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Autore: _joy    17/06/2013    4 recensioni
«E di me ti fidi?»
«Posso fidarmi?» rispondo «Dimmelo tu» 
«Sì» risponde senza esitazione. 
 
Gin/Ben
[Serie "Forever" - capitolo IV]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forever'
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Mi rigiro nel letto senza riuscire a dormire.
 
Che sia il cibo inglese?
Decisamente non è il mio preferito…
A parte il pie, che mi piace davvero (ma quello al pollo e verdure, non quello con le interiora!), per il resto mi sembra che qui ci si nutra di fritti e salse varie, in larga misura.
Per fortuna io ho sempre adorato cucinare e sono la mia salvezza: sarò l’unica italiana che a Londra ingrassa anziché dimagrire, se non smetto di mangiare pasta e Nutella.
 
Ma tanto, lo so che non è il cibo a darmi l’insonnia.
 
Non è neppure l’adrenalina per la bellissima serata di ieri, quando Ben mi ha portata a vedere un musical nel quartiere dei teatri.
 
A me il teatro è sempre sembrato magico.
Ma proprio a livello di atmosfera: ho lavorato per dei teatri, in Italia, e anche lo spettacolo più deludente per me ha sempre qualcosa di speciale.
Già solo il trovarsi dentro un teatro conferisce un tocco di magia agli attori, un calore diverso.
 
Almeno secondo me.
Ma Ben mi dà ragione.
 
Abbiamo visto uno spettacolo fantastico, abbiamo passeggiato senza fretta in Piccadilly Circus e abbiamo mangiato in un pub delizioso.
Poi siamo andati a casa di Ben e quello che è venuto dopo ha decisamente superato in meraviglia il resto della serata.
 
 
Mi volto sul fianco e allungo la mano verso il suo corpo, steso accanto al mio.
Anche lui dorme sul fianco, con una mano posata sul mio cuscino, tra i miei capelli.
Osservo il suo profilo nel chiarore della stanza: lui odia dormire con la finestra chiusa.
Quando lo abbraccio lui non si sveglia, ma si accoccola più vicino a me, sospirando.
Io sfioro piano la sua pelle e sento crescermi dentro una paura gigantesca.
 
Domani mattina Ben ha l’aereo per Los Angeles.
 
Sapevamo entrambi che questo momento sarebbe arrivato.
Solo che – per quanto mi riguarda – è arrivato decisamente troppo presto.
Trascorrere con lui ogni momento non mi ha resa più distaccata, anzi.
 
Ben mi rende… dipendente.
Non riesco a pensare di stargli lontana.
Non ce la faccio proprio.
 
Lo so, lo so, lo so.
È il suo lavoro.
È una parte importante della sua vita.
Avevo promesso a me stessa che ce l’avrei fatta.
E ci sto provando, davvero.
Credevo che una nuova vita, una nuova città e un nuovo lavoro – così tanto, tutto insieme – mi avrebbero aiutata a distrarmi.
 
Ma è inutile, invece: io vedo, penso, parlo e vivo solo per lui.
 
Ed è una cosa che mi fa una fottutissima paura.
 
 
Mi stringo a Ben e cerco di addormentarmi, ma questo senso di ansia che è in me non me lo permette.
Sono giorni che cresce, cresce, cresce.
Prima era come una minaccia latente, ma negli ultimi tre giorni è esplosa in forma di paura/ansia/depressione profonda all’incirca come un buco nero.
Sospiro e cerco di prendere fiato.
 
Dovrei essere felice visto che sono così felice.
Eppure la mia felicità, al momento, rischia seriamente di uccidermi.
Che l’amore mi renda filosofa?
Aiuto.
 
 
Evidentemente, ad un certo punto le mie elucubrazioni mentali mi hanno sfinita e mi hanno fatta collassare, perché un barlume di coscienza si fa lentamente strada nell’intontimento che mi pervade quando sento un corpo premere contro il mio.
Apro gli occhi a fatica, non sapendo se sto sognando o se davvero mi sto muovendo tra le lenzuola.
Mugugno e cerco di scuotermi dal torpore.
 
Pian piano, riemergo dal sogno.
Ben mi sta baciando il collo, lentamente.
Mi muovo contro di lui, apprezzando senza riserve il fatto che preferisce dormire senza il pigiama.
Capisce subito che sono sveglia e il ritmo delle sue carezze aumenta: da lievi si fanno esigenti e audaci.
Passo una mano sul suo petto e lui mi solleva la maglietta semplicissima che indosso.
Sospiro quando le sue labbra scendono sul mio seno.
«Scusa se ti ho svegliata» si interrompe un attimo per mormorare, ma io mi inarco verso di lui, pregandolo senza parole di non smettere.
Quando sento la lingua sostituirsi alle labbra gemo.
«Non voglio dormire» rispondo «Voglio solo te»
 
Sento le sue labbra sulle mie, prepotenti.
Mi godo il suo bacio, vorace e possessivo, e spingo il bacino contro il suo.
È già eccitato, ma lo sento ritrarsi.
Si alza sui gomiti e mormora, sulle mie labbra:
«Piano, piccola…»
 
Ed effettivamente facciamo l’amore con una dolcezza e una lentezza infinite.
Ben mi vezzeggia, mi stuzzica, mi adora in un modo che mi fa quasi dimenticare la paura per il nostro imminente distacco.
Esistono solo le sue mani, le sue labbra, il suo odore e la sua pelle.
Quando mi sembra di non farcela più, faccio scivolare una mano tra noi e lo cerco, ma lui mi ferma.
«Aspetta» bisbiglia.
 
