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Autore: HeavenIsInYourEyes    05/07/2013    3 recensioni
Aveva sempre avuto un difetto di pronuncia, Sehun. Quella maledetta S blesa era stata la sua croce.
Non ricordava precisamente quando aveva optato per il silenzio o per i discorsi brevi e sottovoce; forse quando si era stancato delle risate soffocate, quando le imitazioni frivole dei compagni lo avevano esasperato, quando si era accorto che udirsi lo irritava.
Sehun non amava parlare, ma da un po’ di tempo non riusciva a stare in silenzio e i motivi erano due.
Uno: il suo psicologo personale -Lu Han- aveva professato che solo parlando l’imbarazzo verso quel tanto odiato difetto di pronuncia sarebbe svanito.
Due…
Due… Jongin.
Una volta gli aveva detto che il suo difetto era carino. Che lo rendeva unico.
E da allora, Oh Sehun non si era più stancato della propria voce.

{Sekai. Con accenni Hunhan. Le note all'interno}
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kai, Kai, Kris, Kris, Lay, Lay, Lu Han, Lu Han, Sehun, Sehun
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Absentia

 

E quando questi due esseri si incontrano, e i loro sguardi si incrociano,

tutto il passato e tutto il futuro non hanno più alcuna importanza.

Esistono solo quel momento e quella straordinaria certezza

che tutte le cose sotto il sole sono state scritte dalla stessa Mano.”

                                                                                     -Paulo Coelho, L’Alchimista-

 

 

 

Capitolo 1

Linea 3

(Di fotografie, Dead Space e metropolitane)

 

 

08 giugno 2013, ore 15.34

Seoul. Scatola di sardine di Sehun e Lu Han

 

 

Lo scatto della macchina fotografica inondò la stanza immersa nella fioca luce di un giovedì mattina qualsiasi, coprendo per un millisecondo il vociare concitato di un paio di alieni che avevano invaso il soggiorno –o era la navicella spaziale nel televisore?- e il premere esagitato dei pollici sul joystick, mentre velate minacce si libravano leggiadre nell’aria.

Lu Han aveva comprato un nuovo videogioco e dal modo in cui fissava lo schermo, probabilmente doveva piacergli parecchio. Sehun lo comprese dal numero illimitato di imprecazioni che lanciava ad intervalli regolari di cinque minuti. Era infatti da lui scientificamente testato che più Lu Han imprecava, più il gioco era di suo gradimento. Le stranezze di un nerd che spendeva parte della sua paga in videogames.

Sehun osservò la fotografia appena uscita dalla Polaroid, lasciandola riposare senza spostare lo sguardo dal profilo che piano piano andava delineandosi sulla pellicola patinata: la concentrazione di Lu Han traspariva dai denti bianchi che andavano a mordere il labbro inferiore mentre un fastidioso riflesso copriva parte del suo volto. La luce non rendeva giustizia alla delicatezza dei suoi lineamenti, ma da quella posizione e in quel soggiorno perennemente adombrato, non poteva pretendere la perfezione. Guardò per un istante gli enormi palazzi che si ergevano oltre la finestra e che impedivano alla brillantezza del sole di invadere il salotto grosso quanto una scatola di sardine, ma la leggerezza del portafogli nella tasca posteriore dei pantaloni, gli rammentò quanto poco avesse da lamentarsi: con lo schifo che guadagnava lavorando al ristorante di Baozi all’angolo della strada nel solo week end, non poteva pretendere un attico con vista oceano.

Tornò a guardare la foto ora nitida, accartocciandola quando sentenziò a sé stesso che non poteva usarla per l’esame che avrebbe dovuto sostenere la settimana a venire. Avrebbe continuato a scattare foto fino a che la soddisfazione non gli avesse fatto increspare le labbra in un tenue sorriso; sino ad allora, lo hyung doveva arrendersi ad essere il malcapitato modello.

Lu Han doveva essersi accorto del suo disappunto, perché dopo aver sbattuto un mano sul ginocchio quando un alieno gli aveva sferrato un attacco quasi mortale e in attesa che il caricamento si completasse, gli aveva rivolto uno sguardo al limite della scocciatura –Si può sapere cosa stai facendo?-

Sehun premette il tasto, il solito rumore invase la stanza e Lu Han storse ancora di più il naso, conscio di essere appena stato ignorato –Faccio foto.-

Lu Han roteò gli occhi –Lo sento. Mi chiedo solo: perché?-

-Perché mi piace, lo sai.- un’altra foto, un altro sbuffo.

