Serie TV > Dr. House - Medical Division
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Autore: Kimmy_90    16/01/2008    3 recensioni
[SOSPESA] [ma l'autrice è carica di buoni propositi, e quindi promette che entro il 21 12 2012 la finirà.]
Daisuke e House: legati da un certificato di nascita che fa del primo il figlio dell'altro. Poi una porta sfondata, perchè House è sempre House, non si piegherà di certo al primo che esibisce un foglio e gli chiede ospitalità. Soh, bimbetto che l'inglese non lo capisce ma si diletta ben in altro modo, e Hector, che rimane pur sempre un cane ultracentenario. Cameron, l'eterna crocerossina, e Cuddy, che si lascia investire dal suo istinto materno. Infine Wilson, l'unico che tenta di far funzionare la baracca, che prova a far ragionare la gente e, al solito, ci rimette.
E poi il Vicodin.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Greg House, James Wilson, Lisa Cuddy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
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Tre: cosa diamine ha quest'uomo?!
Col cazzo che te la ripago, la porta!


“Ehi.”
Silenzio.
Sbuffò, preso un po' dal panico e un po' dalla situazione ante imponderabile. Aveva passato giorni a sistemare un discorso decente, per non traumatizzare troppo l'americano, calcolando più o meno ogni opzione possibile.
'Più o meno', perchè che Gregory House fosse una persona del genere era un'idea che non aveva sfiorato nemmeno da lontano la sua mente. Soh continuava a guardarlo, domandandosi che cosa sarebbe successo, adesso. Se lo chiedeva anche lui, perchè ora era veramente terrorizzato.
Forse era un brutto momento, pensò, come ultima scusa per l'altro.
“Ehi!”
Un pianoforte iniziò a suonare un valzer particolarmente vivace, partendo con un certo brio ed interrompendosi poco dopo. Daisuke non era persona dall'orecchio fino, non sentiva che l'ultima o la penultima nota stonava in una maniera che mandava House in bestia.
Optò per un approccio più diretto, mai che quello si decidesse a calcolarlo.
“Mister House!”
Nah.
“Gregory House!”
No, non direi.
“Dottor House!!”

Il diagnosta, sentendo chiamato in causa il suo lavoro, cedette all'idea di pensare che quello, effettivamente, potesse essere un paziente, chissà, magari interessante. Era decisamente torturato dal far nulla, tanto che zoppicò nuovamente alla porta, aprendola.
“Va bene, ragazzino.”
Daisuke sorrise, raggiante.
“Adesso vai al Princeton Plainsboro Teaching Hospital, ti fai vedere, e se la cosa è veramente insolvibile come tutti voi sostenete, posso farci uno... mezzo pensiero.”
Questa volta il ragazzo ci mise un po' a collegare tutte le parole della frase, completamente esule dal contesto in cui stava parlando l'altro. Rimase imbambolato qualche secondo, fissandolo, e finalmente realizzò.
“No, non ci siamo capiti, allora...”
Confuso com'era, la sua parlata era decisamente tentennante.
“Senti” tagliò corto House “Se non sei un paziente ne' un omino della radio venuto a dirmi che finalmente sono miliardario, non posso aiutarti. Visto che dubito fortemente della seconda ipotesi e che la prima l'hai negata tu stesso, arrivederci.”
Fece per chiudere nuovamente la porta: questa volta Daisuke si ricordò di avere dei riflessi e che andavano usati. Così cacciò il piede fra lo stipite e il bordo della porta, impedendo al medico di richiuderla per l'ennesima volta.

