Di
zombie, prime colazioni e complotti accidentali.
“Accidenti, Annie.”
All’imprecazione di Kristine non potei
fare a meno di chiudere
immediatamente la bocca alzando di scatto la testa e puntando gli occhi
sulla
sua figura decisamente arruffata, ancora tra le lenzuola fresche del
letto,
mentre cercava di sotterrare la propria testa sotto il cuscino.
Nonostante
stesse continuando a lanciarmi improperi e recriminazioni, tutto quello
che io
riuscivo davvero a sentire era una serie di mugugni soffocati difficili
da
comprendere...
Purtroppo per me, conoscevo
abbastanza la mia migliore amica da
intuire il corpo delle lamentele e tradurlo così in lingua umana senza troppe difficoltà.
Anche se non mi stava neanche guardando –
impegnata com’era
nell’affondare la faccia nel materasso- abbozzai un sorriso e
gli mimai con le
labbra uno “Scusa.” mentre riportavo lo sguardo
sullo schermo del computer,
attenta a non perdere nuovamente la concentrazione e pronta a
ricominciare da
dove avevo interrotto.
La vidi solo con la coda dell’occhio
mentre sbuffava e si
rifugiava dietro la porta del bagno privato che avevamo a disposizione.
Kris
era fatta così: odiava svegliarsi presto ma una volta che
prendeva anche solo
un minimo contatto con la realtà poi non riusciva a
riaddormentarsi – suo
malgrado, nonostante i grugniti e i versi di frustrazione- e si sentiva obbligata a
spendere ore in
bagno per rendersi presentabile
anche
se doveva rimanere in camera a poltrire.
Non alzai gli occhi
al cielo solo perché
non sarebbe stato professionale e cercai di trattenermi dal ridacchiare
per lo
stesso motivo – in fondo stavo lavorando e dovevo mantenere
un certo contegno
di fronte agli altri ragazzi della crew.
Non ripensai alla mia amica fino allo scoccare
dell’ora seguente
ma, quando alzai lo sguardo dopo aver spento il PC e non la vidi da
nessuna
parte, non riuscii a fare a meno di corrugare la fronte perplessa.
Possibile che fossi stata
talmente focalizzata sul lavoro,
dal non essermi resa conto che era uscita dalla stanza?
Mi alzai dalla scrivania stiracchiandomi verso
l’alto, posai con
cura la biro nell’astuccio e misi il quaderno nella borsa
tracolla che di
solito portavo in giro sul set.
Nonostante sentissi tutto il corpo indolenzito non potevo essere
più felice di
così; avevamo fatto un buon lavoro e l’intera
faccenda delle “conferenze a
distanza” era iniziata con risultati più che
positivi: una webcam e una buona
ricezione per il portatile erano stati più che sufficienti
per rispettare il patto
che avevo stretto con Julie e grazie al quale mi aveva accordato il
permesso
per la vacanza. Quindi ero abbastanza contenta, sì.
Andai in bagno solo per sciacquarmi il volto e
rimettermi a posto
i capelli con la solita coda alta, ma non resistetti oltre: dovevo volare
fuori di lì. Avevo bisogno del mio
caffè, accidenti.
Scesi le scale a due a due per arrivare il prima
possibile al
piano di sotto – dove si trovavano cucina e soggiorno
(enorme, gigantesco
soggiorno), più un bagno e le altre due camere che al
momento erano state
occupate rispettivamente da Nina e Ian.
Subito dopo il viaggio in macchina - e prima di mandarci di filata a
letto- Paul aveva
ufficialmente presentato a tutti
sua moglie e, con una Torrey estremamente sorridente e amichevole, ci
aveva
fatto fare il tour completo della casa – camere
già assegnate e tutto, manco
fossimo stati in gita sotto la responsabilità del prof di
turno.
L’immagine di Paul come
professore,
poi, era stata talmente esilarante che mi ero messa a ridacchiare sotto
lo
sguardo allibito di Kristine che – con tutta
probabilità- cercava di capire
fino a che punto potevo sostenere quel viaggio.
