Zio
Natale
-alla
tua salute, zio-
[ III atto ]
Il
mio sogno è portemi alzare dal tavolo, con lo sguardo deluso
di mio nonno e
quello curioso dei presenti addosso, e poter dire; no signori miei,
quest’anno
niente lagne, ma carte in tavola… chi di voi è
bravo? Ovviamente nessuno.
L’unico che sapeva giocare a carte eri tu zio, ma non ci
giocavi mai. Avevi
fatto una promessa un tuo amico e l’hai mantenuta fino
all’ultimo. Sei stato tu
ad insegnarmi a giocare a carte, le basi, almeno a riconoscere le
carte. Mio
padre, per te come un fratello, mi ha insegnato a prendere la
forchetta, a
chiedere per piacere, per favore, eh sì; altrimenti non si
beveva! A giocare a
dada, scacchi, dadi, a poker, ramino, scala quaranta e tutti gli altri
giochi
di carte. Ma almeno voi avete la voglia di starmi appresso. I giochi di
società; ci ho sempre giocato solo con voi. Come quel
giochino dell’archeologo;
ti sei messo con martello e scalpello e hai spaccato tutto, per
trovarmi i
pezzi del vaso da costruire.
Però
credo che quel giorno, il Natale senza la lettera, sia ancora molto
lontano. E
si che mi sono sempre immaginata la mia uscita di scena
così: me ne vado e
nessuno sa dove tranne che io. Magari! Ma troppo bello per essere vero
temo.
Quindi
mi devo armare di nervi saldi e sorridere, stando bene attenta a non
ringhiare.
Altrimenti sarei poco convincente, no?
Credo
che nessuno qua dentro abbia colto il vero sento delle mie parole, a
parte mia
madre, ovvio. Il nonno mi voleva dare i soliti soldi, ma stavolta non
li ho
voluti; lui me li ha messi in mano;
-Vorrà
dire che ci comprerò l’ultimo di Harry Potter-
mormoro come se non vedessi
alternative e avere quei soldi in ano fosse un grande sforzo. Infatti,
non so
perché, impressione mai magari, ma questi pezzi di carta
colorata pesano più
del solito; sarà perché mi hanno insegnato che i
soldi non rendono un uomo
felice? Spesso leggo frasi fatte come: coi soldi si può
comprare tutto, e io
aggiungo sempre; che cazzata. Mi risiedo al mio posto e finisco di
mangiare la
pasta al forno che sa d’acido e perchè non so; la
lascio. Non me ne volete, ma
ieri sera ho fatto il pieno di pasta. Ho mangiato tutto vegetariano.
IO, che
osanno la carne al sangue, come ho fatto non chiedetemelo; so solo che
la pasta
al forno verde era molto buona e preferirei di gran lunga un vassoio di
quella
piuttosto che questa con la carne, anche a costo di scoppiare. Dopo
arriva la
carne; e Dio solo sa quanto avanza roba come essa da quando non ci sei
tu che
rosicchi le ossa a mò dei Flinstons. Io non la tocco, non ho
più fame. Tutti
ingrassano alle feste; io calo. Buffo, no?
Il
mio cellulare è impazzito; non mi manda più i
messaggi, e io devo rispondere a
quelli che mi hanno mandato. Ma quanta gente usa il telefono portatile
oggi?
Devo anche avvisare mio padre che non vado da lui e il solo pensiero mi
mette
mal di testa; già me lo immagino, tutto ingrifato e con la
voce da suocera che
ti rompe perché non vai a casa sua la domenica a pranzo. E
si che un tempo non
era così, era più…
più… allegro, si. Oppure ero io ad avere le fette
di salame
sugli occhi, oltre agli occhiali, ed è sempre stato
così. Fatto sta che ora
dice un bel po’ di parolacce quando sta con me, e poi mi
ripete che “ le
parolacce in bocca a una donna sono sempre brutte “ e a un
uomo no, eh?
Alla
tv danno un bel film, ma tutti parlano troppo per poter sentire
qualcosa di
concreto, quindi senza dire nulla mi dirigo in cucina, dove ci sono mia
zia e
mia nonna;
-Io
vado di l’ha, non mi sento molto bene- loro mi danno
l’ok, più che altro è un
invito per togliermi dalle palle, ma io faccio finta di nulla;
sarà
l’abitudine, e vado in camera da letto dei miei nonni,
sedendomi sul letto mi
accorgo che pochi giorni prima era alla parete di fronte. E’
stato spostato e
non mi hanno detto nulla… perché sono sempre
l’ultima a sapere le cose, mi
verrebbe da dire, però la mia mente si accende e si accorge
di un’altra piccola
cosa: manca una vecchiaccia che mi rincorre per casa brandendo un
bastone e
minacciando di darmelo in testa, cosa che tra l’altro
è capitato più di qualche
volta, per poi lamentarsi che le fanno male le gambe. Oh, io
l’andavo solo a
chiamare, mica che altro! Quel martedì nessuno le disse
nulla, neanche
mercoledì, ai funerali alla chiesa sotto casa, che tra
l’altro non vedo perché
si sono dovuti fare qua visto che tu non ci sei nato, ti sentivi un
emarginato
tra noi, volevi scappare. Rapirmi, portarmi al tuo borgo, che
è anche il mio,
oppure eliminare le nostre tracce e fuggire in treno tra la neve
candida e
asfissiante della Transiberiana. Quante volte me lo hai detto, eh?
