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Autore: AnotherrBreath    05/07/2013    1 recensioni
“Ama chi ti ama, non amar chi ti sfugge, ama quel cuore che per te si strugge. Non t’ama chi amor ti dice, ma t’ama chi guarda e tace.” –W. Shakespeare.
Lei sperava in una cosa del genere. Sperava che da qualche parte nel mondo ci fosse qualcuno che distruggeva il proprio cuore per pensare, sognare, amare lei. Ci sperava perché credeva nei sogni, nel destino, nei dettagli, negli sguardi, nei sorrisi, nelle piccole cose, quelle cose che non tutti riuscivano a notare. Perché tutti vedono ma pochi osservano e lei aveva osservato attentamente quel ragazzo e quasi se ne era innamorata, ma lei non lo sapeva, non se ne rendeva conto perché “troppo giovane” per conoscere il significato di una delle parole più temute e desiderate allo stesso tempo: l’Amore.
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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“Beh, chiunque può sopportare un dolore tranne chi ce l'ha„

-W. Shakespeare




1° CAPITOLO


Quel fatidico giorno arrivò e appena sveglia a Serena prese un attacco di panico. Ma nonostante il cuore che le andava a mille, si alzò e si buttò immediatamente sotto il getto d’acqua calda della doccia, dopo aver raccolto i capelli con un mollettone.
Mentre i suoi pensieri scorrevano come le numerose gocce sul suo corpo, decise di passare questa giornata senza metterci troppe emozioni, senza pensarci troppo. Solo così sarebbe riuscita a superare quella tremenda ansia che l’assaliva spesso, per qualsiasi novità. Non amava i cambiamenti, soprattutto quelli improvvisi.
Uscì dal bagno con un asciugamano che l’avvolgeva dal seno a metà ginocchio. Si infilò l’intimo e subito prese un paio di jeans.
Aprì i cassetti e prese la prima maglietta che le capitò sotto gli occhi. Era appena finita l’estate e la temperatura era ancora tiepida, quindi una maglietta a maniche corte andava benissimo.
Infilò le scarpe da ginnastica e si pettinò i capelli, sistemandoli successivamente tutti su una spalla. Poi prese gli occhiali, che aveva posato la sera scorsa prima di mettersi a letto sul comodino, li pulì con la maglietta di cotone e se li infilò.
Aveva provato numerose volte a mettersi le lenti a contatto per andare a scuola ma le bruciavano e non l’aiutavano a seguire bene le lezioni. Così diceva agli altri ma in realtà gli occhiali li usava come protezione, come scudo. Si sentiva più sicura con quelle grandi lenti che le coprivano il viso.
Si truccò leggermente con del mascara per allungare le ciglia e della matita nera per far risaltare gli occhi. Prese lo zaino, lo posò nell’ingresso e andò a salutare sua madre in cucina.
“Buongiorno” disse accennando un sorriso.
“Pronta?” la madre sorrise mentre si portava alla bocca la tazzina di caffè.
La ragazza annuì e si versò anche lei del caffè e del latte.
Pensare alla sua famiglia nei momenti più cruciali, alcune volte la faceva stare bene; non la faceva preoccupare perché sapeva che se fosse andato storto qualcosa, sua madre e suo padre sarebbero sempre stati li per lei, pronti a parlarle e a rassicurarla.
Guardò l’orologio appeso al muro alla sua destra, salutò sua madre con un bacio e andò nell’ingresso per prendere lo zaino e metterselo sulle spalle.
“Ci vediamo oggi!” sentì urlare la madre prima di sbattere la porta di casa.
E di nuovo eccola, fuori dal suo piccolo mondo sicuro e dentro a quello degli altri, imprevedibile e superficiale.

