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Autore: kashia    05/01/2008    9 recensioni
"Strawberry ha 30 anni e racconta quello che è stato il suo unico e grande amore e di come la vita, a volte, ci porta via l'unica cosa senza la quale diventa impossibile andare avanti..."
Genere: Romantico, Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Ryo Shirogane/Ryan
Note: Alternate Universe (AU), What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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TERZA PARTE

TERZA PARTE

 

 

 

L’arrivo di Ethan aveva portato una nuova ventata di felicità nella nostra vita. Tutto era perfetto e non c’era nient’altro che potessi desiderare.

Ovviamente non era semplicissimo badare a due bambini così piccoli. Entrambi avevano bisogno di attenzioni 24h su 24h e non potevamo permetterci di distrarci un secondo che magari Nathan cercava di arrampicarsi su una sedia o si accingeva a lanciare per aria un oggetto recuperato da qualche parte….e ovviamente, Ethan in tutto questo scoppiava a piangere disperato.

Ma quando poi arrivava la sera e io e Ryan ci soffermavamo ad osservarli dormire beati nei loro lettini, tutta la fatica della giornata scompariva in un secondo.

Stretta dal suo braccio che mi cingeva le spalle e accoccolata contro il suo petto ad osservare i nostri figli, ero pervasa da un assurda felicità che mai nessuno sarebbe riuscito a comprendere neanche lontanamente.

E’ una sensazione impossibile da spiegare a parole, risulterebbe troppo banale e non vorrei sminuirla, non lo merita.

Ad essere davvero sinceri, non nego di essere rimasta un po’ delusa quando scoprì che avremmo avuto un altro maschietto. Nel profondo del mio cuore speravo che in arrivo ci fosse una bambina. Desideravo tanto una piccola Strawberry da vestire tutta carina, con vestitini colorati e nastrini, ma il destino ha voluto un altro piccolo clone di Ryan.

E’ assurda la somiglianza con il padre, sia Nathan che Ethan sono la sua perfetta fotocopia. Entrambi capelli biondi e occhi blu. Sono adorabili.

Ultimamente poi, quando parlo con Nathan e lo guardo negli occhi, mi sembra davvero di guardare Ryan.

Più cresce e più gli somiglia in modo incredibile. Mi guarda con gli stessi occhi, ha le sue stesse espressioni, anche i gesti diventano sempre più simili.

Tutto questo è meraviglioso, ma non nego che a volte sento il cuore stringersi in una morsa senza scampo.

Sento il respiro velocizzarsi e le lacrimi pronte ad affacciarsi sul mio viso. Ma devo trattenermi, non voglio che mio figlio capisca, non voglio che creda di essere la causa della mia malinconia.

Vorrei rivederti Ryan.

Vorrei correrti incontro e abbracciarti.

Vorrei che mi stringessi forte e che mi dicessi che tutto andrà bene.

Mi manchi.

Mi manchi in ogni piccola cosa.

Mi manchi quando mi sveglio la mattina, quando prima di alzarmi mi accoccolavo contro il tuo petto nascondendo il viso nell’incavo del tuo collo.

Mi manchi quando preparo il pranzo e tu non ci sei a prendermi in giro sulle mie scarse doti culinarie.

Mi manchi quando faccio le pulizie e tu non salti fuori da qualche parte per farmi spaventare.

Mi manchi la notte, quando m’infilo nel nostro letto e tu non sei già li a riscaldarlo per me,  perché sai quanto odio il freddo.

Ogni piccola cosa, anche la più stupida e banale, mi ricorda te. Qualsiasi cosa io dica o faccia, ci sei sempre tu nei miei pensieri, e non c’è nulla che io possa fare per evitarlo.

Tu farai sempre parte della mia vita, anche fra 10, 20 o 50 anni…sarei sempre con me, gelosamente custodito nel mio cuore e onnipresente nella mia mente.

Te lo giuro.

 

Ma facciamo un passo indietro.

Tutto è incominciato 2 anni fa.

