Fanfic su attori > Cast Vampire Diaries
Segui la storia  |       
Autore: puntoeacapo    06/07/2013    3 recensioni
Tra me e Ian Somerhalder non c’era nulla se non un bel principio d’amicizia. Già.
Quando smetterò di avere pensieri poco amichevoli su quelle labbra o su quei occhi, forse.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian Somerhalder, Nina Dobrev, Nuovo personaggio, Paul Wesley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Di zombie, prime colazioni e complotti accidentali.

 

 “Accidenti, Annie.”

All’imprecazione di Kristine non potei fare a meno di chiudere immediatamente la bocca alzando di scatto la testa e puntando gli occhi sulla sua figura decisamente arruffata, ancora tra le lenzuola fresche del letto, mentre cercava di sotterrare la propria testa sotto il cuscino. Nonostante stesse continuando a lanciarmi improperi e recriminazioni, tutto quello che io riuscivo davvero a sentire era una serie di mugugni soffocati difficili da comprendere... Purtroppo per me,  conoscevo abbastanza la mia migliore amica da intuire il corpo delle lamentele e tradurlo così in lingua umana senza troppe difficoltà.

Anche se non mi stava neanche guardando – impegnata com’era nell’affondare la faccia nel materasso- abbozzai un sorriso e gli mimai con le labbra uno “Scusa.” mentre riportavo lo sguardo sullo schermo del computer, attenta a non perdere nuovamente la concentrazione e pronta a ricominciare da dove avevo interrotto.

La vidi solo con la coda dell’occhio mentre sbuffava e si rifugiava dietro la porta del bagno privato che avevamo a disposizione. Kris era fatta così: odiava svegliarsi presto ma una volta che prendeva anche solo un minimo contatto con la realtà poi non riusciva a riaddormentarsi – suo malgrado, nonostante i grugniti e i versi di frustrazione-  e si sentiva obbligata a spendere ore in bagno per rendersi presentabile anche se doveva rimanere in camera a poltrire.
 Non alzai gli occhi al cielo solo perché non sarebbe stato professionale e cercai di trattenermi dal ridacchiare per lo stesso motivo – in fondo stavo lavorando e dovevo mantenere un certo contegno di fronte agli altri ragazzi della crew.

Non ripensai alla mia amica fino allo scoccare dell’ora seguente ma, quando alzai lo sguardo dopo aver spento il PC e non la vidi da nessuna parte, non riuscii a fare a meno di corrugare la fronte perplessa.

Possibile che fossi stata talmente focalizzata sul lavoro, dal non essermi resa conto che era uscita dalla stanza?

Mi alzai dalla scrivania stiracchiandomi verso l’alto, posai con cura la biro nell’astuccio e misi il quaderno nella borsa tracolla che di solito portavo in giro sul set.
Nonostante sentissi tutto il corpo indolenzito non potevo essere più felice di così; avevamo fatto un buon lavoro e l’intera faccenda delle “conferenze a distanza” era iniziata con risultati più che positivi: una webcam e una buona ricezione per il portatile erano stati più che sufficienti per rispettare il patto che avevo stretto con Julie e grazie al quale mi aveva accordato il permesso per la vacanza. Quindi ero abbastanza contenta, sì.

Andai in bagno solo per sciacquarmi il volto e rimettermi a posto i capelli con la solita coda alta, ma non resistetti oltre: dovevo volare fuori di lì. Avevo bisogno del mio caffè, accidenti.

Scesi le scale a due a due per arrivare il prima possibile al piano di sotto – dove si trovavano cucina e soggiorno (enorme, gigantesco soggiorno), più un bagno e le altre due camere che al momento erano state occupate rispettivamente da Nina e Ian.
Subito dopo il viaggio in macchina - e prima di mandarci di filata a letto-  Paul aveva ufficialmente presentato a tutti sua moglie e, con una Torrey estremamente sorridente e amichevole, ci aveva fatto fare il tour completo della casa – camere già assegnate e tutto, manco fossimo stati in gita sotto la responsabilità del prof di turno.
L’immagine di Paul come professore, poi, era stata talmente esilarante che mi ero messa a ridacchiare sotto lo sguardo allibito di Kristine che – con tutta probabilità- cercava di capire fino a che punto potevo sostenere quel viaggio.