Quante
promesse mi hai fatto? E quante ne hai mantenute?... Sto ancora
aspettando che
mi porti a quel ristorante cinese a Roma, che facciamo la gara di chi
cucina la
miglior pizza, che mi accompagni al tiro al bersaglio, che
m’insegni meglio
come si spara; credo che qua ci penserà papà, che
mi porti a farmi fare i
tatuaggi; quando l’ho detto tutti hanno fatto storie,
l’unico che mi ha detto
sì, andiamo, come sempre, sei stato solo tu, che mi porti in
Giappone, che mi
prendi la luna, che apri i cancelli del mondo per me… ho
aspettato quindici
anni per questo, ora ne ho sedici… posso ancora aspettare un
po’, no? Ma mi
sorge un dubbio; che mi prenderà al volo quando casco, chi
si butterà sulla
strada o su un cumolo di neve con me, chi mi salverà dalle
persone cattive, chi
mi porterà in moto al massimo della velocità
anche nelle curve, chi mi porterà
una mega coppa di gelato in cristallo quando sarà a letto
con la febbre, chi
sarà la mia ancora al mare quando affogo, chi mi
farà guidare il gommone, chi
m’insegnerà ad andare giù con le
bombole, chi si tufferà in mare vestito solo
per prendermi un cappello di paglia, chi
m’insegnerà la differenza tra bene e
male, chi mi strafogherà di patatine e hamburger fino a
scoppiare, chi andrà in
cucina a prendermi la coca quando gli altri se la dimenticano; mi
dimenticano,
chi mi ascolterà senza fiatare, chi starà sempre
dalla mia e… meglio che mi
fermo, perché le cose rimaste in sospeso sono troppe e io ho
troppa matita
intorno agli occhi. Però una cosa, un’ultima,
c’è, cioè…
c’è da chiederselo.
Chi preparerà gli aperitivi ora? Nessuno. Infatti abbiamo
brindato con… con…
champagne? Spumante? Bò, non lo so e neanche
m’interessa, perché io non ho
brindato. E non c’entra nulla il fatto che odio queste
bevande, quanto il
fatto..; che diamine c’è da festeggiare in un
branco di poveri deficenti falsi
e voltagabbana?
Credo
che a zia gli siano brillati un po’ gli occhi. Sì,
perché gli aperitivi li hai
sempre fatti tu.
Mi
ricordo quando mi portavi con te, nessuno mi voleva tra i piedi, quindi
mi
caricavi tu e mi dicevi di consigliarti quale tra le tante cose che
nonno ha
nel frigo nello sgabuzzino era meglio mischiare. Io indicavo delle cose
alla
rinfusa e tu… mi viene da ridere, perché tu le
prendevi e le mischiavi
sorridendo e facendomi l’occhiolino. Qualcuno cosa fosse.
Indicavo Rum limone e
salame? Tu mischiavi rum, limone e salame. Alla faccia di chi non mi
prendeva e
non mi prende tutt’ora in considerazione!
Però… la cosa bella di te è che non
te ne importava un cazzo del pensiero altrui; tu andavi avanti,
qualunque cosa
accadesse e poi… poi… mi mettevi sempre mille
gradini sopra agli altri, nei tuo
pensieri ero sempre la prima. Anche prima di tua moglie. Non so se
questa è una
cosa razionale o meno ma non me ne frega nulla. Sono felice…
certo non nel
senso vero del termine ma… so che hai vissuto come volevi
quindi; perché
piangere?
Ma
ripensandoci bene; non mi manchi tu, la tua persona sempre presente, le
tue
curvone in auto da capogiro, le tue corse in autostrada, le volte che
mi hai
fatto sbattere la faccia ai cartelli stradali, quella volta che mi hai
fatto
inciampare sui san pietrini con imitarti in uno strano sgambetto, i
risvegli
con te che sapevano di cornetto alla nutella, le nostre abbuffate con
le
bistecche e le nostre bevute… no… mi manca il
fatto che non ho più nessuno con
me che mi comprenda e per questo cono una grande bastarda e lo ammetto
senza
problemi. E non credo che posso nascondere il tutto col mio vizio del
gioco
d’azzardo; anche perché l’unico che mi
poteva portare lì eri tu.
Mia
madre passa e si affaccia – Non vai con tuo padre? –
Già…
papà… la dovrei smettere di perdermi nei miei
voli mentali. Però non me la
sento;
-No-
-E
perché?-
-Non
mi sento bene- e se ne va.
Mando
un sms a mio padre sperando che gli arrivi e che le linee telefoniche
si siano
un po’ svuotate. Sono una povera illusa. Però
capirà che non vado; se non mi
sente. Non mi va di andarci, non mi sento niente bene e il motivo lo
so, ma
chissene se il mio cervellino e il mio cuore non l’accettano!
Solo
ora mi accorgo di avere in mano un bicchiere. Dentro
c’è della coca. Mi guardo
in giro e non c’è nessuno, tutti di la in sala a
ocheggiare, mia madre in
primis, ora lo posso anche fare. Alzo il bicchiere in aria. Al vento
-Alla
tua salute, Luciano- corri tra il tempo e ruba le chiavi dei cancelli
ai
diavoli e agli angeli, in sella alla tua moto mi verrai a prendere.
Nessuno sa
che sono stata la prima a salirci.
-Alla
tua salute, zio – ripeto – Perchè la mia
se ne andata assieme a te-
Bevo
alla goccia, fino all’ultimo sorso di coca.
-Qui
ci manca il rum- Ci manchi tu.
III atto
ThEnd