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Autore: _Eleuthera_    28/12/2007    8 recensioni
"...Prima o poi, si diceva, prima o poi tutto ciò sarebbe finito. Prima o poi avrebbe smesso di pensarci e avrebbe recuperato il sonno perduto. Prima o poi tutto sarebbe diventato lontano e impossibile da ricordare. Pensava.
Matsuri aveva sedici anni, ma credeva di essersi innamorata di Gaara molto tempo prima."
Quattro brevi capitoli per l'intreccio che vede il trio di Suna cinque anni dopo lo Shippuden. L'amore di Matsuri per Gaara è sospeso su di un baratro. Alcune cose sono cambiate, altre andranno in modo diverso da come penseremo.
La commedia degli equivoci sta per iniziare.
[MatsurixGaara] [KankuroxIno] [ShikamaruxTemari / TemarixShikamaru] [GaaraxSakura] [Dedicata a bambi88]
Genere: Commedia, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kankuro, Sabaku no Gaara , Temari, Shikamaru Nara, Sorpresa
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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SLEEP, AND THEN WAKE UP


Primo Atto


I need some sleep.
[Ho bisogno di dormire un po'.]
You can’t go on like this.
[Non puoi andare avanti così.]
I try counting sheep,
[Cerco di contare le pecore,]
But there’s one I always miss.
[Ma ce n'è una che dimentico sempre.]
Eels - I need some sleep

Si dondolava sul letto, la testa nascosta fra le gambe ripiegate, estraniata da sé stessa.

Gli occhi chiusi a simulare un’oscurità ancora più estrema della notte, cercava di raccogliere i pezzi delle sue sensazioni confuse, frammenti di esistenza conficcati nel cranio, e quello stesso nome, che la torturava.

Matsuri pensava, pensava anche troppo mentre sedeva rannicchiata con le gambe al petto. Aveva molto a cui pensare, ma ogni minuto si infilava fra la sua ragione e la consapevolezza dei sentimenti come una scheggia. E lei lottava, reagendo a quel dolore nello sterno, a quel nodo che le stringeva la gola. Prima o poi, si diceva, prima o poi tutto ciò sarebbe finito. Prima o poi avrebbe smesso di pensarci e avrebbe recuperato il sonno perduto. Prima o poi tutto sarebbe diventato lontano e impossibile da ricordare. Pensava.

Matsuri aveva sedici anni, ma credeva di essersi innamorata di Gaara molto tempo prima.

All’inizio era solo l’infatuazione che un’allieva poteva provare verso il proprio maestro: rispetto, e soggezione, quasi, anche perché Gaara-sensei aveva pur sempre quel passato, quell’ombra incombente su di lui e sul suo nome.

Però Matsuri era andata oltre, per qualche strano motivo.

Erano passati gli anni, inesorabili, aveva visto il suo sensei diventare Kazekage, lei s’era vista promuovere a chuunin, e come tutto appariva uguale tutto era cambiato.

L’infatuazione era diventata sempre più pesante, premeva sull’orlo delle labbra, si sbilanciava sul baratro della sua gola.

Si era innamorata, Matsuri. Ed erano anni, ormai.

E si dondolava sul letto cercando il buio con gli occhi chiusi. [Non trovava il sonno]

Sulla sedia c’erano ancora gli abiti da ninja che aveva indossato durante l’ultima missione. La finestra, aperta, lasciava entrare il caldo vento di Suna.

Notte fonda. In marcia verso l’alba.

E Matsuri lasciava che quei sentimenti la scuotessero da dentro, purché rimanessero dentro, prigionieri in quel baratro.

Non solo perché lei non avrebbe mai osato parlare di una cosa simile con Gaara. E non solo perché sapeva che davanti ai suoi occhi era e sarebbe sempre stata la solita piccola allieva.

Gaara frequentava di fatto un’altra donna, e Matsuri non poteva veramente farci nulla.

--

«Cattive notizie da Konoha?»

Giornata di sole, e quando a Suna è una giornata di sole, significa trent’otto gradi all’ombra.