Era già qualche tempo che Ryan veniva colpito da qualche strano mal di testa. Erano episodi sporadici, che accadevano soprattutto verso sera. All’inizio non ce ne preoccupammo più di tanto, entrambi pensavamo che fosse dovuto alla stanchezza, al fatto che Ryan passasse gran parte della sua giornata lavorativa d’avanti ad un computer. Ryan si limitava a prendere qualche analgesico prima di andare a dormire e la mattina seguente il mal di testa era solo un vago ricordo.

Passarono due mesi e i mal di testa non accennavano a passare, anzi, diventavano sempre più frequenti e insopportabili. Una volta, mentre ripulivo la cucina dopo cena, Ryan andò a stendersi  sul divano del salotto per immergersi nella lettura di uno dei suoi complicatissimi libri.

Mi fermai ad osservarlo.

 Lo vidi appoggiare il libro sulle ginocchia e cominciare a massaggiarsi le tempie. Poi lo vidi stringere gli occhi e una smorfia di dolore comparire sul suo viso.

Rimasi pietrificata.

Ryan aveva sempre sminuito quel fastidio che ormai si portava dietro da qualche mese e, vederlo li, soffrire in silenzio, mi spiazzò. Mi precipitai su di lui, cercando un modo per aiutarlo ma non sapevo cosa fare. Stavo per chiamare un ambulanza ma lui mi fermò.

Gli chiesi delle spiegazioni, gli chiesi il motivo per il quale non mi avesse mai detto che la situazione era così peggiorata, ma lui continuava a non darci troppo peso.  Alla fine però riuscì a convincerlo a farsi visitare da un medico specialista.

La prima cosa che feci la mattina seguente fu chiamare il nostro medico curante per chiedergli il nome di uno specialista abbastanza stimato. Lui mi consigliò il dottor. Nagase, primario del dipartimento di neurologia dell’ospedale di Tokyo.

Chiamai lo studio del dottore e la sua segretaria mi fissò un appuntamento per la settima successiva.

Il dottor Nagase era un uomo sui 50 anni, dalla corporatura robusta e di altezza media. Era una persona molto cordiale, pacata, ma anche un uomo dall’innegabile preparazione professionale, cosa che percepii immediatamente quando incominciammo a parlare del problema di Ryan.

Dopo una normalissima visita di routine, il dottor Nagase consigliò a Ryan una serie di analisi cliniche per vedere la natura di quei mal di testa. Ci disse comunque di stare tranquilli, molto probabilmente Ryan soffriva solo di una forma più forte del normale di emicrania.

Fissammo un altro appuntamento 2 settimane più tardi.

Qualche giorno dopo accompagnai Ryan in ospedale per fare la tac. Lui insisteva per lasciar perdere il tutto ma io m’impuntai. Ero troppo preoccupata per lui, vederlo stare così male solo poche sere prima mi aveva allarmato. Gli avrei fatto fare tutti gli esami del mondo se fosse stato necessario.

Ryan fu chiamato per il suo turno e io rimase ad attenderlo nella saletta adiacente.

Quasi 30 minuti dopo vidi uscire un medico e dirigersi verso di me. Mi chiese se fossi la signora Shirogane e io annui.

Mi guardò seriamente, dritto negli occhi.

Immediatamente mi resi conto che qualcosa non andava. Mi diede i risultati delle analisi e mi chiese chi fosse il medico che si occupava di mio marito. Risposi che era il dottor Nagase e mi consigliò di contattarlo al più presto. Chiesi quale fosse il problema ma lui mi rispose dicendo di essere un radiologo, che non era quello il suo campo. Mi disse ancora di portare le analisi dal dottor Nagase e che ci avrebbe spiegato lui il tutto.

Non dissi niente a Ryan, non volevo farlo agitare. Appena tornammo a casa chiamai immediatamente il dottore e feci anticipare l’appuntamento al giorno seguente.

Il giorno dopo, mentre attendevamo il nostro turno nell’asettica stanzetta bianca, mi sentivo come un condannato a morte, poche ore prima dell’esecuzione. I mal di testa di Ryan erano più gravi del previsto, ne ero sicura.

Pochi minuti dopo entrammo nello studio e porsi al dottore i risultati delle analisi. Cominciò a studiarli attentamente, l’espressione del suo volto era grave…

Signor Shirogane la situazione è più grave di quel che pensavo…esordì il dottore con sguardo severo.