Daisuke era furente.
In meno di trenta secondi Gregory House gli aveva distrutto il mondo fantastico che aveva costruito su di lui. Sentendosi perso, e soprattuto continuamente punzecchiato da quello che pareva estremamente infastidito dalla sua comparsa non ancora spiegata, mandò a quel paese i buoni propositi, le buone intenzioni e tutto ciò di positivo che aveva caricato dentro se' per andarsene all'altro capo del mondo alla ricerca di quest'uomo che lo aveva disarmato a bruciapelo: così passò al contrattacco, deciso, indipendentemente da qualsiasi cosa, a perseguire nel suo intento originale.
“Prova a richiuderla e io la sfondo.”
House la raprì, lentamente, ulteriormente infastidito dal comportamento del ragazzo, che, di colpo, da insistente ma docile, era mutato in alquanto aggressivo. Quello lo guardava con le sottili sopracciglia ravvicinate, gli occhi a mandorla taglienti, le iridi azzurre cariche di determinazione.
“Si può sapere cosa diamine vuoi?” domandò, finalmente.
Ormai Daisuke era partito per la tangente.
“Credo che se tu ci lasciassi entrare avremmo già fatto un grande passo avanti.”
Il tono era fortemente infastidito ed acido.
“Non faccio entrare in casa mia ragazzini simil-rock-punk-surrogato di visual band. Sai, è una questione di sicurezza.”
Ecco, ora faceva anche il superficiale.
“Lo sapevi che l'uomo con più eredi in assoluto al mondo è Gengis Khan?”
House arretrò, perplesso.
“E allora?” sottolineò, infastidito
“Niente, era così, per dire.”
Essere riuscito a portare l'altro a porgli domande gli parve una vittoria. Per un momento ebbe quasi l'impressione di averlo in pugno. S'illuse di aver smorzato il rifiuto iniziale dell'uomo.

Data l'insistenza dell'altro, House aveva iniziato a fiutare che la magica apparizione dell'asiatico non sarebbe stata cosa che si sarebbe risolta in una manciata di minuti. Neanche in qualche ora, a dirla tutta.
Ormai non poteva rinunciare, quello gli sarebbe stato addosso per lungo tempo, vista la determinazione con cui si muoveva.
“Ascoltami.” fece il giapponese con tono imperativo. “Per favore”, aggiunse poi, senza smentire le sue origini.
Ormai House non aveva più nessuna scappatoia. Espirò, chinando il capo verso il basso, come sgonfio, poi si volse di lato, appeso allo stipite per compensare il peso che la gamba priva di un bel po' di muscoli non poteva sostenere.
“Va bene”

Daisuke si sentì rasserenato, sicuro di aver sorpassato quell'inaspettato scoglio iniziale. Ad ogni modo, viste le prime (insensate) tensioni, preferì lasciar stare ed affidarsi alla verità della carta. Si limitò così a porgli tre gruppi di fogli graffettati, che avevano tutta l'aria di essere documenti. Come il medico le ebbe in mano, andò a stringere lievemente Soh per la spalla: il bimbo continuava a fissarlo, per nulla interessato all'americano. Daisuke iniziò a guardare quello con attenzione, studiandolo, approfittando del momento di stasi. Solo allora si accorse che non aveva mai, fino a quel momento, caricato il peso sulla gamba destra. Forse era un caso: in compenso era completamente appoggiato allo stipite della porta, alla sua sinistra. Lasciò stare il piccolo particolare, a cui, per quanto notato, non diede troppa importanza.

House fissò intensamente il suo nome, nero su bianco. Poi studiò la parola 'affidamento', che lo precedeva di qualche riga.
Non gli bastò. Colto dal suo più alto momento di narcisismo, cambiò foglio, per tornare a fissare intensamente il suo nome, analizzandone ogni singolo carattere. Poi deviò sulla parola 'padre'.
Salì leggermente, per incollarsi alla parola 'madre', e dunque si bloccò di nuovo. Lo lesse, più e più volte. Flesse leggermente l'angolo della bocca, perplesso: no, non si ricordava nessuna Tomoko.
E sì che ne aveva conosciute tante, di giapponesi.
Fantastiche giapponesi, fra parentesi.
Scese, il nome che continuava a rimbarzargli in testa, scrutando timbro e firma del certificato di nascita.
Perchè era in inglese, poi, se quelli venivano dal Giappone? Ebbe la sua risposta nel terzo documento, che decretava la veridicità della traduzione e portava con se' le pratiche dell'assistente sociale.
Dopo un lunghissimo temporeggiare, calò i fogli e rialzò lo sguardo sul ragazzo.
Ah.
Quello doveva essere il motivo per cui un asiatico aveva gli occhi azzurri.