Gaara sollevò lo sguardo trasparente incontrando gli occhi scuri del fratello. Non s’era neppure accorto che era entrato.

«Bussare, magari?» ringhiò, gettando sulla scrivania la lettera su cui spiccava il simbolo di Konoha.

Kankuro si avvicinò, ignorando la provocazione.

«Di che si tratta?» fece, indicando il foglio con un cenno del capo.

Gaara sospirò, volgendo la testa verso la finestra spalancata, nella speranza che lo investisse un soffio di vento.

Kankuro rimase immobile, un po’ stordito, reduce da una levataccia a causa del caldo incessante, e si passò una mano dietro la nuca.

«Hanno problemi sul confine con il Paese della Pioggia» disse Gaara all’improvviso, gli occhi acquamarina ancora fissi sull’orizzonte «Un gruppo consistente di rivoltosi sta dando noie ad entrambi i paesi. E pare che non riescano a sedare la ribellione.» Si passò una mano sulla folta chioma rossa «Chiedono rinforzi.»

Tacque. Kankuro si avvicinò alla scrivania e prese in mano la lettera, scorrendo velocemente i caratteri che vi erano impressi.

«Be, mandiamoglieli.» disse dopo aver appoggiato di nuovo il foglio sul tavolo.

«Allora vai a fare le valigie» rispose Gaara, voltandosi finalmente e conducendo lo sguardo verso Kankuro. «Parti per il confine.»

Kankuro sbatté le palpebre, strabuzzò gli occhi assonnati e infine li spalancò.

«Cosa!?»

«I jonin sono quasi tutti in missione e non posso mandare squadre di soli chunin. Resti tu.»

Kankuro aprì la bocca per dire qualcosa, ma si rese conto che non aveva nulla da dire. Perché negare, d’altronde, perché rifiutare? Non aveva motivo, e sarebbe andato.

Annuì con un cenno del capo, cogliendo il balenare dello sguardo di Gaara che ancora una volta si spostava dall’orizzonte afoso a lui.

«Va bene. Vorrà dire che andrò.»

Gaara annuì a sua volta, poi il suo sguardo si perdette ancora nel caldo, innaturalmente distante.

--

«Sensei?»

Matsuri non aveva idea di dove avesse trovato la forza di riprendersi.

Aveva passato un brutto momento, si diceva. Sì, era stata male, ma adesso sarebbe cambiato, sarebbe andato tutto molto meglio, avrebbe saputo accettare la cosa. Se non andava come voleva, probabilmente era perché non doveva andare così. Se ne sarebbe fatta una ragione.

Poi era venuta a conoscenza di quella faccenda di confini, della richiesta di aiuto da parte di Konoha. E qualcosa dentro di lei aveva cominciato a premere per aderire a quella missione, per andarsene, per andare il più lontano possibile, e Konoha era quel più lontano possibile.

Quello stesso qualcosa aveva forzato i propri passi verso l’ufficio del Kazekage, e se un improvviso rigido tremore l’aveva frenata arrivata di fronte alla porta, ciò non era stato abbastanza.

Adesso era in piedi, dritta di fronte a Gaara, con gli occhi pericolosamente saldi sulla fronte del Kazekage.

«Sensei, voglio essere mandata a Konoha assieme agli altri rinforzi.»

Avvertì l’impercettibile sussulto di Gaara. Gesti insignificanti che lei aveva sempre notato.

Vide gli occhi di lui indagare i lineamenti del suo volto, e capì di essere sotto esame.

Scese con lo sguardo, ad incontrare quel colore trasparente. E la risposta.

«No.»

Qualcosa di molto freddo e molto caldo allo stesso tempo la investì, ricoprendola di incertezza.

Rabbia. Una piccola scheggia d’ira. E un perché superfluo che correva verso la bocca.

«...ma perché!?» chiese, cercando di mantenere quell’atteggiamento saldo quanto inespressivo, tentando di lasciar trapelare la sicurezza che s’era costruita dentro di sé.

Ma in verità, ciò che si agitava nei suoi occhi era un vortice di emozioni che lei non avrebbe mai permesso di identificare.

