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Autore: AngelOfSnow    12/06/2013    1 recensioni
Disclaimer:i riferimenti a luoghi e/o persone sono puramente casuali. I personaggi fanno parte della mia opera.
La luna era alta nel cielo, chiara, bella e malinconica.
Si stagliava fiera e maestosa sullo Stretto di Messina e il suo riflesso rischiarava gli ambienti, anche se le luci arancioni dei lampioni ne dimezzavano la bellezza.

[...]
Jacopo si guardò intorno: a quell’ora tarda, chi voleva incontrare?
Chiuse gli occhi e sospirò, auto insultandosi per aver ritardato anche quella volta.
Aveva tirato troppo la corda con Daniel e adesso era stato piantato per l’ennesima volta, anche se era una conseguenza diretta del suo ennesimo ritardo.

[...]
Daniel aveva vissuto i tre mesi immerso nei libri per non pensare al rimorso di quel pomeriggio che l’aveva lentamente divorato e reso ancora più apatico del normale. Lui che solitamente rimaneva impassibile anche al fatto più eclatante, era rimasto turbato dalla reazione di Jacopo, condizionandolo in modo più o meno permanente.
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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Clair de Lune

Clair de Lune.

 

Perchè è quando guardi la luna,

che ogni emozione si annulla

devota alla sua misteriosa bellezza.

 

 

La luna era alta nel cielo, chiara, bella e malinconica.

Si stagliava fiera e maestosa sullo Stretto di Messina e il suo riflesso rischiarava gli ambienti, anche se le luci arancioni dei lampioni ne dimezzavano la bellezza. A quell’ora vi erano poche persone intente a passeggiare, mentre  un solo ragazzo stava correndo in mezzo ai passanti rimasti,  creando piccole nuvole di condensa a causa della corsa.

Era alto e bello. Una di quelle bellezze semplici, dagli occhi verdi e i capelli biondi.

Jacopo si guardò intorno: a quell’ora tarda, chi voleva incontrare?

Chiuse gli occhi e sospirò, auto insultandosi per aver ritardato anche quella volta.

Aveva tirato troppo la corda con Daniel e adesso era stato piantato per l’ennesima volta, anche se era una conseguenza diretta del suo ennesimo ritardo.

Scrollò la zazzera di capelli biondi trovando inutile quel dato e si guardò intorno, mordendosi il labbro rosa fino a farlo divenire rosso.

Era colpa esclusivamente del principale e del fatto che le clienti facessero richiesta esplicitamente di lui e dei suoi cocktail, al bancone; lui si sarebbe tolto la divisa in meno di un secondo, se non gl’avessero chiesto di fare uno di quei straordinari spacca schiena ma estremamente visibile sul portafogli.

Improvvisamente si sentì perso. Perso semplicemente per il  fatto che fosse solo, a pregare per l’impossibile e a chiedersi come avesse potuto far tardi anche quella volta.  

Gli piaceva da impazzire Daniel e lui non aveva creduto all’ultimatum mormorato dalle sue labbra, cullandosi sul fatto che si erano appena dichiarati.

<< Aaah! >> dal suo metro e ottanta era troppo facile vedere le teste delle persone, ma nessuna aveva quella colorazione d’alabastro puro.

Si rannicchiò su se stesso in una posizione fetale, incurante degli sguardi dei pochi passanti, e mordicchiò l’unghia del pollice destro, mentre l’altra andava a posarsi in testa.

Dalla visuale bassa in cui era, il mondo appariva meno frenetico e decisamente più caotico, con le luci soffuse, il vento meno sferzante e i suoni resi meno striduli grazie agli altri corpi presenti in giro a fermare le vibrazioni nell’aria. Era una bella città, quella di Messina.

Se non si badava ai cumuli incolti a profanare le strade e a moltiplicarsi come funghi di spazzatura, si ignorava bellamente l’assenza di trasporti pubblici e si censuravano i commenti poco carini degli autisti, spinti oltre gli ottanta con il semaforo rosso…bhé, nel mondo poteva anche esserci di peggio. Sopra ogni cosa: il mare. Così bello e limpido in un inverno assurdamente rigido e piovoso per quei territori, da attirare tutti i suoi sguardi.

Da dove proveniva lui, uno di quei paesi montani dimenticati perfino dagli stessi Siciliani, il mare era solo la fervida immaginazione di quelli che desideravano vederlo, espresso da disegni infantili e temi sulle condizioni dei ghiacciai durante medie e superiori.  A lui era bastato il diploma per cercare un lavoro pulito e mettersi in testa che l’Italia stava andando allo scatafascio.