Mi voltai verso Ryan e lo guardai.

Il suo volto era irrigidito, gli occhi ridotti in due piccole fessure. Cercai la sua mano e la strinsi forte nella mia, poi Ryan chiese al dottore di essere più chiaro.

Il dottore chiese a Ryan se in quel periodo avesse sofferto di vertigini, mancanza di equilibrio, scoordinamento motorio e se i mal di testa erano talmente forti da indurre vomito.

Ryan si limitò ad annuire e io rimasi sconvolta. Possibile che non mi era mai accorta di nulla?

Signor Shirogane…lei ha un tumore al cervello…per essere più precisi…al cervelletto…

Quelle parole piombarono su di noi come una sentenza.

Rimasi immobile, sconvolta, quelle parole continuavano a risuonare ripetutamente nella mia testa.

In un attimo, tutto era crollato.

Sentì Ryan stringere più saldamente la mia mano ma il suo volto rimase impassibile.

Avrei voluto chiedere spiegazioni ma dalla mia bocca non usciva nessun suono. Fu Ryan a porre domande.

Chiese cosa bisognava fare, se c’era una cura e pregò il dottore di essere conciso, di non usare inutili giri di parole. Continuavo a fissarlo stralunata, da dove la prendeva tutta quella calma?

Io mi sentivo d’impazzire…

Il dottore, capendo la determinazione di Ryan di essere messo al corrente di tutta la verità, fu molto chiaro…

Signor Shirogane, sarò sincero…il tumore al cervello è uno dei più difficile da curare. Il cervello è una delle parti più delicate del nostro corpo e trovandosi anche in una zona abbastanza ristretta quale il cranio, si ha presto la formazione di un liquido che comprime le pareti ossee e produce forti emicranie come quelle che lei ha accusato, di conseguenza anche l’espansione della massa tumorale è molto veloce. Per quanto riguarda la cura, la chirurgia è da escludersi in quanto non darebbe nessun tipo di risultato concreto al fine di curare la malattia. Anche la  chemioterapia è da escludere in quanto il cervello è molto difficile da raggiungere con in farmaci a causa di una propria barriera naturale che lo protegge dagli agenti esterni. L’unica cura al momento  possibile è la radioterapia…

Ryan chiese di essere più chiaro, voleva sapere in cosa consistesse quel tipo di cura.

Il dottor Nagase continuò…

Le opzioni possibili, e le più recenti sono due: la brachiterapia e la radioterapia stereotassica. La brachiterapia consiste nella somministrazione della radioterapia attraverso l’infissione di aghi nella testa carichi di sostanze radioattive; la radioterapia stereotassica si serve dell'ausilio di sofisticati strumenti per la visualizzazione e la delimitazione delle aree su cui intervenire e consiste nella somministrazione di raggi ad alta energia direttamente sulla massa da distruggere.

Stavo per sentirmi male. Non riuscivo a credere alle mie orecchie.

Stava accadendo tutto troppo in fretta. Nel giro di un ora la nostra vita era totalmente cambiata. Mai più nulla sarebbe stato come prima. Ringraziammo il dottore e uscimmo.

Dopo pochi minuti ci ritrovammo in strada.

Anche se eravamo nei primi giorni di settembre e la temperatura era ancora abbastanza calda, il mio corpo era un pezzo di ghiaccio.

Le gambe mi tremavano visibilmente.

Quando poi incrociai lo sguardo di Ryan e vidi i suoi occhi velati di tristezza, non riuscì più a trattenermi.

Mi lanciai su di lui e piansi come una bambina. Avrei dovuto essere io a dare coraggio a lui, dovevo essere io a dirgli di non preoccuparsi, che tutto sarebbe andato bene…. Ma non ci riuscivo, l’unica cosa che ero in grado di fare in quel momento era piangere.

Quella sera decidemmo di tornare a casa a piedi, passeggiando mano nella mano come non facevamo da quando entrambi eravamo due ragazzini.

La settimana successiva Ryan cominciò la brachiterapia.

E quello fu l’inizio della fine.

