Cap 18
- Chi è questo
ragazzino? –
- Il fratellino
di Jack. – replicò il tipo, spingendolo in avanti
in modo che il capo della
banda lo vedesse in faccia.
- Sì, in effetti
si assomigliano molto. Cosa c’è, tuo fratello
è troppo codardo per venire di
persona e manda te? –
- Già, sembra una
cosa molto da Jack. – confermò ridacchiando quello
che lo aveva spinto.
A quelle parole,
lui che era poco più che un bambino e all’epoca
venerava il fratello, rispose a
tono: - O forse siete voi che siete troppo poco importanti per
dedicarvi un po’
del suo tempo. –
Il manrovescio
che aveva ricevuto in risposta era stato talmente forte da fargli
scattare la
testa da un lato all’altro.
- Occhio a quello
che dici, moccioso, non sai con chi hai a che fare. –
- Wow, voi si che
siete dei duri: in tre contro uno che è la metà
di voi. – replicò sarcastico.
Un destro preciso
lo colpì allo zigomo, spaccandoglielo.
- Allora, cosa ti
ha dato il fratellone per noi? –
Tolse la busta
che Jack gli aveva consegnato e gliela porse. Il capo, un ragazzone
afro
americano alto più di un metro e ottanta, contò i
soldi che c’erano dentro.
- Ci sono tutti.
– annunciò soddisfatto, rifilandogli uno
schiaffetto sullo zigomo che lo fece
trasalire per il dolore, - Bel lavoro, ragazzino, ora sparisci.
–
Se ne andò,
percorrendo il vicolo con studiata naturalezza, cercando di attirare il
meno
possibile l’attenzione su di sé.
La mattina dopo,
intorno alle sette, ora in cui sua madre si preparava per andare al
lavoro, un
grido lo svegliò. Si alzò dal letto, dirigendosi
in cucina per scoprire cosa
fosse accaduto.
- Que pasa, mama?
–
- I soldi. Sono
spariti i soldi. – replicò, frugando alla rinfusa
tra le cose contenute nel
cassetto in cui tenevano la cassetta con i loro risparmi.
Un lampo di
consapevolezza si fece largo nella sua mente, nello stesso istante in
cui
faceva la sua comparsa anche Jack.
- Perché stai
mettendo a soqquadro la cucina? – domandò, con il
tono strascicato che aveva
preso a utilizzare da un po’ di tempo a quella parte.
- Hai visto i
soldi, Jack? – replicò per tutta risposta,
scrutandolo con aria indagatrice.
- Quali soldi? –
Si dipinse sul
volto un’espressione da angelo che contrastava
incredibilmente con ciò che si
leggeva nei suoi occhi. Rico gli lanciò
un’occhiataccia, sperando che si
decidesse a confessare e a prendersi le sue responsabilità,
ma la replica del
fratello lo colse del tutto impreparato.
- D’accordo, non
volevo dirlo, ma li ha presi Rico. –
Il ragazzo aprì
bocca per protestare, indignato, ma Jack lo precedette.
- Scusa,
fratellino, ma non potevo fare finta di niente. –
Gli voltò le
spalle, mandandolo al diavolo e chiudendosi la porta della stanza alle
spalle.
Quella sarebbe stata l’ultima volta che faceva un favore a
Jack.
Crescendo avevano finito con il diventare sempre
più
simili, al punto che a sedici anni si diceva che ad una prima occhiata
avrebbero potuto essere scambiati l’uno per
l’altro. Ovviamente la cosa fece
largamente comodo a Jack, che più di una volta si era
servito di quella
somiglianza per scamparla. Mentre Rico era uno che da una bella rissa
non si
tirava mai fuori, suo fratello aveva la tendenza a cercare di
sgattaiolare via
dai problemi, causandoli ma senza mai risolverli.
Anche quella volta, la prima in cui Rico era stato
vittima di un vero e proprio pestaggio, la colpa era stata sua.
