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Autore: TeddySoyaMonkey    23/06/2013    6 recensioni
[Interattiva]
"Ambarabà ciccì coccò
Un tributo mi schiattò,
era in vita da troppe ore
e di funghi avvelenati mangiò le spore.
La fine degli Hunger Games decretò,
Ambarabà ciccì coccò."
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Caesar Flickerman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Angolo di Ted:
È solo metà capitolo, perché non volevo rimandare ancora di una settimana. Scusate comunque l’attesa.
Non ho molto da dire, quindi… pigna, pizzicotto, manicotto, tigre e ciao.
Teddy

 

Le cose più belle della vita o sono immorali, o sono illegali, oppure fanno ingrassare.
Parte I

Gelatina alla frutta 

Justin pensò di aver avuto una fortuna spropositata.
Si lasciò cadere sulla massa gelatinosa e ondeggiante di un intenso rosso ciliegia, ridacchiando sommessamente mentre quella ondeggiava sotto il suo peso. In tutta l’arena, aveva trovato il letto perfetto.
Certo, la scarpinata per il bosco gli era costata parecchia fatica, ma era certo che riposare su quel letto d’occasione l’avrebbe rifocillato a dovere.
All’undici dormiva sul pavimento o su un giaciglio di paglia, non aveva cibo e i dolci se li poteva solo sognare: pensò quasi che gli sarebbe piaciuto vivere in quell’arena, se altre ventitré persone non avessero cercato di ucciderlo.
“Meno di ventitré persone.” Si corresse mentalmente. “Ne sono morte parecchie al bagno di sangue.”
Quasi a confermare i suoi pensieri, nel cielo rosato sopra la sua testa risuonò l’inno di Panem, con un tempismo perfetto.
Justin si affrettò a posare l’arco e la faretra accanto alla gelatina e a sistemarvisi al di sopra, così che quando apparve il volto di Coco, il maschio dell’Uno, era già comodo.
Il ragazzo dell’undici fissò le labbra piene e gli occhi azzurri e tristi del ragazzo, arricciando le labbra: era carino, ma aveva tratti troppo fini per i suoi gusti. Se non avesse avuto le sopracciglia così cespugliose e un fisico così privo di forme Justin avrebbe scommesso tutte le unghie dei piedi che quel Coco era una ragazza.
Seguì il volto della ragazza del tre, così fiducioso e pieno di speranza, e quello del ragazzo dello stesso distretto. Quel Chip dallo sguardo freddo e indagatore. E dire che durante l’allenamento l’aveva trovato attraente.
Scosse la testa, sospirando; dopo tutto gli Hunger Games rimanevano qualcosa di infinitamente triste.
Rimase a commentare i volti di tutti i ragazzi morti nella mente, giustificandosi semplicemente dicendo che pur di distrarsi dai giochi era davvero disposto a criticare o elogiare l’aspetto dei tributi morti, non accorgendosi che, presto gli avrebbe fatto compagnia.
 
Quando il cannone sparò, il corpo di Justin, il tributo maschile del distretto undici, era immerso nella gelatina alla ciliegia e soffocato da essa. Quando l’hovercraft lo prelevò, il ragazzo aveva gli occhi fuori dalle orbite, coperti da una patina rossa e gommosa, così come le membra ancora rigide, mentre le vie respiratorie: bocca e naso, così come la maggior parte dei polmoni, erano invase dalla stessa materia.
 
