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Autore: Yume Miyu    16/06/2013    3 recensioni
"ℓєgαмι ρєя∂υтι"|☯
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☯| gємєℓℓαтσ cση:
"ℓєgαмι ∂ιѕтяυттι"
∞ 『 http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2073305 』∞
salve a tutti! questa è la mia prima fanfiction, sono ancora alle prime armi ma spero vi piaccia.
Questa storia si ambienta nell'anime di naruto giusto prima che la guerra iniziasse, anche se all'inizio non lo esplicito più di tanto, inoltre, la vera storia inizia dal cap 3.
Trama: Yume Miyu, dopo aver perso la memoria, si ritrova in uno strano bosco che la porterà in un deserto che sembra interminabile, e successivamente, al famoso Villaggio della Sabbia.
Yume scopre che ha un legame con un essere misterioso e per questo non tutti l'accetteranno, ma riuscirà lo stesso ad ambientarsi anche grazie all'aiuto del Kazekage, il quale inizierà ad avere un pò alla volta una cotta segreta verso la ragazza ...
vi prego fate recensioni, accetto anche le critiche negative! ^_^
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Sabaku no Gaara , Un po' tutti
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Naruto Shippuuden
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… Aprii gli occhi e non vidi altro che buio. Solo una piccola luce riusciva a penetrare tra le sbarre di una piccola finestra che si trovava in fondo a questo luogo molto umido dove si poteva sentire chiaramente lo sgocciolio dell’acqua che colava dai muri; le piccole barre della finestrella non lasciano intravedere nulla. Il mio corpo era tutto dolorante e avevo braccia e gambe legate a delle catene piuttosto pesanti inoltre, perdevo sangue. Nonostante tutto questo, non riuscivo a capire una cosa fondamentale: “Chi sono?”. Proprio mentre mi ponevo questa domanda, sentii un cigolio stridente e la porta lentamente si aprì, rimasi abbagliata dalla troppa luce entrata improvvisamente nella stanza ma, finalmente riuscii a capire dove mi trovavo: in una cella. Due uomini piuttosto robusti con addosso una divisa si avvicinarono a me, uno di loro tirò fuori una chiave e mi liberò dalle pesanti catene che avevo per sostituirle con altre più leggere, poi l’altro mi alzò a forza da terra: « Muoviti! Su forza, alzati! » mi ordinò. Volevo chiedergli molte cose, ma mi resi conto che non avevo le forze per parlare. Senza nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo, mi mise in piedi e non ebbi altra scelta che andare  fuori di lì con quelle due guardie che mi spingevano per farmi camminare più veloce. Fuori da quella cella mi aspettava un uomo, vestito in modo diverso dagli altri due, evidentemente era un loro superiore « Ecco Signore » dissero quegli uomini all’unisono, quest’ultimo si avvicina a me e io per un attimo pensai che mi volesse uccidere visto che mi si era così avvicinato che potevo sentire il suo cuore battere, ma non fu così: si allontanò di poco, tirò fuori una bacchetta e con quella mi tirò su il volto in modo che io potessi guardarlo dritto negli occhi, si mise a ridere e all’improvviso mi tirò un pugno dritto in viso, così, in men che non si dica mi ritrovai a terra con la bocca che sanguinava. Continuando a ridere si rivolse a me con un tono di superiorità: « Hai visto? E’ inutile che fai l’eroina, tanto ci rimetti lo stesso, è meglio che mi dici quello che voglio sapere, altrimenti farò in modo che tu abbia la più atroce di tutte le morti! »non attese una mia risposta e si affrettò a dare un ordine ai suoi uomini: « Avanti! Che aspettate, un ordine scritto?! Portatela nella stanza delle torture e fatela parlare! »i soldati non aspettarono un secondo in più e dissero all’unisono: « sissignore »mi presero, e mi trascinarono