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Autore: Crow17    21/06/2013    1 recensioni
Mi accasciai lentamente a terra, sempre ad occhi chiusi, persa nei miei pensieri annebbiati dal sonno. Presi il cellulare dalla tasca del cappotto con una mano infreddolita. Nessun messaggio. Nessun segno di lui.
Prima di cedere al dolce tepore dell’incoscienza, un pensiero mi balenò nella mente.
“E se mi avesse mentito? Se fosse tutto uno scherzo crudele? E se…”
Una lacrima gelata cadde dai miei occhi stanchi, quasi ad indicare la fine.
Morii.
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“La mia piccola… Perché… Perché proprio tu?”. Dei singhiozzi lontani le facevano tremare la voce.
Mamma? Perché stai piangendo?
“Ophelia, la mia bambina... Non la…”. Ancora singhiozzi.
Non riesco a sentirti! Dove sei? Mamma!
“Tesoro, smettila. La nostra Ophelia non c’è più. Lascia che riposi in pace, non facciamola preoccupare per noi ora che è felice”. Il tono di mio padre era grave. Sembrava avesse pianto per ore.
Una sedia si mosse, proprio accanto a me. Se ne stavano andando.
Mamma! Papà! Sono qui! Vi prego, non andate via!
Dovevo fermarli. Cercai di alzarmi, ma sentivo il corpo bloccato da un macigno. Ci riprovai, ma nulla. Provai a parlare. Nessun suono. Dopo vari tentativi, dalla bocca mi uscì un rantolo. Il chiacchiericcio che prima era nella stanza si placò. L’avevano sentito! Con tutta la determinazione in mio possesso riprovai a dire qualcosa. Niente. Perché non riuscivo a parlare? Cercai di fare un respiro profondo. Non ci riuscii. Ecco cosa non andava: mancava aria nei polmoni. E, a quanto pare, non aveva nemmeno intenzione di entrarci. Stupida aria! Un altro respiro profondo. Questo, finalmente, funzionò.
“Mamma? Dove sei?” Avevo la voce molto roca, non sapevo nemmeno se si capissero le mie parole. Aprii gli occhi.
“Oh, Dio! Ophelia!”. Mia madre corse ad abbracciarmi. Era così calda… Sentivo le sue tiepide lacrime bagnarmi la guancia. Chissà per quanto aveva pianto per me, eppure era riuscita a tirare fuori ancora lacrime per esprimere la sua gioia.
“Sei proprio tu, Ophi?”. Era il solito, mio padre. Una persona composta, non si lasciava mai prendere troppo dalle emozioni. Oggi no. Aveva un’espressione incredula, anche lui con le lacrime che solcavano gli zigomi pronunciati del suo magro viso.
“Ciao papà”. Non trovai niente di meglio da dire, né a lui né a mia madre. Rimanemmo in quella posizione per un po’. Mio padre in piedi, sullo stipite della porta, osservava ancora incredulo me e mia madre abbracciate.
Fu mia madre la prima a muoversi. “Tesoro, sei congelata! Vieni, torniamocene a casa. Ti preparerò un bel bagno caldo e un po’ di cibo. Sarai affamata, immagino”. Mi aiutò ad alzarmi. Non avevo notato su cosa fossi distesa finché non fui sollevata da mia madre. Una bara. Cercai di nascondere il mio orrore. Ero viva, e stavo tornando a casa. Mio padre, vedendo mia madre in difficoltà a spostarmi, decise di intervenire. Uscimmo tutti e tre da quell’orribile stanza lentamente, quasi come se i miei volessero riprendersi tutto il tempo perduto durante la mia morte “apparente”.
Incontrammo gli addetti delle pompe funebri nel corridoio verso l’uscita. Nessuno dei miei genitori si staccò dal nostro goffo abbraccio per parlare con loro.
“Non c’è più bisogno dei vostri servigi, signori”. Iniziò mio padre la conversazione. “Come vedete, mia figlia è viva, e sta bene. Quindi noi ce ne andiamo. Arrivederci”. Non aspettammo nemmeno la loro riposta.
Usciti dall’edificio mia madre mi aiutò a salire nei posti posteriori dell’auto, per poi sedersi accanto a me. Non avevo ancora ripreso il totale controllo del mio corpo, perciò necessitavo del suo aiuto. Non avevo mai passato così tanto tempo insieme a loro, erano sempre occupati con il lavoro. Mio padre lavorava come direttore in un’azienda di cosmetici, mentre mia madre faceva la pittrice. Ogni giorno, quando mi svegliavo, loro erano già usciti per andare al lavoro. Li rivedevo solo la sera a cena.
Ero felice che loro fossero lì con me.
Il tragitto verso casa non mi era mai sembrato così breve, e prima che me ne accorgessi eravamo già dentro il cancello. Mi aiutarono a scendere dall’auto e mi portarono dentro.
“Vado a preparare il bagno, tesoro”. Mia madre sparì di corsa su per le scale.