Scossi leggermente la testa mentre mi guardavo in giro, cercando di capire come organizzarmi in quella cucina estranea; il mio primo obbiettivo era scoprire al più presto dove i Wesley tenevano il caffè – cercando anche di mantenere un minimo di contegno senza mandare all’aria ventotto anni di buona educazione in casa altrui.

Fui inevitabilmente distratta dall’arrivo di uno zombie dal salotto e non riuscii a fare a meno di sobbalzare spaventata, poi la mandai direttamente al diavolo portandomi una mano all’altezza del cuore provando a regolarizzare il respiro “Accidenti, Kris! Ti pare il modo di apparire dietro le persone?”

Di tutta risposta lei mugugnò qualcosa d’incomprensibile trascinandosi verso uno degli sgabelli vicino all’alto bancone che divideva la cucina, quindi incrociò le braccia sul ripiano e ci cadde sopra con la testa – mugugnando qualcos’altro al limite fra “troppo presto” e “uccidetemi”.

Incrociai le braccia al petto guardando con aria scettica la zazzera bionda accasciatasi sul tavolo, cercando di nascondere il divertimento “Sono le otto del mattino, Kris. Non è così presto.”

L’unica risposta che riuscii ad ottenere fu l’ennesimo borbottio soffocato di cui distinsi l’unica parola poco incoraggiante “..morte..” e quindi non potei fare a meno di sospirare, nonostante tutto confortata perché per lo meno riuscii ad adocchiare la macchinetta del caffè e vidi la mia disperazione mattutina diradarsi a poco a poco mentre constatavo che era dall’uso gestibile e non rischiavo di rompere o far esplodere niente.

Mentre mi davo da fare per prepararmi la mia dose di felicità giornaliera, cercai in Kristine qualche segno di vita “Ehi, tu vuoi qualcosa? .. Caffè?”

Nonostante il mio tentativo di darle un’esistenza più allegra lei scosse energicamente la testa, provando ad alzare il capo – apparentemente ancora troppo pesante perché dovette mettere il gomito sul ripiano e poggiare la guancia nel palmo della mano con più forza del dovuto – e io non riuscii ad evitare di ridacchiare guardandole la faccia deformata in quella maniera tanto infantile.

“Molto divertente, Annie. Sul serio.”

In risposta al suo tono piccato, tramontai semplicemente gli occhi al cielo“Oh, andiamo. Non è colpa mia se di prima mattina hai la reattività di un bradipo in coma.”

“Ma è colpa tua se sono in queste condizioni.” Borbottò lei, chiudendo leggermente gli occhi – stanchissima e frustrata perché sapeva che non sarebbe più potuta tornare a letto.

Le lanciai un sorriso di scuse mentre mi versavo il caffè in una mug pulita che avevo trovato sul bancone vicino al lavello “Non volevo svegliarti, mi spiace.”

Kris si limitò a sbuffare “Si può sapere che diavolo stavi facendo al computer alle sette del mattino? Parlavi ad uno schermo e io non credo alla tecnologia animata quindi.. Sei diventata matta?”

Ridacchiai “Sei tu che mi hai trovato il lavoro, dolcezza.” Le feci cenno con la tazza, come a voler brindare “E’ solo merito tuo.”

La testa le cadde nuovamente sul bancone – e probabilmente si fece pure male dato che stavolta non c’erano braccia ad attutire il colpo- e bofonchiò esasperata “Pensavo dovessi sgobbare nel pomeriggio, tipo quando mi posso alzare io dal letto.”

Per quanto riguardava me, mi limitai a sorridere accondiscendente, annuendo, mentre mi andavo a sedere di fronte a lei “Infatti i meeting sono alle tre del pomeriggio ad Atlanta.”