Ancora? – penso.
 
Ma quando si china tra le mie gambe non faccio in tempo a lamentarmi.
Ansimo mentre lui mi accarezza sapientemente e infilo le dita tra i suoi capelli.
E poi grido, quando arriva il primo orgasmo.
Ma Ben non mi lascia nemmeno riprendere fiato che già il suo corpo preme contro il mio e io sento quanto è eccitato.
Ma adesso tocca a me: se lui può torturarmi in questo dolcissimo modo, io posso fare altrettanto.
Lo spingo di lato e rotoliamo tra le lenzuola, finché io non mi siedo a cavalcioni sopra di lui.
Inizio a baciargli le labbra, il collo, il petto, l’addome, scendendo lentamente sempre in più in basso.
Lui trattiene il fiato e poi geme, quando poso le labbra sul suo membro.
«Gin…Guarda che non resisto…»
Io sorrido e mi godo la sensazione di potere che so di avere su di lui, in questo momento più che mai.
Lo sfioro con la lingua e lui si inarca, chiudendo gli occhi.
Poi mi siedo su di lui e inizio a muovermi, lentamente.
Lui espira di colpo e riapre gli occhi, alzando le mani per stringere i miei seni.
Io butto indietro la testa e sospiro e lui si solleva a sedere.
Mette le mani sulle mie natiche, guidandomi, imponendomi il suo ritmo.
Io lo lascio fare, affondando la testa sulla sua spalla e stringendolo forte.
«Ti amo» mormoro al suo orecchio prima di mordergli delicatamente il lobo.
«Anche io, da morire» risponde lui.
La sua bocca scende sul mio seno, mentre lo sento muoversi più velocemente.
Gli mordo la spalla e lui mi tira indietro la testa.
I suoi occhi si fissano nei miei e sembrano bruciare, da quanto sono scuri.
Adoro guardarlo negli occhi mentre facciamo l’amore.
Rallenta appena un attimo, per consentirmi di arrivare all’orgasmo praticamente insieme a lui.
Ormai mi conosce alla perfezione: il mio corpo non ha segreti, per lui.
Ricadiamo indietro sui cuscini, io sempre stretta a lui.
Poso la guancia sul suo petto e ascolto i nostri respiri tornare normali.
 
«Gin, mi mancherai ogni singolo secondo» mormora lui, dopo un po’.
Io non alzo la testa ma lo stringo più forte e sento le sue dita infilarsi tra i miei capelli.
«Non è che piangi, vero, piccola?»
 
Ma come fa a saperlo?
È praticamente uno stregone.
 
Tiro su con il naso e scuoto il capo.
Lui ride sommessamente.
«Bugiarda…»
Mi fa scivolare sul letto accanto a lui e mi prende tra le braccia.
Mi accarezza la schiena e mi bacia la fronte e le guance.
«Non piango» ribatto io, con voce sommessa.
«Brava, amore mio. Perché lo sai che tanto ci vediamo presto…»
«Quanto la fai facile, tu!» sbotto, con il viso affondato nel suo petto.
Ma lui non si arrabbia: capisce il mio nervosismo.
«Non ti ho appena detto che mi mancherai da morire? Stavolta davvero non mi importa di questo nuovo film…»
 
Restiamo in silenzio per un po’ e io mi impongo di darmi una calmata.
Zittisco la parte egoista e preponderante di me e quando mi sembra di poter parlare ragionevolmente con calma alzo la testa.
«Non è giusto, Ben» poso le labbra sulle sue e poi gli mormoro:
«Lo so che sei emozionato per questo film ed è giusto che sia così. Anche io sono emozionata»
Lui mi lancia un’occhiata scettica.
«Dico davvero» insisto «Lo sono e non vedo l’ora di vederlo. Certo, visto che staremo lontani il minimo è che con questo film tu vinca l’Oscar…»
Lui ride.
«Mi perdonerai, se non lo vinco?»
Io sorrido e avvicino le labbra alle sue.
«Solo se ti mancherò ogni giorno e tornerai da me il prima possibile»
«Promesso» risponde, le labbra già sulle mie.
 