Scossi leggermente la testa mentre mi guardavo in
giro, cercando
di capire come organizzarmi in quella cucina estranea; il mio primo
obbiettivo
era scoprire al più presto dove i Wesley tenevano il
caffè – cercando anche di
mantenere un minimo di contegno senza mandare all’aria
ventotto anni di buona
educazione in casa altrui.
Fui inevitabilmente distratta dall’arrivo
di uno zombie dal salotto
e non riuscii a fare a meno di sobbalzare spaventata, poi la mandai
direttamente al diavolo portandomi una mano all’altezza del
cuore provando a
regolarizzare il respiro “Accidenti, Kris! Ti pare il modo di
apparire dietro
le persone?”
Di tutta risposta lei mugugnò qualcosa
d’incomprensibile trascinandosi
verso uno degli sgabelli
vicino all’alto bancone che divideva la cucina, quindi
incrociò le braccia sul
ripiano e ci cadde sopra con la testa – mugugnando
qualcos’altro al limite fra
“troppo presto”
e “uccidetemi”.
Incrociai le braccia al petto guardando con aria
scettica la
zazzera bionda accasciatasi sul tavolo, cercando di nascondere il
divertimento
“Sono le otto del mattino, Kris. Non è così
presto.”
L’unica risposta che riuscii ad ottenere
fu l’ennesimo borbottio
soffocato di cui distinsi l’unica parola poco incoraggiante
“..morte..” e
quindi non potei fare a meno
di sospirare, nonostante tutto confortata perché per lo meno
riuscii ad
adocchiare la macchinetta del caffè e vidi la mia
disperazione mattutina
diradarsi a poco a poco mentre constatavo che era dall’uso
gestibile e non
rischiavo di rompere o far esplodere niente.
Mentre mi davo da fare per prepararmi la mia dose
di felicità giornaliera,
cercai in Kristine qualche segno di vita “Ehi, tu vuoi
qualcosa? .. Caffè?”
Nonostante il mio tentativo di darle
un’esistenza più allegra lei
scosse energicamente la testa, provando ad alzare il capo –
apparentemente
ancora troppo pesante perché dovette mettere il gomito sul
ripiano e poggiare
la guancia nel palmo della mano con più forza del dovuto
– e io non riuscii ad
evitare di ridacchiare guardandole la faccia deformata in quella
maniera tanto infantile.
“Molto divertente, Annie. Sul
serio.”
In risposta al suo tono piccato, tramontai
semplicemente gli occhi
al cielo“Oh, andiamo. Non è colpa mia se di prima
mattina hai la reattività di
un bradipo in coma.”
“Ma è
colpa tua se sono
in queste condizioni.” Borbottò lei, chiudendo
leggermente gli occhi –
stanchissima e frustrata perché sapeva che non sarebbe
più potuta tornare a
letto.
Le lanciai un sorriso di scuse mentre mi versavo il
caffè in una mug pulita che avevo trovato sul bancone vicino
al lavello “Non volevo
svegliarti, mi spiace.”
Kris si limitò a sbuffare “Si
può sapere che diavolo stavi facendo
al computer alle sette del mattino? Parlavi ad uno schermo e io non
credo alla tecnologia
animata quindi.. Sei diventata matta?”
Ridacchiai “Sei tu che mi hai trovato il
lavoro, dolcezza.” Le
feci cenno con la tazza, come a voler brindare “E’
solo merito tuo.”
La testa le cadde nuovamente sul bancone
– e probabilmente si fece
pure male dato che stavolta non c’erano braccia ad attutire
il colpo- e
bofonchiò esasperata “Pensavo dovessi sgobbare nel
pomeriggio, tipo quando mi
posso alzare io dal letto.”
Per quanto riguardava me, mi limitai a sorridere
accondiscendente, annuendo, mentre mi andavo a sedere di
fronte a lei “Infatti i meeting sono alle tre del pomeriggio
ad Atlanta.”
Anche da quella posizione Kristine
riuscì a trafiggermi con lo
sguardo, obbligandomi quasi ad
articolare una spiegazione nel modo più sensibile e comprensivo
possibile
“Abbiamo un fuso orario di sette ore,
genio.”