Alzò lo sguardo dal piccolo rifugio che si era andato a creare e sospirò, pentendosi amaramente di esser arrivato in ritardo: voleva vederlo.

Si alzò in piedi e si mosse con l’intento di tornarsene a casa e pensò bene di chiamare Daniel, promettendosi di portarlo a ballare al M’Ama quel sabato sera, così da sentirsi meno in colpa.

La zona della passeggiata, nei pressi della Fiera di Messina, era completamente deserta, salvo qualche macchina a tutta velocità con gli autisti euforici ed ebbri di festa, mentre tutte le luci andavano a rendere troppo illuminata una zona che, di solito e norma, sarebbe dovuta rimanere all’oscuro. Dopo una quarantina di metri, due semafori rotti superati senza fretta e un incrocio ampio quattro gareggiate, Jacopo sentì lo sciabordio lento dell’acqua che si infrangeva contro le pietre del porto delle imbarcazioni pescherecce e di quelle della Marina militare e ne rimase affascinato. Decise allora di passare dal lato opposto della strada e, guardato a destra e sinistra, saltò senza nessun ostacolo il divisorio fra marciapiede e rotaie del tram, arrivando direttamente sulle rotaie.

Con un sospiro teatrale Jacopo  tagliò per le rotaie saltò sul marciapiede opposto, superò la strada a doppio senso di percorribilità all’altezza di Perigolosi, la gelateria seconda solo a Santoro a Piazza Cairoli, scavalcando anche la recinzione nuova di mesi, fatta per dividere la zona portuale dalla strada,  e atterrò sul molo bagnato dalla salsedine annusando a pieni polmoni ciò che Daniel chiamava tanfo.

Lui trovava quell’odore come caratteristico e affascinante.

Tutti i turisti forse la pensavano come lui, ma il fatto era uno e semplice: viveva a Messina dal 2009 e non si era ancora abituato a quella bellezza spropositata.

Poi quella sera doveva essere la sua notte fortunata: la luna era alta in cielo e veniva riflessa dal mare presente nello Stretto, mentre la tranquillità delle onde che si infrangevano contro le pietre sembravano una cantilena atta ad affermare la bellezza della luna stessa. Da dove era posizionato lui, si riusciva a vedere perfino il Pilastro di Messina e la Calabria.

Daniel. Fu il lamento della sua testa e sospirò, sedendosi sul bordo dei mattoni umidicci e neri del porticciolo, con la testa incassata nelle spalle. Prese il telefono dalla tasca dei jeans e poggiò la borsa con le birre al suolo.

<< Non pensi che sia tardi per mandarmi un messaggio? >> la voce perennemente bassa e roca di Daniel lo fece saltare sul posto., facendogli quasi perdere la presa sull’Iphone. Con il display illuminò la persona che gli era al fianco, in piedi con le mani nelle tasche, un leggero fiatone, in tenuta da corsa con una semplice felpa primaverile a coprirlo e dei pantaloni aderenti che mettevano in risalto le gambe non troppo muscolose ma atletiche.

I suoi occhi verdi, incontrarono quelli ambra di Daniel, mentre i capelli d’ebano si confondevano con le ombre in giochi poco chiari di colori: cos’era più scuro?

Jacopo boccheggiò un paio di volte e Daniel s’accomodò al suo fianco, togliendo dalle orecchie anche l’altra cuffia dell’Mp3 per andare a posarlo dentro l’unica tasta davanti la felpa blu notte che indossava.

<< Sono le tre del mattino, quando volevi dirmi che non saresti venuto nemmeno oggi all’appuntamento? >> continuò imperterrito, facendo valere meno di una merda il biondo.

L’altro incassò ancora di più la testa fra le spalle e si scusò. << Mi hanno trattenuto fino le due al bar senza darmi tregua. >> si giustificò poi, vedendo che l’altro continuava ad avere la sua solita faccia inalterabile e fredda e guadava il panorama.

<< Jacopo… >> disse ad un tratto Daniel. << Sono stato ad aspettarti fermo per più di tre ore. Avevamo appuntamento alle undici e mezza: cosa ti costava prendere quello stupido aggeggio e mandare un messaggio? >> in viso nessun cambiamento, solo una labbro leggermente arricciato e la voce accigliata. << Comunque… >> aveva sospirato il corvino rimettendosi in piedi. << Io t’avevo avvertito. >>

E così come era arrivato alle sue spalle, dopo essersi rimesso in piedi, stava andandosene.