Era l’estate del
suo sedicesimo anno, se ne stava in una cabina sulla spiaggia, che era
mezza
diroccata e quindi nessuno occupava, in compagnia di Alice, la ragazza
con cui
era stato a periodi alterni per tutta la sua adolescenza. Erano appena
usciti,
ridendo per qualcosa di stupido che lui aveva detto, quando si
ritrovò a faccia
sulla sabbia. Non ricordava granchè di quel momento, se non
la marea di calci e
pugni che gli era piovuta addosso e le urla di Alice che intimava loro
di
smetterla.
Lo avevano
lasciato sulla sabbia, su cui si era formata una piccola pozza con il
suo
sangue, dolorante e mezzo intontito, dicendo qualcosa a proposito di
una certa
China e di non ronzarle più intorno.
Quella sera stessa,
dopo essere passato in ospedale per farsi ricucire e farsi dare una
controllata, aveva scoperto il motivo del pestaggio. Suo fratello si
vedeva
ogni tanto con una ragazza, quella China, che era la fidanzata di uno
dei
ragazzi che lo avevano aggredito. La ragazza non aveva voluto rivelare
il nome
e qualcuno, Rico non aveva dubbi che in parte centrasse Jack, aveva
ipotizzato
che si trattasse di lui.
Quella era stata
l’ultima volta in cui loro due erano venuti alle mani e Jack
si era ritrovato,
suo malgrado, a fare a sua volta un viaggetto in ospedale.
Qual era l’ultimo ricordo che aveva di
lui? Ah, sì.
Jack aveva cominciato a farsi, aveva un sacco di debiti ed era tornato
a Corona
per chiedergli una mano. Si trattava di un colpetto facile, bisognava
rubare
una macchina e rivenderla, non li avrebbero mai trovati. Lo aveva
pregato di
aiutarlo, in fin dei conti erano fratelli, no? Rico lo aveva ascoltato
con
pazienza fino alla fine.
- Ho smesso di farmi coinvolgere nei tuoi casini,
Jack. Sparisci dalla mia vista e non farti più vedere o,
parola mia, la
prossima volta sarà anche l’ultima. –
aveva decretato, posando la sua Magnum
345 sul tavolo a sottolineare meglio il concetto.
Sì, quella era stata l’ultima
volta in cui aveva visto
e sentito Jack Bellin. Con sua somma gioia, poteva aggiungere, ed ecco
che lo
stronzo decideva di venire a Neptunes.
Imprecò sottovoce e lanciò
la bottiglia di Corona che
stringeva tra le mani contro gli scogli. Il rumore dei vetri che
andavano in
pezzi gli ricordò per qualche strano motivo la sua vita che
si disintegrava
ogni volta che Jack ricompariva. Dio mio, quanto odiava quel cabron!
- Sapevo che ti avrei trovato qui. –
Alzò lo sguardo, trovandosi davanti una
ragazza
sorridente che doveva avere all’incirca un anno meno di lui:
Alice.
- Come sapevi che ero tornato? –
- Ti conosco bene, e poi Fiamma mi ha chiamato
dicendomi di Jack. Vieni sempre qui quando cerchi di non andare fuori
di testa.
–
Rico annuì, spostandosi un
po’ e facendole posto sullo
scoglio.
- Già, mi conosci bene. –
- O per lo meno abbastanza da sapere di cosa hai
bisogno in questo momento. – concluse ironica, porgendogli
una birra gelata.
L’accettò, stappandola con un
colpo secco e
prendendone tre lunghi sorsi. Sì, l’ alcool se non
altro avrebbe attenuato un
po’ i suoi pensieri, almeno per il momento.
- E così mia sorella ti ha mandata qui
a farmi da baby
sitter? –
- No, mi sono auto proposta come baby sitter, lei
non
mi ha chiesto nulla. –
- Non sono un bambino da tenere
d’occhio. –
- No, ma quando si tratta di Jack non ragioni in
modo
lucido… e sappi che non ti biasimo per questo, dopo tutto
quello che ti ha
fatto passare. – aggiunse, notando che la fronte del ragazzo
si era
visibilmente aggrottata.