Quando quello gli incollò lo sguardo addosso, Daisuke non seppe assolutamente che faccia fare. Teneva stretto Soh, mentre l'uomo lo fissava, serio, ma apatico. Il ragazzo deglutii, infastidito dallo sguardo, e si lasciò cedere al riflesso di sostenere l'occhiata con una altrettanto dura, a tratti provocatrice.
“Non ne hai le prove.” Concluse House.
Daisuke levò le sobracciglia, domandandosi se esisteva un limite alla sua sorpresa e alla capacità dell'altro di scoraggiarlo e farlo andare in panico. Le parole presero il sopravvento sulla sua mente, che si era inceppata.
“Il testamento parla chiaro.”
Mantenne il tono di sfida, chiedendosi se era veramente il tono che voleva esprimere.
A dire il vero, no. Ma la pressione dell'americano lo fece reagire praticamente d'impulso: diretto, tagliente.
House tonrò a guardare i fogli, per poi calarli una seconda volta.
“Sì, è vero.”
Sollievo.
“La domanda è:” continuò il diagnosta “dov'è il vostro assistente sociale?”
Cantilenava retorico, parlata di chi sa già la risposta.
“E' in Giappone.”
“Oh. Ne deduco che il fratellastro non avesse molto tempo per voi due.”
Non gli era certo sfuggito che il cognome del ragazzo e quello dell'assistente sociale erano uguali. Si arrischiò parecchio nel dire questo, consapevole del fatto che avrebbe potuto essere una coincidenza.
“Cugino”, precisò Daisuke, cadendo nella trappola. “E' questione di lavoro.” sottolineò
“Non credo tu possa arrivarmi in casa con una lettera, un bambino e l'assistente sociale dall'altro capo del mondo. Non è leale.”
“Evidentemente posso.”

Si domandava se il giapponese fosse partito con l'idea di avere un padre così degenere, data la fermezza con cui gli rispondeva. In pratica avevano già litigato prima ancora di convivere. Sempre se ciò fosse mai avvenuto, beninteso.
Daisuke gli sembrava si mantenesse sulla difensiva, nonostante la sua difesa fosse prossima a corrispondere all'attacco: lui lo punzecchiava, quello reagiva. No: di certo non si sarebbe mai aspettato un padre così.
E non aveva ancora visto il bastone.
Era anzi sicuro che il ragazzo lo avesse a lungo idealizzato, il che lo fece sentire in un certo modo fiero di averlo rirportato così rapidamente con i piedi per terra.
No.
Indipendentemente dal fatto che il suo nome, scritto dopo la parola 'padre', fosse stato messo lì perché la madre ne era convinta o perchè era il primo che le era passato per la testa, House era sicuro che non potesse avere molto a che spartire con quello, e, soprattutto, che non ne voleva sapere di bambini e adolescenti complessati che gli pascolavano per casa.
No.
Era qualcosa di inconcepibile.
Talmente inconcepibile che il problema dell'essere o meno suo padre (cosa di cui aveva seri dubbi) lo sfiorava solo vagamente, preceduto dalla volontà immediata di mandare altrove i due.

Toc Toc. Ciao, siamo i tuoi Dubbi Morali.
Perfetto, gli mancavano solo quelli.
Se fai così, sei uno Stronzo.
Beh, ma che lui fosse uno Stronzo non era una novità.
Sì, ma ora sei uno Stronzo-Figo. Diventeresti uno Stronzo-Stronzo.
Ma lui era House. House era Figo. Quindi Lui Era Figo, indipendentemente da qualsiasi cosa.
Non è Figo lasciare due orfani in strada.
Non è nemmeno Figo avere due orfani in casa. Cioè, esulava completamente dai suoi schemi mentali.
Sei ottuso.
Oh, Dubbi Morali, è House, non il pirla della porta accanto.
Sei ottuso.
House non è ottuso. E' House.
Potresti mutare un po', giusto per passare da Stronzo-Figo a Figo-Figo. Fare l'upgrade.
Non esiste il concetto di Figo-Figo. Esiste Scemo-Scemo, non Figo-Figo.
Lasciamo stare. Ce l'aveva detto, la tua coscienza, che era una causa persa.