Anche da quella posizione Kristine riuscì a trafiggermi con lo sguardo, obbligandomi quasi ad  articolare una spiegazione nel modo più sensibile e comprensivo possibile

“Abbiamo un fuso orario di sette ore, genio.”

Lei nascose ancora una volta la testa tra le braccia borbottando un “ti odio.” mentre io la lasciavo alla sua disperazione sorseggiando il mio super concentrato di caffeina, mantenendo il buon’umore di sempre.

Dopo qualche minuto, una risata aperta ci fece voltare il capo verso Nina che – allegra e sudata nella sua tuta sportiva dell’estate- era entrata dalla porta sul retro che dava alla spiaggia e ci stava guardando divertita “Che mi sono persa?”

Le feci un cenno di saluto con la mano e le dedicai un sorriso “Oh, niente. Solo Kris che prova ad entrare nel cast di ‘The Walking Dead.’”

Nina si sedette al mio fianco asciugandosi il collo bagnato con un asciugamano bianco, rivolgendosi nel mentre alla biondina davanti a noi “Tifi per la concorrenza quindi?”

Finalmente Kristine alzò la testa e si mise a sedere composta, senza appoggiarsi più a nulla e dandosi un certo contegno - nonostante la chiazza rossa che sfoggiava in bella vista proprio in mezzo alla fronte “Si può sapere che facevi tu in spiaggia a quest’ora?”

L’attrice si limitò a ridacchiare mentre si rialzava per dirigersi al frigo “Yoga.” Rispose poi, prendendosi una bottiglietta d’acqua tornando ad adocchiare la faccia orripilata dell’altra ragazza “Il mare è stupendo, di mattina il caldo non è troppo afoso ed è rilassante.. se vuoi domani ti sveglio prima e lo facciamo assieme.”

Kristine balzò in piedi allontanandosi di scatto e puntandole contro un dito “Lontano da me, Satana!”

Quando Paul e Torrey arrivarono sulla soglia della cucina – entrando dalla porta principale, già vestiti di tutto punto- la cucina era ancora avvolta da una bolla d’ilarità e prese in giro di un’amicizia sempre più profonda.

oookay.”  Vidi Paul rivolgersi a sua moglie con un sorriso affezionato e  due occhi fintamente atterriti “Fai le valige e scappiamo, non siamo più al sicuro da queste parti.”

Torrey si limitò ad alzarsi leggermente sulle punte e dargli un piccolo bacetto sulle labbra, pattandogli amorevolmente il braccio “Non possiamo, rassegnati tesoro.”

Kristine li fissò terrorizzata “ Che ci fate anche voi già svegli!?” per poi borbottare un “Oh mio Dio, sono circondata.”

“Abbiamo portato la colazione.” Esclamò Torrey, avvicinandosi con il marito e sedendosi al bancone con noi.

Kristine li guardò entrambi con fare circospetto, tornando a sedersi con cautela “Che tipo di colazione?”

Per tutta risposta Paul si schiarì la voce con la mano a pugno davanti alle labbra, come a fare un annuncio di particolare importanza “Muffin e ciambelle. Senza dimenticare il chilo di gelato con cui riempire le brioche, ovvio.”

Sapevo che l’ultima frase avrebbe avuto un effetto più che positivo su Kristine, quindi non mi scomposi più di tanto vedendola illuminarsi e saltellare ringraziando i gentilissimi-issimi signori Wesley semplicemente per esistere e per averla salvata da una mattina traumatizzante.

Tuttavia non potei fare a meno di prenderla in giro “La tua fissazione per il gelato è alquanto sospetta, sai Kris?” e il riferimento a Joe e al suo lavoro in gelateria era per niente celato e ben in vista anche a chi non sapeva nulla della sua cotta.

Lei ricambiò la scoccata con un sorriso completamente fraintendibile (e maledii immediatamente la mia boccaccia larga) “Ehi, non essere gelosa. Anche se io mi prendo il ‘Salvatore’ della mattina, tu hai l’altro.

