TERZA PARTE
L’arrivo di Ethan aveva portato una nuova
ventata di felicità nella nostra vita. Tutto era perfetto e non c’era
nient’altro che potessi
desiderare.
Ovviamente non era semplicissimo badare a due bambini così
piccoli. Entrambi avevano
bisogno di attenzioni 24h su 24h e non potevamo permetterci di distrarci un
secondo che magari Nathan
cercava di arrampicarsi su una sedia o si accingeva a lanciare per aria un
oggetto recuperato da qualche parte….e ovviamente, Ethan in tutto questo scoppiava a piangere
disperato.
Ma quando poi arrivava la sera e io e Ryan ci soffermavamo ad osservarli dormire beati nei loro
lettini, tutta la fatica della giornata scompariva in un secondo.
Stretta dal suo braccio che mi cingeva le spalle e accoccolata
contro il suo petto ad osservare i nostri figli, ero pervasa da un assurda felicità che mai nessuno
sarebbe riuscito a comprendere neanche lontanamente.
E’ una sensazione impossibile da spiegare a parole, risulterebbe troppo banale e non
vorrei sminuirla, non lo merita.
Ad essere davvero sinceri, non nego di essere rimasta un po’
delusa quando scoprì che avremmo avuto un altro maschietto. Nel profondo del
mio cuore speravo che in arrivo ci fosse una bambina. Desideravo tanto una
piccola Strawberry da vestire tutta carina, con vestitini colorati e nastrini,
ma il destino ha voluto un altro piccolo clone di Ryan.
E’ assurda la somiglianza con il padre, sia Nathan che Ethan
sono la sua perfetta fotocopia. Entrambi capelli biondi e occhi blu. Sono
adorabili.
Ultimamente poi, quando parlo con Nathan e lo guardo negli occhi, mi sembra davvero di
guardare Ryan.
Più cresce e più gli somiglia in modo incredibile. Mi guarda con
gli stessi occhi, ha le sue stesse espressioni, anche i gesti diventano sempre
più simili.
Tutto questo è meraviglioso, ma non nego che a volte sento il
cuore stringersi in una morsa senza scampo.
Sento il respiro velocizzarsi e le lacrimi pronte ad affacciarsi
sul mio viso. Ma devo
trattenermi, non voglio che mio figlio capisca, non voglio che creda di essere
la causa della mia malinconia.
Vorrei rivederti Ryan.
Vorrei correrti incontro e abbracciarti.
Vorrei che mi stringessi forte e che mi dicessi che tutto andrà
bene.
Mi manchi.
Mi manchi in ogni piccola cosa.
Mi manchi quando mi sveglio la mattina, quando prima di alzarmi mi
accoccolavo contro il tuo petto nascondendo il viso nell’incavo del tuo collo.
Mi manchi quando preparo il pranzo e tu non ci sei a prendermi in
giro sulle mie scarse doti culinarie.
Mi manchi quando faccio le pulizie e tu non salti fuori da qualche parte per farmi
spaventare.
Mi manchi la notte, quando m’infilo nel nostro letto e tu non sei
già li a riscaldarlo per
me, perché sai quanto odio il freddo.
Ogni piccola cosa, anche la più stupida e banale, mi ricorda te.
Qualsiasi cosa io dica o
faccia, ci sei sempre tu nei miei pensieri, e non c’è nulla che io possa fare
per evitarlo.
Tu farai sempre parte della
mia vita, anche fra 10, 20 o 50 anni…sarei sempre con me,
gelosamente custodito nel mio cuore e onnipresente nella mia mente.
Te lo giuro.
Ma facciamo un
passo indietro.
Tutto è incominciato 2 anni fa.
Era già qualche tempo che Ryan veniva colpito da qualche strano mal di testa. Erano
episodi sporadici, che accadevano soprattutto verso sera. All’inizio non ce ne preoccupammo
più di tanto, entrambi pensavamo che fosse
dovuto alla stanchezza, al fatto che Ryan passasse gran parte
della sua giornata lavorativa d’avanti ad un computer. Ryan si limitava a
prendere qualche analgesico prima
di andare a dormire e la mattina seguente il mal di testa era solo un vago
ricordo.
