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Autore: grenade_    13/06/2013    2 recensioni
Alzai lo sguardo sui suoi occhi scuri, sorrisi amaramente. «Non riesco a capirlo, sai? Sembra quasi mi detesti, critica ogni cosa che faccio o dico e non ne so neppure il motivo. Penso che non me ne importi niente invece ci sto male, e tutto quello che vorrei è essere solo un fratello maggiore degno di quel titolo.» feci una pausa, sospirando. Un ricordo mi attraversò la mente, e sorrisi istintivamente. «Forse ce l'ha ancora con me per via di Teddy.»
Lei assottigliò lo sguardo, confusa. «Teddy?»
«Sì, il suo orsacchiotto di peluche.» ricordai. «E' accidentalmente finito nel tritarifiuti.» mi giustificai, gli occhi fissi su di lei e un sorriso innocente con cui speravo di convincerla che non fossi stato io, a buttarlo lì dentro.
Mantenne lo sguardo indagatore fisso sul mio per qualche istante, poi si sciolse in un sorriso e scosse la testa. «Siete i gemelli più strani che conosca.»
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Dio benedica i fine settimana. Tre giorni di assoluta libertà senza scuola, compiti o facce antipatiche. Senza dubbio i miei giorni preferiti. Da quando l’anno scolastico era iniziato i professori non avevano atteso per mostrare la loro estrema crudeltà, caricandoci di compiti a casa giorno dopo giorno e programmando almeno tre verifiche alla settimana. E poi si lamentano se gli studenti non vogliono andare a scuola e passano la giornata a sbadigliare... Fortunatamente almeno per quei tre giorni la tortura terminava, chi se ne importa se ricomincia il lunedì, e tutto ciò che mi veniva da fare era chiudere gli occhi, respirare a fondo e sorrid...
«La pagella, Desmore.»
No, sorridere proprio no. Come si fa a sorridere quando il tuo destino è affidato ad un semplice e futile pezzo di carta? Peggio ancora se quello contiene i tuoi voti, che non mancheranno di procurarti una bella sgridata da parte dei tuoi genitori. L’espressione arrabbiata con accenno omicida di mia madre fece capolino nella mia testa, ma mi sforzai di cacciarla via scuotendo la testa.
Presi a fissare il foglio bianco sul mio banco, poi deglutii a vuoto. Ogni volta era sempre la stessa storia: avevo una paura innata di controllare i miei voti, forse perché ero consapevole non fossero proprio ottimi. Ma se in passato l’avevo sempre passata liscia questa volta non avrei avuto la stessa fortuna, ero al liceo e non potevo certo permettermi di avere una pessima pagella.
Notai la smorfia soddisfatta di Catherine Pennett, dall’altro lato della classe, quindi automaticamente roteai gli occhi irritata. Non avevo idea del perché il solo pensiero che respirasse mi desse così fastidio, forse solo perché era un’inguaribile egocentrica e credeva che tutti quanti avremmo dovuto stendere il tappeto rosso al suo passaggio o leccarle le scarpe. Infondo era solo un ammasso non ben definito di riccioli castani, perfino più bassa della sottoscritta, e la sua voce era capace di molestare qualsiasi timpano in circolazione. La odiavo con tutta me stessa, però una cosa gliela invidiavo: aveva la media più alta della classe.
Ignorai Catherine e le sue occhiatine ripugnanti, quindi concentrai la mia attenzione sul foglio. Inspirai profondamente, poi lo presi tra le mani. Un’espressione delusa comparve quasi subito sul mio viso, quando notai la presenza di due insufficienze. Fortunatamente erano solo quelle, i miei voti si alternavano tra diverse C e D, una sola B in scienze motorie. Sospirai affranta, accasciandomi sul banco.
Lo sguardo cristallino di Veronica mi trovò repentino, ma quando incrociò il mio tutto quello che poté fare fu esibire un broncio e mimare un mi dispiace. Infondo conosceva anche lei il contenuto di quella pagella senza averci dato nemmeno un’occhiata, forse lo conoscevano tutti, io per prima, ma mi ero stupidamente imposta di ignorarlo.
Lo stridio della campanella fece eco nelle mie orecchie, e mentre tutti i miei compagni abbandonarono i loro posti alla ricerca di cibo come fossero molle io mi esibii nel passo più lento e strascicato della storia, a testa bassa. Non mi era mai molto importato dei voti, ma cominciavo sul serio ad essere delusa di me stessa. Avrei dato qualsiasi cosa per avere una pagella stracolma di B, ma sapevo di stare desiderando un’utopia, visto che per ottenere voti del genere mi sarebbe toccato studiare e il mio cervello non sembrava nemmeno conoscere il significato del termine.