Paul rise ma io continuavo a guardare Kris ad occhi spalancati, cercando di nascondere il rossore sulle guance. Dannata amicizia telepatica.

“A proposito!” Fu Nina ad interrompere il momento d’imbarazzo “Forse non sei l’unica dormigliona, Kris ... Chi va a svegliare Smolder, gente?”

***

Ok, mi ero offerta senza pensarci. Sì, lo avevo fatto, ma solo perché gli altri volevano fare colazione e a me di solito bastava un caffè. Sul serio.
Non è che morissi dalla voglia di vederlo o stare un po’ con lui, no. Figuriamoci.

Mi diedi dell’idiota per la quinta volta nel giro di due minuti e sospirai. Ero ridicola. Stavo davanti alla sua porta con il pugno alzato, pronta a bussare ed entrare, ma senza il coraggio per farlo veramente. Non ne sapevo il motivo ma avevo un pessimo presentimento riguardo a ciò che stavo per fare.

Oh, andiamo.

Cercai di scuotermi alla bell’e meglio. Mi stavo comportando da stupida e la parte peggiore era che lo sapevo perfettamente.

E’ Ian! L’attore per cui mi sono presa una sbandata mostruosa, certo, ma … è Ian. Lo stesso ragazzo con cui ho stretto amicizia nelle ultime quattro settimane. Non mi ha mai mangiato, no? Certo che no. Lui non mangia le persone. A lui piacciono gli hamburger, giusto?

Perché mai dovrebbe iniziare la sua antropofagia con me, poi?

Seriamente, stavo arrivando ad un livello di demenza preoccupante con i miei ragionamenti contorti – e , ovviamente, la mia ansia ingiustificata non aiutava proprio la situazione, ecco. Avevo davvero pensato al cannibalismo? Oh, Dio. Stavo degenerando e la cosa era preoccupante.

“Sono un’idiota.” Mormorai sconfitta ma  ehi! sesta volta in due minuti e mezzo!

Dalla cucina si sentiva ancora il vociare della compagnia, quindi provai a darmi una svegliata. Non volevo che venissero a controllare se andava tutto bene.
Non avevo idea del perché ma volevo che fosse un momento mio, solo mio – almeno per quella mattina. Non era troppo da chiedere, no?

Smettila di pensarci e bussa, deficiente!

La voce che mi rimbombò in testa era vagamente – e inquietantemente – assomigliante a quella di Kris, ma almeno riuscii a darmi una regolata.
Bussai svelta due volte e non mi presi neanche la briga di aspettare una risposta – tanto, teoricamente, nove possibilità su dieci, stava ancora dormendo e non avrebbe potuto rispondere in ogni caso.

Spalancai la porta con rinnovato entusiasmo, ma il sorriso mi morì sulla faccia lasciando spazio ad un’espressione al limite tra lo scioccato e terrorizzato.

Evidentemente quella era la fatidica decima volta.

Porca di quella-

Ian era decisamente sveglio; il letto sfatto e vuoto, la stanza già pienamente illuminata dal sole grazie alla portafinestra alla destra e lui in piedi, glorioso e bellissimo in mezzo alla camera, con solo un dannatissimo asciugamano legato alla vita.

Si era appena voltato verso di me, con la faccia a punto interrogativo – o beata innocenza- e un’altra salvietta in mano mentre si asciugava il petto bagnato di doccia mattutina.

Per farmi scattare ci vollero tre secondi e mezzo spaccati, la strigliata di un cuore sull’orlo di un infarto epocale e la scossa elettrica dei poveri neuroni-superstiti che mi rimanevano – ormai arrivati al limite anche loro, poveretti. Il tutto armonicamente condensato in una bolla di calore che mi esplose in faccia – facendomi raggiungere lo stato di calore di una super nova- e in un gridolino decisamente acuto che mi sarei risparmiata volentieri se  fossi stata in possesso di tutte le mie facoltà celebrali.