 
*
 
Per la mattinata della sua partenza mi ero ripromessa di fare la fidanzata modello, preparargli la colazione, farmi trovare pronta in tempi record e aiutarlo perché ogni cosa filasse liscia.
Puntualmente, non va in porto nessuna di questo cose.
Innanzitutto dormiamo a tratti, con Ben che mi sveglia a tratti con intenzioni inequivocabili: non è mai sazio, questo ragazzo.
Non che io possa lamentarmi, perché davvero è tutto fantastico, ogni volta di più.
Dormiamo, ci svegliamo, facciamo l’amore, cadiamo di nuovo addormentati.
Sarebbe tutto perfetto, se non dovessimo alzarci.
Ma dobbiamo.
Solo che, ovviamente, non sentiamo la sveglia.
Per nostra somma fortuna, Jack fa irruzione in camera urlando a squarciagola che è bella la vita, eh, casino di notte e urla e gemiti per tutta la notte e poi due ore di ritardo sulla sveglia.
 
Due ore?!
 
Ben salta in piedi e in un secondo è sotto la doccia, io tento di seppellirmi sotto il piumone e mi chiedo se semplicemente non si possa fingere che questa giornata non esista sul calendario.
Ma Jack mi tira via le coperte.
Io grugnisco.
«Allora, come è andata la notte? Fate sempre tutto questo casino?»
«Jack!» gli urla Ben dal bagno.
«No, perché sai… a un certo momento ho pensato di venire a tirarvi qualcosa… e comunque begli slip» ghigna quello.
«Jack!!» l’urlo di Ben non promette nulla di buono, persino suo fratello lo capisce.
«Bene. Me ne vado! Buon viaggio, fratellone!» mi molla una pacca scherzosa sul sedere al che io strillo e lui corre via.
Mugugno e mi trascino in bagno, mentre Ben esce dalla doccia.
Mi dà un bacio al volo e ride nel vedere la mia faccia.
«Bè, se non altro non abbiamo tempo per la malinconia, amore!»
 
In effetti è vero.
Siamo in aeroporto prima che io me ne renda conto.
Ben fa il check in e c’è talmente tanta coda che sfuma anche la possibilità di fare colazione insieme.
Quando torna da me dopo aver consegnato la valigia ci prendiamo per mano e ci avviciniamo alla zona dei controlli.
Guardo l’orologio: manca mezz’ora al decollo.
Lo so che devo andare.
Ci guardiamo e parliamo contemporaneamente:
«Senti…»
«Io…»
 
Lui sorride e, semplicemente, mi prende il viso tra le mani e mi bacia.
Un bacio che meriterebbe di finire nel Guinnes dei primati.
Quando stacca le labbra dalle mie io sto piangendo senza ritegno e lui ha gli occhi rossi.
«Non sopporto di vederti piangere» mormora, poggiando la fronte contro la mia.
Io mi mordo un labbro, ma non riesco a trattenere i singhiozzi.
«Vengo a casa appena ho una pausa nelle riprese, te lo prometto. Ti chiamo tutti i giorni e ti scrivo appena riesco va bene? Dai amore, asciugati gli occhi»
 
Non è giusto farlo partire con l’angoscia a causa mia, lo so.
Quindi mi asciugo le lacrime e abbozzo un penoso sorriso.
Ci baciamo di nuovo e quando iniziano a chiamare il suo volo sono io a spingerlo verso la zona dei controlli.
«Vai, che è tardissimo!»
Lui mi stringe ancora e, quando ci separiamo, all’improvviso mi infila qualcosa al collo.
Io sollevo la mano e sfioro due pendenti appesi al laccetto semplice che mi ha appena dato: un cuore e una B d’argento.
«Dillo che vuoi farmi piangere, allora!» sbotto e lo abbraccio e lui ridacchia.
 
Un ultimo bacio e lo osservo muovere qualche passo all’indietro.
«Ti amo, Gin!»
«Ti amo anche io!»
 
Quando si volta e va verso l’imbarco lo saluto con la mano.
Poi, quando è lontano, scoppio a piangere.
 
*
 
Ci vogliono due muffin al mirtillo e un thé molto dolce prima che mi decida a lasciare l’aeroporto e ad arrancare verso casa.
Il volo di Ben dura quasi dodici ore, solo durante la prima io guardo il cellulare circa trenta volte.
Me la devo smettere, o mi prenderà un colpo prima che lui atterri.
 
Telefono a mia madre, a Serena, a Francesca.
Poi prendo un autobus e vado nel mio appartamento.
Di andare a casa di Ben ora non ho proprio voglia.
Lui mi ha lasciato le chiavi, ma circondarmi delle sue cose al momento di certo non mi farebbe bene.
Invece, quello che ci vuole è il mio disordine cronico.
Ucciderò la malinconia seppellendola sotto scarpe e vestiti.
 
Butto all’aria tutto e pulisco, riordino, stiro.
Salto il pranzo e la sera sono sporca, sudata, esausta, ma la stanza sta assumendo sembianze umane.
Scatto una foto con il cellulare per mandarla a Ben e guardo per la prima volta il telefono.
Sono passate otto ore e mezza.
‘Fanculo ai voli oltreoceano!
 
Mangiucchio svogliatamente un biscotto e intanto apro la posta elettronica…
E mi prende un colpo.
 
C’è una mail di Jack, indirizzata sia a me che a Ben.
Ci ha mandato il link a un sito che pubblica delle foto di noi due insieme, stamattina, all’aeroporto.

   
 
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