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Autore: RLandH    06/07/2013    0 recensioni
Disclaimer: Santana per circostanze più grandi di lei e costretta a partire per un avventura all’apparenza faticosa e folle, che la porta però ha riflettere su se stessa e su ciò che vuole. E la porta a Brittany.
Dall'ultimo capitolo:
Per cinque anni Santana aveva aspettato.
Pazientemente.
Con Convinzione.
Totalmente.
Aveva sempre creduto – anzi saputo – che se una persona ti amava, ti amava sempre.

[Paring principale: Brittana]
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Blaine Anderson, Brittany Pierce, Kurt Hummel, Santana Lopez, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana, Puck/Quinn, Santana/Sebastian, Sebastian/Thad
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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santiago

Titolo: The Walk of Punishment

Titolo Capitolo: Santana de Compostela

Paring: Brittany/Santana. (Altri minori quali Kurt/Blaine ed altri)
Rating:
arancione,  perché prevenire è meglio che curare, ma è un rating per me particolare.

Disclaimer: Ovviamente non possiedo nessuno e nessun luogo e questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

Sommario: Santana per circostanze più grandi di lei e costretta a partire per un avventura all’apparenza faticosa e folle, che la porta però ha riflettere su se stessa e su ciò che vuole. E la porta a Brittany.

Beta: Non ne ho una ):
 Note: Il titolo della storia prende spunto da un episodio della mia serie preferita ed anche da un capitolo della mia saga preferita  (che guarda caso sono la stessa cosa, ma sono due situazioni differenti)

Il titolo del capitolo è un gioco di parole, presumo che alla fine del capitolo l’avrete compreso.

 

[I drove for miles and miles]

 

 

 

 

 

 

The Walk of Punishment

 

 

Santana de Compostela

 

 

 

 

Tu sei folle” aveva commentato Quinn quando l’aveva salutata all’aeroporto, dopo un lungo abbraccio. Si, lo era, decisamente, senza ombra di dubbio. Folle, oltre ogni limite. La voce dell’amica continuava a risuonarle nella testa anche in quel momento e forse, nel momento in cui transitava sull’atlantico, si era resa conto che aveva ragione. Ma che fare? Ripartire appena ne avrebbe avuto l’opportunità, ritornare a Lima con la coda tra le gambe, anche perché dopo quello di sicuro non avrebbe avuto il coraggio neanche di tornare a New York. O forse doveva andare direttamente lì e non avere più il coraggio di tornare nella sua casa natia, perché era lì che avrebbe portato delusione.  Abbassò lo sguardo sul finestrino, sotto di lei si apriva un immenso blu. Buttò la testa sul sedile. “Vuole un aspirina?” aveva domandato il suo vicino di posto, un ragazzo alto, dai capelli castani e grandi occhi azzurri, “Un sonnifero” aveva risposto lei di malavoglia ed il ragazzo aveva annuito, “Forse ne ho uno” aveva esclamato e lei si era chiesta se scherzasse o meno. Sorrise in modo tirato prima di ritornare a fissare il cielo chiaro.

 

Santana era certa che il ragazzo dall’altra parte del pianerottolo fosse uno squillo. Ed il suo fissarlo in modo circospetto non aveva fatto altro che preoccupare il suddetto ragazzo. Ma lei non poteva farne a meno. Continuava a studiarlo in modo ossessivo, facendo attenzione con chi tornasse e con chi fosse, come si atteggiasse. Avevano anche litigato in proposito, molto spesso. Bordy, questo era il suo nome, si sentiva continuamente infastidito. A lei non è che poi interessasse chi sa cosa, aveva altre cose da fare, come lavorare cercando di arrivare a fine mese, seguire qualche corso di danza e rimorchiare qualcuno in un bar per non passare una triste serata da sola. Come molte ne erano susseguite nella sua vita, da quando aveva lasciato Lima.

 

 

Cominciò a picchiettare con le dita affusolate contro il manico. Il suo vicino di posto aveva cominciato a scherzare con una ragazza che le era di fronte, dovevano essere amici, forse erano partiti insieme. Lei non era male, ma aveva un naso che sembrava il becco di un pappagallo. “Non ci credo! Rivedrò Finn” aveva esclamato quella quasi svenendo e gli occhi trasognati, “Non ho ancora capito perché mi hai trascinato” aveva detto quell’altro di malavoglia, ma sempre accompagnando il tutto con un certo sorriso serafico, il resto della conversazione lei l’aveva ignorata. Continuava solamente a pensare allo scorrere del tempo. Lento. Inesorabile. Angosciante. Caustico.