Passarono due mesi e i mal di testa non accennavano a passare,
anzi, diventavano sempre più frequenti e insopportabili. Una volta, mentre
ripulivo la cucina dopo cena, Ryan andò a stendersi sul divano del salotto per immergersi nella
lettura di uno dei suoi
complicatissimi libri.
Mi fermai ad osservarlo.
Lo vidi appoggiare il libro
sulle ginocchia e cominciare a massaggiarsi le tempie. Poi lo vidi stringere
gli occhi e una smorfia di dolore comparire sul suo viso.
Rimasi pietrificata.
Ryan aveva sempre sminuito
quel fastidio che ormai si portava dietro da qualche mese e, vederlo li,
soffrire in silenzio, mi spiazzò. Mi precipitai su di lui, cercando un modo per
aiutarlo ma non sapevo cosa fare. Stavo per chiamare un ambulanza ma lui mi fermò.
Gli chiesi delle spiegazioni, gli chiesi il motivo per il quale
non mi avesse mai detto che
la situazione era così peggiorata, ma lui continuava a non darci troppo
peso. Alla fine però riuscì a
convincerlo a farsi visitare da un medico specialista.
La prima cosa che feci la
mattina seguente fu chiamare il nostro medico curante per chiedergli il nome di
uno specialista abbastanza stimato. Lui mi consigliò il dottor. Nagase, primario del dipartimento di neurologia dell’ospedale
di Tokyo.
Chiamai lo studio del dottore e la sua segretaria mi fissò un
appuntamento per la settima successiva.
Il dottor Nagase era un uomo sui 50 anni, dalla corporatura
robusta e di altezza media.
Era una persona molto cordiale, pacata,
ma anche un uomo dall’innegabile preparazione professionale, cosa che percepii
immediatamente quando incominciammo a parlare del problema di Ryan.
Dopo una normalissima visita di routine, il dottor Nagase
consigliò a Ryan una serie di analisi
cliniche per vedere la natura di quei mal di testa. Ci disse comunque di stare tranquilli, molto probabilmente
Ryan soffriva solo di una forma più forte del normale di emicrania.
Fissammo un altro appuntamento 2 settimane più tardi.
Qualche giorno dopo accompagnai Ryan in ospedale per fare la tac.
Lui insisteva per lasciar perdere il tutto
ma io m’impuntai. Ero troppo preoccupata per lui, vederlo stare
così male solo poche sere prima mi aveva allarmato.
Gli avrei fatto fare tutti
gli esami del mondo se fosse stato necessario.
Ryan fu chiamato per il suo turno e io rimase ad attenderlo nella saletta adiacente.
Quasi 30 minuti dopo vidi
uscire un medico e dirigersi verso di me. Mi chiese se fossi la signora
Shirogane e io annui.
Mi guardò seriamente, dritto negli occhi.
Immediatamente mi resi conto che qualcosa non andava. Mi diede i
risultati delle analisi e mi chiese chi fosse
il medico che si occupava di mio marito. Risposi che era il dottor Nagase e mi
consigliò di contattarlo al
più presto. Chiesi quale fosse
il problema ma lui mi rispose dicendo di essere un radiologo, che non era
quello il suo campo. Mi disse ancora di portare le analisi dal dottor Nagase e
che ci avrebbe spiegato lui il tutto.
Non dissi niente a Ryan, non
volevo farlo agitare. Appena tornammo a casa chiamai
immediatamente il dottore e feci anticipare l’appuntamento al giorno seguente.
Il giorno dopo, mentre attendevamo il nostro turno nell’asettica
stanzetta bianca, mi sentivo come un condannato a morte, poche ore prima
dell’esecuzione. I mal di testa di Ryan erano più gravi del previsto, ne ero sicura.
Pochi minuti dopo entrammo nello studio e porsi al dottore i
risultati delle analisi. Cominciò a
studiarli attentamente, l’espressione del suo volto era grave…
Signor
Shirogane la situazione è più grave di quel che pensavo…esordì il dottore con sguardo severo.
Mi voltai verso Ryan e lo guardai.