House seguì alla lettera i consigli dei suoi Dubbi Morali.
“Senti... lascia stare.”
Daisuke continuava a lasciarsi fregare ogni volta, convinto che quello avrebbe smesso di comportarsi in quel modo ed avesse ceduto all'ultimo lembo di umanità presente in lui. Evidentemente non aveva nemmeno quello.
“Come sarebbe a dire 'lascia stare'?”
In compenso, l'aria di totale sfottò e fastidio che albergava fino a quel momento sul volto dell'americano svanì. Si fece stranamente serio, il tono grave, la voce tenue.
“Sul serio, non otterresti molto. Non ha senso.”
“E cosa dovrei fare, scusa?!”
“Vai tranquillo in affidamento da qualcuno, e lasciami perdere. Ti conviene.”
Adesso era Daisuke che iniziava a trovarsi in una situazione che esulava completamente dai suoi schemi mentali. Non gli importava più granchè di come fosse fatto quell'uomo, a lui serviva un tetto sulla testa, a Soh un'educazione, ma, soprattutto, quello era un suo dovere. Un preciso dovere che si aspettava il genitore si prendesse senza battereciglio, senza ripensarci su troppo, per il semplice fatto che doveva.
Cioè, doveva. Doveva.
Fu la goccia che lo fece partire definitivamente. Facendo appello a quel poco slang che conosceva dalla televisione, levò di molto la voce, facendo prendere un colpo al bambino, che sussultò.
“Che me ne frega se mi conviene o meno?! Sei mio PADRE!”
“Sono tuo padre su di un pezzo di carta, svegliati. Non ne sei nemmeno certo.”
“E anche se fosse? Cosa vuoi fare, lasciarci in strada?”
“Non volevo dirlo con tutta questa brutalità, ma.. sì. Non vi voglio fra i piedi – grazie.”
House fece per chiudere la porta, ma il piede di Daisuke continuava ad impedirglierlo. Così tornò ad aprire, fisssandolo, muto, qualche altro istante. Il ragazzo lo fissava duro, impettito, per nulla intenzionato ad abbandonare quella che ormai era un'impresa.
“Cosa ti aspettavi, che ti accogliessi a braccia aperte? Avresti dovuto farti venire i tuoi dubbi fin dal primo istante.”
Diasuke taceva.
“Sono un misantorpo, ok? Un cinico bastardo realista che non ha assolutamente intenzione di accogliere un ragazzino convinto che io sia suo padre. Non ti è mai balenata in mente l'idea che quel nome fosse semplicemente il primo che era venuto in testa a tua madre?”
No, non ci aveva pensato.
“Se anche così fosse, non ti avrebbe citato nel testamento, No?” ribattè convinto l'asiatico.
“Possibile che tu non voglia accettare l'idea di lasciar stare? Lascia perdere il tuo mondo dei sogni e vattene.”
“No.”
“Ho detto di andare VIA.”
“No. Tu sei mio padre e adesso TU mi prendi in casa, indipendentemente da quanto una persona di merda tu possa essere.”
House non accettava che l'altro non accettasse. Non gli balenava in testa l'idea che per lui il concetto 'dovere' era il più marcato in assoluto.
Daisuke, dal canto suo, non realizzava come quell'uomo potesse sottrarsi al suo onere. Tutta la sua vita era stata fondata sul mantenere le proprie posizioni e compiere i propri doveri, fare la propria parte e non uscirne, accettarla, perchè quello era il suo posto nel mondo, con tutti i suoi pro e contro. Come lui era un fratello maggiore e si era preso negli ultimi anni il cura del piccolino che cresceva, come il bambino lo rispettava docilmente come compenso del normale affaccendarsi dell'altro, ora lui si aspettava, senza alcun dubbio, che il padre, in quanto tale, si sarebbe preso in casa figlio e fratello del figlio, per il semplice fatto che doveva: e loro lo avrebbero onorato e rispettato come di consuetudine.
No. Quello non era uno scontro Diasuke-House.
Quello era Giappone vs House.
E in Daisuke la filosofia di vita giapponese era decisamente ben radicata.
“Non fare l'immaturo, ragazzino.”
“TU sei immaturo!”
Come il giapponese disse queste parole, colto dallo slancio, potò il corpo in avanti: il che implicò anche far perdere la saldezza al piede che si intrometteva fra stipite e porta, arretrandolo di poco. Ma quel poco bastò: House colse la palla al balzo e gli sbattè la porta letteramente in faccia.