 
 
 
 
 

Non ti scordar di me all’anice

 
Jared vagava da solo per l’arena. Era calata da poco la notte, che lì nell’arena aveva assunto una strana sfumatura rosata che gettava una strana luce sullo zucchero, facendolo sembrare ancora più luccicante e appetitoso. Sulle persone, però, sembrava che quella luce facesse uscire il loro lato più mostruoso.
Jared decise di accamparsi ai piedi di un salice che sembrava fatto di impasto per biscotti al cioccolato, tra le cui radici si stendeva un fazzoletto d’erba che profumava di menta piperita. Era un posto che sembrava tanto riparato- grazie al largo tronco- tanto confortevole.
Era un giorno che vagava per l’arena, cercando di combattere l’istinto di assaggiare qualcosa, così dopo essersi tolto dalle spalle il pesante zaino, si lasciò cadere ai piedi del tronco.
Chiuse gli occhi, appoggiò la testa all’impasto, non curandosi dei capelli che gli si impiastricciavano e stese le gambe davanti a sé, le mani lasciate a penzoloni sull’erba.
Fu allora che li notò. Erano piccoli, ma la loro consistenza era ben diversa da quella dell’erba. Sembravano piccole gemme, lisce e dure. Ne prese una tra il pollice e l’indice e tirò, così che tra le mani vide un piccolo fiore di zucchero trasparente. Era più pesante di un fiore normale e più lucido, ma Jared vi riconobbe un non ti scordar di me.
D’un tratto si ritrovò a chiedersi di che cosa sapesse. Vicino la centrale eolica, al distretto cinque, c’erano dei fiori così e una volta, per scommessa, li aveva mangiati. Chissà se il sapore era lo stesso e poi, un dolcetto così piccolo avrebbe potuto nuocergli ben poco, ammesso che davvero nuocesse.
Si mise il fiore in bocca, facendo schioccare la lingua contro il palato. Non appena lo zucchero si sciolse la bocca gli si riempì del sapore dell’anice. Arricciò il naso, ma continuò a succhiare la caramella; avrebbe preferito sentire il più fedele sapore del fiore, ma l’anice non era poi tanto male.
Ingoiò il dolce e si appoggiò meglio al tronco, poi si mise lo zaino sulle ginocchia e iniziò a frugarvi all’interno, ignorando l’acqua, il cibo e l’arma che gli sponsor gli avevano mandato,  alla ricerca della corda che vi aveva trovato durante la prima ispezione, per costruirvi una trappola da mettere intorno al salice. Tuttavia non fece in tempo ad aprire le cinghie del grosso zaino che la testa iniziò a ciondolare e il capo gli si chinò sul petto.
Gli occhi rimasero aperti e vacui, come se fosse morto.
Eppure il cannone non sparò.
 