Sehun amava fotografare.

Non era un semplice puntare l’obiettivo verso l’orizzonte e premere un tasto, non era un banale inquadrare un viso e armonizzarlo con ciò che lo circondava, un mettere in risalto ciò che di bello il mondo aveva da offrire. Per Sehun la fotografia era arte, era l’essenza stessa della sua esistenza. Un banale click corrispondeva ad un battito del suo cuore che andava perdendosi sulla carta patinata e che, se lasciato riposare con la dovuta cura, si trasformava, prendeva forma.

Plasmava la realtà a proprio piacimento, questo faceva Sehun quando fotografava.

Lu Han diceva che era strano, quando era in vena di gentilezze gli dava dello stramboide. Sehun credeva di essere solamente troppo appassionato per ragionare con lucidità.

-Smettila di fotografarmi.- Lu Han lo riprese con scocciatura, gli occhi puntati sulla televisione mentre un impavido aeronauta si infilava in una navicella invasa da mostri. Sehun non capiva la logica di quei giochi che tanto piacevano all’amico e, sinceramente, nemmeno ci teneva a capirla. Quale idiota si sarebbe avventurato fra i rottami di una navicella spaziale solo per capire che fine avesse fatto l’equipaggio? Insomma, se ne nessuno rispondeva ad un segnale radio che faceva le bizze, forse il messaggio implicito era: non fare cazzate, la morte ti attende. Che tanto Sehun sapeva come andavano a finire quei giochi: l’equipaggio sicuramente era stato preda dei mostri che comparivano a caso dietro gli angoli e lui, scemo di turno, si ritrovava a vagare per corridoi pieni di stralci di una vita quasi perfetta prima che la morte fosse giunta a rovinare tutto. Che poi certi scempi gli facevano passare la poesia per E.T., tanto che quando lo trasmettevano in tv si ritrovava a guardarsi programmi di cucina e telefilm di dubbio gusto.

Un sorriso di ironia gli increspò le labbra sottili quando si ritrovò a fissare le foto della polaroid ancora un po’ sbiadite –Solo se tu la smetti di giocare- Lu Han scoccò la lingua, segno che non avrebbe mai spento la Play -Che senso ha, me lo spieghi?- guardò Lu Han di sfuggita –Quale idiota si avventurerebbe in una navicella spaziale piena di rottami, buia e con rumori di sottofondo che nemmeno in Saw?- e lo aveva esposto con tutta la pacatezza e genuina incomprensione che possedeva. Perché no, proprio quel gioco non aveva senso.

-Lo stesso per cui uno si avventura fra i rottami del proprio passato.Armato di Polaroid...- e poi Lu Han se ne usciva con queste frecciatine che lo facevano pentire di aver dato inizio ad una conversazione. Perché Sehun voleva bene a Lu Han, lo considerava un fratello e l’unico coinquilino che mai avrebbe ucciso, per quanto molesto e rompicoglioni fosse, ma certe volte istigava alla violenza tanto era indisponente –Non lo sai che esistono le macchine digitali?-

-E tu non lo sai che non fa bene stare tutto il giorno davanti alla tele?- un alieno squarciò la gamba del protagonista e Sehun tornò nel proprio mondo fatto di obiettivi, flash ed esami che avrebbero finito col deteriorare anche quell’ultima cellula grigia sopravvissuta ad anni di cazzate.

-Tanto fuori non c’è nulla di interessante- bofonchiò leccandosi le labbra quando riuscì a ripararsi dentro un ascensore con la luce intermittente -Qual è il tema dell’esame?- lo squadrò con un ghigno -Rompi le palle al coinquilino mentre gioca a Dead space II?-

-Raffigurare la tristezza.- esalò Sehun con praticità, ripuntando l’obiettivo sul volto del ragazzo, ora contratto in una smorfia di scetticismo.