Gaara le rivolse uno sguardo ghiacciato, che Matsuri sapeva essere cristallo, il cristallo più chiaro e più bello che aveva mai visto.

«Sei appena tornata da una missione, e non esattamente facile.» disse il Kazekage, e Matsuri sentì lo sguardo di Gaara pesare sul braccio fasciato della ragazza. Arrossì. «Non mi sembra il caso di spedirti subito al confine col paese della Pioggia,» proseguì il Kazekage «per di più durante una ribellione che potrebbe comportare un numero consistente di vittime e-»

«Ma Kankuro-san-»

«Kankuro è un jonin, e tu sei un chunin, Matsuri» disse Gaara, freddo «un chunin che è appena tornato da una missione pericolosa, inoltre ferito, e che io non ritengo sia il caso mandare al confine!»

Il tono di voce era partito pacato, ma quell’impennarsi improvviso verso la fine della frase, gli occhi di Gaara che sussultavano senza distogliersi da Matsuri, avevano fatto salire un lungo brivido gelato lungo la schiena della ragazza.

Aveva abbassato gli occhi, ferita.

«Sì, Gaara-sensei.» aveva detto, ma era come se non fosse stata lei stessa a parlare.

Perché lì, restando lì in quel punto in mezzo al deserto, come avrebbe fatto a dimenticare quegli occhi, e a distogliere la mente da lui, se non aveva altro a cui pensare? Sarebbe stato più facile con il pericolo e la morte che sfiorava il viso e la paura. Lì, sarebbe stato più vivido dell’oscurità della notte. E Matsuri non avrebbe potuto dimenticare. Niente.

Gaara aveva annuito, e posato lo sguardo sui documenti sulla scrivania.

Infine il rumore di una porta che si chiudeva, e quando alzò lo sguardo, Matsuri se ne era andata.

--

Kankuro era partito il giorno stesso, a capo di un numero piuttosto consistente di squadre di chunin.

Avevano marciato velocemente, raggiungendo il villaggio della Foglia nel tempo prestabilito. Poi avevano proseguito verso il confine con il paese della Pioggia.

Nei pressi dell’accampamento della Foglia erano stati ricevuti da un chunin che li aveva condotti all’accampamento stesso.

L’ultimo scontro s’era consumato la mattina prima, e non c’era voluto molto a capire la situazione. Entrambe le parti avevano subito perdite consistenti, e per quanto fossero ben organizzate le squadre della Foglia e della Pioggia non riuscivano a sedare la rivolta.

Non si sapeva precisamente come fossero nati quei disordini, ma sembravano essere degli accordi privati fra clan, i quali avevano ricevuto ordine preciso da qualcuno di indebolire le difese dei due paesi. Il mandante era sconosciuto.

Kankuro s’era passato una mano tra i capelli nell’osservare il profilo nebbioso dell’orizzonte. Fino a quanto poteva andare avanti quella situazione? Aveva intravisto delle macchie di sangue scuro nell’erba pallida, quando era arrivato.

--

Matsuri non riusciva a dormire.

Si rigirava nel letto, e le lenzuola fresche si annodavano al suo corpo, e lei, stizzita, si sedeva sul futon, affondando le dita nella chioma spettinata, vedendo le lancette della piccola sveglia procedere inesorabili verso le tre del mattino.

Era sveglia, era notte fonda, e una terribile angoscia l’avvinghiava, perché sapeva di non riuscire a dormire, sapeva che non ce l’avrebbe fatta ad addormentarsi.

Ma attraverso la finestra aperta della propria camera, Matsuri poteva vedere il palazzo del Kazekage, e quella fessura lontana, che poi era un’altra finestra, la finestra dell’ufficio di Gaara, illuminata.

Non era la sola a non riuscire a trovare il sonno, alle tre dell’ennesima notte calda di Suna.

E nel suo piccolo, Matsuri si sentiva meno sola. E si malediceva, per questo.

--

Calava un buio innaturale. Non c’erano luci di alcun tipo, per evitare di essere individuati dai ribelli.

