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Autore: Illa_    04/06/2013    1 recensioni
“Tornerò a casa presto” le mimo silenziosamente con le labbra, per paura che qualcun altro oltre me e lei, possa recepire il messaggio.
Vedo qualche sua ciocca di capelli castano chiaro, come i miei, scivolarle da dietro le orecchie, per sfiorare le guance arrossate dal freddo.
I suoi occhi castani mi stanno implorando, così decido di girarmi, ma prima di poterlo fare vedo le sue piccole e rosse labbra muoversi.
Non riesco più a sopportare il peso della partenza, così mi dirigo in fretta verso il cancelletto in ferro battuto che divide la villetta dalla strada, ed esco.
La via che devo percorrere è breve, so dove devo andare e non mi piace affatto.
Percorro qualcosa come duecento metri e finalmente posso sentire il peso delle parole di mia sorella.
“Salvaci”.
L’eco della sua voce mi rimbomba nella testa, anche se non ha mai sfiorato le mie orecchie con quella parola.
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 1



 

Avanzo cercando di tenere uniti i miei pezzi, anche se ad ogni passo mi sembra di sgretolarmi.
I capelli bianchi brizzolati, gli occhi azzurri perforanti e il fisico asciutto e muscoloso, formano il quadretto inquietante di quello che sarà il mio futuro. 
Non so come salutarlo, o ancora meglio se salutarlo.
Alla fine opto per un mesto "salve" che esce dalla mia bocca più fioco del previsto.
Lo sguardo truce è fisso su di me, mentre sicuramente pensa a quanti metodi esistono per uccidermi e quanto non ne valga la pena.
Evidentemente decide che sono troppo penosa e mi risponde con un freddo cenno. 
Il suo corpo realmente massiccio si mostra solo quando muove il primo passo, lasciando che la tenuta verde scura, ad occhio impermeabile, si tenda sulla parte superiore della coscia sinistra e poi su quella destra.
Si avvia verso la fine della strada, in contrapposizione alla via da cui sono arrivata.
Un furgoncino del pane davanti a noi lampeggia due volte con un'impercettibile scatto e solo un secondo dopo mi rendo conto che l'impulso dell'apertura è scattato dalla mano  dell'uomo al mio fianco. 
La situazione è ridicola, ma faccio quattro passi e mi avvicino allo sportello anteriore.
L’uomo finalmente si degna di parlarmi, ma solo per indicarmi di sedermi nel vano posteriore. La voce roca mi richiama un’altra volta, mi giro a guardarlo negli occhi e mi ritrovo una pistola tra le mani.
< Per la tua sicurezza – aggiunge monotono, come se fosse una cosa da tutti i giorni - spara a chiunque ti dovessi ritrovare davanti diverso da me >.
Deglutisco nel tentativo di mandare giù un groppone e annuisco, non ho mai tenuto in mano un oggetto del genere e tanto meno ho mai provato a sparare.
La pistola è più pesante del previsto, ed è talmente tanto gelida che sembra mi atrofizzi la mano, ma non fiato ed apro il portellone.
Due sedili lunghi e grigi sono collocati su i due lati, ed un vetro mi divide dai due sedili anteriori.
Con un piccolo balzo salgo e mi siedo sul sedile di destra, riesco a vedere perfettamente l’uomo dai capelli brizzolati, anche se i suoni mi giungono leggermente ovattati, molto probabilmente il vetro è molto spesso.
 