Lu Han mise da parte l’attenzione per quello zombie comparso dall’ascensore, mise in pausa e lo fissò –Ti sembro triste?- si indicò il volto, rivolgendogli l’espressione più dolciastra che avesse potuto reperire nel suo sgabuzzino piene di maschere. Tipico di Lu Han cambiare atteggiamento pur di uscire vincitore da qualsiasi conversazione.

Sehun non era però uno sprovveduto. Sapeva quando era bene fare attenzione ai repentini cambi d’umore dell’amico, così si limito ad alzare le spalle -Un ragazzo che con questo sole potrebbe essere al parco a correre e invece se ne sta chiuso qui con degli alieni…- annuì –Sì, sei triste.-

-Anche tu sei chiuso qui, con me.-

-Se il mio modello se ne sta in casa, sono costretto a starci pure io.- un’altra foto, un’altra imprecazione trattenuta.

Il capo di Lu Han cadde in picchiata sulle ginocchia, mugugni inesplicabili riempirono l’aria e Sehun si chiese perché l’amico dovesse per forza ostinarsi a rompergli così tanto l’anima. Come se già non fosse abbastanza dilaniata, oltretutto.

-Beh, esci, vai al parco e trova qualcun altro da fotografare- indicò la tele –Ho cose più importanti da fare.-

-Dovresti essere onorato di essere stato scelto- supponente come non credette di poter essere, Sehun si ritrovò a fronteggiarlo quando l’ennesimo alieno aveva deciso di interrompere la loro discussione; Lu Han lo ignorava volontariamente -oppure era davvero nei cazzi in quel magazzino coperto di sangue, corpi sbudellati e mostri che saltavano giù dal soffitto-, fatto stava che Sehun odiava non essere preso in considerazione. Così gli diede un calcio –involontariamente, ovvio- rischiando di fargli mancare il bersaglio. Lu Han si volse inviperito e Sehun a stento trattenne un ghigno di vittoria. Conscio di avere ormai la sua completa e scazzata attenzione, poté finalmente decretare la propria vittoria –Sai bene che non fotografo chiunque.-

Ed era vero, Sehun non fotografava chiunque gli capitasse a tiro. Poche erano state le persone baciate dai suoi flash, pochi erano stati i soggetti, sempre su gentile richiesta, che avevano avuto l’onore di ritagliarsi un posto nella parete della sua stanza su cui svettavano una manciata di foto che, ancora adesso, gli davano i brividi se solo provava a vederle. Erano venti appena, se lo ricordava a memoria perché aveva sempre avuto il brutto vizio di contarle quando non riusciva ad addormentarsi. Ma una fitta al petto, dolente e improvvisa, gli fece comprendere di aver commesso un banalissimo errore di calcolo: da esattamente nov mesi, erano diventate diciannove.

Un movimento sul pavimento appena lucidato lo mise in allarme e sollevando lo sguardo contrito verso il coinquilino, si ritrovò a deglutire come se fosse l’ultima volta. Perché Lu Han aveva allargato gli occhi, gli aveva sorriso di infinita, macabra dolcezza e si era sporto, la voce bassa e calibrata quasi volesse far tremare le corde delle sue memorie –Oh, sai bene anche tu che non è affatto così…- e il suo mormorio giunse letale –Linea 3…-

 

Sehun odiava prendere la linea 3, lo odiava da morire.

A dir la verità, parlando più in generale, odiava prendere la metropolitana. Sempre piena di gente che correva in giro freneticamente, zeppa di persone che camminavano e si arrestavano di colpo, senza motivo alcuno, costringendolo a deviare all’ultimo pur di non sbatterci contro mentre dentro sé mille e più imprecazioni gli coloravano l’umore già nero.

Quando fece passare lo zaino sotto lo scanner all’entrata, seguito dallo sguardo annoiato e sonnolento di un paio di giovani poliziotti, si chiese perché i suoi genitori non lo avessero iscritto alla scuola di fronte casa, invece di costringerlo a quel calvario che nemmeno un girone dell’Inferno. Probabilmente in una vita precedente era stato uno spietato killer o un cacciatore di streghe e ora si ritrovava a dover patire pur di sopravvivere.