«Desmore?»
Mi voltai lentamente verso la voce che mi aveva richiamata, incontrando il sorriso della professoressa Farrey. Intimai a Veronica di recarsi verso la mensa e le assicurai che l’avrei raggiunta a breve, così lei andò via salutando me e la professoressa.
«Venga, si sieda.»
Feci come mi disse, seppure un po’ titubante, così presi posto ad uno dei banchi in prima fila, esattamente di fronte alla cattedra. La Farrey mi fissava sorridente, quasi non fosse capace di fare altro. Quella mattina aveva arricciato i capelli in eleganti boccoli e i suoi occhi azzurri risplendevano maggiormente, nessuno avrebbe avuto difficoltà a sostenere che fosse una bella donna.
«Volevo parlarle della sua pagella.»
Pessima, crudele, orribile donna. Era in momenti come quelli che sentivo il mondo cadermi letteralmente addosso e la tachicardia sopraffarmi, ed era una sensazione che mai avrei augurato a qualcun altro.
Finsi un sorriso ed annuii, aspettandomi il peggio.
«Come avrà notato non è delle migliori – però, perspicace – e vorrei capire perché.»
Cos’è che si risponde in questi casi? La mia unica via di fuga sarebbe stata improvvisare la morte di qualcuno ma non l’avrei fatto, non se di mezzo ci fosse andato qualche familiare o Mickey. Così optai per la verità, per la prima volta in vita mia.
«Non sono mai stata molto portata nello studio» minimizzai, tralasciando il piccolo particolare secondo il quale non avevo passato mai più di mezz’ora indaffarata coi libri. Spalancai anche gli occhi e sporsi il labbro inferiore, sbattendo le ciglia ed esibendo una delle mie migliori espressioni innocenti, quelle che di solito riuscivano ad addolcire papà, sebbene nessuno ci riuscisse meglio di Mickey, il nostro gatto, nella speranza che quella donna non mi mangiasse.
Invece la Farrey sospirò e si sistemò gli occhialini sul naso, prima di prendere a fissarmi quasi fossi uno stravagante oggetto di osservazione. «Che c’è?» sbottai, infastidita.
La professoressa inclinò la testa e assottigliò lo sguardo rimproverandomi silenziosamente per la mia risposta brusca, quindi abbassai la testa colpevole, aspettando che riprendesse a parlare, magari fornendomi la spiegazione di quel fissare così insistente.
«Stavo pensando...» cominciò, «che forse potrebbe avere un compagno.»
«Mi scusi?» la incoraggiai a ritrattare, gli occhi sgranati.
«Sì, un compagno. Qualcuno con cui studiare, in modo che la aiuti a capire meglio le lezioni, e a concentrarsi.»
«Non credo di aver bisogno di un tutor, professoressa.» ribattei, irritata dal fatto che potesse considerarmi così stupida da avere bisogno di un insegnante coetaneo. Ero solo pigra, non un idiota.
«Non le stavo consigliando un tutor, signorina Desmore. Le stavo consigliando un compagno di studio, che le impedisca di distrarsi mentre è alle prese coi libri, o che la spinga a stringerci un qualche genere di rapporto.» rettificò, «qualcuno come... Catherine Pennett, ad esempio?»
Qualsiasi. Avrei sopportato qualsiasi nome le fosse fuggito dalla bocca, sebbene non pensassi fosse affatto necessario, ma non quello. No, era assolutamente fuori discussione! Non avrei mai e poi mai passato più delle quotidiane otto ore insieme a Catherine Pennett, non avrei sostenuto la sua faccia finta e la sua vocetta stridula per più di quel tempo, ed ero certa non mi sarei astenuta dall’ucciderla, se solo fossi stata costretta a frequentare quell’assurdo corso di recupero. Riuscivo a comprendere le ragioni della professoressa, era normale si curasse del mio apprendimento e mi avesse suggerito un metodo di studio alternativo, ed ero ben cosciente Catherine fosse la studentessa più in gamba della classe e apparisse come una specie di angelo agli occhi degli insegnanti, ma io non l’avrei mai sopportato.
«Non studierò con Catherine, Mrs. Farrey, è decisamente fuori il mio grado di sopportazione.»
«Allora le conviene cercarsi un altro compagno, perché non abbandonerò l’idea finché non avrò notato dei miglioramenti nel suo rendimento. Buona giornata.»