Mio padre mi adagiò sul divano, distesa,e andò in cucina a prepararmi un tè caldo e qualcosa da mangiare. Guardai fuori dalla finestra, in attesa. L’inverno imperversava ancora per le strade, e il freddo non permetteva ai bambini di uscire a giocare.
Un fiocco di neve cadde sul davanzale, e poco dopo iniziò a nevicare. Rimasi incantata da quello spettacolo, quasi fosse la mia prima volta. Non potei fare a meno di pensare a quanto fosse bello, e allo stesso tempo triste, essere un piccolo e fragile fiocco di neve.
Cosa starà facendo Alec, ora? Che si sia dimenticato di me?
 Non potei fare a meno di pensarlo. Ero ancora innamorata di lui, dopotutto.
“Il bagno è pronto, cara. Vieni, ti aiuto.” Mia madre mi aiutò ad alzarmi, e mi accompagnò di sopra in bagno. Mi tolse i vestiti e mi aiutò ad immergermi dentro la vasca. L’acqua era piacevolmente calda, e il profumo del mio bagnoschiuma preferito, all’essenza di rosa, era estremamente rilassante.
“Abbassati un po’, tesoro. Ti va se ti lavo io?”. Era leggermente riluttante. Forse aveva paura di un no come risposta. Non le risposi subito. Ero commossa. L’ultima volta che fece questa domanda  frequentavo la seconda elementare. Mi ero ammalata di morbillo ed ero stata ricoverata in ospedale.
“Grazie, mamma. Di tutto.” Pensavo fosse una risposta troppo vaga, così riflettei su cos’altro aggiungere e guardai la guardai in faccia. Aveva le lacrime, ma sorrideva. L’avevo resa felice solo con quelle parole. Le sorrisi di rimando, e cercai di abbracciarla. Ero ancora molto goffa, ma lei capì al volo le mie intenzioni. Mi strinse forte contro il suo petto, accarezzandomi dolcemente la testa.
Si staccò da me con delicatezza, e cominciò a lavarmi i capelli. Poi passò al corpo. Stava molto attenta quando mi toccava, come se fossi stata una piccola e fragile bambola di porcellana.
Dopo aver finito, mi accompagnò in cucina. Riuscivo a camminare da sola, ma mia madre insistette a volermi seguire. Mi accomodai a tavola assieme a mio padre. Come promesso, una tazza di tè ai frutti rossi fumante attendeva, accompagnato da un piccolo sandwich vegetariano.
Nonostante erano i miei cibi preferiti, in quel momento non mi allettarono affatto. Non avevo fame, ma cercai comunque di buttar giù qualche sorso di tè per non far preoccupare i miei genitori, che in quel momento mi fissavano. Mi sentivo un po’ a disagio con i loro sguardi addosso, ma preferii non farlo notare.
Guardai l’orologio della cucina, cercando di distrarmi un po’. Le tre del pomeriggio.
Ebbi un tuffo al cuore. Cominciai ad agitarmi, fino a cadere dalla sedia. Distesa sul pavimento, cominciai ad urlare. Urlai con tutta la forza che avevo. Non poteva essere una coincidenza. Era l’orario dell’appuntamento con Alec, il giorno che finì tutto.
“Cosa ti succede, Ophelia? James, fermala!” Mio padre si buttò ad abbracciarmi, per poter fermare la mia pazzia.
“Ophelia! Ophelia, calmati. C’è papà con te, non devi avere paura. Calmati, tesoro.”
La sua voce calma e rassicurante mi convinse a smettere di urlare e dimenarmi, ma il mio respiro affannoso non accennava a rallentare.
“Brava, così.” Mio padre strinse l’abbraccio, rassicurandomi ancora. Mia madre aveva immerso un fazzoletto in acqua fredda, e lo posò sulla mia fronte. Quel tocco gelato mi fece tornare la lucidità e il controllo su me stessa. Rallentai il respiro, fino quasi ad estinguerlo, e mi lasciai andare totalmente tra le braccia di mio padre.
“Ho tanta sonno… Papà…” biascicai, guardando mio padre dritto negli occhi.
“Ho capito, piccola. Ti porto subito in camera tua.”
Mi portò di peso fino in camera mia, al secondo piano. Lì, mi depose sul letto, coprendomi con il mio trapuntone invernale.
“Se hai bisogno di qualunque cosa, non esitare a chiamarci. Noi siamo di sotto, in cucina.”
Allungai una mano, aggrappandomi alla sua camicia. “Non.. andate via… Rimanete qui... Io non voglio… da sola…”
I miei genitori si guardarono, poi mio padre disse: “D’accordo. Staremo qui con te, non ti preoccupare. Non ce ne andremo, quindi dormi tranquilla, tesoro.”
Allentai la presa, e li guardai con occhi stanchi.
“Grazie…”
Grazie di tutto. Vi voglio bene.
Caddi subito dopo in un sonno profondo, senza avere il tempo di finire la frase.
  
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