C’erano la luna e le stelle, appannate da quella nebbia fredda e sottile.

Kankuro respirò a fondo, seduto fuori dalla sua tenda, incapace di prendere sonno.

C’era odore di sangue nell’aria, e doveva ancora farci l’abitudine.

S’era alzato un vento pungente che portava con sé la densità del buio. E all’improvviso sentì un movimento tagliente fendere quel vento, spaccare in due l’immobilità della notte.

Trasalì, le dita già allacciate ai fili di chakra.

«Chi c’è?»

Gli rispose una voce femminile, salda e fiera anche nell’oscurità.

«Yamanaka di ritorno dall’ispezione notturna.»

Kankuro non fece neppure a tempo a sentire l’istante di spavento passare, che quel nome s’infilò nella sua memoria costringendolo a trasalire di nuovo.

«Yamanaka Ino?»

Lei si fece avanti, e al chiarore della luna Kankuro poté finalmente distinguere gli intensi occhi azzurri e i lunghi capelli biondi. Ino lo squadrò con aria critica.

«Sabaku no Kankuro?»

Lui annuì.

«Il fratello di Temari...» mormorò Ino.

«L’amica di Shikamaru...» aggiunse Kankuro, a denti stretti. Shikamaru non gli andava a genio.
Cosa nota.

«Non credevo avessero mandato te con i rinforzi da Suna» disse Ino, scrutando il volto dell’altro, percorso dalle solite linee viola.

«E invece eccomi qui.» Kankuro spostò lo sguardo sugli occhi cerulei di lei. Veramente luminosi, anche di notte.

Ino li abbassò, guardando un punto indefinito, poi li rialzò di nuovo. «E... Shikamaru è ancora a Suna?» Kankuro strinse gli occhi. «Credo di sì, in qualità di ambasciatore assieme a Sa-»

«Be’, immagino ne avrà ancora per molto. E comunque, noi saremo bloccati qui ancora per parecchio tempo.» il pessimismo risaltava in quegli occhi azzurri, e Kankuro si chiese se anche lui si sarebbe messo a vedere le cose sotto quella logica scura, dopo aver passato i primi giorni sul confine.

«Da quant’è che sei qui?» le chiese.

Lei rispose subito, senza alcun indugio. «Sono tre settimane oggi.» Lanciò un’occhiata alle stelle, poi alla luna, con calma. Ma i suoi occhi tremavano come se avessero una fretta inaudita.

«Vado a fare rapporto.» proseguì Ino dopo un istante. Gli lanciò un ultimo sguardo, che lui colse al volo, poi sparì.

Kankuro rimase attonito a fissare il punto dove lei era arrivata poco prima. Adesso, sicuramente, non avrebbe chiuso occhio per tutta la notte.

--

«Casa dolce casa!»

Temari allargò le braccia come a stringere il panorama di fronte a lei. Poco prima dell’orizzonte si stagliava l’entrata di Suna, e prima di quella il deserto dorato illuminato dai raggi implacabili del sole.

«Dolce?» Shikamaru fece qualche passo avanti, affiancandosi alla fidanzata. «Suna può avere tutti gli aggettivi che vuoi, ma dolce non c’entra niente. Bollente, sabbiosa, isolata, poco accogliente, strana, calda e seccante. Tra questi ce ne è sicuramente uno più adatto di “dolce”.»

«Il primo e il penultimo vogliono dire la stessa cosa, caro il mio genio.» azzardò Temari, prendendo la mano del suo ragazzo e chiedendosi come avrebbe reagito.

Shikamaru strinse gli occhi, puntati sulla porta del villaggio della Sabbia, ma non rispose.

--

Ancora una volta, Matsuri correva verso l’ufficio del Kazekage.

Non di sua spontanea volontà, questa volta. Aveva un messaggio da consegnare.

Un sorriso increspava il suo volto, illuminando i lineamenti di lei, mentre i capelli si sollevavano ciocca a ciocca e le frustavano la fronte nella corsa.

Era felice, Matsuri. Temari era tornata. Era quello il messaggio che doveva portare a Gaara.