 

Sua madre chiamava ogni giorno, due volte al giorno. Ad ora di pranzo ed ora di cena. Erano le poche certezze che una ragazza con un monolocale della dimensione di una scatola da scarpe nella Grande Mela aveva. Perciò quella chiamata a metà mattina la sorprese e non poco. Era sulla metropolitana, tenendo  in mano le varie scartoffie da stagista quando aveva risposto, “Mamà, che succede?” aveva chiesto preoccupata. Il resto delle parole furono stordenti e trascinanti, come se tentasse di nuotare contro corrente tra le rapide.

 

Non aveva mai fatto un viaggio così lungo. E quella era la parte facile, rilassante. Almeno così aveva detto Quinn. Se la immaginava in quel momento, stesa a bordo piscina in qualche esclusiva festa di Los Angel a bere tequila assieme alla piccola Marley, cercando di convincerla che sposarsi giovane era una follia, che era ancora troppo immatura per sapere se  Jake Puckerman era il suo uomo ideale. Non ci sarebbe riuscita. Quando Santana sarebbe tornata, avrebbe visto il fratello di Puck con la chippa in testa vicino all’altare, spezzare una coppa di vetro con la dolce Rose vestita di bianco. Un quadro stucchevole, per quanto li desse ancora la forza di sperare in qualcosa di buono.

 

Suo padre l’aveva stretta forte appena l’aveva vista uscire dalla zona delle valigie. Stritolandola con quel fare paterno , ma anche disperato, lacrime salate righavano le guance bronzate ed anche Santana era ridotta al medesimo modo. Si era aggrappata a lui, abbandonando le valigie e trattenendo a stento un pianto sordo, perché la gente all’aeroporto non si accorgesse del loro dolore. Tenendola stretta l’aveva portata alla macchina e solo all’ora lontano dagli occhi del mondo aveva sfogato un pianto rotto. “Por favor, dime que todo está bien” supplicò suo padre, ma quella non poté fare altro che accarezzarle i capelli cercando di darle conforto. Sensazione che a lei non riuscì ad arrivare. Solo dolore. Un vuoto nel petto. Un ferita sanguinante. Lei era sempre stata forte eppure in quel momento, in quel frangente, non poteva sentirsi più debole di così.

 

“Rachel Barry” non aveva capito bene come, ma la ragazza dal grosso naso aveva teso una mano verso di lei, mentre si teneva sulle ginocchia del sedile di dietro, “Santana Lopez” disse infastidita, “Lui è il mio amico Kurt” l’aveva presentato senza permesso Rachel, additando l’amico con i grandi occhi azzurri che aveva sorriso di buon cuore. Ripeté il suo nome. “Vai a divertirti in Francia?” aveva chiesto lei, “E’ complicato” aveva mormorato semplicemente lei. Non aveva voglia di spiegare al mondo intero perché stesse andando in Francia. Avrebbe voluto dire  che andava a prendere Puckerman, che era anche vero, Quinn l’aveva pregata che di ritorno dal suo viaggio riportasse con se quel pazzo, anche perché Jake aveva bisogno di suo fratello. Ma per andare da Puck doveva però  fermarsi in Spagna e quindi questo avrebbe dato alla gente ancora più curiosità.

 

Per cinque anni Santana aveva aspettato. Pazientemente. Con Convinzione. Totalmente.  Aveva sempre creduto – anzi saputo – che se una persona ti amava, ti amava sempre. Non importa quanto il mondo potesse rigettarti, chi ti ama, lo farà sempre e per sempre. L’amore evolve ed involve, ma non puoi odiare qualcuno che ami, forse ti odi per non essere in grado di odiarlo. Per questo Santana sapeva che era solo questione di tempo. Che ogni volta che il telefono squillava, sperava fosse la sua Abuela. Perché lei sapeva che l’avrebbe chiamata. Per cinque anni aveva aspettato una telefonata che non era mai arrivata. Eppure era lì, seduta su una vecchia sedia di legno vicino un letto, una donna semi-incosciente stesa al suo fianco. Alma Lopez era sempre stata una donna forte, la più forte secondo Santana, quella che le aveva insegnato a sopravvivere, eppure ora pareva la più debole di questo mondo. Lei dormiva, ma Santana le prese una mano lo stesso, aveva temuto per tutto il volo che non avrebbe fatto in tempo.