“Oh mio Dio!”

Mi girai all’istante, cercando di scappare dalla stanza e rifugiarmi in corridoio ma fui inevitabilmente bloccata dalla porta che – infida bastarda- si era chiusa da sola in un momento indeterminato della situazione – facendomi così scapicollare al pessimo risultato di una botta allucinante al naso e una caduta all’indietro di sedere a causa dell’impatto improvviso.

Ma che cazzo!

Ian scoppiò a ridere senza ritegno e io mi pietrificai. Fosse stato un momento qualunque mi sarei goduta quel suono piacevole ma, sfortunatamente, non era un momento qualunque.
Somerhalder era dietro di me praticamente nudo e io non riuscivo a ragionare (né a respirare, se era questo il problema); in un secondo pensai ad un tribunale con dei giurati: se qualcuno avrebbe mai voluto farmi causa per un comportamento del genere, l’umanità nei cuori della gente mi avrebbe assolta.
Avrei avuto l’appoggio di tutti, sarebbe stata legittima difesa!

Accidenti, in che diavolo di situazione mi sono cacciata?

E lui non aveva nessun problema, lui se la rideva – perché era uno stronzo sicuro di sé, senza la più pallida idea di che effetto potesse mai avere sulla gente e se lo poteva permettere. Strizzai le palpebre con più forza del dovuto e probabilmente usai un tono più acido del necessario “Credi sia divertente, Somerhalder?”

Oh sì!” Rise lui, ancora più forte, facendomi imbarazzare e – di netta conseguenza- incazzare ancora di più.

Strinsi la mascella con forza e decisi di diventare una statua. Una statua che non stava arrossendo, che non avrebbe ricordato quel momento per tutta la sua miserabile non-vita e che, ovviamente, non stava cercando qualcosa – una vanga, un cucchiaio.. un cane ben addestrato?- per poter cominciare a scavare nel pavimento nella speranza di arrivare in Cina per mezzanotte.

Dopo qualche istante, le grasse e grosse risate di quell’infame d’un attore  s’acquietarono ma io non feci neanche in tempo a commentare il lasso di tempo – incredibilmente lungo-  che aveva usato per placarsi, che sentii la sua voce arrivarmi fin troppo vicina

“Ehi, dai. Tirati su.”

Era bassa e calma – decisamente troppo vicina- e non potei evitare di sentir una cascata di brividi colar giù per tutta la schiena.
Poi Ian ebbe la geniale idea di poggiarmi una mano sulla spalla e il contatto non fece che aggravare ancor di più il mio stato psico-fisico – mancava poco che diventassi una cosetta raggomitolata e balbettante sul pavimento, senza più traccia di capacità logico sintattiche e razionali.

“Annie, guarda che è tutto ok.” Probabilmente stava cercando di farmi aprire gli occhi ma, a quanto pareva, non era ancora a conoscenza nella mia recente evoluzione in un blocco di marmo modellato. Per quanto riguardava me, dovevo semplicemente resistere e imparare a non respirare per il resto della mia esistenza (quantomeno stare con Ian era stato un ottimo allenamento per quest’ultima parte del piano.)

“Dai, alzati.”

Come previsto da programma giornaliero cedetti dopo circa quattro secondi e tre quarti – complimenti ragazza, non c’è che dire- e  aprii con uno scatto solo la palpebra destra, muovendo poi unicamente la pupilla così da scorgere il braccio dell’attore teso verso di me in muto invito a farmi aiutare per tirarmi in piedi.

Deglutii nervosa, la gola completamente secca. Poi richiusi anche quell’occhio, ostinata “Prima vestiti.”

Ian sospirò ma non sembrava turbato, anzi. Sbuffò una risata e la voce mi giunse leggermente più lontana di prima “Paura di saltarmi addosso, Anastasia?”

Che bastardo.

