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Autore: xla    16/01/2008    1 recensioni
vorrei poter dire che nulla è accaduto ma a malincuore lo dico; è tutto vero... quei occhi azzurri vispi, le falcate veloci, il sudore, il respiro pesante... io non avevo un Babbo, ma uno Zio, a Natale [ il mio natale, ci tengo molto a questa fanfic ]
Genere: Malinconico, Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Zio Natale

-alla tua salute, zio-

[ III atto ]

 

Il mio sogno è portemi alzare dal tavolo, con lo sguardo deluso di mio nonno e quello curioso dei presenti addosso, e poter dire; no signori miei, quest’anno niente lagne, ma carte in tavola… chi di voi è bravo? Ovviamente nessuno. L’unico che sapeva giocare a carte eri tu zio, ma non ci giocavi mai. Avevi fatto una promessa un tuo amico e l’hai mantenuta fino all’ultimo. Sei stato tu ad insegnarmi a giocare a carte, le basi, almeno a riconoscere le carte. Mio padre, per te come un fratello, mi ha insegnato a prendere la forchetta, a chiedere per piacere, per favore, eh sì; altrimenti non si beveva! A giocare a dada, scacchi, dadi, a poker, ramino, scala quaranta e tutti gli altri giochi di carte. Ma almeno voi avete la voglia di starmi appresso. I giochi di società; ci ho sempre giocato solo con voi. Come quel giochino dell’archeologo; ti sei messo con martello e scalpello e hai spaccato tutto, per trovarmi i pezzi del vaso da costruire.

Però credo che quel giorno, il Natale senza la lettera, sia ancora molto lontano. E si che mi sono sempre immaginata la mia uscita di scena così: me ne vado e nessuno sa dove tranne che io. Magari! Ma troppo bello per essere vero temo.

Quindi mi devo armare di nervi saldi e sorridere, stando bene attenta a non ringhiare. Altrimenti sarei poco convincente, no?

Credo che nessuno qua dentro abbia colto il vero sento delle mie parole, a parte mia madre, ovvio. Il nonno mi voleva dare i soliti soldi, ma stavolta non li ho voluti; lui me li ha messi in mano;

-Vorrà dire che ci comprerò l’ultimo di Harry Potter- mormoro come se non vedessi alternative e avere quei soldi in ano fosse un grande sforzo. Infatti, non so perché, impressione mai magari, ma questi pezzi di carta colorata pesano più del solito; sarà perché mi hanno insegnato che i soldi non rendono un uomo felice? Spesso leggo frasi fatte come: coi soldi si può comprare tutto, e io aggiungo sempre; che cazzata. Mi risiedo al mio posto e finisco di mangiare la pasta al forno che sa d’acido e perchè non so; la lascio. Non me ne volete, ma ieri sera ho fatto il pieno di pasta. Ho mangiato tutto vegetariano. IO, che osanno la carne al sangue, come ho fatto non chiedetemelo; so solo che la pasta al forno verde era molto buona e preferirei di gran lunga un vassoio di quella piuttosto che questa con la carne, anche a costo di scoppiare. Dopo arriva la carne; e Dio solo sa quanto avanza roba come essa da quando non ci sei tu che rosicchi le ossa a mò dei Flinstons. Io non la tocco, non ho più fame. Tutti ingrassano alle feste; io calo. Buffo, no?

Il mio cellulare è impazzito; non mi manda più i messaggi, e io devo rispondere a quelli che mi hanno mandato. Ma quanta gente usa il telefono portatile oggi? Devo anche avvisare mio padre che non vado da lui e il solo pensiero mi mette mal di testa; già me lo immagino, tutto ingrifato e con la voce da suocera che ti rompe perché non vai a casa sua la domenica a pranzo. E si che un tempo non era così, era più… più… allegro, si. Oppure ero io ad avere le fette di salame sugli occhi, oltre agli occhiali, ed è sempre stato così. Fatto sta che ora dice un bel po’ di parolacce quando sta con me, e poi mi ripete che “ le parolacce in bocca a una donna sono sempre brutte “ e a un uomo no, eh?

Alla tv danno un bel film, ma tutti parlano troppo per poter sentire qualcosa di concreto, quindi senza dire nulla mi dirigo in cucina, dove ci sono mia zia e mia nonna;