lungo un labirinto di corridoi tutti uguali, dietro di me si vedeva la striscia interminabile di sangue lasciata dal mio corpo; mi sembrava di morire per il troppo dolore e non volevo saperne di questa “stanza delle torture”. Quando, all’improvviso un suono spezzò l’eco dei passi delle due guardie che mi stavano trascinando: era un ruggito che proveniva da uno di quei corridoi e faceva gelare il sangue da quanto era spaventoso, non pensavo che un semplice suono potesse fare così paura. Guardai con gli occhi socchiusi i soldati che con una sola occhiata si capirono, sguainarono le spade e si precipitarono nella stanza più vicina trascinandomi con loro, ovviamente un’altra cella che però era vuota « Dobbiamo fare attenzione, il capo è stato molto chiaro al riguardo » sbuffò unodei due « Si, lo so! Comunque finché stiamo qui dentro non c’è motivo che quel dannato demone ci trovi, basta fare silenzio! »ribatté l’altro. “Demone”. Ero sicura che i demoni non esistessero e invece quel nome mi risuonava così famigliare. D’un tratto, come dal nulla, sentii una voce dentro me “...scappa” e poi ancora “Scappa …” sempre più forte “SCAPPA!” immediatamente si accese una luce dentro me: un ricordo, il mio primo ricordo da quel lugubre risveglio, era un nome, un nome che risuonava nel mio cuore, che sapevo benissimo che portava con se solo sicurezza, forza e speranza: Kirara.  Non so come, ma il mio corpo ricevette energia dal nulla, si alzò e iniziò a fare dei movimenti che nemmeno io capivo, successe tutto nell’arco di qualche secondo, non riuscii a capire come, ma, avevo steso quei due uomini. Quando mi resi conto che li avevo uccisi era troppo tardi per tornare indietro e ora, volevo solo rimanere li, in quel posto lugubre a disperarmi, ma di nuovo, quella voce si fece viva e continuava a ripetere “scappa, scappa, scappa!” d’istinto iniziai a frugare tra i vestiti delle due guardie per trovare le chiavi che mi avrebbero potute liberare da quelle strette catene; le trovai, riuscii a liberarmi e uscii da quella cella, mi guardai intorno e d’un tratto le mie gambe iniziarono a correre, non sapevo nulla di quel posto, eppure ero sicura che la strada che stavo percorrendo era quella giusta per andarmene da quel posto. Dietro di me sentivo il rumore chiaro di uomini che urlavano e che combattevano, ma in tutto quel trambusto si poteva sentire chiaramente quel ruggito, che era sempre più potente e terribile: eppure, per me quel ruggito dava un senso di sicurezza, sapeva di casa. Purtroppo non avevo tempo per chiedermi chi stesse facendo quel verso perché avrei potuto trovare un’altra guardia in qualsiasi momento e non potevo rischiare di essere catturata un’altra volta. Così le mie gambe incominciarono di nuovo a correre, mentre i miei polmoni chiedevano pietà perché non riuscivano a dare abbastanza ossigeno al resto del mio corpo dolorante. Mi fermai un paio di volte per prendere fiato: non ce la facevo più, ma dovevo continuare a correre, ogni volta che rallentavo il passo, la vocina interiore si faceva sentire continuando a esclamare “Non puoi fermarti, non adesso che manca così poco!” così io continuavo a correre. Notai che i corridoi erano vuoti: nessun soldato che controllava, nessun prigioniero, le uniche volte che incontravo dei soldati erano sempre agitati e correvano da tutte le parti, come se stesse per succedere qualcosa di terribile ma, poiché erano distratti, non fu difficile passare senza che loro si accorgessero di me. A un certo punto mi ritrovai in un corridoio diverso: era molto più spazioso, ai lati non c’erano più le porte delle celle, ma ogni tanto si vedeva una finestra, a far luce nei punti più bui ci pensavano delle luci a neon che emettevano una debole luce fredda. Ero