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Autore: Illa_    03/06/2013    2 recensioni
“Tornerò a casa presto” le mimo silenziosamente con le labbra, per paura che qualcun altro oltre me e lei, possa recepire il messaggio.
Vedo qualche sua ciocca di capelli castano chiaro, come i miei, scivolarle da dietro le orecchie, per sfiorare le guance arrossate dal freddo.
I suoi occhi castani mi stanno implorando, così decido di girarmi, ma prima di poterlo fare vedo le sue piccole e rosse labbra muoversi.
Non riesco più a sopportare il peso della partenza, così mi dirigo in fretta verso il cancelletto in ferro battuto che divide la villetta dalla strada, ed esco.
La via che devo percorrere è breve, so dove devo andare e non mi piace affatto.
Percorro qualcosa come duecento metri e finalmente posso sentire il peso delle parole di mia sorella.
“Salvaci”.
L’eco della sua voce mi rimbomba nella testa, anche se non ha mai sfiorato le mie orecchie con quella parola.
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Prologo.










L’alba è ancora pallida quando esco di casa, per quella che spero, non sia l’ultima volta.
L’orizzonte è di un candido rosa e sento le presenze dei miei genitori e di mia sorella alle spalle, così mi giro e li saluto ancora una volta.
Mia madre si stringe tra le braccia di mio padre e tiene la testa appoggiata sul suo petto, non riesco a vedere i suoi occhi, ma sono sicura siano pieni di lacrime.
Mia sorella è la più bella, mentre si sporge dal balcone accanto alla finestra dove i miei genitori mi osservano dal caldo di casa.
Lei è lì, con i piedi appoggiati alla ringhiera, mentre mi osserva con gli occhi lucidi, so che se avesse potuto non mi avrebbe lasciato andare via, o che se non fosse stata così piccola e innocente, avrebbe pensato di venire con me, ma non è così.
La guardo,  sento le lacrime fare pressione sui miei occhi, ma prendo un bel respiro e cerco di sembrare serena.
“Tornerò a casa presto” le mimo silenziosamente con le labbra, per paura che qualcun altro oltre me e lei, possa recepire il messaggio.
Vedo qualche sua ciocca di capelli castano chiaro, come i miei, scivolarle da dietro le orecchie,  per sfiorare le guance arrossate dal freddo.
I suoi occhi castani mi stanno implorando, così decido di girarmi, ma prima di poterlo fare vedo le sue piccole e rosse labbra muoversi.
Non riesco più a sopportare il peso della partenza, così mi dirigo in fretta verso il cancelletto in ferro battuto che divide la villetta dalla strada, ed esco.
La via che devo percorrere è breve, so dove devo andare e non mi piace affatto.
Percorro qualcosa come duecento metri e finalmente posso sentire il peso delle parole di mia sorella.
“Salvaci”.
L’eco della sua voce mi rimbomba nella testa, anche se non ha mai sfiorato le mie orecchie con quella parola.
Una terribile consapevolezza mi attanaglia lo stomaco.
Domani tutto quello che ho intorno a me  potrebbe non esserci più, è tutta una questione di fortuna, potrebbero attaccare prima un’altra area, oppure decidere che questo non è il momento adatto per sterminarci tutti, questo non lo posso sapere, come d’altronde il luogo in cui sto per andare, è tutto un segreto, ci devono addestrare, ecco tutto.
Questa è la guerra, quella che sperano vinceremo.
Mi sto accasciando a terra, sempre più cosciente della mia nuova realtà, dovrò patire la fame, il freddo, le peggiori sofferenze, per poi arrivare alla morte.
Non arriverò all’anno prossimo.
Sento le lacrime calde e salate rigarmi le guance bianche, mentre il cuore pompa sangue ad una velocità spaventosa.
Mi stringo sul ciglio della strada, anche se so che nessuno ha il permesso di uscire dalla propria casa prima delle sette.
Le regole stabiliscono condizioni difficili, ma obbligatorie.
Sono in pericolo anche io qui, seduta, mentre dovrei essere già a metà strada.
Mi rialzò, mentre la visuale di casa mia è scomparsa da un pezzo.
Questa è la prima mattina fredda di settembre, nonostante sia ancora estate, la temperatura è molto bassa.
Precisamente è il tre di settembre, il giorno del mio diciassettesimo compleanno.
I miei genitori non hanno più potuto pagare contemporaneamente la salvezza mia e di mia sorella, così come non hanno potuto fare la stessa cosa con me e mio fratello.
Così ho deciso di partire, lei è ancora piccola, non sopravvivrebbe mai, mentre io ho qualche possibilità.
In realtà non è così, ma io li ho convinti, dicendogli che potrei fare qualcosa di utile, che questa potrebbe essere l’ultima delle battaglie, non riesco a credere che siano state le stesse parole di mio fratello.
Tutta la città sa bene quant’è dura la morte di un ragazzo o di una ragazza, anche se ormai capita molto spesso.
Chi è più benestante può sperare di mandare la propria prole, all’addestramento, il più tardi possibile, o anche riuscire, attraverso cospicui pagamenti, a non mandarceli affatto.
Quando ti portano nei campi di addestramento, devi lavorare sodo, per avere un buon posto, più sei incompetente, più i compiti sono terribili, questo è quel poco che sappiamo sulle condizioni di chi parte,  non c’è dato sapere altro, come il resto d’altronde.
Il silenzio intorno a me è quasi fastidioso per le orecchie, solo il rumore delle mie scarpe ad ogni passo, mi evita di impazzire.
Alla fine della strada, nel parchetto, ci sarà una guardia ad aspettarmi.
Sento le mani formicolarmi e la testa pulsare, mi guardo intorno spasmodicamente nel tentativo di catturare più immagini e ricordi possibili.
Mancano pochi passi alla fine del muretto che contorna il parco, dove una guardia mi starà aspettando.
Poggio la mano sulla superficie ruvida e sassosa, e volgo lo sguardo verso i tavolini, dove un uomo con lo sguardo truce mi sta aspettando.



 











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