E sperava che quella felicità fosse solo l’inizio.

Matsuri era piena di forza di volontà. Le sue non erano promesse al vento.

Avrebbe dimenticato. Non era una frase tanto per dire, insulsa, solo per tirarsi su il morale.

Matsuri credeva veramente che ce l’avrebbe fatta a dimenticare, se solo avesse voluto. Avrebbe rivolto il proprio sguardo altrove, scordato di essere a Suna, prigioniera dei ricordi che ogni istante passato lì rievocava.

Ma in fondo una piccola parte di sé sapeva che sarebbe stato difficile, difficilissimo, anche se si era convinta di farcela.

Non ci pensava. Voleva quella piccola illusione.

Per una volta, era un’illusione che sarebbe potuta diventare realtà.

Correva, calpestando il battito del proprio cuore.
Gaara, il Kazekage, nient’altro. Il Kazekage...

Forse avrebbe potuto chiedergli di allenarla, dopo avergli consegnato il messaggio.

Era tanto tempo che non lo facevano. Era ancora il suo sensei, d’altra parte.

Matsuri sorrise. Sì, glielo avrebbe chiesto.

Dovresti chiedergli qualcos’altro, Matsuri...

Abbassò gli occhi ai suoi stessi pensieri.

Si fermò violentemente di fronte alla porta dell’ufficio del Kazekage, quella dannatissima porta dietro alla quale aveva indugiato così tante volte.

Spinse la maniglia senza pensarci su due volte. Una piccola libertà che poteva prendersi, considerato che Gaara era il suo sensei e che lei aveva una comunicazione molto importante da dargli.

Entrò come un fiume in piena, il sorriso illuminava ancora i suoi occhi.

«Gaara-sense-»

Le parole le morirono in gola. Sentì uno strano fragore da qualche parte dentro di sé.

Di fronte ai suoi occhi altri due sguardi scioglievano il loro intreccio per posarsi su di lei.

Gaara, sorprendentemente nervoso, lasciò subito la mano di Sakura che stava tenendo fra le sue.

Sakura Haruno, ambasciatrice di Konoha, abbassò gli occhi verdi evadendo lo sguardo di Matsuri.

[Gaara frequentava di fatto un’altra donna, e Matsuri non poteva veramente farci nulla.]

Lei, impietrita, sulla soglia. Quel silenzio colpiva all’altezza del petto, come la lama di un kunai.

Gaara mosse due passi verso di lei.

«Matsuri-»

Senza una parola, Matsuri varcò la soglia chiudendosi la porta alle spalle, e se ne andò.












.................corner A
Premetto subito che questo è il mio regalo di Natale per tutti i fan dei pairing che appaiono in questa breve fan fiction a capitoli, in particolare per bambi88. Roberta-sempai, questa è la sorpresa a cui ti accennavo. L'inizio magari non sarà il massimo, ma nei prossimi capitoli dovrebbe migliorare un po'. Ah, credo che alla fine farà il suo effetto. Già.

Che dire? Erano mesi che non postavano. Ele is back, yeah. E si trascina dietro l'ispirazione di "Nine scenes of the play". Anche qui atti e commedie.
Perdonatemi, non ho resistito, gh gh gh.

Saranno tre capitoli, forse un epilogo.
La fan fiction è quasi completata, quindi credo aggiornerò abbastanza in fretta.
Come sempre, vi sarei grata se lasciaste un commento. Le critiche sono costruttive, i complimenti fanno bene al mio EGO. Arigato to u all ^^

E se la mettete nei preferiti... per favore, almeno un commento! *-*

Ah, piccola nota... Shikamaru non è a Suna come credeva Kankuro perché è stato chiamato dall'Hokage a fare rapporto prima del previsto. Temari si è offerta di, ehm, accompagnarlo^^

Sayonara!
Ele.

"Naruto" e tutti i personaggi e i luoghi di suddetto manga appartengono a Masashi Kishimoto. La fan fiction in sé mi appartiene in quanto ne sono l'autrice. Tutti i diritti sono riservati.
   
 
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