 

“Io vado a trovare il mio ragazzo, è in Erasmus” aveva spiegato Rachel, prima di vomitarle addosso un fiume di parole, che lei non aveva chiesto e cominciare un lungo monologo sul suo fidanzato Finn, che aveva fatto saltare in nervi probabilmente a tutto l’aereo. Il suo fidanzato era in spagna, ma loro l’avrebbero raggiunto solo a fine settimana, per il resto si godevano sette giorni francesi, sfortunatamente volevano andare a Parigi ed avrebbero dovuto prendere un treno appena scesi. Aveva mormorato blande offese a mezza bocca in spagnolo alla ragazza e alla sua vocetta, prima di avvicinarsi verso il vicino, “Kurt, hai ancora quell’aspirina?” aveva chiesto in un sussurro, “Quando viaggio con Rachel sempre” aveva risposto quello, sfilandosi dalla tasca delle medicine. Chiamata l’Hostess, una bionda dall’espressione gentile, si era fatta portare un bicchiere d’acqua e da quel momento aveva affogato il mal di testa e le sue preoccupazioni in acqua ed aspirine.

 

Niña” aveva detto la donna, con le palpebre semi aperte, l’altra mano si era chiusa su quella di Santana, “Abuelita” aveva sussurrato lei di risposta. Tante parole vorticavano tra loro. Parole che nessuno di sarebbe sognato di pronunciare. Ma Santana non aveva preteso nulla, aveva stretto le mani della sua abuela e basta. Ricordava il dolore che  aveva provato quando la donna l’aveva abbandonata in quella cucina, lasciandola sola con le sue lacrime. Per giorni l’aveva odiata e per anni l’aveva aspettata. Aveva fatto di tutto per evitarla e contemporaneamente aveva sperato di incontrarla. Ogni volta che tornava a Lima dai suoi genitori sperava sempre che lei venisse a trovarla. Ma sua nonna non la capiva. Eppure in quel momento, Santana voleva dimenticare ogni cosa. “Te amo, niña” disse con voce strozzata, “Non ti sforzare,abuelita” le sussurrò lei, baciandole il polso. Non ti affaticare, le avrebbe voluto dire. Lei c’era, non sarebbe andato via. Non importava cosa lei pensasse dei suoi segreti. Santana l’avrebbe tenuta stretta. “Sei diventata mas hermosa, mi amor” aveva bisbigliato la donna. Dopo tanto tempo la sua voce era colma d’amore. Gli occhi di Santana erano lucidi.

 

Scesa a Lione aveva preso la sua valigia ed aveva salutato frettolosamente – e liberatoriamente – Kurt e Rachel, che erano ancora presi dalla loro discussione. La prima cosa che fece fu trovare una zona con del campo e comprare una scheda estera, chiamò sua madre e la tranquillizzò, era sana e salva. Poi chiamò Quinn, ma lei era abbastanza esasperata, “Che succede, chica?” aveva chiesto, “Marley dice che il vestito da sposa la fa sembrare un insaccato, Kitty dice che il suo da damigella è stato recuperato da un mercatino di offerte ed Unique dice che è il suo è sicuramente stato cucito da una suora cieca” aveva buttato fuori tutto d’un fiato. Santana se la vedeva dall’altro lato del telefono, elettrica solo come lei poteva essere. “Dagli un quinteto come tu sai fare” le consigliò, dall’altra parte del telefono, la risata di Quinn venne cristallina. Sarebbe rimasta volentieri altre ore al telefono con l’amica. “Ci servirebbe Snix” aveva ammesso alla fine l’amica,  “Lei serve sempre” aveva risposto Santana; sarebbe servita anche contro Rachel–naso–da–pappagallo–Barry e la sua chiacchiera senza fine. “Giuro, che non ero così stressata dagli allenamenti massacranti della Silvester” aveva detto lamentosa Quinn, da qualche parte nella memoria della latina si era aperta la visione di una donna in tuta rossa e megafono che urlava di loro di tutto e di più, particolarmente commenti su sacche di grasso inesistenti o suoi  capelli finti. “Ci vuole polso, Febray” aveva detto, “Mostra a loro quanto polso hai” aveva aggiunto. Quinn ne aveva di forza da vendere, solo che spesso si nascondeva dietro larghi prendisole colorati o fuoriusciva nei modi sbagliati, come quando si era fatta i capelli rosa ed usciva con un uomo di quarantenni che andava sullo skate. “Sia dannato il giorno in cui ho deciso di aiutare la dannata futura signora Puckerman” aveva commentato esausta. Dopo chiacchiere più o meno futile ed accortezze per il viaggio, seria Quinn le aveva ripetuto le stesse parole dell’aeroporto, “Fa attenzione e buona fortuna, Lopez” c’era un tono nostalgico in quelle parole, “Grazie Q.” aveva risposto lei, prima di attaccare.