sicura, sapevo che alla fine di questo corridoio c’era la fine di questo incubo, se così si può chiamare l’uscita. Ancora una volta il mio istinto aveva ragione, non sapevo come, ma in qualche maniera ero riuscita a fuggire. Dopo alcuni minuti passati a correre in quel tunnel senza fine vidi una luce che a poco, a poco si faceva sempre più grande; e finalmente eccola! Solo un enorme cancello con grosse sbarre mi separava dalla libertà, mi stavo quasi dando per vinta perché ovviamente era chiuso e io non sapevo come aprirlo, quando una voce risuonò dietro di me « Hei tu, ferma, chi sei? »molto probabilmente era uno dei soldati di guardia al cancello e non ci mise molto a capire che ero una prigioniera, così, armato di lancia prese la rincorsa e mi attaccò. In quel momento io ero immobile perché la paura aveva preso il pieno controllo sul mio corpo, ormai l’uomo era a pochi centimetri da me , ma all’ultimo momento il mio istinto di sopravvivenza prese il sopravvento su di me così feci un primo scatto per schivare il colpo, poi gli afferrai l’arma e lo colpì in pieno petto. Ecco, era successo un’altra volta: avevo ucciso senza nemmeno rendermene conto, rimasi ancora una volta lì, immobile, terrorizzata da me stessa; era per questo che mi tenevano rinchiusa in quel luogo? Perché sono un pericolo per tutti? “Che fai li ferma? Sbrigati! Prendi la chiave e scappa da qui, non rimane molto tempo!” la voce dentro di me si fece risentire, presi le chiavi appese alla cintura del povero custode, aprii il cancello e corsi, corsi il più lontano possibile. La caverna dove mi trovavo era al centro di un bosco e perciò mi misi a correre, avrei voluto fermarmi per ammirarlo, ma non potevo: non volevo rischiare che quegli uomini mi trovassero. In quel momento desideravo solo scappare il più lontano possibile da quel posto tremendo, corsi scalza e sanguinante nel terreno franoso, inciampai un po’ di volte ma cercavo sempre di rialzarmi il più velocemente possibile. A un certo punto decisi di fermarmi per concedermi un po’ di riposo alla riva di un ruscello, mi ripulii un po’ e mi accorsi che avevo tutto il corpo ricoperto di graffi e cicatrici varie, nel riflesso dell’acqua notai che avevo il viso piuttosto pallido, evidentemente era per la stanchezza e per la perdita eccessiva di sangue, i miei lunghi capelli bianchi erano tutti sporchi e ogni ciuffo della frangia stava per conto proprio; come se non bastasse, avevo una brutta ferita nella testa, sopra all’ occhio sinistro e al fianco destro avevo una profonda ferita, infine, i piedi erano doloranti a causa della feroce corsa per la foresta. Indossavo una lunga maglietta bianca che mi faceva da vestito da quanto grande era e un paio di pantaloncini neri tutti strappati che mi arrivavano al ginocchio. Guardai in cielo, il sole era esattamente sopra di me, quindi capii che era all’incirca mezzogiorno, così, dopo l’ispezione delle mie ferite decisi di riposarmi un po’, mi appoggiai a un albero con la speranza che quegli uomini non mi trovassero. Ero sul punto di addormentarmi quando notai che nella mano destra avevo una cicatrice molto strana: aveva la forma dello yin e dello yang, ma la cosa che più mi colpì fu il fatto che lungo i contorni di quella cicatrice c’era una strana luce che vi correva sopra, come se volesse definire meglio i contorni e a ogni giro diventava sempre più debole. Incantata, da quella stana cosa, mi ritornò alla mente quello strano nome Kirara, qual’era il suo significato?.
Nonostante tutte le emozioni provate nelle ultime ore, la stanchezza ebbe la meglio su di me, così nel giro di pochissimi minuti precipitai in un sonno profondissimo mentre ormai il sole stava per svanire.
   
 
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