 
Siamo in viaggio da venti minuti buoni e la macchina sembra andare ad una velocità spaventosa, credo faccia parte delle misure di sicurezza.
La pistola è tra le mie mani, un po’ meno gelida di prima.
Il silenzio sembra farmi impazzire come prima di arrivare al parchetto, così decido di parlare.
< Posso sapere il suo nome? > chiedo ad alta voce, nella speranza che il suono oltrepassi il vetro.
L’uomo sembra non sentirmi, ma dopo qualche secondo risponde, osservandomi di sfuggita dallo specchietto retrovisore.
< James Dromer, sono il tuo nuovo tutore > un sorriso inquietante spunta sul suo volto ed una scarica di brividi mi percorre tutto il corpo.
< Olivia Mills, vero? > alzo il viso verso lo specchietto, dove gli occhi azzurri mi scrutano a scatti, prima me e poi la strada, non so per quale motivo, ma il fatto che qualcuno che non conosco, sappia il mio nome, mi mette a disagio.
Biascico un si, ma prima di aggiungere altro, un enorme scossone mi fa scivolare sul pavimento sudicio del camioncino.
Un imprecazione giunge molto chiara dall’altro lato del vetro e sento che sto impallidendo.
Mi alzo e corro al vetro.
< Che diamine succede!? > urlo, battendo i palmi sul doppio strato che mi divide da James.
Non giunge nessuna risposta, se non altri scossoni e altre imprecazioni.
Un colpo più forte, che non riesco ad identificare, mi butta di nuovo a terra, e sta volta rialzarmi richiede qualche secondo di più ed un fianco dolorante.
Uno sparo oltrepassa il parabrezza e rimbalza sul vetro difronte a me, mi butto a terra, rannicchiandomi nello spazio sotto il vetro, tra i sedili.
Ho davvero paura.
La fazione nemica ci sta attaccando? Perché?
Prima che i miei pensieri possano collegarsi in un filo logico il camioncino sbanda, colpendo un muretto parecchio lontano dalla strada isolata alla nostra sinistra.
James scende ed io provo ad aprire il portello, ma è completamente chiuso.
Urla di avvertimento giungono da fuori, seguite da numerosi spari, poi un silenzio inquietante.
Dei passi si muovono veloci su quello che deve essere brecciolino e adesso sono vicini al vano.
Mi tasto la cintura dove qualche minuto prima avevo incastrato la pistola e mi accorgo che non c’è.
E’ sotto il sedile grigio di sinistra, molto probabilmente è caduta durante uno degli urti.
Non esito e la raccolgo, cerco di impugnarla come ho visto in qualche film, ma il risultato è parecchio scarso, e mi sento solo tanto ridicola.
Due colpi fanno tremare il furgoncino, sto pensando velocemente a quanti modi ci possono essere per fuggire, ma nessuno mi sembra esauriente, l’unico accettabile è quello di sparare alla cieca e fuggire il più lontano possibile.
Un altro colpo fa tremare il pavimento e la serratura sembra cedere.
Punto la pistola verso gli sportelli e mi stringo sulla parete con il vetro.
Se questo è il modo in cui devo morire, voglio farlo con un minimo di dignità.
Il portellone si apre con un cigolio e per un attimo socchiudo gli occhi per la troppa luce, non riesco a vedere chi ho di fronte, intravedo solo il corpo di James sanguinante a terra, così giro la testa e stringo il grilletto.
< Hey hey, abbassa quella cosa, è pericolosa > una voce allegra mi porta a volgere lo sguardo fuori e noto che ci sono tre persone, due uomini ed una donna.
Il più piccolo dei maschi sembra avere un paio di anni in più di me, mentre gli altri ad occhio e croce superano la trentina.
< Allontanatevi! > urlo, ricordandomi le parole di James, sto per premere il grilletto, ma un coltello mi colpisce la mano destra di striscio e la pistola cade fragorosamente al suolo.
Un mugugno esce dalla mia bocca quando vedo il sangue uscire copiosamente dal dorso della mia mano.
Sono crollata a terra, forse per il dolore o per il forte tremore che ha portato le mie gambe a cedere.
Guardo in cagnesco la donna che tiene in mano il fodero, mentre gli altri due si guardano preoccupati.
< Queste stupide favorite, sono le prime a morire, sono deboli come dei bambini di sei anni > la donna continua ad avere un’espressione severa ed io ho una terribile voglia di urlarle in faccia.
< Se dovete uccidermi fatelo subito! > grido di nuovo sentendo la testa pulsare e le braccia formicolare.
L’uomo più grande ride e io prego in silenzio che facciano il più presto possibile, infondo non so nulla, non posso neanche difendermi.
< Noah, controlla il sedile anteriore > ordina la donna e l’uomo sparisce dalla mia visuale.
Stringo il polso della mano sanguinante e il mio sguardo cade sulla pistola.
L’afferro con la mano sinistra e premo il grilletto.
La donna fa qualche passo indietro, ma nessuna macchia di sangue compare sulla sua pancia, dove invece il foro dello sparo è evidente, giubbotto anti-proiettile.
< Lurid- >
Ma non riesce a finire la frase, riesco solo a vedere lo sguardo sconvolto del ragazzo dagli occhi azzurri e la faccia cupa della donna, perché poi le stelle bianche mi confondono la vista e non realizzo più nulla, oltre il clamoroso impatto con il pavimento in plastica sporca.
 
 
 