Sospirò mentre, zaino in spalla, cominciava a seguire un branco di studenti casinari che dovevano essersi drogati per essere così felici di lunedì mattina. Insomma, era mattina! Ed era lunedì! Un’unione così terrificante da fargli venire i brividi. Li sorpassò a passo veloce, salendo le scale che lo avrebbero condotto alla famigerata linea 3, di un immotivatamente allegro color arancione.

Sì, proprio quella che odiava.

E non è che Sehun la disprezzasse così, per partito preso. Insomma, non era come i broccoli che li odiava perché facevano schifo –e no, non aveva mai provato a mangiarli, ma quei cosi non avevano un bell’aspetto-, e non era nemmeno come Minseo della prima A che ci aveva spudoratamente provato con lui negli spogliatoi, accampando la scusa di aver perso lì gli occhiali. Peccato che fosse quello degli uomini e lei non portasse occhiali, ma dettagli.

No, Sehun la odiava perché la linea 3 era quanto di più orribile potesse esserci nella vita di una persona.

Poco affollata, questo era il suo unico pregio degno di menzione e onore, la linea 3 aveva sempre quel nauseante aroma di birra mista a curry, un binomio da suicidio per uno che era astemio e odiava ogni tipo di spezia. Gli bastava mettere un piede dentro l’abitacolo per sentir la testa girare, i cereali della mattina nuotare gioiosi nella bile e altre bellezza che non volle elencare pur di non farsi ulteriore male. Così, quando vide il treno avvicinarsi, respirò a fondo e trattenne in corpo quanta più aria avesse, deciso a farsi venti minuti di apnea pur di non morire lì, fra scolari e imprenditori che urlavano al telefono in un inglese biascicato e forse pure inventato.

Sehun sbatacchiò le palpebre alla vista delle banchine quasi deserte, chiedendosi dove tutta la gente fosse scomparsa. Magari qualche buon Dio aveva deciso di sterminare metà Seoul cosicché lui potesse vivere in piena tranquillità, senza scocciatori che lo fissava o tentavano di attaccare bottone. Perché lui lo sapeva, non c’era niente di peggio –linea 3 a parte, ovvio- che stare seduti al tavolo di un bar a studiare e puntualmente venir assalito da ragazzine che gli chiedevano il numero di cellulare o addirittura una foto assieme, nemmeno fosse Gackt giunto in villeggiatura in quel di Seoul.

E in quei frangenti avrebbe voluto rispondere loro con un friabile “Sono gay”, sostituito invece da un ostentato mutismo dovuto più allo stupore che alla vergogna. Perché sì, Oh Sehun era felicemente e semi-dichiaratamente gay e no, non se ne vergognava. Certo però, non gli sembrava saggio sbandierarlo seraficamente e a gran voce fra cappuccini e cornetti, ecco.

Ma c’era qualcosa che stonava, quel giorno. Qualcosa che non era al proprio posto. Come se il cambiamento stesse giungendo con placidità, colorando il grigiore di quel lunedì mattina che sapeva di routine e noia.

Sehun poteva respirarlo nell’aria che gli parve pulita o almeno non così stomachevole, poteva udirlo nel leggero concitamento proveniente alle proprie spalle, meno rumoroso del solito, mentre sostava immobile oltre la linea gialla. Poteva sentirlo nei discorsi frivoli di ragazzine con l’apparecchio e la divisa scolastica che parlottavano tra loro, emettendo risolini caustici che avrebbe voluto sopprimere.

Mentre indicavano la “stonatura”.

Che era al suo fianco, a meno di un metro di distanza, una macchia nera su di un foglio immacolato. Uno sprazzo di colore in quella tela nera che era sempre stata la sua vita da adolescente asociale e privo di qualsivoglia desiderio di ribalta in un mondo che non lo considerava.

Ma qualcuno cambiò tutto. Senza muoversi, stando fermo, ma lo cambiò.

Gli parve che il mondo da sempre ignorato avesse assunto connotazione ben marcate, nell’esatto istante in cui il suo sguardo svogliato si era posato impercettibilmente sull’unica persona che avesse catturato la sua attenzione in mezzo ad impiegati, banchieri e sporadici studenti.

Un comune ragazzo.

Era un comune ragazzo che, per motivi a lui ignoti, scuoteva il suo interesse.