Il suo volto era irrigidito, gli occhi ridotti in due piccole
fessure. Cercai la sua mano e la strinsi forte nella mia, poi Ryan chiese al
dottore di essere più chiaro.
Il dottore chiese a Ryan se in quel periodo avesse sofferto di vertigini, mancanza di equilibrio,
scoordinamento motorio e se i mal di testa erano talmente forti da indurre
vomito.
Ryan si limitò ad annuire e io rimasi sconvolta. Possibile che non
mi era mai accorta di nulla?
Signor
Shirogane…lei ha un tumore al cervello…per
essere più precisi…al cervelletto…
Quelle parole piombarono su di noi come una sentenza.
Rimasi immobile, sconvolta,
quelle parole continuavano a risuonare ripetutamente nella mia
testa.
In un attimo, tutto era crollato.
Sentì Ryan stringere più saldamente la mia mano ma il suo volto
rimase impassibile.
Avrei voluto chiedere spiegazioni ma dalla mia bocca non usciva nessun suono. Fu Ryan a
porre domande.
Chiese cosa bisognava fare, se c’era una cura e pregò il dottore di essere conciso, di non usare
inutili giri di parole. Continuavo a fissarlo stralunata, da dove la prendeva
tutta quella calma?
Io mi sentivo d’impazzire…
Il dottore, capendo la determinazione di Ryan di essere messo al corrente di tutta la
verità, fu molto chiaro…
…Signor Shirogane, sarò
sincero…il tumore al cervello è uno dei più difficile
da curare. Il cervello è una delle parti più delicate del nostro corpo e
trovandosi anche in una zona abbastanza ristretta quale il cranio, si ha presto
la formazione di un liquido che comprime le pareti ossee e produce forti
emicranie come quelle che lei ha accusato, di conseguenza anche l’espansione
della massa tumorale è molto veloce. Per quanto riguarda la cura, la chirurgia
è da escludersi in quanto non
darebbe nessun tipo di risultato concreto al fine di curare la malattia. Anche
la chemioterapia è da escludere in quanto il cervello è molto
difficile da raggiungere con in farmaci a causa di una propria barriera
naturale che lo protegge dagli agenti esterni. L’unica cura al momento possibile è la radioterapia…
Ryan chiese di essere
più chiaro, voleva sapere in cosa consistesse quel tipo di cura.
Il dottor Nagase continuò…
…Le opzioni possibili, e le più recenti sono due: la
brachiterapia e la radioterapia stereotassica. La brachiterapia consiste nella
somministrazione della radioterapia attraverso l’infissione di aghi
nella testa carichi di sostanze radioattive; la radioterapia stereotassica si
serve dell'ausilio di sofisticati strumenti per la visualizzazione e la
delimitazione delle aree su cui intervenire e consiste nella somministrazione
di raggi ad alta energia direttamente sulla massa da distruggere.
Stavo per sentirmi male. Non riuscivo a credere alle mie orecchie.
Stava accadendo tutto troppo in fretta. Nel giro di un ora la
nostra vita era totalmente cambiata. Mai più nulla sarebbe stato come prima.
Ringraziammo il dottore e uscimmo.
Dopo pochi
minuti ci ritrovammo in strada.
Anche se eravamo
nei primi giorni di settembre e la temperatura era ancora abbastanza calda, il
mio corpo era un pezzo di ghiaccio.
Le gambe mi tremavano visibilmente.
Quando poi incrociai
lo sguardo di Ryan e vidi i suoi occhi velati di tristezza, non riuscì più a
trattenermi.
Mi lanciai su di lui e piansi come una bambina. Avrei dovuto
essere io a dare coraggio a lui, dovevo essere io a dirgli di non preoccuparsi,
che tutto sarebbe andato bene…. Ma non ci riuscivo, l’unica cosa che ero in grado di fare in quel
momento era piangere.
Quella sera decidemmo di tornare a casa a piedi, passeggiando mano
nella mano come non facevamo da quando entrambi eravamo due ragazzini.
La settimana successiva Ryan cominciò la brachiterapia.
E quello fu
l’inizio della fine.