- È che non riesco a togliermi di dosso
la voglia di
strangolarlo con le mie mani. – ammise.
- Sì… beh, tuo fratello fa
questo effetto a molta
gente. –
Rico le rivolse un sorriso sghembo, che la fece
sussultare leggermente.
- Che c’è? –
- Nulla… è solo
che… mi sei mancato. – sussurrò,
arrossendo un po’ e abbassando lo sguardo.
Le prese gentilmente il mento tra le dita,
spingendola
ad alzare la testa e a guardarlo negli occhi. Rivide il luccichio che
aveva
imparato a scorgere nei suoi occhi color cioccolato ogni volta che
incrociava
il suo sguardo.
- Anche tu mi sei mancata, dulzura. – le
diede un
buffetto sul naso che la ridacchiare come una bambina.
D’impulso Alice gli cinse il collo con
le braccia e lo
strinse a sé, chiudendo gli occhi e nascondendo il volto
nell’incavo tra il
collo e la spalla. Rico le accarezzò delicatamente i
capelli, giocherellando
con quelle morbide onde corvine, che emanavano il consueto odore di
cannella,
in cui aveva infilato le dita innumerevoli volte.
La ragazza si scostò un po’,
quel tanto che bastava perché
le loro labbra si trovassero a un paio di centimetri di distanza.
- Dios mio, quanto mi sei mancato. –
mormorò,
chinandosi a baciarlo.
Rico ricambiò il bacio, accarezzandole
una guancia, ma
si separò quasi subito.
- Alice… -
- No, scusami, Fiamma mi ha detto di quella
ragazza
con cui esci… non avrei dovuto. –
- Veronica. –
- È un bel nome…
è una cosa seria? –
Rico non rispose e si limitò a
rivolgerle un’occhiata
che fu una risposta più che sufficiente e che le
causò una fitta al cuore. Perché,
dopotutto, ne avevano passate tante insieme e dimenticarlo non era poi
così
semplice come aveva creduto all’inizio.
- Direi che è una risposta
più che eloquente. Torna a
Neptunes e parlale… spiegale cosa vuol dire per te rivedere
Jack e assicurati
che capisca. –
- Se non l’ha già fatto
Fiamma. –
- No, su questo è d’accordo
con me, devi essere tu a
dirglielo; deve sentirlo dalla tua bocca, capire e interpretare la
tensione
nella tua voce quando affronti l’argomento per comprendere
davvero. –
- Non ti facevo così
profonda… che c’è, hai intenzione
di metterti a fare la psicologa? –
- In quel caso penso che tu dovresti essere il mio
primo cliente. – scherzò Alice, alzandosi dallo
scoglio e spolverandosi i
jeans.
- Chissà, magari un giorno. –
Recuperò il casco e si diresse verso la
moto.
- Ti do uno strappo a casa? –
Alice scosse la testa, - Sono in macchina, ma
grazie
lo stesso. –
Le scoccò un bacio sulla guancia e
inforcò la moto.
- Ci sentiamo… presto. –
assicurò, vedendo l’occhiata
ironica della ragazza.
- Ci conto, o mi presenterò alla porta
di casa tua. –
lo minacciò scherzosamente, per poi chiudere lo sportello e
mettere in moto.
Un ultimo cenno di saluto e poi via… si
partiva in
direzione di Neptunes e, soprattutto, di Veronica.
Non sapeva ancora bene come affrontare l’argomento, ma era sicuro che prima o poi le parole gli sarebbero venute in mente.
Spazio autrice:
Eccomi con il nuovo capitolo. Vi anticipo subito
che
nel prossimo ci sarà un colpo di scena grosso come una casa
e che ci troviamo
all’incirca a metà storia (questa parte riguarda
la prima stagione… la seconda
e la terza verranno raccontate in due long fic a parte). Bè,
spero vogliate
lasciarmi un vostro parere su questo capitolo (non siate troppo cattive
con
Alice, povera cara u.u). Al prossimo.
Baci baci,
Fiamma
Erin Gaunt