 

Fino agli ultimi giorni Santana era stata con lei. Alma aveva voluto sapere tutto degli ultimi cinque anni, non una sola azione voleva che fosse tralasciata. Santana aveva raccontato ogni cosa, carezzando il dorso della mano della nonna. “Desculpa me” aveva commentato, “L’ho fatto” la rassicurò la giovane, tanto tempo fa.  L’aveva già perdonata mentre tornava a casa sua quello stesso giorno. L’aveva perdonata ogni giorno negli ultimi cinque anni. E sentire quelle parole le rendeva il cuore colmo di gioia assieme al dolore di starla per perdere. Odiava l’idea di aver dovuto aspettare così tanto tempo per riaverla, per doversene separare così presto. Risero, parlarono, scherzarono. Alma raccontò a sua nipote ogni cosa della sua vita, ignorando o meno se Santana conoscesse tutto alla perfezione. Ma lei ascoltò. Ogni giorno ed ogni notte, tenendo una mano, che con il tempo divenne inerte. “Quando ero una niña come te, mi amor, sono stata in un posto” aveva esordito la donna, con un filo di voce, “Un lugar hermoso” aveva mormorato, Santana aveva tenuto le sue mani con decisioni, “Portami lì, por favor” aveva aggiunto. Lei aveva annuito decisa, con le lacrime agli occhi.

 

Era andata via dal terminal con lo zaino in spalla e gli occhi rivolti alla cartina. Era stato Ryder, l’amico di Jake a stamparla, segnando con minuziosa precisione l’intero percorso con un fatticcio pennarello rosso,  Kitty le aveva raccontato che per farlo c’aveva messo quasi un paio d’ore, era dislessico eppure si era offerto di aiutarla, impazzendo su tutti i nomi di quelle città. Il perché poi la lasciava davvero confusa. Uscita in strada la prima cosa che aveva fatto era stata prendere al volo un taxi, “Est-ce-que où je dois vous mettre?” aveva chiesto quello in modo gentile, lei era rimasta in silenzio per qualche istante, cercando di richiamare alla sua mente l’ultima lezione di francese della sua vita, ricordava di quel giorno l’insegnante, era una supplente che avevano avuto da un mese, causa una brutta caduta dalle scale, aveva lisci capelli biondi ed un sorriso accattivante, Holly Holliday, ma poco che niente. Alla fine rese noto che andava alla stazione dei treni. E seppe da quel preciso istante che era cominciata la sua avventura. Si tolse il pesante zaino dalle spalle e lo poso sulle ginocchia, stringendoselo forte a se. Lo aprì lentamente e ne estrasse il contenitore di ferro, ne accarezzò la superficie, “Todo ira bien, Abuela” aveva sussurrato. Todo.

 

Sua nonna  era stata cremata. Ma una sorta di funerale c’era stato, una veglia. Vestita di nero come un corvo, Santana era stata seduta tutto il tempo sullo stesso divano su cui da bambina aveva giocato. Muta come un pesce ed il maschara colato. Quinn era venuta da lei, lasciando l’università senza preoccuparsi o meno di aver abbandonato un importante esame o corso. “Non dovevi preoccuparti Q.” aveva detto piatta lei, “Io e Puck ci saremo sempre, Snix” le aveva detto la bionda stringendola in un forte abbraccio. Da un angola della stanza il ragazzo in questione la salutò in modo comprensivo. Santana si lasciò cullare. Per tutta la cerimonia ricevette condoglianze. Nonostante gli ultimi cinque anni, tutti sapevano del legame speciale che le legava. Di notte, quando tutti cominciarono ad allontanarsi, lei andò da Quinn, stava rispondendo ad una vario interrogatorio di sua madre, per distrarsi dalla triste circostanza che li  univa tutti. “Quinn devo parlarti” aveva sussurrato la ragazza, “Dimmi?” aveva detto quella, accogliendola in un caldo sorriso. C’era stato un momento della sua vita che aveva creduto di amare Quinn. “Ho promesso alla mia Abuela una cosa” aveva sussurrato, “Cosa?” aveva chiesto confusa la bionda, “Di portarla in un posto” aveva detto Santana, guardando l’urna che era stata deposta sul tavolo perché tutti potessero salutarla, “Ho paura a chiederti dove San” aveva risposto l’altro, “Santiago De Compostela” disse.

 

   
 
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