Banale nel suo vestiario approssimativo e scialbo, nel suo ciondolare la testa a ritmo di musica che fuoriusciva dagli auricolari neri, nel suo fissare davanti a sé quasi non volesse perdere nemmeno un secondo per potersi infilare nel vagone. Di quel 22 ottorbe di un 2006 trascorso troppo lentamente, Sehun ricordava ogni minuscolo istante, anche quello più insignificante. Di come una ragazza gli avesse intimato di non starsene lì impalato, di come un impiegato gli fosse andato contro quando ero sceso a gran velocità facendogli un male cane alla spalla, di come una calca di persone si era insinuata nel suo minuscolo spazio vitale e lo aveva spintonato all’interno del vagone senza delicatezza alcuna, di come si fosse piazzato in posizione strategica pur di continuare a sbirciare l’estraneo dalla pelle olivastra.

Di come, nonostante tutto, quel ragazzo continuasse a rimanere prepotentemente presente.

Nascosto fra due studenti assonnati, si era concesso di studiarlo un po’ più a lungo, le dita che si attorcigliavano sulla sbarra di metallo. Perché quello sconosciuto era bello, talmente tanto che era quasi impossibile smettere di guardarlo.

La maglietta un po’ larga di un blu scuro che ben si mescolava all’espressione pensosa del suo volto, la visiera del cappellino ruotata di lato che lasciava intravedere il ciuffo ordinato e i capelli un po’ lunghi, tutto di quel ragazzo sembrava gridare ribellione, ma per qualche strana ragione gli parve l’essere più placido che mai avrebbe potuto incontrare. Si teneva aggrappato al maniglione, fissava assorto lo srotolarsi di una Seoul immersa nello smog, apparentemente ignaro di essere divenuto l’attrazione di quasi tutti i presenti.

Sehun nemmeno si era reso conto di aver tirato fuori dallo zaino la Polaroid, non si era nemmeno accorto che l’indice si era posato delicatamente sul pulsante, così come non si era accorto che il rumore dello scatto aveva permeato l’abitacolo per un istante.

E prima ancora che il suo cervello potesse dargli del coglione, il casino era stato fatto.

Aveva notato solo il flash, talmente forte da essere paragonabile ad una sonora mazzata in testa, e quel quadrato di pellicola bianca su cui cominciavano a intravedersi i primi segni del danno. E aveva notato il ridestarsi dello sconosciuto, ora irrigidito e spaesato, che lo fissava con sopracciglia arcuate.

Ok, si era accorto di lui. Missione 1, conosciuta altresì come “Resta fermo e immobile e nessuno si accorgerà che esisti”: fallita.

Lo sconosciuto aveva occhi scuri allungati e un po’ larghi per la sorpresa, naso schiacciato e labbra carnose schiuse di velata incredulità, l’espressione di chi si è appena reso conto di essere nel vagone di una metropolitana, circondato da persone. Come se fosse stato prigioniero dei propri pensieri e il suo stupido flash fosse stato la liberazione.

Non gli parve arrabbiato, constatò Sehun mentre tentava di nascondersi meglio alla sua vista e ricacciava la maledetta Polaroid nello zaino. Ma non gli parve nemmeno così felice di essere divenuto l’oggetto di interesse di uno stalker provetto. Del resto, come biasimarlo? Venir fotografato da un perfetto estraneo che probabilmente per tutto il tempo lo aveva fissato con espressione da giocatore di poker, di lunedì mattina, non doveva essere molto… Normale.

 

*Anguk, stazione di Anguk*

 

La voce metallica proveniente dall’altoparlante fu un coro d’angeli in mezzo a quell’Inferno. Finalmente sarebbe potuto uscire da quel girone divenuto troppo piccolo per poterlo nascondere e, soprattutto, avrebbe potuto lasciare nel vagone la colossale figura da coglione che lo avrebbe erto a re dei mentecatti.

Il ragazzo al proprio fianco lo sorpassò con un gesto fluido, recidendo per una manciata di microsecondi quel filo invisibile che non gli aveva permesso di scostare lo sguardo dallo sconosciuto, ancora fermo ed immobile ad osservarlo.

E fu un attimo.