Mi rivolse un ultimo perfido sorriso da aggiungere a quel terribile ultimatum e oltrepassò la porta della stanza, come avrei dovuto fare io circa quindici minuti prima se solo quella donna non avesse deciso di rovinarmi la vita. La guardai andare via e mi presi la testa tra le mani sbuffando, in un gesto di pura disperazione. Però forse la Farrey aveva ragione, studiare con qualcun altro mi avrebbe aiutata a non cedere alle tentazioni di cellulare e computer durante il pomeriggio, e magari avrei finalmente potuto migliorare la mia media. Ma farmi aiutare da Miss. Perfettina era del tutto fuori questione, e allora da chi... Veronica poteva andare bene, se solo non raggiungesse la sufficienza miracolo dopo miracolo, quindi rimanevano Kirsten, che mi avrebbe certamente piantata per qualche appuntamento, e Nate, che avrebbe reso la bocciatura molto più piacevole della sua compagnia. Ero spacciata, qualsiasi fosse la mia decisione.
Con quell’aria di estrema rassegnazione raggiunsi la mensa, incurante degli sguardi infastiditi dei miei compagni di liceo quando li urtavo nell’intento di arrivare al mio tavolo, sotto lo sguardo curioso di Veronica, intenta a mordere il suo panino.
«Vuoi un po’?» mi chiese, dopo che ebbe deglutito il suo boccone. Scossi la testa in segno di diniego, la fame era praticamente scomparsa grazie al discorso della Farrey.
Brontolai qualcosa di incomprensibile e crollai con la testa premuta contro le braccia sul tavolo, per poi alzare nuovamente il capo e spostare con un soffio la frangetta sulla fronte. «Come fai ad essere così tranquilla?!» piagnucolai, squadrando la mora in un’espressione quasi schifata.
Lei corrugò la fronte, confusa. «Non dovrei?»
«No!»
Sospirò e abbandonò il panino morsicato sul vassoio, prima di intrecciare le mani sotto il mento, in perfetto stile psicologa. «Avanti sputa il rospo, che ti ha detto la Farrey?»
Sbuffai sconsolata. «Dice che ho bisogno di un tutor.»
«Un tutor?»
«Sì, una sorta di secchione che mi aiuti a concentrarmi» mimai l’ultima parola tra virgolette accompagnando il gesto da una smorfia per dimostrare il mio disappunto, «e non si darà pace finché non sarò migliorata.»
Ronnie assottigliò gli occhi azzurri, segno che mi stava dedicando la sua intera attenzione. Annuì, e aprì bocca solo quando ebbi finito di lamentarmi. «Hai due fratelli più grandi, potrebbero darti una mano loro...» suggerì.
«Certo, figurati se Kirsten preferirà stare a farmi da maestrina quando avrà un appuntamento con il suo fidanzatino part-time o con le sue amiche oche. E non ci penso neanche a farmi aiutare da Nate, preferirei il suicidio.»
Veronica prese a tossicchiare per nascondere le sue guance rosse come ogni volta che mio fratello sbucava nei nostri discorsi, ed io lo ignorai, perché a quel punto non capire che la mia migliore amica avesse una enorme e palese cotta per lui sarebbe stato da stupidi. «Magari Nate non è il massimo del divertimento...» concesse, «ma dovete comunque studiare, non giocare ai videogames, e potrebbe aiutarti...»
Sbuffai. «Ne terrò conto come ultima speranza.» sorrisi.
Vidi Veronica alzare gli occhi al cielo e prendere un sorso dalla sua bibita, prima che il mio sguardo venisse catturato da qualcos’altro, e le mie labbra si aprissero automaticamente in un sorriso. Sentii Ronnie richiamarmi per dirmi qualcosa, ma niente poteva essere più importante di ciò che avevo davanti agli occhi, quindi la zittii con un gesto della mano, e quando il suo sguardo raggiunse il mio sbuffò, ma mi lasciò comunque persa nella mia contemplazione.
Ero certa Zack Payne fosse ciò di più perfetto che avessi mai visto. Fisico alto e slanciato, lineamenti irresistibili, brillanti occhi azzurri e sorriso seducente, tutto ciò che una ragazza desiderasse. La sua risata era il suo bel suono che le mie orecchie percepissero, la sua figura la più bella vista ai miei occhi, e il suo sorriso il miglior mezzo per un attacco di cuore immediato. Era il genere di ragazzo capace di farti cadere ai suoi piedi se solo l’avesse voluto, e quello che volevo io era possedere uno speciale potere che mi rendesse possibile controllare i suoi pensieri, così che i suoi occhi avrebbero guardato soltanto me e non la marea di galline pronte ad aprirgli le gambe ad un semplice schiocco di dita. Era perfetto se camminava, stava fermo, giocava a basket o beveva, persino se si limitava a parlare e a sorridere, o concentrare lo sguardo. Era perfetto e dubitavo dell’esistenza di qualcosa che potesse renderlo meno bello, o meno interessante.