Apro gli occhi faticosamente e un senso di nausea mi risale dalla bocca dello stomaco.
Sono ancora in macchina, sento il rumore delle ruote sull’asfalto e un tranquillo chiacchiericcio di voci semisconosciute.
Non comprendo bene la situazione, ma riesco a bisbigliare sommessamente.
< Fermate un secondo la macchina >.
Mi accorgo che in qualche secondo, la mia richiesta è stata esaudita.
Apro con difficolta lo sportello, con la mano sinistra, mentre la destra è fasciata malamente e il sangue coagulato è visibile oltre i sottili strati.
Ho di fronte a me, un rado strato di immondizia e erba mal cresciuta, un guardrail divide quella che realizzo essere l’autostrada da una valle, mi reggo al metallo della barriera e mi sporgo.
La nausea si fa più forte, ma l’unica cosa che riesco a espellere dal mio corpo è bile, perché non mangio nulla da più di un giorno, la partenza mi ha chiuso lo stomaco.
Silenziosamente, mentre mi tengo lo stomaco con la mano destra, risalgo in macchina, sto talmente male che non mi rendo neanche conto di essere nella stessa macchina con le tre persone di prima.
Il ragazzo, al posto di fianco al mio, mi guarda con tristezza, l’uomo davanti, alla guida, mi osserva dallo specchietto retrovisore con un sorriso che dovrebbe essere rincuorante, mentre la donna con la treccia è di spalle, al posto del passeggero, e non mi degna di un’occhiata.
< Da quanto tempo non mangi? > chiede l’uomo con voce roca, ripartendo lentamente.
< Da tre giorni > rispondo senza problemi, cercando di intuire dove siamo dal paesaggio fuori dal finestrino oscurato.
< Ecco perché sei così magra – constata con un sospiro – se vuoi sopravvivere devi imparare a mangiare di più > aggiunge.
Un moto di rabbia mi porta a sputare le parole come veleno.
< Non ho idea di chi siate, avete ucciso il mio mentore, sono quasi morta dissanguata a causa vostra e tu adesso mi vieni a dire che dovrei mangiare di più? > le ultime sillabe assomigliano più ad un ringhio che ad altro.
< Abbiamo un bel caratterino eh ? > risponde disinvoltamente l’uomo.
Digrigno i denti nervosamente e il ragazzo accanto a me sembra notarlo.
< Siamo la squadra di servizio del campo di addestramento di Eria - risponde con voce calma e controllata il ragazzo – non so cosa l’uomo con cui eri in macchina ti abbia detto, ma era della fazione nemica, è una tattica che usano molto spesso ultimamente, ci rubano i dati dei nuovi arruolati e li prelevano scambiandosi per noi, poi li addestrano facendogli credere che i veri cattivi siamo noi, io sono Luke, lui è Noah e lei è Emma >.
Luke mi scruta con i suoi occhi azzurri, mentre un silenzio di tomba cala nell’abitacolo.
Stiamo ancora sfrecciando sull’autostrada e mi prendo qualche secondo per analizzare le figure delle persone che ho intorno, Luke sembra molto gentile, ha la pelle chiara, gli occhi di un azzurro intenso, i capelli che gli ricadono disordinati sulla fronte e gli sfiorano la nuca, ha  una corporatura normale, Noah, l’uomo che guida ha gli occhi castani, lo stesso fisico di James, i capelli piuttosto corti castani, e poi c’è la donna di nome Emma, quella che mi ha tirato il coltello, la stessa alla quale ho sparato, in questo momento è girata verso di me, mentre si aspetta molto probabilmente delle scuse, e mi inchioda con i suoi occhi che sembrano grigi, ha i capelli neri raccolti in una treccia molto stretta e non indossa neanche uno strato di trucco.
Solo in quel momento realizzo che indossano tutti e tre una tenuta blu scuro.
Una sensazione di disagio mi investe e mi rendo conto di essere inadeguata nel mio vestiario, indosso una sorta di tuta nera, con una t-shirt verde scuro e le braccia scoperte.
Mi copro istintivamente le braccia, mentre mi rendo conto che sto tremando per il freddo.
Noah stacca la mano dal volante e accende il riscaldamento, solo in quel momento mi accorgo che stanno studiano ogni mia piccola mossa.
< Hai degli occhi molto belli, sono di un verde brillante che non ho mai visto - esclama Emma – peccato che dovrò cavarteli per avermi sparato > .
< Scusa – dico ironicamente massaggiandomi la ferita – ma una che mi mutila la mano con un coltello non mi ispira fiducia, e poi quell’uomo, James, mi ha detto di sparare a tutti quelli che non fossero lui >.
Luke sospira, mentre Noah si concentra sulla guida.
< Al campo ti farò passare le pene dell’inferno, ricordatelo ragazzina > la sua minaccia non mi preoccupa, ma il lampo di soddisfazione che le attraversa lo sguardo mi insospettisce, poi mi accorgo del perché.
Tremo visibilmente e sono protesa verso le mie gambe, come a proteggere il busto, la mascella è testa e sto di nuovo, involontariamente, digrignando i denti, allento la presa del morso e li sento tutti indolenziti.
Il ragazzo accanto a me, mi fa cenno di stendermi e appoggiare la testa sulle sue gambe, mi rendo conto che prima di scendere dalla macchina ero nella stessa posizione.
< Olivia Mills  – pronuncia il mio nome a bassa voce, come se avesse paura – con noi sei al sicuro, riposati > il suo sguardo implorante mi convince e mi stendo sul sedile, con la testa sulla sua coscia.
La sua mano si avvicina timorosamente alla mia testa, accarezzando i capelli, mi hanno sempre detto di avere dei capelli molto belli, sottili e morbidi come quelli dei bambini, credo che se ne sia accorto, perché la sua mano continua a sfiorarli con decisione.
Il gesto mi tranquillizza, anche se non riesco a dormire e continuo a fissare il sedile nero  a pochi centimetri da me.
Sono piena di dubbi, ma non riesco a formulare neanche una domanda.
La mano ferita pulsa dolorosamente, come la testa.
Mi ci vogliono dieci minuti buoni, ma finalmente riesco a rilassare i muscoli e in qualche istante sono scivolata tra le braccia di Morfeo.
  
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