Passarono ore prima che qualcosa nella sua situazione cambiò, e comunque successe per caso quando Ailanda lo trovò in quello stato comatoso.
La ragazza passava di lì per caso. Dopo aver seppellito i morti cercava un punto in cui accamparsi che fosse abbastanza lontano dalle tombe, in modo da far perdere le sue tracce ad eventuali inseguitori.
Quando vide Jared dapprima si mise sull’attenti, piegando le dita a mo’ di artigli, pronta a scappare, ma quando vide che il suo avversario dormiva si rilassò, per quanto una come lei potesse rilassarsi in generale.
Gli si avvicinò, con le sopracciglia aggrottate, sorprendendosi del fatto che non si fosse svegliato sentendola arrivare; insomma, era vero che magra com’era non aveva un passo pesante, ma non era nemmeno stata attenta a passare inosservata. Comunque, anche quando si avvicinò al ragazzo, quello non si mosse. Ailanda pensò che fosse morto e le spalle le cedettero, dato che quello avrebbe voluto dire seppellire un altro tributo. Poi però realizzò di non aver sentito alcun cannone sparare e di conseguenza quel tipo- che riconobbe come il ragazzo del cinque- aveva il sonno più pesante del mondo.
Avvicinandosi ancora notò che sulle gambe, aveva uno zaino nero parecchio grosso, che di sicuro conteneva un bel po’ di roba, sarebbe stato così facile ucciderlo e rubare lo zaino… ma non poteva farlo.
Se voleva andare contro Capitol City non doveva uccidere. Certo, quel ragazzo aveva un sonno così pesante che le sembrò un gioco da ragazzi rubare lo zaino e scappare prima che quello si fosse del tutto ripreso.
Si schiarì la voce e saltò sul posto un paio di volte, pronta a scattare in qualsiasi momento, giusto per vedere se il ragazzo si svegliava, ma nulla.
In un lampo decise di avvicinarsi, così fece un balzo, agguantò lo zaino e poi commise un errore fatale: lo guardò negli occhi e li trovò aperti, sgranati e vacui. Si spaventò così tanto di quegli occhi da morto che perse l’equilibrio e cercò con la mano un punto d’appoggio sul terreno d’erba verde e non ti scordar di me.
Strinse tra le dita l’erba e con un ringhio basso scattò in dietro, pronta a gettarla in faccia al suo inquietante assalitore che, di sicuro, doveva essersi svegliato.
Quello, però, era ancora addormentato. Ailanda capì che c’era sotto qualcosa di strano. Si grattò una tempia, appena sotto all’estremo della cicatrice a forma di “X” che aveva sul viso, con la mano che ancora stringeva l’erba. Quasi avesse avuto un’illuminazione, aprì di scatto la mano e ne osservò il contenuto: Oltre all’erba alla menta che, dato quant’era popolare nell’arena doveva essere innocua, c’erano anche dei piccoli fiori blu.
Sapeva che sapore avesse un sonnifero e come ulteriore prova ne prese uno e gli diede una leccata veloce, prima di prendere la borraccia d’acqua dal paracadute ripiegato che usava a mo’ di zaino, inviatale- con sua sorpresa- dagli sponsor insieme a del pane dal distretto tre per sciacquarsi la bocca da ogni eventuale miscela sonnifera.
Non fece in tempo a capire che il fiore sapeva di anice che le gambe incominciarono a cederle e mentre cadeva addormentata al fianco del ragazzo riuscì solo a pensare che i sonniferi di Capitol City erano davvero troppo forti.
 
 

 
 

