Film > Le 5 Leggende
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Autore: LunaLove_good_    06/06/2013    5 recensioni
Nata per morire. Viva per combattere.
Trapassare cuori con la spada è facile, estrarre la spada dal cuore trapassato non lo è.
Perché quando il tuo unico scopo è portare sofferenza, tutto quello che l’amore può fare è uccidere.
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Cinque Guardiani, Jack Frost, Nuovo personaggio, Pitch
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi guardo intorno con disinteresse, alzando lo sguardo al cielo terso e azzurro che sovrasta l’America. Dalla cima del palazzo dove mi trovo vedo alla perfezione le persone che si affannano nei loro ritmi di vita sfiancanti, costantemente in gara con il tempo pur sapendo che non possono vincere.
Mi domando cosa sperino di ottenere sballottandosi da un posto all’altro con una fretta disumana. Il che è tutto dire.
Mi tiro il cappuccio sul viso e guardo in basso, le automobili intasano la strada e sembrano piccolissime dalla mia altezza, ma io riesco a vederle perfettamente, merito della vista straordinaria che mi è stata donata.
Stringo l’elsa della spada e mi butto di sotto.
Sensazione inconfondibile: i polmoni si svuotano, lo stomaco sembra rimanere al momento del salto, l’adrenalina invade il cervello, il vento sferza il viso e affetta le guance.
Se fossi una creatura della Luna, forse ora starei urlando di gioia, ma non sono stata creata per provare gioia, così, assieme al mondo che mi vortica addosso, l’unica cosa che sento è un grande senso di potenza.
Vedo l’asfalto avvicinarsi, mi concentro e rallento la caduta, fino ad atterrare con tranquillità in posizione verticale. Il cappuccio non si è nemmeno abbassato.
Sorrido tra me e me e mi avvio per le strade di Burgess.
La città è frenetica, ma mi ci sono abituata in fretta, giusto quattro giorni di tempo: i primi due per imparare ad usare il mio nuovo corpo, gli altri ad usarlo in un mondo dove nessuno ti vede o sa che esisti. Poco male, almeno la gente mi attraversa e non mi sta in mezzo ai piedi.
Raggiungo un asilo e mi siedo su uno degli scivoli del giardino. Vedo i bambini uscire a giocare con i loro adorabili quanto irritanti sorrisoni. È strano che ancora giochino fuori, l’aria è pungente e presto saprà d’inverno, ma suppongo che non ci sia molta differenza di temperatura dall’interno della scuola, visto che sono imbacuccati in piumini rotondi e colorati che li fanno sembrare pronti a rotolare per miglia e miglia nel caso inciampassero.
Uno di loro mi si avvicina, è femmina ed ha i capelli biondi e disordinati, due occhi grandi e verdissimi e due ali da farfalla malamente appiccicate al piumino arancione. Se fossi un’altra, credo che sarei intenerita dal suo camminare come un pinguino, ma l’unica cosa che mi concedo è guardala con un sopracciglio inarcato da sotto il mantello. La bambina sembra fissarmi, ma so che non è possibile; immagino voglia salire sullo scivolo.
Mi alzo con lentezza e mi metto a girare attorno agli adorabili pargoletti che Pitch tanto odia: di loro non mi importa, se lui vuole che li faccia soffrire, lo farò.
Gli stivali di cuoio che indosso attutiscono i passi, non che sia chissà quanto importante quando nessuno può sentirti... Mi fermo quando raggiungo una finestra del corridoio di quella squallida e colorata scuola materna. Decisamente strano dare questi due aggettivi ad uno stesso luogo, ma è questo l’effetto che mi fa questo posto, non saprei descriverlo in altro modo.
Mi fisso nel riflesso che il vetro mi manda e sorrido soddisfatta: perfettamente anonima.
Né uomo, né donna, solo uno strumento mortale e pericoloso.
Corpetto e pantaloni di cuoio ad annullare quel po’ di curve che avevo e mantello lungo fino ai polpacci e calato sul viso a fluttuarmi sulle spalle.
Un’ombra, nient’altro. Assolutamente magnifico.
Mi giro con uno scatto e mi guardo intorno.
Risatine e grida stridule di mocciosetti quasi perforano le orecchie, mi domando perché devo essere io a sopprimere quegli strani cosi quando i primi a farlo dovrebbero essere i loro genitori!
Sbuffo irritata e sguaino le spada con un unico, fluido movimento. La lama nera scintilla alla luce del giorno, pigra anche lei, proprio come me.
Faccio qualche passo, prima di scattare velocissima e affondare.
Il cappuccio mi cade sulle spalle, i capelli blu si agitano al vento trattenuti da due orecchie appuntite.
Il tempo si ferma, io ghigno. Il bambino piange.
