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Autore: Fujikofran    05/07/2013    2 recensioni
Jigen, ormai anziano, ha perso quasi ogni contatto coi suoi vecchi amici e, ancora in ottima salute, gira per il mondo per chiudere dei conti in sospeso o, semplicemente, per rilassarsi. Seguiamolo nei suoi pensieri e viaggi, che avverranno in Europa, fino a Roma, precisamente a Ostia Lido, dove ci sarà la sorpresa finale. Ogni capitolo è piuttosto breve. Brano da ascoltare durante la lettura: "Better days ahead" degli Asylum Party
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jigen Daisuke, Lupin III
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Il tempo passa per tutti'
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Roma

La capitale italiana aveva sempre nuovi angoli da scoprire e Jigen era stufo di girare per le zone più amate dai turisti, ormai aveva visto quasi tutto, del centro storico, e voleva conoscere luoghi nuovi. Per lasciare l’atmosfera caotica creata dai villeggianti prese la Metro B alla fermata del Colosseo: finalmente si sarebbe diretto in posti più inconsueti. Mentre il treno viaggiava, Jigen si domandava come mai Roma avesse un ramo della metropolitana attraversato da convogli spesso vecchi e rumorosi. Nemmeno in certe città del terzo mondo erano messi così male, eppure il biglietto costava tanto! Alzò lo sguardo per leggere il percorso e le fermate, quando fu attratto da una fermata: Piramide. “Accidenti” pensò “a Roma ci sono le piramidi…allora forse ci sarà un tesoro nascosto!”. Si vergognò di questo suo pensiero, non era lì per rubare un tesoro e non avrebbe nemmeno potuto, senza i suoi compagni di sempre. Però, incuriosito, scese a quella fermata e, uscendo dalla stazione della metropolitana, si recò da un giornalaio e chiese informazioni sulla famosa piramide, per poterla visitare. Nel corso degli anni aveva imparato un po’ di italiano, aveva avuto anche una storia con un’italiana, in gioventù (morta anche lei, ovviamente).

-Si visita solo su prenotazione, credo, ora non so, mi sa che fanno solo visite guidate- gli rispose l’edicolante, ma lui non lo capì e rimase a osservarlo. Evidentemente non ricordava così bene l’italiano oppure quell’uomo, anziano e un po’ rozzo, lo parlava in maniera incomprensibile per lui.

-Scusi, non capisco molto, sono…(“che cosa sono?” penso tra sé e sé) americano!-

-Un attimo che chiamo mio nipote…Angeloooooooooo! Ce sta uno che chiede della piramide qua di fronte-

-Salve- gli fece il nipote del giornalaio –allora, americano…yes, du iu spic inglish [pronunciò in maniera dura e distinta ogni parola] e Jigen, con aria perplessa, annuì – so for de piramid iu prenota, book…book…”

-ok, grazie lo stesso. Arrivederci, signori- e uscì perplesso dall’edicola, guardandosi intorno.

-Ma che voleva quello? La piramide? Boh…’sti americani, quante ne vojono…- affermò l’edicolante

- Va beh, ma l’hai visto come era conciato? Pareva ‘n gangster, con quer cappello!- commentò il nipote

- Sarà un parcheggiatore abusivo... continuò il giornalaio.

Jigen aveva intuito che parlassero male di lui, anche se non li capiva, si girò per guardarli in cagnesco e rientrò alla stazione. “Roma Lido” lesse “lido…quindi ci sarà un treno che porta al mare” pensò e decise di prendere il primo convoglio che partiva, fermo al secondo binario. “Vediamo un po’…Ostia Centro…ok, andrò lì”. Il treno era la cosiddetta Freccia del mare, una metropolitana tutta all’aperto.
Appena arrivato si accese una sigaretta e si trovò davanti agli occhi una piazza piena di bus blu in sosta e un gabbiano fermo sul cofano di un’automobile che lo fissava. Il pacchetto di Pall Mall si era svuotato e Jigen, dopo aver imprecato, cercò un tabaccaio. Dopo aver effettuato l’ennesima foto col cellulare, si accorse che un giovane voleva rubargli il portafogli.

-Che cosa vuoi fare, amico?- disse al giovane, puntandogli la sua Magnum.

-No, niente, ti stava cadendo il portafogli- gli rispose e scappò.

