Prologo
Non mi sono mai reputata una ragazza stupida.
Ingenua forse, ma stupida mai.
Eppure, quando i miei sensi si accendevano e la mia mente si
spegneva, tutto mi appariva differente.
Vedevo il bianco anche dove marciva una spessa coltre di
nebbia nera, il giusto ed il sbagliato si fondevano, non riuscivo più a
riconoscermi.
Non ero io.
Non ero io la ragazza che piangeva ogni notte.
Non ero io la ragazza che fingeva un sorriso.
Non ero io la ragazza che stringeva il suo cuore nelle mani infettate da lui.
Non ero io la ragazza che si doveva continuamente difendere
dal senso di colpa.
Non ero io la ragazza che si era annullata, per lui.
Mi sono resa conto troppo tardi di star volteggiando su un
filo di morbido e sottile veleno, un veleno potente, di quelli che ti divorano
dall’interno, distruggendoti lentamente e senza via di scampo.
Il mio veleno era Alessandro Bianchi, mi era entrato in
circolo dalla prima volta che l’avevo visto, aveva intasato il normale flusso
sanguigno nel momento in cui mi aveva sorriso, impedendomi di respirare,
parlare, camminare.
Ma che importanza aveva il dolore quando accorreva l’amore a
tamponare le ferite?
Quando la consapevolezza di volerne ancora ed ancora di quel
veleno, di distruggersi e ricomporsi nello stesso momento superava qualunque altra cosa?
Avevo imparato a disintossicarmi un passo alla volta,
sofferenza dopo sofferenza, lacrima dopo lacrima.
Avevo imparato a correre su quel filo morbido e sottile fino
ad arrivare alla mia destinazione.
Avevo scorto la luce tra le nuvole fitte, avevo trovato la
mia salvezza.
Avevo bisogno dell’antidoto per guarire, e il mio era
Emanuele Montebello.
O forse no?