Lei nascose ancora una volta la testa tra le
braccia borbottando
un “ti odio.”
mentre io la lasciavo
alla sua disperazione sorseggiando il mio super concentrato di
caffeina,
mantenendo il buon’umore di sempre.
Dopo qualche minuto, una risata aperta ci fece
voltare il capo
verso Nina che – allegra e sudata nella sua tuta sportiva
dell’estate- era
entrata dalla porta sul retro che dava alla spiaggia e ci stava
guardando
divertita “Che mi sono persa?”
Le feci un cenno di saluto con la mano e le dedicai
un sorriso
“Oh, niente. Solo Kris che prova ad entrare nel cast di
‘The Walking Dead.’”
Nina si sedette al mio fianco asciugandosi il collo
bagnato con un
asciugamano bianco, rivolgendosi nel mentre alla biondina davanti a noi
“Tifi
per la concorrenza quindi?”
Finalmente Kristine alzò la testa e si
mise a sedere composta,
senza appoggiarsi più a nulla e dandosi un certo contegno -
nonostante la chiazza rossa che sfoggiava in bella vista proprio in
mezzo alla fronte “Si può sapere che
facevi tu in spiaggia a
quest’ora?”
L’attrice si limitò a
ridacchiare mentre si rialzava per dirigersi
al frigo “Yoga.” Rispose poi, prendendosi una
bottiglietta d’acqua tornando ad
adocchiare la faccia orripilata dell’altra ragazza
“Il mare è stupendo, di
mattina il caldo non è troppo afoso ed è
rilassante.. se vuoi domani ti sveglio
prima e lo facciamo assieme.”
Kristine balzò in piedi allontanandosi
di scatto e puntandole
contro un dito “Lontano da me, Satana!”
Quando Paul e Torrey arrivarono sulla soglia della
cucina –
entrando dalla porta principale, già vestiti di tutto punto-
la cucina era
ancora avvolta da una bolla d’ilarità e prese in
giro di un’amicizia sempre più
profonda.
“oookay.”
Vidi Paul
rivolgersi a sua moglie con un
sorriso affezionato e due
occhi
fintamente atterriti “Fai le valige e scappiamo, non siamo
più al sicuro da
queste parti.”
Torrey si limitò ad alzarsi leggermente
sulle punte e dargli un
piccolo bacetto sulle labbra, pattandogli amorevolmente il braccio
“Non
possiamo, rassegnati tesoro.”
Kristine li fissò terrorizzata
“ Che ci fate anche voi già
svegli!?” per poi borbottare un “Oh
mio Dio, sono circondata.”
“Abbiamo portato la colazione.”
Esclamò Torrey, avvicinandosi con
il marito e sedendosi al bancone con noi.
Kristine li guardò entrambi con fare
circospetto, tornando a
sedersi con cautela “Che tipo
di
colazione?”
Per tutta risposta Paul si schiarì la
voce con la mano a pugno
davanti alle labbra, come a fare un annuncio di particolare importanza
“Muffin
e ciambelle. Senza dimenticare il chilo di gelato con cui riempire le
brioche,
ovvio.”
Sapevo che l’ultima frase avrebbe avuto
un effetto più che
positivo su Kristine, quindi non mi scomposi più di tanto
vedendola illuminarsi
e saltellare ringraziando i
gentilissimi-issimi signori Wesley semplicemente per esistere e per
averla
salvata da una mattina traumatizzante.
Tuttavia non potei fare a meno di prenderla in giro
“La tua
fissazione per il gelato è alquanto sospetta, sai
Kris?” e il riferimento a Joe
e al suo lavoro in gelateria era per niente celato e ben in vista anche
a chi
non sapeva nulla della sua cotta.
Lei ricambiò la scoccata con un sorriso
completamente
fraintendibile (e maledii immediatamente la mia boccaccia larga)
“Ehi, non essere gelosa.
Anche se io mi
prendo il ‘Salvatore’ della mattina, tu
hai l’altro.”
Paul rise ma io continuavo a guardare Kris ad occhi
spalancati,
cercando di nascondere il rossore sulle guance. Dannata amicizia
telepatica.
