entrambi è stato cavato il…”. Sussultò e dopo aver ripreso fiato e scacciato le lacrime ricominciò a parlare.
“…cuore. A entrambi i bambini sono stati cavati il cuore e parti del corpo che non funzionavano a dovere. Tutto questo con estrema meticolosità. L’agenzia che fornisce queste donne ne era all’oscuro, e le donne che si sarebbero dovute presentare al posto di questo individuo non erano informate dell’incarico, la polizia ancora indaga su chi possa essere. Le famiglie colpite da questa disgrazia affermano entrambe che era una donna sulla sessantina con i capelli castani e sovrappeso. La polizia non ha ancora idea di chi possa essere, vi raccomandiamo di stare attenti”. Carla spense la televisione, scuotendo la testa da una parte all’altra con forza. Aveva gli occhi arrossati.
“Che teneri bambini!”. Rise scossa. Si andò a vestire e si recò poco dopo al supermercato sotto casa. Lì avevano appiccicato su ogni muro dei volantini con l’identikit dell’assassino. Il commesso la guardava inerme, spaventato. Prese il telefono e cominciò a digitarci dei numeri. Intanto Carla cercava per il negozio la pasta per fare la pizza, con anche il pomodoro in scatola. Andò alla cassa e posò tutto sul bancone. Il commesso aveva smesso di parlare al telefono e gli tremavano le mani. Tre agenti della polizia dotati entrambi di pistole entrarono nel negozio. Il commesso si accovacciò sotto il bancone. Carla si guardava spaventata intorno. I poliziotti le urlarono di alzare le mani e metterle bene in vista. Un uomo la ammanetto, la fecero entrare nell’auto della polizia e la portarono alla centrale.
Carla era seduta su una sedia, davanti a lei c’era un tavolo massiccio cui era ammanettata, dall’altra parte del tavolo un'altra sedia, vuota. Era lì da circa un’ora. In silenzio da sola. Non aveva opposto resistenza anche se incredula. Finalmente un uomo entrò nella stanza, aveva l’aria severa, si avvicinò alla sedia vuota, valutando se sedersi o no. Aveva dei fogli in mano. Si avvicinò a Carla. Sul tavolo davanti a lei dispose due foto, di due bambini, un maschio e una femmina. Indicò la foto della bambina.
“Lei è Agatha Fabozzi, ritrovata morta cinque giorni fa in una vasca da bagno, le è stato asportato il cuore e le tonsille. Del cuore non c’è tracci”>. Disse severo, mentre analizzava Carla. Lei abbassò lo sguardo disgustata.
“L’ho sentito al telegiornale, che mondo!”. Commentò nuovamente. L’uomo sospirò esausto e puntò il dito sulla seconda foto, quella del bambino.
“Lui è Filippo Brivalvi, ritrovato morto tre giorni fa, anch’esso in una vasca da bagno con cuore asportato e occhi. Del cuore non c’è traccia, nemmeno questa volta”. Carla spostò lo sguardo dalla foto disgustata.
“Perché mi dice questo?”.  Chiese Carla rabbrividendo.
“Perché dietro quel muro c’è la famiglia delle vittime e ti hanno riconosciuto”. Carla restò in silenzio. L’uomo si spazientì.
“Cosa ne hai fatto dei cuori?”. Chiese furibondo. Carla sbatté gli occhi più volte, rimanendo in silenzio. L’uomo raccolse le foto e uscì dalla stanza, la trasferirono in una fredda e solitaria prigione. 
Dei passi rimbombavano nel corridoio, Carla aveva la testa china sul cibo che non mangiava. Lo stesso uomo di prima si avvicinò alle sbarre della sua cella, Carla lo seguì con gli occhi.
“Abbiamo perquisito la tua casa, non c’è traccia dei cuori. Ti chiedo un’ultima volte, cosa ne hai fatto dei cuori?”. Carla abbassò lo sguardo, anche se non si sentiva in colpa.
“Io non ho ucciso nessuno, vi sbagliate”. Mentii con la testa ormai distante, mentre fissava il cibo.
“Abbiamo le prove che sei stata tu, marcirai in prigione per questo, abbiamo trovato la bombola che contiene Sevoflurano, lo stesso anestetico che è stato riscontato nel corpo delle vittime”. Carla scosse con veemenza la testa.
“Non sono stata io”. Ripeté frustrata Carla.  L’uomo pestò i piedi con forza.
“Dov’è sono i cuori?!”. Urlò l’uomo intimidatorio. Carla abbassò la testa. L’uomo esasperato fece dietrofront e se ne andò. Carla rimase da sola, al freddo della cella. Si guardò le mani, lo stomaco reclamava cibo. Si mise un dito in bocca e lo morse. Il dolore la invase, ma continuò a mangiare, il sangue colava copioso.

La polizia la ritrovò il giorno dopo morta. La famiglia delle vittime, il procuratore che seguiva il caso e uno psicologo si riunì con la stampa per le ultime notizie del caso. Una giornalista si avvicinò al procuratore.
“Cosa mi sa dire riguardo alla morte dell’assassina di cuori?”. Chiesa la giornalista. Il medico sbatté gli occhi.
“La signora soffriva di una grave forma di psicosi”. Disse il medico prontamente. La giornalista annuì interessata.
“Può spiegarci cosa intende per “grave forma di psicosi”?”. Il medico annui.
“La psicosi è una forma di pazzia che disturba l’individuo nei rapporti con se stesso e con gli altri, la donna in questione, soffriva anche di cannibalismo, in poche parole mangiare carne umana e lavorando nel settore di bambinaia si cibava del cuore dei bambini, ha continuato fino a quando il signore qui presente”. Disse alludendo al procuratore.
“L’ha rinchiusa nella cella, la paziente non toccava cibo e alle strette e finita per mangiarsi la sua stessa carne, morendo dissanguata”. La madre della vittima si coprì la faccia disgustata. La giornalista abbassò lo sguardo anch'essa.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Horror / Vai alla pagina dell'autore: atassa