<< A-Aspetta! >> tartagliò Jacopo e quello fece finta di nulla, riprendendo a correre con un auricolare, segno che non lo stava ignorando del tutto.

I passi di Daniel erano silenziosi, in una corsa leggera e senz’affanno, anche se manteneva un ritmo serrato, abbastanza veloce.

I passi di Jacopo erano trascinati e stanchi, incespicanti, e tenevano il passo senza fatica, poiché se Daniel compiva tre passi, a lui bastava farne uno abbastanza ampio per raggiungerlo. << Sei irritante, Jacopo. >> borbottò il corvino e l’altro sorrise, cercando di farsi rivolgere come minimo un’occhiata.

Daniel affrettò il passo sul lungomare, per nulla intimorito dal freddo pungente invernale e dalla pioggerellina che stava prendendo a cadere dal cielo e Jacopo, nella corsa, si tolse il giubbotto a vento, per gettarlo sulle spalle del più basso, arrendendosi al fatto che non gl’avrebbe rivolto nemmeno un insulto e se ne andò con un sorriso sghembo in viso.

 

Daniel si fermò tenendo ben salda la giacca sulle spalle e guardò dietro sé­: non vide più nessuno; automaticamente si guardò intorno e lo vide attraversare la strada deserta con la testa infossata nelle spalle, il passo lento e mogio e un broncio degno del miglior bambino testardo che voleva la caramella e non poteva averla.

A Daniel non piacevano le caramelle, né tanto meno i dolci, quindi, non sarebbe mai stato in grado di dare il contentino a nessuno… improvvisamente rifletté sulla parola ‘contentino’ e scoppiò a ridere, immaginandosi delle orecchie da cucciolo di Labbrador sulla testa di Jacopo, seguite a ruota da un nasino piccolo, la lingua penzolante e una coda morbida scodinzolante.

Esatto: Jacopo alcune volte era un cucciolo di Labbrador che non era ancora riuscito a lasciare la sua parte bambina e  che lo rendeva così irritante e pieno di allegria.

Sospirò, trovandosi ancora molto arrabbiato per quella serata e riprese a correre, cercando di cancellare dal petto la delusione e la rabbia.

A lui non piacevano né i cani, né i bambini, né gli idioti. Si chiedeva sempre come fosse riuscito a farsi ammaliare da Jacopo e  puntualmente alzava le spalle, senza trovare risposta.

Lui, Daniel Serri, la mente più brillante del corso di psicologia criminale, infantile e di tante altre discipline, non riusciva a trovare una soluzione.

In fondo sapeva che era impossibile psicoanalizzare se stessi, ma contava sul fatto di riuscire a pensarsi in terza persona e a parlare di sé oggettivamente come da sempre faceva.

Sospirò e decise che per quella notte aveva corso abbastanza, ricordando che l’indomani aveva delle lezioni e da lavorare.

Tornò a casa verso le cinque meno venti del mattino e dormì tre ore prima di alzarsi e andare all’università.

Quando arrivò davanti all’edificio e vide le anticipazioni delle sessioni di esami alzò le spalle, avendo già studiato tutti i tomi e le dispense dei professori e trovato anche dei riferimenti interessanti su alcuni libri.

Per tutte le quattro ore, si era sorbito le lamentele dei suoi colleghi e di Cassandra, la ragazza più chiacchierona e pettegola del corso di pedagogia, su quanto fosse stanca di stare al gioco di quattro vecchi bacucchi, sapendo all’ultimo momento le date.

<< Studia. >> si era limitato a sbuffare mentre ascoltava in modo passivo il professore e contemporaneamente la castana, in carne e dalle forme generosamente abbondanti che, a quella risposta così disinteressata e articolata, aveva cambiato posto e aveva preso a lamentarsi con altre ragazze.

Quando finì le lezioni il professore lo chiamò chiedendogli se l’avesse potuto aiutare con un progetto sulla memoria e le tecniche di memorizzazione.

Daniel aveva alzato le spalle con la solita aria sfaticata e fannullona, prima di controllare l’orologio. << No problem. Però devo essere a Provinciale prima delle cinque. >> aggiunse, mentre il professore lo trascinava a destra e manca per la sede, mettendolo alla prova: la sua memoria era fenomenale.