Usare il mio nome per esteso con un tono di voce del genere era proprio una cattiveria bella e buona. Registrando il fatto che i miei neuroni si collegarono efficientemente per qualche secondo, riuscii a capire che no, accidenti, Somerhalder sapeva esattamente che effetto aveva sulla gente ed era anche abbastanza furbo da rigirarsi la situazione come più gli piaceva.

Non potei fare a meno di sorridere e rispondere ostentando una calma che non avevo, manco a cercarla con una sessione no-stop di meditazione intensiva; o forse era il sollievo di scoprire che non dovevo necessariamente subire un trapianto di cervello, dato che il mio scapicollava ma resisteva ancora alle forze nemiche. 

“Oh, non ne hai idea. Potrei aggrapparmi a te stile scimmia-ragno e non mollarti più.”

Lui rise ancora e lo sentii armeggiare con qualcosa – sperai ardentemente in vestiti. O una tenda. Sul serio, mi andava bene anche lo stile spartano, ma doveva coprirsi. Ne andava della mia salute.

 Passò forse meno di un minuto e Ian disse d’esser pronto.

“Mi posso fidare?”

Non lo vidi, ma me lo immaginai mentre alzava gli occhi al cielo. Ridacchiai mentre lui sbuffava “Vuoi davvero una risposta o posso mandarti a quel paese già da adesso?”

Ridendo aprii entrambi gli occhi guardandomi in giro – evitando accuratamente la figura del ragazzo- e scoprii che in qualche modo avevo fatto cadere la chiave dalla serratura, dato che stava in bella mostra di sé sul pavimento poco più avanti di me. Guardai la porta con aria di sfida – ti odio.  Tutta colpa di quel pezzo di legno.

Mentre mi alzavo e mi chinavo per prendere la chiave e re-infilarla nella toppa, non potei fare a meno di pensare – e borbottare- su quanto, l’intera faccenda, sembrasse un complotto. Magari accidentale, ma pur sempre un complotto.

Quando mi girai per confidare a Ian le mie nuove delucidazioni su ciò che era appena accaduto, non potei fare a meno di aprire la bocca con fare indignato.

Il suo essere ‘pronto’ consisteva in un pantalone-costume che gli arrivava al ginocchio, un paio di infradito e una camicia bianca sbottonata.

Incrociai le braccia al petto, inarcando le sopracciglia e obbligandomi a non chiudere nuovamente gli occhi “Mi stai provocando, Ian?”

Lui ridacchiò – ma stavolta percepii  nella risata qualcosa di malvagio “Può darsi.”

Ormai la mia gola era più secca del Sahara, cercai di portarmi un po’ di saliva almeno sulle labbra leccandomele velocemente ma la lingua mi pareva esser fatta di carta vetrata.
Nonostante questo non volevo dargliela vinta “Beh, non ci stai riuscendo.” Mentii clamorosamente, cercando di mostrarmi più indifferente possibile – davvero: impresa semplicissima, soprattutto dopo il fantastico siparietto che avevo messo in piedi neanche due minuti prima.

“Sarà..” Sospirò lui, con fare rassegnato e divertito insieme “Ma ancora non mi hai guardato negli occhi, Annie.”

Sentii la mia faccia tornare allo stato peperone, ancora.
Ma che diamine! Non volevo mi facesse quell’effetto; lui non poteva farmi quell’effetto.

Vinta da un’ondata di sicurezza che non avevo idea da dove provenisse – forse dal fastidio, nei confronti di chi dei due non avrei saputo dirlo-  mi avvicinai a passi decisi verso di lui.
Mi ci parai davanti e cominciai ad abbottonargli la camicia – concentrandomi principalmente sulle mani per non farle tremare - e una volta arrivata all’ultimo bottone in cima alzai la testa per guardarlo dritto nei bulbi oculari; così imparava, il babbeo, ad attentare a quel povero cuore che avevo in petto.

Che diavolo-?

Quello che mi prese alla sprovvista fu il sorrisetto affezionato che gli ritrovai sulle labbra – e non potei evitare di sentirmi le guance andarmi a fuoco, imbarazzata in maniera più dolce rispetto a prima ma comunque incredibilmente  rossa in viso.