Marshmellows
 

James passò la scatola di riso e polpette di carne a Nathan e tornò a guardare i marshmellows che, lentamente, si annerivano sulla punta di una freccia.
Il fuoco scoppiettava, illuminando i volti soddisfatti dei favoriti che, alla fine del loro primo giorno in arena si godevano una cena sostanziosa, con tanto di dolce. Certo, data l’arena, era piuttosto difficile non lasciarsi andare alla tentazione di evitare il dolce. Tuttavia i favoriti si erano limitati a qualche marshmellows, temendo che le cose che facevano più gola- come i fiori di marzapane e i tronchi di cioccolato- fossero avvelenati.
Nathan ingoiò un paio di cucchiaiate dalla scatola e la passò ad Eyelyner, senza dire una parola.
Dopo il bagno di sangue si erano limitati a raccogliere le armi, metterle al sicuro all’interno della cornucopia, e a preparare il campo davanti alla bocca del corno. Stendendo i sacchi a pelo intorno ad un falò che, lentamente, aveva sciolto lo zucchero fino a scavare una piccola fossa.
Non avevano parlato molto, eccetto che per organizzarsi, e Nathan ne era rimasto sorpreso; durante il bagno aveva scherzato e riso con Del, ma quando tutti i tributi erano morti o fuggiti, la ragazza aveva smesso di rivolgergli la parola e, osservandola, Nathan intuì che stava sondando il terreno.
Aveva fatto qualche commento sul seno (secondo lei rifatto) di Lyn, e lì si era fermata. Era strano da parte sua, ma Nathan sospettava che stesse sondando il comportamento degli altri. Anche il suo.
La cosa, doveva equivalere per gli altri due, dal momento che, a parte un piccolo litigio sul dove posizionare le scorte di cibo, si erano a stento rivolti la parola malgrado fino a quel momento, non avevano mai perso occasione di battibeccare.
A Nathan non importava nulla di tutto ciò. Era troppo presto per preoccuparsi di un tradimento o di un uno contro tutti e il fatto che gli altri non lo avessero ancora capito lo divertiva, lo faceva sentire superiore.
Tolse la freccia dal fuoco e la porse a Del, tenendola per il retro così che la punta incandescente puntò verso la ragazza, che trasalì nel vedersi un’arma puntata contro e fece per afferrare il braccio del ragazzo. Tuttavia, quando capì che si trattava di Nathan si rilassò.
-Marshmellow?- Chiese questi, con un piccolo ghigno sulle labbra: quello che era appena successo significava solo una cosa: Del si fidava di lui, che l’avesse capito o meno.
La ragazza afferrò la freccia e strappò con un morso il primo dolcetto, guardando Nathan di sottecchi, con le sopracciglia aggrottate:- Perché quel sorriso ebete?- Chiese, masticando a bocca aperta.
Il ghigno di Nathan si aprì ancora di più:- Mi piacciono i dolci.- Disse.
L’altra gli lanciò uno sguardo sospettoso ma decise di non indagare oltre, ingoiò il marshmellow e passò la freccia a James, facendo una smorfia a Lyn, giusto per far notare che il fatto che non l’avesse passata per prima a lei- che le stava di fianco- non era un caso.
Eyelyner rispose scuotendo la chioma bionda con aria altezzosa, ma non disse nulla.
James mangiò il marshmellow ridacchiando sotto i baffi per quel piccolo bisticcio: vedere le ragazze litigare lo divertiva, inoltre sperava che prima o poi l’antipatia delle due sfociasse in una lotta... Gli sarebbe tanto piaciuto vedere la ragazza dell’uno reduce da una battaglia con una sua degna rivale, con i capelli arruffati, i vestiti strappati e il resto. In quel caso per il suo bel faccino avrebbe anche potuto ignorare quanto era fastidiosa.
Con un ghigno ancora più ampio le passò la freccia, ma lei rifiutò con un gesto della mano. Del non si fece perdere un’occasione così ghiotta di infastidirla:- Cos’è, Bambolina? Troppi grassi saturi per te?-
Eyelyner storse il naso:- Quando sarete delle palle di ciccia e combatterete rotolando ne riparleremo.- Da come lo disse parve una battuta, e nessuno, nemmeno Del, sospettò che, in realtà, era proprio quella la sua strategia: aspettare che gli altri tributi si lasciassero prendere dalla gola e che diventassero fiacchi in modo che lei potesse ucciderli senza sforzo. In fondo, se c’era qualcosa che insegnavano al distretto uno, quella era mantenere la linea.
La freccia finì a Nathan, che prese l’ultimo dolce prima di prenderne altri dal mucchio che aveva formato lì a fianco.
Non aveva ancora rimesso la freccia sul fuoco quando Del parlò:- Caesar Flickerman.-