Dicevano spesso che casi come lui erano rarissimi e quasi introvabili, specie se si riusciva a memorizzare materie su materie in una settimana e ricordarne il contenuto a vita.

La cosa non lo toccava minimamente e, anzi, più domande gli facevano, più il pensiero andava a quell’idiota di Jacopo e al fatto che non gli avesse mandato un messaggio, nemmeno per scusarsi.

Alle due del pomeriggio, mentre mangiava un panino al volo, il suo Nokia-modello-anti-carroarmato prese a vibrargli in tasca.

<< Dovresti comperarti un nuovo telefono. Sai? >> alzò gli occhi dal telefono solo per incrociare gli occhi ambra  della sorella e alzare le spalle, indicandole il posto vuoto davanti al suo con un cenno del capo.

 << A me piace questo. >> sbottò, addentando nuovamente il panino.

 La sorella, il suo esatto contrario, sorrise in modo furbo e si appoggiò allo schienale della sedia, adocchiando uno dei camerieri del locale.

<< Com’è andata ieri con Jacopo? >> chiese in fine, spronando il fratello a parlare.

<< Quale Jacopo? >> lasciò intendere tutto e la sorella si batté una mano sulla fronte, scotendo il capo.

<< Hai seguito il tuo ultimatum? >> sospirò affranta mentre il corvino si ripuliva gli angoli delle labbra con un fazzoletto e si dirigeva alla cassa per pagare.

<< A me piacciono le ragazze, Sara… >> mormorò camminando sotto il sole caldo  in direzione di una delle fermate del tram, guardando di sottecchi il Tribunale e la sua spropositata cupidigia.

<< Lo so, ed è per questo che quel ragazzo era l’eccezione, no? >> cantilenò la ragazza e lui la guardò male, passandosi una mano fra i capelli e frizionandoseli appena.

<< E’ un idiota. >> ammise infine e attraversò la strada mentre Sara gli si appiccicava al braccio con fare gioioso.

<< Non lo sono anche io, fratello? >>

Daniel sospirò al ghigno vittorioso della sorella e annuì sbrigativo, mentre vedeva da lontano il mezzo pubblico.

Alle quattro e mezza, dopo due ore nelle mani di Sara a fare shopping selvaggio, fu davanti alla porta della signora dove lavorava a suonare il campanello sulla quale  era inciso un cognome con lettere eleganti. Quella era via Antonello, una delle piccole vie adiacenti a Provinciale, che la mattina vedeva passare le studentesse dell’ex Magistrale Emilio Ainis dal quale si era diplomato tre anni addietro. Era una salita abbastanza ripida e stretta, dove due sbocchi a destra e a senso unico, permettevano di tornare senza fatica e ingorghi a Provinciale stesso, pur essendo quella di via Antonello una stradina ad unico  senso di percorribilità.

La porta fu aperta dalla padrona di casa e lui sorrise appena. << Buongiorno Daniel! >> trillò la vecchina e lui salutò, non con altrettanta verve, ma con un generoso << Buongiorno signora. >> mentre la donna gli faceva spazio per entrare e come al solito si perdeva in aneddoti della giornata e del fatto che si fosse sentita terribilmente sola.

Il suo lavoro lì consisteva semplicemente nel fare compagnia alla signora, autosufficiente ma con uno stato di alzheimer che la stava divorando poco a poco.

<< Sta mangiando? >> domandò in modo piccato, notando la magrezza del volto e delle

dita affusolate.

<< Certo… >> rispose e si andò a sedere su una delle poltroncine del grande salone indicandogli di fare altrettanto.

Lui lo chiamava “lavoro” quello, ma in realtà era un favore che faceva alla sua migliore amica, andata a Londra per un corso studi di due anni, che non aveva nessuno di fidato a cui affidarla.

S’era preso la briga di farlo solo per due motivi: era una signora così colta da essere ammaliante con la sua parlantina mai troppo noiosa o troppo gioiosa e oramai la considerava come la nonna che non aveva mai avuto l’onore di conoscere.

E poi lui e la signora Nina avevano un patto: quando lei non sarebbe stata più in grado di ricordare, lui le avrebbe riraccontato ciò che lei aveva raccontato lui, senza omettere nulla. 

Il pomeriggio passò così, fra un racconto e un altro, confermando la tesi di Daniel sulla solitudine delle persone anziane, che sopravvivevano ai loro figli e della loro desolazione nel petto quando raccontavano a qualcun altro le loro storie.

Il telefono vibrò per quindici volte.

   
 
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