“Sei una scimmietta-ragno molto controllata, te l’ha mai detto nessuno?”

Seh. Questo perché non sei mai entrato nella mia testa.

Inaspettatamente risi senza problemi. Era incredibile: aveva su di me un effetto totalmente destabilizzante ma, al contempo, era comunque in grado di farmi ridere, sentire felice – e un po’ idiota, sì, ma questo lui non lo avrebbe mai saputo.
Era una sensazione strana stargli accanto, che ancora non era riuscita a catalogare – ma andava bene lo stesso, perché non era negativa e quindi non era neanche pericolosa. O almeno così speravo.

Nonostante l’ilarità del momento, Ian riuscì a mandare tutto allo scatafascio nell’arco di un istante.

“E’ sempre divertente fare i giochetti da fan su di te,” ridacchiò lui “Abbocchi sempre, poi cerchi di mantenere un certo contegno ma l’espressione che hai negli occhi è sempre adorabilmente in poltiglia.”

Sentii il cuore cadermi nello stomaco, torturato dagli acidi gastrici e rinchiuso in un sacchetto soffocante, nella più perfetta delle torture mai provate.

Fantastico. Un giochetto da fan. Quanto sei stupida da uno a mille, Anastasia?

Cercai di scuotermi velocemente, provando ad ignorare la sensazione che avevo ricevuto alla sua minimizzazione di tutto quanto – o forse ero io ad ingigantire ogni momento passato con lui?

“Ah - ah, divertente Smolder, sul serio.” Provai a ironizzare “Adesso perché non andiamo a fare colazione,mh? Era questo il motivo principale per cui sono finita qui, sai?”

Aprii la porta e gli feci cenno con l’altra mano di circolare ed uscire, sorridendo e allargando gli occhi in una smorfia infantile per la quale non potei evitare di dar la colpa allo stress e alla leggera ansia che comunque mi rimaneva sotto pelle.

Ian non sembrò accorgersi di niente e uscì in corridoio continuando a blaterare su quanto mi avrebbe ancora preso in giro per quello che era successo – “Entrata così all’improvviso in camera mia mentre mi cambiavo.. pff, ammettilo che volevi approfittarti di me!”

Alzai gli occhi al cielo, nonostante tutto sorridendo.

Lo affiancai velocemente e risposi alla provocazione tutto sommato abbastanza tranquilla “Se avessi davvero voluto approfittarmi di te, caro il mio attore da strapazzo, anziché abbottonarti quella camicia te l’avrei strappata via. A morsi. Non so se mi spiego.”

E continuai a camminare lungo il corridoio con un sorrisetto vittorioso sulle labbra, girandomi per adocchiarlo senza neanche fermarmi, solo per godermi la sua faccia stupita e gli occhi azzurri leggermente sgranati.

Risi apertamente mentre tornavo in cucina, cercando di ricordarmi che avrei dovuto tenere i piedi per terra anche se questo non significava di per sé che non mi sarei potuta divertire nel frattempo.

Adesso mi dovevo solo godere quell’estate al massimo, cotta o non cotta.

 

 

Ehilà, gentaglia!

Niente, solo un capitoletto leggero per augurarvi un buon inizio vacanze :)
Anche nella storia è inizio Luglio e anche nella storia le future parole chiave saranno: caldo, mare e l’aMMoreh.

Non so quando pubblicherò il prossimo capitolo (dato che è ancora tutto da scrivere) ma quantomeno ce l’ho ben organizzato in testa, quindi vi posso solo dire che – se va come dovrebbe- ci saranno ancora scene Ian/Annie simili a quella di questo capitolo ma, soprattutto, finalmente si va in spiaggia! Olè!

Spero, a presto :)

Hasta!

Tess <3

PS: ... già, il mio rapporto con i titoli è sempre più complicato. #Shame.

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Cast Vampire Diaries / Vai alla pagina dell'autore: puntoeacapo