-Cosa?- Fece, voltandosi a guardarla. Era seduta a gambe incrociate come poco prima, ma ora la schiena era dritta e rigida come una tavola di legno. Il viso, invece aveva un’espressione sorpresa, come se la ragazza non si aspettasse di star pronunciando quelle parole.
-Caesar Flickerman.- Ripeté. –Mi sono…-
Del si portò di scatto le mani alla bocca, toppandosela.
-Ma che ti prende?- Le chiese James, completamente basito.
Del non se ne curò: la sua bocca sembrava avere vita propria: senza volerlo aprì le mascelle e si morse con forza un dito. Mentre abbassava le mani di scatto, non riuscì nemmeno a emettere un gemito di dolore che la sua bocca aveva ripreso a parlare:- Mi sono spogliata davanti a Caesar Flickerman!- Strillò.
Gli altri ragazzi la guardavano straniti. Nemmeno James, che la conosceva di vista all’Accademia le aveva mai visto in faccia un’espressione così sgomenta.
-Dopo le interviste sono andata in camera sua. Era buio, lui parlava al telefono… è stato così facile spingerlo sul letto, lui non ha opposto resistenza e…- Del fece una smorfia, come se stesse combattendo contro la propria bocca, ma evidentemente alla fine perse, perché continuò:- mi sono spogliata, lui mi ha afferrato, mi ha baciato e poi… gli ho tirato un calcio lì e sono scappata.-
Il silenzio cadde tra i favoriti. Nessuno, tanto meno Del, riusciva a credere che avesse per davvero detto quelle cose.
La prima a rompere il silenzio fu Lyn:- Hai capito che sgualdrina la nostra Oleander!-
Del però la ignorò:-Ma che…- Sussurrò, portandosi una mano alle labbra, quasi timidamente. –che diamine…?- Storse la bocca, come a provarla, ma sembrava tornata in sé.
L’attenzione era ancora sulla ragazza del due quando fu il turno del suo compagno di distretto: James si irrigidì tutto d’un colpo e, esattamente com’era successo a Del, quando la sua bocca si aprì lo fece non controllata dal suo cervello.
-Ho pensato ad Lyn nuda. Ho avuto fantasie su Lyn nuda. In questo momento vorrei vedere la…- Non fece in tempo a finire la frase che un pugno lo colpì in pieno viso. No, non un pugno, il proprio pungo.
James iniziò a tirarsi ceffoni da solo, nel tentativo di non parlare e stava più o meno funzionando, dato che ora parlava a tratti, come una radio piena di interferenze:- Lyn… le sue… io…-
Gli altri favoriti osservarono circospetti il loro alleato che stava picchiando se stesso violentemente, chi divertita e dimentica che la cosa era appena accaduta a lei come Del, chi, suo malgrado, lusingato come Lyn e chi, come Nathan preoccupato del fatto che, a rigor di logica, presto sarebbe toccato a lui.
Quando i pugni cessarono, James perdeva sangue dal naso, era certo di aver perso un paio di molari e sentiva già la faccia rossa per l’imbarazzo e gonfia di lividi, ma, per lo meno, la bocca era tornata sotto il suo controllo.
Ci fu un secondo di pausa, il ragazzo del due sputò il sangue che aveva sulla lingua all’interno del falò e riuscì a dire:- I marshmellows… sono quei dannati marshmellows!-
La sua teoria venne confermata quando fu Nathan a perdere il controllo, al posto di Lyn, che sembrava immune a quella strana cosa, anche se piuttosto divertita.
Nathan si sentì stringere la gola e mentre passava in rassegna quello che avrebbe potuto rivelare, la lingua cessò di essere sotto il suo controllo.
Aprì la bocca e quello che disse sembrò essere la spiegazione all’unico punto di domanda irrisolto che, anche se per un momento, aveva sorpreso tutti i tributi, durante il bagno di sangue.
-Deianira.- Disse. –L’ho uccisa io.-
-Impossibile.- Disse Lyn con aria altezzosa. –La scema è semplicemente caduta dalla…-
-Non era una scema.- La interruppe Nathan. La sua bocca si muoveva ma i suoi occhi guardavano ostinatamente il cielo notturno, eppure rosato, dell’arena. –Era stata stuprata.-
Passarono alcuni secondi di silenzio, poi la bocca di Nathan aggiunse, in modo pacato:- Da me. Durante l’addestramento. Lei stava cercando il bagno ed io l’ho fatto. Avevo detto che me ne sarei occupato. Alla fine è svenuta e dato il suo comportamento dei giorni seguenti credo che avesse dimenticato tutto… fino a questa mattina.-
-Cosa?- Esplose Del, stranita, a metà tra il disgusto e l’ammirato.
Nathan non rispose. Sentì la lingua tornare sua e, sotto lo sguardo sconcertato die suoi compagni e dell’intera Capitol City prese i marshmellows rimanenti e li gettò nel fuoco.
-Questa roba- Concluse. –è solo merda.-
James, ancora intontito dalla rissa contro se stesso, non capì se il ragazzo del quattro si riferisse ai dolcetti o agli Hunger Games in generale. Siccome Nathan era un favorito, decise di credere alla prima ipotesi.
 