Gli aghi che infilavano nel cervello erano carichi di sostante radioattive e il dolore
che Ryan provava ogni qual volta che si sottoponeva a quel trattamento erano
lancinanti. Di conseguenza, una terapia così forte aveva anche dei gravissimi
effetti collaterali su altre parti del corpo.
Ma Ryan non si
diede mai per vinto, ha continuato a combattere e ad affrontare quel calvario
senza arrendersi mai, lottando con le unghie e con i denti.
Ma qualunque cosa Ryan avesse
fatto, la malattia continuava a progredire…inesorabile, fino a
quando, dopo 10 mesi di calvario, il dottor Nagase ci disse che avevano provato
l’impossibile…ma che purtroppo non era servito a nulla, il tumore continuava a
progredire inarrestabile.
Ricordo che quella notte rimasi
tutta la notte stesa accanto a lui, stretta al suo corpo.
Come avrei fatto a vivere senza di lui?
Ryan mi avrebbe lasciato e io sarei rimasta sola a vivere una vita
che senza di lui non avrebbe avuto senso. Ryan mi coccolò dolcemente e facemmo
l’amore, per l’ultima volta….
I giorni trascorrevano troppo veloci e Ryan stava sempre peggio.
Faticava ad alzarsi dal letto, il respiro era sempre più affannoso
e riusciva a combattere il mal di testa, che ormai era diventato cronico e
lancinante, solo con massicce dosi
di morfina.
In tutto questo però, non si è mai lamentato ne ha mai pianto,
almeno non in mia presenza.
Gli ultimi giorni della sua malattia gli abbiamo trascorsi
insieme, passavo 24 ore al
giorno stesa accanto a lui e parlavamo per ore intere, di qualsiasi cosa.
Non volevo lasciarlo da solo, avevo paura che se mi fossi allontanata anche solo per 1
secondo lui sarebbe andato via per sempre, dove io non avrei mai potuto
raggiungerlo.
Ricordo che una sera mi disse che avrei dovuto continuare a vivere
anche per lui, di non aver paura, che sarei
dovuta essere forte per i nostri figli e che attraverso i miei occhi lui gli
avrebbe guardati crescere e diventare adulti. Mi disse di non avere rimpianti e
di non rinunciare a vivere solo perché lui non ci sarebbe stato, e soprattutto,
di trovare un’altra persona che si sarebbe presa cura di me….
Più Ryan parlava e più io piangevo, a anche ora, mentre scrivo, le lacrime scorrono da
sole…inesorabili.
Con quella frase Ryan aveva
dimostrato di essersi arreso alla realtà dei fatti…lui non ci sarebbe
più stato.
Quella notte stessa, alle 4.16 del mattino, Ryan morì…
E una parte di
me stessa quella notte è morta con lui….
Qualche settimana dopo scoprì di aspettare un bambino.
Ryan avrebbe avuto un altro figlio, ma che non avrebbe mai potuto conoscere.
Un altro maschietto.
Un'altra sua piccola fotocopia.
Un bambino però che non avrebbe mai potuto conoscere suo padre.
L’ho chiamato Ryo,
in tuo onore.
In onore dell’uomo più meraviglioso dell’intero universo,
dell’uomo che ho amato e che mi ha amata
più della sua stessa vita.
Quando diventerà più
grande gli parlerò di te, sarà orgoglioso di suo padre…te lo prometto Ryan.
Io nel frattempo cerco di essere
forte, cerco di fare del mio meglio con i nostri bambini, ma non è facile.
Mi manchi da morire….mi sento perduta senza di te….
Ma ti ho fatto
una promessa…e ti giuro, te lo prometto, farò del mio meglio…cercherò di
vivere, ma mai, per nessuna ragione al mondo, qualcuno prenderà il tuo posto.
Il mio cuore ti appartiene…ora…e per sempre…
FINE
Molti di voi hanno sicuramente già letto questa fanfiction. Ho solo corretto qualche piccolo dettaglio che
non mi piaceva e l’ho divisa in 3 parti più o meno della stessa lunghezza.
P.S: la descrizione della malattia di
Ryan e delle possibili cure sono dati presi da un enciclopedia medica, nulla è
inventato. Grazie per l’attenzione, alla prossima. Kashia.