«Sta’ attenta, o ti colerà la bava.» mi rimbeccò Ronnie, riportandomi alla realtà con un pizzicotto sul braccio.
Corrugai la fronte in una smorfia, portando la mano a massaggiare la parte lesa. Mi voltai di nuovo, e di Zack neppure l’ombra. Dove diavolo è scomparso?, pensai.
«Ecco, l’ho perso per colpa tua!» mi lamentai, ma prima che la mora potesse replicare, la campanella trillò per tutta la scuola, annunciando il ritorno nelle classi.
 
Tornai a casa distrutta, la schiena ridotta ormai a uno straccio a causa del macigno che ero stata costretta a portarmi dietro per tutto il tragitto scuola-casa. Il cielo aveva inoltre deciso di giocarmi un brutto scherzo, e aveva smesso di piovere solo nell’esatto momento in cui avevo rimesso piede a casa, arrabbiata con il mondo intero. Con Catherine, che era sempre troppo irritante, con la Farrey, per la quale non avevo ancora trovato una soluzione, con Veronica che non avrebbe smesso di idolatrare mio fratello neppure sotto tortura, con l’autista che mi era passato davanti senza degnarsi di fermarsi, e con la pioggia, che mi aveva inzuppata da capo a piedi. Decisamente una giornata di merda.
A peggiorarla era stata la sfuriata di mamma in seguito alla consegna della mia pagella, e la seguente punizione, che mi avrebbe impedito di usare il computer ed uscire con Veronica per i prossimi sette giorni. Come se avrò il tempo di disperarmi... pensai, riferendomi al problema tutor ancora una volta. Dovevo assolutamente trovare qualcuno di accettabile disposto ad insegnare ad un caso perso cose dette e ridette, ma per quanto mi sforzassi la mia lista rimaneva orridamente vuota, ed avevo la paura che alla fine sarei stata costretta a chiedere aiuto alla Pennett.
Assolutamente no!,scossi la testa, Non mi abbasserò a cotanto squallore, ho ancora una dignità.
La chioma rossa e gli occhi chiari di Kirsten fecero capolino nella mia stanza, e non poté fare a meno di ridacchiare nel sorprendermi con la testa premuta contro la scrivania, per niente interessata alla rivoluzione calvinista.
«Problemi con lo studio?» trotterellò fino a raggiungermi, e si sedette senza troppe cerimonie sulla scrivania, accavallando le gambe nel suo elegante pigiama a fiori. Alzando lo sguardo mi trattenni dal ridere, notando i capelli sparati in tutte le direzioni. «Ho sentito mamma urlare, prima...» continuò.
«Più o meno.» concessi, «Assolutamente sì» piagnucolai poi, tornando nella posizione precedente.
Mi accarezzò i capelli in modo dolce, per la prima volta senza la solita nota derisoria. «Non può essere tanto grave, mamma urla praticamente per ogni cosa...» cercò di consolarmi, «devi preoccuparti se è papà ad urlare, lui di solito è quello più clemente.»
Annuii, d’accordo con lei. Sbuffai, poi decisi di potermi fidare di mia sorella. «La prof mi ha suggerito di studiare con qualcuno, per... concentrarmi, dice, ma non so proprio a chi rivolgermi. L’avrei chiesto a te, ma so quanto puoi essere lunatica, perciò...»
«Hai ragione, ti darei buca piuttosto facilmente...» asserì, «e immagino tu non voglia essere l’alunna di Nate lo studente modello.» aggiunse, con un sorriso.
«Infatti. Sono nei guai, Kirs»
Sembrò pensarci su, ma neanche lei riuscì a trovare un lato positivo in tutta quella faccenda. E’ per questo che annuì mesta, ma solo alcuni secondi dopo saltò giù dalla scrivania, sorridendomi e tendendomi la mano, «ci penseremo dopo alla tua scuola, adesso vieni a vedere Toy Story con me!» disse.
Ridacchiai, ricordando la passione di Kirsten per quel cartone. «Hai 21 anni, non credi sia un po’ troppo vecchia per i cartoni?» la canzonai.
«Non si è mai troppo vecchi per Toy Story dolcezza, e poi hai bisogno di una distrazione!» ribatté, senza perdersi d’animo.
Ci pensai su per qualche secondo ma alla fine accordai con lei, afferrai la sua mano e mi lasciai trasportare in salotto, pronta ad una serata di pop corn, caramelle, e lacrime con mia sorella. 

Third chapter! Yeeah. 
Boh, ho finito le parole... stessa routine: se vi piace, recensite. Sul serio, è frustrante ricevere così poche recensioni e un buon numero di visite :c 
ma quanto è tenera Desmore Senior? Kirstyy <3 
okay, a presto :)

  
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