Cioccolatini al liquore

 
Quando si svegliò Evangeline era ancora completamente nuda, ma , al contrario della notte prima, durante la quale si era data silenziosamente ma con grande piacere, alla pazza gioia con Soar, era sola.
Difatti il ragazzo mancava all’appello. Il sacco a pelo che avevano condiviso, stretti l’uno all’altra, tanto vicini da non poter fare altro che rimanere appiccicati come le due estremità di un sandwich incollate dalla maionese, era tutto per lei.
Lo spiazzo di caramello solido e appiccicoso su cui avevano steso il sacco a pelo era illuminato dai raggi del sole rosa del primo mattino. Evangeline si stiracchiò le braccia, scostandosi i lunghi capelli scuri e impiastricciati di caramello dalle spalle, anche se accamparsi nella palude era stata la cosa più sicura da fare alla ragazza non era piaciuto granché passare la notte con quell’olezzo zuccheroso sotto il naso.
Sospirò, guardandosi intorno: accanto al sacco c’era il coltello che si erano portati dal bagno di sangue e tanto bastò a tranquillizzarla sul fatto che il suo prestante compagno non stesse architettando qualcosa per ucciderla.
Così, in tutta tranquillità si alzò, senza curarsi del fatto che tutta Panem la stesse guardando nuda, e raggiunse il mucchio di vestiti che avevano lasciato la notte prima. Indossò solo la biancheria; il resto dei vestiti era troppo pieno di caramello per essere utilizzato, e si guardò attorno, alla ricerca di qualcosa da mangiare.
La scelta era piuttosto ampia: la palude era costituita da frondose liane caramellose, da un acquitrino di cioccolato e da una ricca gamma di vegetazione appetitosa: da dove si trovava Evangeline riusciva a vedere rampicanti di marzapane, canneti di zucchero, e una moltitudine di funghi colorati di diversa forma e materiale. La ragazza si avvicinò al gruppo più vicino, vi si inginocchiò accanto e si portò un dito alle labbra, indecisa.
Non le era passato nemmeno per la testa che i funghi potessero essere avvelenati; erano di zucchero e sarebbe stato troppo scontato da parte degli strateghi, optò per un piccolo funghetto dall’aria innocente del colore del cioccolato fondente.
Lo morse, senza pensarci e subito sentì il gusto familiare e bruciante dell’alchol. Dopo il primo morso ne venne un secondo, e poi un terzo e quando del fungo non rimase più nulla, Evangeline ne afferrò un altro della stessa specie.
“ Meraviglioso.” Pensò, sarcastica. “Una sbronza era proprio quello che mi ci voleva per sopravvivere a quest’inferno”. Eppure non riusciva più a smettere.
Si ingozzava, un fungo dietro l’altro, con sempre più appetito, sempre più acquolina e quando Soar tornò dal suo sopraluogo la trovò seduta sullo spiazzo, curva sui funghi, il viso sporco di cioccolato e una luce folle negli occhi.
Provò più volte a dissuaderla dal mangiare, a farla allontanare dai funghi, senza risultati. La ragazza gli ringhiò contro, lo minacciò con il coltello e gridò, pur di non farsi portare via con la forza dai suoi dolci.
E quando, dopo ore, Soar pose fine all’alleanza, lasciandola sola sullo spiazzo e ripetendole che non si poteva permettere un’alleata così volubile e stupida, Evangeline nemmeno se ne accorse.
-Sei praticamente già morta.- Furono le ultime parole del ragazzo. –Non mi servi più.-
Il tono della voce era quasi triste, a discapito della durezza delle sue parole; con lei si era divertito, dopo tutto, ma Evangeline non riuscì a sentirlo, mentre si strafogava.
 

 

  
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