Soh si era seduto per terra, l'indice in bocca, perplesso dal susseguirsi degli eventi. Aveva preso un po' di paura quando i due avevano iniziato ad urlare, per compiere addirittura un piccolo salto quando l'uomo aveva chiuso la porta in faccia al fratello. Ora si era tranquillizzato: e, seduto, attendeva pacifico che accadesse qualcosa di veramente rilevante. Perchè lui, fin'ora, era rimasto in piedi, muto ed immobile spettatore.

Daisuke tirava pugni sulla porta, urlando ad House di farlo entrare.
House suonava il valzer francese, incartandosi, aspettando che il ragazzo si arrendesse. Ma quello andò avanti.
Iniziò a far sbattere tutto l'avambraccio sul legno, sottolineando la sua insistenza. Andò avanti per una buona manciata di minuti: era una gara di resistenza. Vinceva chi non rinunciava.
“Che razza di uomo sei?! Non puoi lasciarci in strada così!”
“Evidentemente posso” apostrofò l'americano a voce alta, quasi facendo il verso a quanto aveva detto Daisuke qualche minuto prima.
“Fammi entrare!”
“Scordatelo.”
“Ehi!”
...
“EHI!”
Uno strano scricchiolio lacerò il timpano di House. Smise di suonare, turbato.
“Che cavolo hai fatto!?”
“Sto bussando, non senti?” ironizzò Daisuke, continuando a tirar colpi sulla porta.
House zoppicò verso l'uscio, seriamente preoccupato per l'integrità della sua dimora. L'asiatico, sentito che quello aveva smesso di suonare, percepì che la cosa aveva funzionato. E rincarò la dose.
Il suono divenne più sommesso e potente.
“Che cavolo stai facendo?”
Bastò una seconda spallata a far cedere definitivamente la serratura. Il legno s'incrinò, piegato dalla potenza dei colpi, e la porta si aprì verso l'interno con un rumore osceno. Daisuke perse l'equilibrio e mise per la prima volta piede nella casa del padre, a salvarsi da una caduta.
House sgranò gli occhi come vide quello, ingobbito, comparire sulla soglia, e la sua povera porta cedere al suo peso. Il ragazzo spalancò gli occhi a sua volta, resosi solo ora conto di cosa aveva effettivamente fatto. Sfondato una porta.
“L'hai sfasciata..!” emise House a metà fra l'adirato e l'incredulo.
Daisuke tacque, riergendosi leggermente, osservando turbato il suo operato.
“Tu, hai, sfondato, la, mia, porta.”
“Hu... sì.”
“Voglio i danni!”
“I COSA?”
“Me la ripaghi, razza di bastardino asiatico!”
“No!”
“No 'no', me la ripaghi, punto e basta! Quella era la MIA porta!”
“E con cosa, scusa? Non ho un soldo!”
“Non mi interessa! Lavora, rivendi il gel che hai sui capelli, prostituisciti - fai come vuoi, ma io voglio i soldi della mia porta!”
“Sei mio padre, ripagali tu, i danni che fa tuo figlio!”
“Allora sei in punizione - stanotte dormi in giardino, stupido orientale!”
Spinse via il figlio, si sporse, e con un rapido guizzo del braccio afferrò Soh per la collottola, che lo guardava con gli occhioni stralunati, e lo tirò dentro, richiudendo la porta che rimbalzò sulla serratura rotta.

Daisuke rimase lì, immobile, davanti all'uscio socchiuso, senza capire se quella doveva considerarsi una vittoria o una sconfitta.

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[Sììì *__* sto andando tremendamente OOC *__* merrdaaaa XD]
[Spero che ora si siano chiarite le idee a lady house XD]

[che banalità, eh? XD]
[yeeeeh.. XD]






   
 
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