“A proposito!” Fu Nina ad
interrompere il momento d’imbarazzo “Forse
non sei l’unica dormigliona, Kris ... Chi va a svegliare Smolder, gente?”
***
Ok, mi ero offerta senza pensarci. Sì,
lo avevo fatto, ma solo
perché gli altri volevano fare colazione e a me di solito
bastava un caffè. Sul serio.
Non è che morissi dalla voglia di vederlo o stare un
po’ con lui, no.
Figuriamoci.
Mi diedi dell’idiota per la quinta volta
nel giro di due minuti e
sospirai. Ero ridicola. Stavo davanti alla sua porta con il pugno
alzato,
pronta a bussare ed entrare, ma senza il coraggio per farlo veramente.
Non ne
sapevo il motivo ma avevo un pessimo presentimento riguardo a
ciò che stavo per
fare.
Oh,
andiamo.
Cercai di scuotermi alla bell’e meglio.
Mi stavo comportando da
stupida e la parte peggiore era che lo sapevo perfettamente.
E’ Ian!
L’attore per cui mi sono presa una sbandata mostruosa, certo,
ma … è
Ian. Lo stesso ragazzo con cui ho stretto
amicizia nelle ultime quattro settimane. Non mi ha mai mangiato, no?
Certo che
no. Lui non mangia le persone. A lui piacciono gli hamburger, giusto?
Perché mai
dovrebbe iniziare la sua antropofagia con me, poi?
Seriamente, stavo arrivando ad un livello di
demenza preoccupante
con i miei ragionamenti contorti – e , ovviamente, la mia
ansia ingiustificata
non aiutava proprio la situazione, ecco. Avevo davvero pensato al cannibalismo? Oh, Dio. Stavo degenerando
e la cosa era preoccupante.
“Sono un’idiota.”
Mormorai sconfitta ma –
ehi!
sesta volta in due minuti e mezzo!
Dalla cucina si sentiva ancora il vociare della
compagnia, quindi
provai a darmi una svegliata. Non volevo che venissero a controllare se
andava
tutto bene.
Non avevo idea del perché ma volevo che fosse un momento mio, solo
mio –
almeno per quella mattina. Non era troppo da chiedere, no?
Smettila
di pensarci e bussa, deficiente!
La voce che mi rimbombò in testa era
vagamente – e
inquietantemente – assomigliante a quella di Kris, ma almeno
riuscii a darmi
una regolata.
Bussai svelta due volte e non mi presi neanche la briga di aspettare
una
risposta – tanto, teoricamente, nove possibilità
su dieci, stava ancora
dormendo e non avrebbe potuto rispondere in ogni caso.
Spalancai la porta con rinnovato entusiasmo, ma il
sorriso mi morì
sulla faccia lasciando spazio ad un’espressione al limite tra
lo scioccato e
terrorizzato.
Evidentemente quella era la fatidica decima volta.
Porca di
quella-
Ian era decisamente
sveglio; il letto sfatto e vuoto, la stanza già pienamente
illuminata dal sole
grazie alla portafinestra alla destra e lui in piedi, glorioso e
bellissimo in
mezzo alla camera, con solo un
dannatissimo asciugamano legato alla vita.
Si era appena voltato verso di me, con la faccia a
punto
interrogativo – o beata innocenza- e un’altra
salvietta in mano mentre si
asciugava il petto bagnato di doccia mattutina.
Per farmi scattare ci vollero tre secondi e mezzo
spaccati, la
strigliata di un cuore sull’orlo di un infarto epocale e la
scossa elettrica
dei poveri neuroni-superstiti che mi rimanevano – ormai
arrivati al limite
anche loro, poveretti. Il tutto armonicamente condensato in una bolla
di calore
che mi esplose in faccia – facendomi raggiungere lo stato di
calore di una
super nova- e in un gridolino decisamente acuto che mi sarei
risparmiata
volentieri se fossi
stata in possesso di
tutte le mie facoltà celebrali.
“Oh mio Dio!”