Per fortuna nessuno aveva assistito a quella scena: se avessero visto la sua pistola avrebbero chiamato la polizia e non voleva noie. “I dilettanti continuano ad avere paura di me” pensò e si incamminò verso la zona pedonale, che percorse in tutta calma, guardandosi intorno. Arrivato in quella che gli sembrava la piazza principale di Ostia, ricca di gelaterie, ristorantini e botteghe che vendevano prodotti artigianali tipici, notò uno strano palazzo dai colori accesi e dalle finestre sgargianti. Si fermò a osservarlo, perché gli ricordava terribilmente certe case pittoresche di New Orleans. Già, New Orleans, dove aveva vissuto per diversi anni, prima di cambiare vita e soprattutto nome. Un dramma, per lui, americano costretto a scappare in Giappone, cosa che gli aveva creato non pochi problemi, per via della sua faccia strana, di cui non si capivano le vere origini. Si incamminò per il lungomare, così ampio e dagli enormi stabilimenti balneari, e raggiunse il pontile di Piazzale dei Ravennati, dove spirava un vento fresco e piacevole. Si accese un’altra sigaretta e si appoggiò sul parapetto, all’estremità del pontile. Ora aveva il mare di fronte a sé e nient’altro, una distesa blu che si agitava come per mettersi in bella mostra davanti ai suoi occhi. Rimase in quella posizione contemplativa per almeno mezz’ora, incurante del fatto che gli stesse venendo mal di testa. Poi scattò una foto col cellulare e la inviò a sua figlia. Quante gliene aveva mandate, di Roma? Decise di riprendere a camminare e percorse ancora il lungomare fino alla zona di Castelfusano, dove si fermò a guardare dei pescatori intenti a far abboccare dei pesci. C’era un canale, lì, e poco più in là delle case basse, tutte gialle, come se quel luogo fosse un’isola in mezzo al Mediterraneo. “Eppure questa è sempre Roma” si meravigliò Jigen, che poi decise di oltrepassare la zona del canale per proseguire verso sud. Le case erano finite: c’erano solo gli stabilimenti, gli uni distanti dagli altri, la strada, distese di prati con erba secca, marciapiedi, panchine, fontanelle e, più in là, la stazione e la pineta di Castelfusano. Erano le due del pomeriggio e non aveva ancora pranzato, preso da quella singolare passeggiata sul litorale romano. Si fermò per contemplare il mare, che si vedeva oltre gli stabilimenti, intorno non c’era nessuno e il silenzio accompagnava un’atmosfera da quadro metafisico. Quel posto metteva a Jigen un senso di stupore misto a malinconia. Si accese una sigaretta, ma faticava a fumarla, preferiva respirare aria di mare, pulita come era quella del litorale ostiense. Si tolse la giacca e il cappello. Si stava davvero bene, in quel momento di quasi metà giornata e le onde del mare sembravano scandire i secondi che passavano. D’un tratto trasalì, sentendosi una sostanziosa pacca sulla spalla. Era pronto a mettere mano alla pistola quando sentì una risata contagiosa che gli sembrava famigliare.

-Ehi! Sono stanco di seguirti- gli disse l’uomo che era dietro di lui.

Jigen si girò con calma e, riconoscendo l’espressione sorridente e scimmiesca del suo amico di sempre,  scoppiò a ridere

-Lupin!- riuscì poi a esclamare. Notò che era imbiancato anche lui e un po’ ingrassato, ma il suo volto era inconfondibile  -Come hai fatto a…-

-…sono evaso l’anno scorso- lo interruppe l’amico. Nessuna prigione può resistermi, lo sai, anche se questa volta è stata dura.

- La polizia ti starà cercando-

-Certo! Ma nessuno sarà bravo a trovarmi come lo era il caro Zazà. Ahimè…hai saputo che ci ha lasciati da tempo?-

Jigen annuì e Lupin gli propose di andare a pranzare insieme

-Pesce? Qui si mangia bene, ce ne andiamo un po’ più giù, c’è un ristorantino che mi sembra ottimo, penso che faremo ancora in tempo, qui si pranza tardi- asserì Lupin, con aria convinta e complice.

Finalmente si erano ritrovati e anche se il tempo era passato, il migliore amico di Jigen era lì con lui e gli bastava solo questo per sentire venire meno la solitudine che lo attanagliava ormai da tempo.
 
Fujikofran © 2013
 
 
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