Quando arrivò fuori scuola era in anticipo di cinque minuti, perciò si appoggiò ad un muretto e iniziò ad osservare ragazzi, chi più grande chi più piccolo, che entravano nel grande cancello e si avviavano verso l’entrata.
Nessuno la notava e questo la sollevò. Per colpa di quel ragazzo, ora si sentiva più vulnerabile e se qualcun altro l’avesse guardata aveva la certezza che sarebbe diventata rossa sulle guance. E l’ultima cosa che voleva era che la ritenessero una preda facile e fragile da prendere di mira.
I suoi pensieri si soffermarono un attimo sul ragazzo con la chitarra e si chiese se potesse andare in quella scuola; lo cercò con gli occhi ma nessuno aveva l’aria triste come ce l’aveva lui.
La campanella suonò e Serena, insieme ai suoi coetanei sconosciuti, salì le scale per andare in segreteria; chiese quale fosse la sua classe e dopo aver ringraziato la bidella tanto gentile si diresse nel corridoio a destra per cercare l’aula.
Quando entrò all’inizio nessuno la notò, intenti tutti a raccontare le proprio vacanze e delle ragazze rimorchiate.
Piano avanzò tra i banchi fino a sedersi nella fila vicino alla finestra. Qualche paia di occhi si fermarono ad osservarla e lei sentì gli sguardi pesanti ma cercò di non girarsi.
Tutto sarebbe andato bene, si ripeteva.
Appena il professore entrò, posò la sua valigetta sulla cattedra, si tirò su i pantaloni marroni e si mise seduto.
“Bentornati ragazzi” si sistemò gli occhiali e aprì il registro.
“Abbiamo una nuova alunna vedo.. Serena, giusto?”
La ragazza annuì ma vedendo che il professore la cercava tra i banchi senza trovarla, alzò la mano.
“Ah, eccoti. Sarà un piacere averti con noi” Sorrise e a Serena sembrò sincero.
Ricambiò con un leggero sorriso e tra se e se si disse che il peggio era passato.
All’intervallo rimase incollata alla sedia a guardare le persone che andavano avanti e dietro fuori dalla porta. Le sembrò che la vita le scorresse via così, mentre lei era su una sedia a guardare gli altri vivere.
Era purtroppo il solito suo, farsi sfuggire le cose, o meglio, le persone dalle mani.

Dopo quelle sei ore tremende, uscì e con le cuffie nelle orecchie si avviò subito verso la fermata dell’autobus, davanti proprio al cancello, che ovviamente era stracolmo di gente.
Il primo non lo riuscì a prendere perché si riempì subito e il secondo invece scelse lei di non salire. Non c’era quasi più nessuno e stranamente le piacque di più quel posto.
Dopo dieci minuti buoni vide arrivare il terzo autobus, finalmente vuoto; aspettò che le porte si aprirono ma un ragazzo per scendere la spinse bruscamente quasi facendole perdere l’equilibrio.
“Scusa..” Le disse girandosi velocemente alzando le mani per poi tornare a correre.
Si toccò la spalla urtata mentre guardava il ragazzo che era fuggito via.
Più a sinistra ne notò un altro. Era seduto sul muretto, dove i ragazzi parcheggiavano i motorini e guardava la scuola.
Serena lo riconobbe, era lui. Quel viso stanco e i capelli leggermente alzati e in disordine, tolsero ogni dubbio. Questa volta non aveva la chitarra ma le fece lo stesso effetto di quando l’aveva visto la prima volta, se non peggio.
Era immerso nei suoi pensieri tristi, pensò Serena. Capiva che c’era qualcosa in quel ragazzo che lo tormentava, qualcosa di grande e provò rabbia perché avrebbe voluto aiutarlo, se non fosse per il coraggio che le mancava.
Si accorse che anche il terzo autobus era ormai partito, ma tornò subito a guardare il ragazzo, come se potesse scomparire da un momento all’altro. Non voleva riperderlo. Questa forse sarebbe stata la sua ultima possibilità per parlarci, per presentarsi ma lei rimase immobile, come se avesse del piombo al posto dei piedi.
Il ragazzo si passò le mani sul viso con tale forza che sembrò volesse strapparsi via la pelle, ma invece stava cercando solo di non far fuoriuscire la sua tristezza.
Serena comprese che non era il tipo che piangeva spesso, né davanti a qualcuno né da solo.
Saltò giù dal muretto e dalla tasca dei pantaloni tirò fuori l’Ipod. Stava per andarsene e la ragazza non stava facendo niente per fermarlo, ma come biasimarla.
Si infilò le cuffiette e attraversò la strada per poi sparire dietro l’angolo.
“No, aspetta! Sono qui, fermati!” avrebbe voluto gridargli ma le parole le morirono in gola.
Scossa e affranta da se stessa, salì sul quarto autobus che l’avrebbe portata a casa dopo sei fermate.