Mi girai all’istante, cercando di
scappare dalla stanza e
rifugiarmi in corridoio ma fui inevitabilmente bloccata dalla porta che
– infida
bastarda- si era chiusa da sola in un momento indeterminato
della situazione – facendomi così scapicollare al
pessimo risultato di una
botta allucinante al naso e una caduta all’indietro di sedere
a causa
dell’impatto improvviso.
Ma che
cazzo!
Ian scoppiò a ridere senza ritegno e io
mi pietrificai. Fosse
stato un momento qualunque mi sarei goduta quel suono piacevole ma,
sfortunatamente, non era un momento
qualunque.
Somerhalder era dietro di me praticamente nudo e io non riuscivo a
ragionare
(né a respirare, se era questo il problema); in un secondo
pensai ad un
tribunale con dei giurati: se qualcuno avrebbe mai voluto farmi causa
per un
comportamento del genere, l’umanità
nei
cuori della gente mi avrebbe assolta.
Avrei avuto l’appoggio di tutti, sarebbe stata legittima
difesa!
Accidenti,
in che diavolo di situazione mi sono cacciata?
E lui non aveva nessun problema, lui se la rideva
– perché era uno
stronzo sicuro di sé, senza la più pallida idea
di che effetto potesse mai
avere sulla gente e se lo poteva permettere. Strizzai le palpebre con
più forza
del dovuto e probabilmente usai un tono più acido del
necessario “Credi sia
divertente, Somerhalder?”
“Oh
sì!” Rise lui,
ancora più forte, facendomi imbarazzare e – di
netta conseguenza- incazzare
ancora di più.
Strinsi la mascella con forza e decisi di diventare
una statua.
Una statua che non stava arrossendo, che non avrebbe ricordato quel
momento per
tutta la sua miserabile non-vita e che, ovviamente,
non stava cercando qualcosa – una vanga, un cucchiaio.. un
cane ben addestrato?-
per poter cominciare a scavare nel pavimento nella speranza di arrivare
in Cina
per mezzanotte.
Dopo qualche istante, le grasse e grosse risate di
quell’infame
d’un attore s’acquietarono
ma io non
feci neanche in tempo a commentare il lasso di tempo –
incredibilmente
lungo- che aveva
usato per placarsi, che
sentii la sua voce arrivarmi fin troppo vicina
“Ehi, dai. Tirati su.”
Era bassa e calma – decisamente
troppo vicina- e non potei evitare di sentir una cascata di
brividi colar
giù per tutta la schiena.
Poi Ian ebbe la geniale idea di poggiarmi una mano sulla spalla e il
contatto
non fece che aggravare ancor di più il mio stato
psico-fisico – mancava poco
che diventassi una cosetta raggomitolata e balbettante sul pavimento,
senza più
traccia di capacità logico sintattiche e razionali.
“Annie, guarda che è tutto
ok.” Probabilmente stava cercando di
farmi aprire gli occhi ma, a quanto pareva, non era ancora a conoscenza
nella
mia recente evoluzione in un blocco di marmo modellato. Per quanto
riguardava
me, dovevo semplicemente resistere e imparare a non respirare per il
resto
della mia esistenza (quantomeno stare con Ian era stato un ottimo
allenamento
per quest’ultima parte del piano.)
“Dai, alzati.”
Come previsto da programma giornaliero cedetti dopo
circa quattro
secondi e tre quarti – complimenti
ragazza, non c’è che dire- e aprii
con uno scatto solo la palpebra destra, muovendo poi unicamente la
pupilla così
da scorgere il braccio dell’attore teso verso di me in muto
invito a farmi
aiutare per tirarmi in piedi.
Deglutii nervosa, la gola completamente secca. Poi
richiusi anche
quell’occhio, ostinata “Prima vestiti.”
Ian sospirò ma non sembrava turbato,
anzi. Sbuffò una risata e la
voce mi giunse leggermente più lontana di prima
“Paura di saltarmi addosso, Anastasia?”
Che
bastardo.