In mezzo alla bolgia, in mezzo al vociare e agli starnuti dei presenti, in mezzo ad un caos che Sehun rifuggiva come la peste, in mezzo al proprio sconforto, imbarazzo e desiderio di suicidio… Lo sconosciuto gli aveva sorriso. Poco, impercettibilmente, divertito, come se fosse compiaciuto del suo essere stato scorto in mezzo a tanto ciarpame.

Come se per un breve istante fosse stato chiaro ad entrambi che erano finiti lì, in quel vagone, quel giorno, solo perché ciò potesse accadere.

Sehun avvertì i polmoni svuotarsi e senza pensarci due volte, uscì da quel posto divenuto rovente. L’aria irrespirabile gli permise di non svenire sulle linee gialle della banchina mentre udiva le porte chiudersi, anche se in realtà avrebbe voluto chiedere a quel gentile vecchietto davanti a sé di spingerlo sui binari mentre il treno era in corsa.

Perché era passato da ragazzino invisibile a maniaco che fotografava piacenti sconosciuti ed era sceso alla fermata sbagliata. Più precisamente a sei fermate prima della propria. E il prossimo treno sarebbe arrivato tra cinque minuti. Fantastico… Sarebbe arrivato in ritardo a scuola, davvero fantastico.

Lu Han, dopo il suo racconto, gli aveva detto che doveva vedere uno psicologo coi controcazzi se voleva salvare quel minimo di cervello che possedeva. O di scoparsi qualcuno, almeno avrebbe smesso di fotografare sconosciuti e poi usare le foto per pratiche erotiche in solitaria. Sciocco Lu Han… Come se davvero lui usasse i suoi gioiellini per certe frivolezze, rischiando addirittura di sporcarli!

Sehun, ad ogni modo, aveva smesso da un pezzo di dare retta all’amico.

Perché guardando la foto appena divenuta nitida fra le proprie mani, si disse che ne era valsa la pena. Per la prima volta da quando aveva impugnato una macchina fotografica, Sehun si era ritrovato a sorridere di fronte al proprio lavoro che sapeva di scemenza, birra e curry.

Oh Sehun odiava la linea 3, la odiava con tutto il cuore, certe cose non potevano mutare.

Ma per una volta, si disse che non era poi così male…

 

Il flash della macchina fotografica illuminò i suoi pensieri, riportandolo alla realtà.

La Polaroid era stata rapita da un Lu Han ghignante che, da inesperto fotografo, stava continuando a sventolare la pellicola appena uscita.

Sehun avvertì una stretta al cuore –ancora incerto se dovuta alla nitidezza dei suoi ricordi o alla coglionaggine dell’amico- e si allungò per strappargliela di mano, spingendolo a sedere a terra. La musica del game over, nel mentre, risuonava macabra fra le quattro mura della scatola di sardine.

-Cretino, così si rovina!- lo rimproverò storcendo il naso, guardando la pellicola sbiadirsi leggermente; solo allora realizzò chi Lu Han si era permesso di fotografare –Non devi farmi foto!- lo aveva esalato con un pizzico di rabbia, accentuato dalle sopracciglia aggrottate e gli occhi assottigliati. Perché Sehun odiava essere fotografato; si ostinava a credere che tutto fosse bello e fotogenico meno che sé stesso.

All’occhiata risentita che gli aveva appena regalato, il coinquilino replicò con un sopracciglio alzato e un tono di voce sprezzante –E’ da tutta la mattina che rompi le palle facendomi foto, non lagnarti- Lu Han si allungò, sorridendo –E comunque sei uscito bene!- gli circondò le spalle con un braccio mentre con l’indice puntellava la foto. Sehun studiò il proprio volto circondato da ombrosità, chiedendosi perché mai assumesse quell’aria incazzosa quando si ritrovava a pensare troppo e per troppo tempo. O forse diveniva così assorto solo quando pensava a Lui. Lu Han si alzò in piedi e si pulì i jeans spiegazzati, arricciò le labbra –Qualcosa non va?-

Sehun scosse la nuca mentre spegneva la Polaroid, adagiandola con cura sulla poltrona dietro di sé –Stavo solo pensando.-

-Pensare ti fa male- osservò l’amico sgranchendosi le spalle –Soprattutto pensare a certe cose, non devi- spense la tele e guardò la finestra –E’ una così bella giornata… Ti va di andare a prendere del the?- e gli aveva sorriso debolmente, come se si stesse sforzando per uscire di casa e non continuare a lasciarsi uccidere da alieni e zombie.