La mia spada lo attraversa da parte a parte, gli inietta nelle vene il veleno della disperazione, della solitudine, della sofferenza. Dolore atroce... è quello che gli vedo stampato in faccia.
È strano vedere un viso così rotondo deformato a quel modo. Fa quasi venire da ridere.
Una maestra accorre, io libero la lama e la rinfodero. Non un segno sul petto della mia vittima, la ferita è troppo profonda per essere vista. Mi scompiglio i capelli con un gesto annoiato e guardo la maestra che tenta di farlo smettere di piangere. Povera illusa, la disperazione non si cura con qualche carezza, il nanerottolo è andato.
Un letto mezzo distrutto compare alla mia destra, lo raggiungo con calma e mi butto nel buco sotto le assi di legno. Il vento mi sferza la faccia durante la caduta, per poi arrestarsi di botto al contatto con il suolo. L’oscurità più totale mi avvolge, ma non mi preoccupo: ci vedo come se fosse giorno.
Percorro oscillando il tunnel in cui mi ritrovo, sorridendo soddisfatta quando vedo i miei passi che non fanno rumore neanche per sbaglio. Sembro un fantasma, non è male come sensazione. Devo solo imparare ad essere così silenziosa anche nel fango degli asili di Burgess.
Continuo a camminare senza una meta apparente; in fondo, non puoi mai sapere con precisione quanto manca al regno dell’Uomo Nero. Il buio non è una strada mai ben definita.
Pitch sarà sicuramente contento dell’ennesima vittima privata della gioia di vivere, un altro bambino preda di un dolore che non dovrebbe provare nessuno.
Ma io non sono altro che uno strumento, un incubo dalla pelle pallida come la Luna; la crudeltà non mi tocca, non credo neanche di riuscire a provare sentimenti, mi limito solo ad eseguire gli ordini di chi mi ha creata.
Vivo per volere dell’Uomo Nero, se non gli servissi più gli basterebbe uno schiocco di dita per distruggermi. Ma, alla fine, esistere o no... che differenza fa?
Il tetro anfratto del mio signore mi si presenta con la sua aria inquietante. Lui è seduto, mi aspetta.
Io mi inchino, lui sorride. «Ben fatto.» mormora.
Non avrebbe bisogno di me per procurare dolore, lo sappiamo entrambi, ma dopo la sconfitta contro i Guardiani i suoi poteri si sono dimezzati e non gli hanno permesso di tentare un altro scontro. Così mi ha creata: perché lo aiutassi a compiere la sua vendetta, perché cominciassi a scagliare sofferenza in attesa dell’onda finale, la sua.
Sto preparando il mondo alla sua ascesa.
In un battito di ciglia e una nuvola di sabbia nera si porta davanti a me, io non muovo un muscolo.
«Ti troveranno, lo sai?» mi sussurra.
I Guardiani.
«Sarò pronta.»
«Lo so.» ribatte. «E li ucciderai. Tutti.»
Annuisco. Pitch non è un codardo, non credo rinuncerà a combattere in prima persona contro le Leggende, troppa rabbia e troppo rancore non sono facili da sopprimere.
Io devo solo eseguire gli ordini.
Forse di un nome potrei aver bisogno, alla fine. Un segno di giustizia: devono sapere come chiamare la minaccia che incombe.
Ripenso alla lingua strana e contorta che ho sentito da alcuni studenti più grandi e penso che non era affatto male.
Non ho bisogno di un nome artistico o stupendo, solo di un insieme di sillabe che avvisi chiunque del pericolo che sta arrivando.
Trovarlo non è affatto difficile, al contrario è talmente semplice da sembrare banale.
E se mai uno strumento verrà ricordato, mi ricorderanno come Fonhìas Oneyron, l’Assassina di Sogni.







***









Ciao? *entra timidamente in attesa di parolacce*
Okay, non ho idea di quello che ho combinato, lo ammetto, però questo capitolo mi piace... poco, poco...
Vorrei precisare alcune cose: prima di tutto, la protagonista è uno Spirito di Pitch, il che significa che non ha esattamente i suoi poteri: lui porta paura, lei sofferenza.
Poi potrei sembrare un po' parca di descrizioni, per esempio non ho descritto il bimbo colpito, ma posso dire a mia difesa di averlo fatto per sottolineare il totale disinteresse di Fonhìas per le sue vittime. Per lei sono solo ordini da eseguire.
Infine il nome l'ho preso modificando i termini greci che significano appunto Assassina di Sogni. Premetto che non ho mai studiato greco, ma se è anche lontanamente simile al latino, credo di aver sbagliato tutto, pardon.
Anche se a me il nome piace!
Poi, boh... il capitolo mi è piaciuto, non so perché...
Ringrazio tantissimo pheiyu per la sua recensione, che mi ha incoraggiata tantissimo, e DreamFall e Tamisa24 per aver messo la storia tra le preferite :)
Se vi va di lasciare un commentino, è sempre gradito...
Al prossimo capitolo! *saluta con la manina*
  
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