Gli aghi che infilavano nel cervello erano carichi di sostante radioattive e il dolore che Ryan provava ogni qual volta che si sottoponeva a quel trattamento erano lancinanti. Di conseguenza, una terapia così forte aveva anche dei gravissimi effetti collaterali su altre parti del corpo.

Ma Ryan non si diede mai per vinto, ha continuato a combattere e ad affrontare quel calvario senza arrendersi mai, lottando con le unghie e con i denti.

Ma qualunque cosa Ryan avesse fatto, la malattia continuava a progredire…inesorabile, fino a quando, dopo 10 mesi di calvario, il dottor Nagase ci disse che avevano provato l’impossibile…ma che purtroppo non era servito a nulla, il tumore continuava a progredire inarrestabile.

Ricordo che quella notte rimasi tutta la notte stesa accanto a lui, stretta al suo corpo.

Come avrei fatto a vivere senza di lui?

Ryan mi avrebbe lasciato e io sarei rimasta sola a vivere una vita che senza di lui non avrebbe avuto senso. Ryan mi coccolò dolcemente e facemmo l’amore, per l’ultima volta….

I giorni trascorrevano troppo veloci e Ryan stava sempre peggio.

Faticava ad alzarsi dal letto, il respiro era sempre più affannoso e riusciva a combattere il mal di testa, che ormai era diventato cronico e lancinante, solo con massicce dosi di morfina.

In tutto questo però, non si è mai lamentato ne ha mai pianto, almeno non in mia presenza.

Gli ultimi giorni della sua malattia gli abbiamo trascorsi insieme, passavo 24 ore al giorno stesa accanto a lui e parlavamo per ore intere, di qualsiasi cosa.

Non volevo lasciarlo da solo, avevo paura che se mi fossi allontanata anche solo per 1 secondo lui sarebbe andato via per sempre, dove io non avrei mai potuto raggiungerlo.

Ricordo che una sera mi disse che avrei dovuto continuare a vivere anche per lui, di non aver paura, che sarei dovuta essere forte per i nostri figli e che attraverso i miei occhi lui gli avrebbe guardati crescere e diventare adulti. Mi disse di non avere rimpianti e di non rinunciare a vivere solo perché lui non ci sarebbe stato, e soprattutto, di trovare un’altra persona che si sarebbe presa cura di me….

Più Ryan parlava e più io piangevo, a anche ora, mentre scrivo, le lacrime scorrono da sole…inesorabili.

Con quella frase Ryan aveva dimostrato di essersi arreso alla realtà dei fatti…lui non ci sarebbe più stato.

Quella notte stessa, alle 4.16 del mattino, Ryan morì…

E una parte di me stessa quella notte è morta con lui….

Qualche settimana dopo scoprì di aspettare un bambino.

Ryan avrebbe avuto un altro figlio, ma che non avrebbe mai potuto conoscere.

Un altro maschietto.

Un'altra sua piccola fotocopia.

Un bambino però che non avrebbe mai potuto conoscere suo padre.

L’ho chiamato Ryo, in tuo onore.

In onore dell’uomo più meraviglioso dell’intero universo, dell’uomo che ho amato e che mi ha amata più della sua stessa vita.

Quando diventerà più grande gli parlerò di te, sarà orgoglioso di suo padre…te lo prometto Ryan.

Io nel frattempo cerco di essere forte, cerco di fare del mio meglio con i nostri bambini, ma non è facile.

Mi manchi da morire….mi sento perduta senza di te….

Ma ti ho fatto una promessa…e ti giuro, te lo prometto, farò del mio meglio…cercherò di vivere, ma mai, per nessuna ragione al mondo, qualcuno prenderà il tuo posto.

Il mio cuore ti appartiene…ora…e per sempre…

 

 

 

 

FINE

 

Molti di voi hanno sicuramente già letto questa fanfiction. Ho solo corretto qualche piccolo dettaglio che non mi piaceva e l’ho divisa in 3 parti più o meno della stessa lunghezza.

P.S: la descrizione della malattia di Ryan e delle possibili cure sono dati presi da un enciclopedia medica, nulla è inventato. Grazie per l’attenzione, alla prossima. Kashia.

 

  
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