Usare il mio nome per esteso con un tono di voce
del genere era
proprio una cattiveria bella e buona. Registrando il fatto che i miei
neuroni
si collegarono efficientemente per qualche secondo, riuscii a capire
che no, accidenti, Somerhalder
sapeva
esattamente che effetto aveva sulla gente ed era anche abbastanza furbo
da
rigirarsi la situazione come più gli piaceva.
Non potei fare a meno di sorridere e rispondere
ostentando una
calma che non avevo, manco a cercarla con una sessione no-stop di
meditazione
intensiva; o forse era il sollievo di scoprire che non dovevo
necessariamente
subire un trapianto di cervello, dato che il mio scapicollava ma
resisteva ancora alle forze nemiche.
“Oh, non ne hai idea. Potrei aggrapparmi
a te stile scimmia-ragno
e non mollarti più.”
Lui rise ancora e lo sentii armeggiare con qualcosa
– sperai
ardentemente in vestiti. O una tenda. Sul serio, mi andava bene anche
lo stile
spartano, ma doveva coprirsi. Ne
andava della mia salute.
Passò
forse meno di un
minuto e Ian disse d’esser pronto.
“Mi posso fidare?”
Non lo vidi, ma me lo immaginai mentre alzava gli
occhi al cielo.
Ridacchiai mentre lui sbuffava “Vuoi davvero una risposta o
posso mandarti a
quel paese già da adesso?”
Ridendo aprii entrambi gli occhi guardandomi in
giro – evitando accuratamente
la figura del ragazzo- e scoprii che in qualche modo avevo fatto cadere
la
chiave dalla serratura, dato che stava in bella mostra di sé
sul pavimento poco
più avanti di me. Guardai la porta con aria di sfida
– ti odio. Tutta colpa di quel
pezzo di legno.
Mentre mi alzavo e mi chinavo per prendere la
chiave e
re-infilarla nella toppa, non potei fare a meno di pensare –
e borbottare- su
quanto, l’intera faccenda, sembrasse un complotto. Magari
accidentale, ma pur
sempre un complotto.
Quando mi girai per confidare a Ian le mie nuove
delucidazioni su
ciò che era appena accaduto, non potei fare a meno di aprire
la bocca con fare
indignato.
Il suo essere ‘pronto’
consisteva in un pantalone-costume che gli
arrivava al ginocchio, un paio di infradito e una camicia bianca sbottonata.
Incrociai le braccia al petto, inarcando le
sopracciglia e
obbligandomi a non chiudere nuovamente gli occhi “Mi stai
provocando, Ian?”
Lui ridacchiò – ma stavolta
percepii nella
risata qualcosa di malvagio
“Può darsi.”
Ormai la mia gola era più secca del
Sahara, cercai di portarmi un
po’ di saliva almeno sulle labbra leccandomele velocemente ma
la lingua mi
pareva esser fatta di carta vetrata.
Nonostante questo non volevo dargliela vinta “Beh, non ci
stai riuscendo.”
Mentii clamorosamente, cercando di mostrarmi più
indifferente possibile – davvero:
impresa semplicissima, soprattutto
dopo il fantastico siparietto che avevo messo in piedi neanche due
minuti
prima.
“Sarà..”
Sospirò lui, con fare rassegnato e divertito insieme
“Ma
ancora non mi hai guardato negli occhi, Annie.”
Sentii la mia faccia tornare allo stato peperone, ancora.
Ma che diamine! Non volevo mi facesse quell’effetto; lui non poteva farmi quell’effetto.
Vinta da un’ondata di sicurezza che non
avevo idea da dove
provenisse – forse dal fastidio, nei confronti di chi dei due
non avrei saputo
dirlo- mi avvicinai
a passi decisi verso
di lui.
Mi ci parai davanti e cominciai ad abbottonargli la camicia –
concentrandomi
principalmente sulle mani per non farle tremare - e una volta arrivata
all’ultimo bottone in cima alzai la testa per guardarlo
dritto nei bulbi
oculari; così imparava, il babbeo, ad attentare a quel
povero cuore che avevo
in petto.
Che
diavolo-?
Quello che mi prese alla sprovvista fu il
sorrisetto affezionato
che gli ritrovai sulle labbra – e non potei evitare di
sentirmi le guance
andarmi a fuoco, imbarazzata in maniera più dolce rispetto a
prima ma comunque
incredibilmente rossa
in viso.