Come se volesse impedirgli di ingabbiarsi nei propri ricordi. Incredibile come Lu Han riuscisse a capire tutto senza bisogno di spiegazioni.

E Sehun non sorrise, ormai non sorrideva più da un po’. Ma annuì e questo sembrò rendere felice Lu Han che, aiutandolo ad alzarsi, gli scompigliò i capelli disordinati prima di rubargli la foto –Io userei questa per il compito- sghignazzò –Cristo se sei triste, Sehun.-

Già, Lu Han aveva il brutto vizio di ricordarglielo sempre…

 

-Sehuni, sei sempre così triste!-

-E tu sei un idiota, Kim.-

 

E anche Jongin.

 

 

 

 

Inutili note conclusive:

Un aggiornamento così puntuale -addirittura in anticipo, a voler essere pignola- non lo vedrete mai più, credo. Questo perché i primi capitoli sono praticamente completi, ma i successivi... Stendiamo un velo pietoso che è meglio.

Passando a questo coso -che io amo definire: il nulla cosmico-... Succede poco o nulla, lo so. Ma mi serviva introdurre per bene quelli che saranno i vari protagonisti della storia, anche se tutto ruota intorno a Sehun -come stai crescendo bene figliolo, sono così fiera di te ♥- 
La lunghezza rientra ancora nella soglia della decenza; questo perché c’è un solo POV. Più si va avanti, più si degenera. Spero inoltre che i balzi temporali passato/presente non vi facciano venire il mal di mare. Ho sempre desiderato scrivere una fanfiction dove c’era l’alternanza tra i due, sono commossa di esserci finalmente riuscita ;.;

E chi sarà mai questo figopaura della metropolitana, mh? No, tanto so che lo avete capito da soli. Non sono in grado di creare suspense, ho rinunciato a provarci.

Che altro? Ah, sì, sono lenta, lentissima con l’evolversi delle situazioni. Lo metto subito in chiaro per evitare fraintendimenti. Nel senso… Ecco, non aspettiamoci baci o dichiarazioni d’amore già dai primi capitoli, perché non è mia intenzione. Sono per le storie che, seppur fantasiose, hanno al loro interno un minimo di veridicità. Non credo nel colpo di fulmine, l’amore è per me un processo lento e faticoso e credo che ciò si riverserà anche in Absentia. Insomma, mi spiacerebbe che vi creaste aspettative e queste venissero deluse.

Infine -e poi la chiudo, lo giuro-, un paio di precisazioni che mi preme dare –per puntiglio a dire il vero, tanto so che sono palesi-:

-Le date ad inizio capitolo o quelle sparse in giro sono importanti. Ho basato la storia sullo scorrere del tempo, pertanto vedete le scene come missing moments sparsi qua e là.

-Le scene del passato, al momento, sono in ordine cronologico ma più avanti potrebbe capitare che vi siano sbalzi temporali –esempio stupido: nel capitolo 1 si parlano come se fossero marito e moglie e in quello dopo si comportano da perfetti estranei-, questo perché non ho voluto dare loro una linearità. Sono scene rievocate da determinate parole o azioni e proprio come succede nella vita reale, non seguono un filone logico. Quindi se vi parrà che abbia dato per scontato qualcosa... Abbiate fede!

Bom, posso chiudere qui la fiera delle banalità e passare ai ringraziamenti (aaaah, quanto adoro questa parte!): a Atomo, Shinushio, dylandogs e WhiteRose88 va tutta la mia più sincera gratitudine. Per me è stato un piacere immenso vedere che il prologo di Absentia abbia suscitato l’interesse di qualcuno. Credevo sarebbe stato ignorato ;.; Quindi grazie, ma grazie infinite.

Ringrazio anche chi ha aggiunto la storia fra le seguite/ricordate/preferite e chi legge in silenzio. Se qualcuno fosse interessato ad insultarmi sulla pubblica piazza, ho un account facebook -HeavenisinyourEyes Efp- dove riverso tutto il mio amore viscerale per il Kpop -e va bene, Sehun principalmente.-

 

Alla prossima!
HeavenIsInYourEyes.

 

 

   
 
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