“Mamma!” Entrò in casa e lanciò lo zaino semi vuoto vicino a degli scatoloni. In casa, nonostante fossero passati più di quindici giorni c’erano ancora degli scatolini da svuotare.
La madre uscì dal salone entusiasta seguita da un’altra donna, magrissima e con il viso scavato ma con degli occhi azzurro mare bellissimi se non fossero stati spenti e tristi. La donna non esitò a presentare la figlia.
“Lei è mia figlia, Serena” disse con un sorriso pieno d’orgoglio.
Serena strinse la esile mano della donna e sorrise timidamente.
“Ciao” rispose con un sorriso forzato molto evidente.
“Adele mi ha voluto aiutare con gli scatoloni, è stata molto gentile” accarezzò la schiena della figlia che stava studiando la nuova conoscenza della madre
“Abita proprio alla porta di fronte, quindi ci vedremo molto spesso” Continuò sempre Silvia.
“Si e poi ho un figlio, più o meno della tua età ed è proprio un bel ragazzo” Sorrise la vicina di casa.
“Allora possiamo anche metterci d’accordo per farli conoscere!” Serena odiò per un istante la madre. Non voleva conoscere nessun ragazzo.
“Facciamo giovedì da me, poi se c’è qualche contrattempo te lo faccio sapere subito. Ora vado che mio figlio mi aspetta” Disse Adele a Silvia.
“Va benissimo, allora a giovedì”
Serena educatamente la salutò e dopo aver chiuso la porta non esitò a parlare alla madre.
“Io non lo voglio conoscere il figlio!” disse seguendo la madre in cucina.
Era a conoscenza della particolare personalità della figlia ma l’aveva sempre accettata e ne andava quasi fiera.
“Dovrai conoscere un ragazzo prima o poi, di cosa hai paura? Sei una bellissima ragazza” prese le carote dal frigo e iniziò a tagliarle velocissima sul bancone della nuova cucina.
Silvia era così, strepitosamente solare e raggiante. Contagiava chiunque avesse vicino e rendeva le persone di buon umore.
“Non ti è sembrata un po’ strana quella donna?” Si sedette sulla sedia del tavolo da pranzo.
“Si, l’ho capito subito che c’era qualcosa che non andava. Ha subito una grande perdita, secondo me. Ha voluto aiutarmi perché forse non è riuscita a farlo con qualcun altro. Mi ha fatto tanta tenerezza”
La madre era una psicologa professionista e riusciva a capire i dolori interiori delle persone soltanto dagli atteggiamenti o dai piccoli gesti. E’ sempre stata una persona generosa e gentile ed è per questo che amava il suo lavoro, le piaceva rendere le persone felici.

Serena ripensò alla nuova vicina di casa e ai suoi occhi tristi che da giovane saranno stati una calamita per gli uomini; che ormai lasciavano intravedere il suo dolore, come un libro aperto. Si chiese ancora quale fosse stata la causa di quella tristezza, posando gli occhiali sul comodino e mettendosi a letto.
Un piccolo pensiero lo dedicò al figlio che avrà vissuto insieme alla madre e al suo terremoto interiore e Serena, anche se nel suo minimo, lo capiva, perché anche lei aveva visto cadere in basso sua madre quando il matrimonio era in rovina.
Il suo ultimo pensiero di giornata prima di cadere nel mondo dei sogni, fu proprio quello di sua madre chiusa in cucina a piangere con chissà quanto alcool nelle vene. Si addormentò pensando a quel ricordo, ma a salvarla da quel vortice di tristezza sarebbe stato proprio lui, il ragazzo che desiderava aiutare.




Eccomi tornata!
Non so come sia venuto, sinceramente, ma spero che vi piaccia lo stesso.
Secondo voi chi sarà questo misterioso ragazzo? Non so, ditemi le vostre prime impressioni e come secondo voi andrà avanti :)
Volevo anche dirvi che ho deciso che non farò la descrizione fisica della ragazza perchè vorrei che voi entriate nei panni di Serena così da godervi in pieno la storia.
Ringrazio tanto le persone che l'hanno messa tra le seguite e tra le ricordate, so che sono poche ma sinceramente non me ne aspettavo nemmeno una ahah :)
Detto questo, a prestissimo!

Giulia
  
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