“Sei una scimmietta-ragno molto
controllata, te l’ha mai detto
nessuno?”
Seh.
Questo perché non sei mai entrato nella mia testa.
Inaspettatamente risi senza problemi. Era
incredibile: aveva su di
me un effetto totalmente destabilizzante ma, al contempo, era comunque in grado di farmi ridere,
sentire felice – e un po’ idiota, sì, ma
questo lui non lo avrebbe mai saputo.
Era una sensazione strana stargli accanto, che ancora non era riuscita
a catalogare
– ma andava bene lo stesso, perché non era
negativa e quindi non era neanche
pericolosa. O almeno così speravo.
Nonostante l’ilarità del
momento, Ian riuscì a mandare tutto allo
scatafascio nell’arco di un istante.
“E’ sempre divertente fare i
giochetti da fan su di te,” ridacchiò
lui “Abbocchi sempre, poi cerchi di mantenere un certo
contegno ma
l’espressione che hai negli occhi è sempre
adorabilmente in poltiglia.”
Sentii il cuore cadermi nello stomaco, torturato
dagli acidi
gastrici e rinchiuso in un sacchetto soffocante, nella più
perfetta delle
torture mai provate.
Fantastico. Un giochetto da fan.
Quanto sei stupida da
uno a mille, Anastasia?
Cercai di scuotermi velocemente, provando ad
ignorare la
sensazione che avevo ricevuto alla sua minimizzazione di tutto quanto
– o forse
ero io ad ingigantire ogni momento passato con lui?
“Ah - ah, divertente Smolder, sul
serio.” Provai a ironizzare
“Adesso perché non andiamo a fare colazione,mh?
Era questo il motivo principale
per cui sono finita qui, sai?”
Aprii la porta e gli feci cenno con
l’altra mano di circolare ed
uscire, sorridendo e allargando gli occhi in una smorfia infantile per
la quale
non potei evitare di dar la colpa allo stress e alla leggera ansia che
comunque
mi rimaneva sotto pelle.
Ian non sembrò accorgersi di niente e
uscì in corridoio
continuando a blaterare su quanto mi avrebbe ancora preso in giro per
quello
che era successo – “Entrata
così
all’improvviso in camera mia mentre mi cambiavo.. pff,
ammettilo che volevi
approfittarti di me!”
Alzai gli occhi al cielo, nonostante tutto
sorridendo.
Lo affiancai velocemente e risposi alla
provocazione tutto sommato
abbastanza tranquilla “Se avessi davvero voluto approfittarmi
di te, caro il
mio attore da strapazzo, anziché abbottonarti quella camicia
te l’avrei
strappata via. A morsi. Non so se
mi
spiego.”
E continuai a camminare lungo il corridoio con un
sorrisetto
vittorioso sulle labbra, girandomi per adocchiarlo senza neanche
fermarmi, solo
per godermi la sua faccia stupita e gli occhi azzurri leggermente
sgranati.
Risi apertamente mentre tornavo in cucina, cercando
di ricordarmi
che avrei dovuto tenere i piedi per terra anche se questo non
significava di
per sé che non mi sarei potuta divertire nel frattempo.
Adesso mi dovevo solo godere quell’estate al massimo, cotta o non cotta.
Ehilà, gentaglia!
Niente,
solo un capitoletto leggero per augurarvi un buon
inizio vacanze :)
Anche nella storia è inizio Luglio e anche nella storia le
future parole chiave
saranno: caldo, mare e l’aMMoreh.
Non so quando pubblicherò il prossimo capitolo (dato che è ancora tutto da scrivere) ma quantomeno ce l’ho ben organizzato in testa, quindi vi posso solo dire che – se va come dovrebbe- ci saranno ancora scene Ian/Annie simili a quella di questo capitolo ma, soprattutto, finalmente si va in spiaggia! Olè!
Spero, a presto :)
Hasta!
Tess <3
PS:
... già, il mio rapporto con i titoli
è sempre più complicato. #Shame.