-Io vado di l’ha, non mi sento molto bene- loro mi danno l’ok, più che altro è un invito per togliermi dalle palle, ma io faccio finta di nulla; sarà l’abitudine, e vado in camera da letto dei miei nonni, sedendomi sul letto mi accorgo che pochi giorni prima era alla parete di fronte. E’ stato spostato e non mi hanno detto nulla… perché sono sempre l’ultima a sapere le cose, mi verrebbe da dire, però la mia mente si accende e si accorge di un’altra piccola cosa: manca una vecchiaccia che mi rincorre per casa brandendo un bastone e minacciando di darmelo in testa, cosa che tra l’altro è capitato più di qualche volta, per poi lamentarsi che le fanno male le gambe. Oh, io l’andavo solo a chiamare, mica che altro! Quel martedì nessuno le disse nulla, neanche mercoledì, ai funerali alla chiesa sotto casa, che tra l’altro non vedo perché si sono dovuti fare qua visto che tu non ci sei nato, ti sentivi un emarginato tra noi, volevi scappare. Rapirmi, portarmi al tuo borgo, che è anche il mio, oppure eliminare le nostre tracce e fuggire in treno tra la neve candida e asfissiante della Transiberiana. Quante volte me lo hai detto, eh? Quante promesse mi hai fatto? E quante ne hai mantenute?... Sto ancora aspettando che mi porti a quel ristorante cinese a Roma, che facciamo la gara di chi cucina la miglior pizza, che mi accompagni al tiro al bersaglio, che m’insegni meglio come si spara; credo che qua ci penserà papà, che mi porti a farmi fare i tatuaggi; quando l’ho detto tutti hanno fatto storie, l’unico che mi ha detto sì, andiamo, come sempre, sei stato solo tu, che mi porti in Giappone, che mi prendi la luna, che apri i cancelli del mondo per me… ho aspettato quindici anni per questo, ora ne ho sedici… posso ancora aspettare un po’, no? Ma mi sorge un dubbio; che mi prenderà al volo quando casco, chi si butterà sulla strada o su un cumolo di neve con me, chi mi salverà dalle persone cattive, chi mi porterà in moto al massimo della velocità anche nelle curve, chi mi porterà una mega coppa di gelato in cristallo quando sarà a letto con la febbre, chi sarà la mia ancora al mare quando affogo, chi mi farà guidare il gommone, chi m’insegnerà ad andare giù con le bombole, chi si tufferà in mare vestito solo per prendermi un cappello di paglia, chi m’insegnerà la differenza tra bene e male, chi mi strafogherà di patatine e hamburger fino a scoppiare, chi andrà in cucina a prendermi la coca quando gli altri se la dimenticano; mi dimenticano, chi mi ascolterà senza fiatare, chi starà sempre dalla mia e… meglio che mi fermo, perché le cose rimaste in sospeso sono troppe e io ho troppa matita intorno agli occhi. Però una cosa, un’ultima, c’è, cioè… c’è da chiederselo. Chi preparerà gli aperitivi ora? Nessuno. Infatti abbiamo brindato con… con… champagne? Spumante? Bò, non lo so e neanche m’interessa, perché io non ho brindato. E non c’entra nulla il fatto che odio queste bevande, quanto il fatto..; che diamine c’è da festeggiare in un branco di poveri deficenti falsi e voltagabbana?

Credo che a zia gli siano brillati un po’ gli occhi. Sì, perché gli aperitivi li hai sempre fatti tu.

Mi ricordo quando mi portavi con te, nessuno mi voleva tra i piedi, quindi mi caricavi tu e mi dicevi di consigliarti quale tra le tante cose che nonno ha nel frigo nello sgabuzzino era meglio mischiare. Io indicavo delle cose alla rinfusa e tu… mi viene da ridere, perché tu le prendevi e le mischiavi sorridendo e facendomi l’occhiolino. Qualcuno cosa fosse. Indicavo Rum limone e salame? Tu mischiavi rum, limone e salame. Alla faccia di chi non mi prendeva e non mi prende tutt’ora in considerazione! Però… la cosa bella di te è che non te ne importava un cazzo del pensiero altrui; tu andavi avanti, qualunque cosa accadesse e poi… poi… mi mettevi sempre mille gradini sopra agli altri, nei tuo pensieri ero sempre la prima. Anche prima di tua moglie. Non so se questa è una cosa razionale o meno ma non me ne frega nulla. Sono felice… certo non nel senso vero del termine ma… so che hai vissuto come volevi quindi; perché piangere?

Ma ripensandoci bene; non mi manchi tu, la tua persona sempre presente, le tue curvone in auto da capogiro, le tue corse in autostrada, le volte che mi hai fatto sbattere la faccia ai cartelli stradali, quella volta che mi hai fatto inciampare sui san pietrini con imitarti in uno strano sgambetto, i risvegli con te che sapevano di cornetto alla nutella, le nostre abbuffate con le bistecche e le nostre bevute… no… mi manca il fatto che non ho più nessuno con me che mi comprenda e per questo cono una grande bastarda e lo ammetto senza problemi. E non credo che posso nascondere il tutto col mio vizio del gioco d’azzardo; anche perché l’unico che mi poteva portare lì eri tu.

Mia madre passa e si affaccia – Non vai con tuo padre? –

Già… papà… la dovrei smettere di perdermi nei miei voli mentali. Però non me la sento;

-No-

-E perché?-

-Non mi sento bene- e se ne va.

Mando un sms a mio padre sperando che gli arrivi e che le linee telefoniche si siano un po’ svuotate. Sono una povera illusa. Però capirà che non vado; se non mi sente. Non mi va di andarci, non mi sento niente bene e il motivo lo so, ma chissene se il mio cervellino e il mio cuore non l’accettano!

Solo ora mi accorgo di avere in mano un bicchiere. Dentro c’è della coca. Mi guardo in giro e non c’è nessuno, tutti di la in sala a ocheggiare, mia madre in primis, ora lo posso anche fare. Alzo il bicchiere in aria. Al vento

-Alla tua salute, Luciano- corri tra il tempo e ruba le chiavi dei cancelli ai diavoli e agli angeli, in sella alla tua moto mi verrai a prendere. Nessuno sa che sono stata la prima a salirci.

-Alla tua salute, zio – ripeto – Perchè la mia se ne andata assieme a te-

Bevo alla goccia, fino all’ultimo sorso di coca.

-Qui ci manca il rum- Ci manchi tu.

 

III atto

ThEnd

 

   
 
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