Titolo:
The Walk of Punishment
Titolo
Capitolo: Santana de Compostela
Paring: Brittany/Santana. (Altri minori quali Kurt/Blaine ed
altri)
Rating:arancione, perché prevenire è meglio che curare, ma è un
rating per me particolare.
Disclaimer: Ovviamente non possiedo nessuno e
nessun luogo e questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Sommario: Santana
per circostanze più grandi di lei e
costretta a partire per un avventura all’apparenza faticosa e folle, che la
porta però ha riflettere su se stessa e su ciò che vuole. E la porta a Brittany.
Beta: Non ne ho una ):
Note: Il titolo della storia prende spunto da un episodio della mia serie
preferita ed anche da un capitolo della mia saga preferita (che guarda caso sono la stessa cosa, ma sono
due situazioni differenti)
Il titolo del capitolo è un gioco di parole, presumo
che alla fine del capitolo l’avrete compreso.
[I drove for miles and miles]
The Walk of Punishment
Santana de Compostela
“Tu
sei folle” aveva commentato Quinn quando l’aveva salutata
all’aeroporto, dopo un lungo abbraccio. Si, lo era, decisamente, senza ombra di
dubbio. Folle, oltre ogni limite. La voce dell’amica continuava a risuonarle
nella testa anche in quel momento e forse, nel momento in cui transitava
sull’atlantico, si era resa conto che aveva ragione. Ma che fare? Ripartire
appena ne avrebbe avuto l’opportunità, ritornare a Lima con la coda tra le
gambe, anche perché dopo quello di sicuro non avrebbe avuto il coraggio neanche
di tornare a New York. O forse doveva andare direttamente lì e non avere più il
coraggio di tornare nella sua casa natia, perché era lì che avrebbe portato
delusione. Abbassò lo sguardo sul finestrino, sotto di lei si apriva un
immenso blu. Buttò la testa sul sedile. “Vuole un aspirina?” aveva domandato il
suo vicino di posto, un ragazzo alto, dai capelli castani e grandi occhi
azzurri, “Un sonnifero” aveva risposto lei di malavoglia ed il ragazzo aveva
annuito, “Forse ne ho uno” aveva esclamato e lei si era chiesta se scherzasse o
meno. Sorrise in modo tirato prima di ritornare a fissare il cielo chiaro.
Santana era certa che il ragazzo dall’altra parte del pianerottolo
fosse uno squillo. Ed il suo
fissarlo in modo circospetto non aveva fatto altro che preoccupare il suddetto
ragazzo. Ma lei non poteva farne a meno. Continuava a studiarlo in modo
ossessivo, facendo attenzione con chi tornasse e con chi fosse, come si
atteggiasse. Avevano anche litigato in proposito, molto spesso. Bordy, questo
era il suo nome, si sentiva continuamente infastidito. A lei non è che poi
interessasse chi sa cosa, aveva altre cose da fare, come lavorare cercando di
arrivare a fine mese, seguire qualche corso di danza e rimorchiare qualcuno in
un bar per non passare una triste serata da sola. Come molte ne erano
susseguite nella sua vita, da quando aveva lasciato Lima.
Cominciò a picchiettare con le dita affusolate contro il manico. Il suo
vicino di posto aveva cominciato a scherzare con una ragazza che le era di
fronte, dovevano essere amici, forse erano partiti insieme. Lei non era male,
ma aveva un naso che sembrava il becco di un pappagallo. “Non ci credo! Rivedrò
Finn” aveva esclamato quella quasi svenendo e gli occhi trasognati, “Non ho
ancora capito perché mi hai trascinato” aveva detto quell’altro di malavoglia,
ma sempre accompagnando il tutto con un certo sorriso serafico, il resto della
conversazione lei l’aveva ignorata. Continuava solamente a pensare allo
scorrere del tempo. Lento. Inesorabile. Angosciante. Caustico.
Sua madre chiamava ogni giorno, due volte al giorno. Ad ora di pranzo
ed ora di cena. Erano le poche certezze che una ragazza con un monolocale della
dimensione di una scatola da scarpe nella Grande Mela aveva. Perciò quella
chiamata a metà mattina la sorprese e non poco. Era sulla metropolitana,
tenendo in mano le varie scartoffie da stagista quando aveva risposto, “Mamà, che
succede?” aveva chiesto preoccupata. Il resto delle parole furono stordenti e
trascinanti, come se tentasse di nuotare contro corrente tra le rapide.
Non aveva mai fatto un viaggio così lungo. E quella era la parte
facile, rilassante. Almeno così aveva detto Quinn. Se la immaginava in quel
momento, stesa a bordo piscina in qualche esclusiva festa di Los Angel a bere
tequila assieme alla piccola Marley, cercando di convincerla che sposarsi
giovane era una follia, che era ancora troppo immatura per sapere se Jake
Puckerman era il suo uomo ideale. Non ci sarebbe riuscita. Quando Santana
sarebbe tornata, avrebbe visto il fratello di Puck con la chippa in testa
vicino all’altare, spezzare una coppa di vetro con la dolce Rose vestita di
bianco. Un quadro stucchevole, per quanto li desse ancora la forza di sperare
in qualcosa di buono.
Suo padre l’aveva stretta forte appena l’aveva vista uscire dalla zona
delle valigie. Stritolandola con quel fare paterno , ma anche disperato,
lacrime salate righavano le guance bronzate ed anche Santana era ridotta al
medesimo modo. Si era aggrappata a lui, abbandonando le valigie e trattenendo a
stento un pianto sordo, perché la gente all’aeroporto non si accorgesse del
loro dolore. Tenendola stretta l’aveva portata alla macchina e solo all’ora
lontano dagli occhi del mondo aveva sfogato un pianto rotto. “Por favor, dime que todo está bien” supplicò suo padre, ma quella non poté fare altro che accarezzarle i
capelli cercando di darle conforto. Sensazione che a lei non riuscì ad
arrivare. Solo dolore. Un vuoto nel petto. Un ferita sanguinante. Lei era
sempre stata forte eppure in quel momento, in quel frangente, non poteva
sentirsi più debole di così.
“Rachel Barry” non aveva capito bene come, ma la ragazza dal grosso
naso aveva teso una mano verso di lei, mentre si teneva sulle ginocchia del
sedile di dietro, “Santana Lopez” disse infastidita, “Lui è il mio amico Kurt”
l’aveva presentato senza permesso Rachel, additando l’amico con i grandi occhi
azzurri che aveva sorriso di buon cuore. Ripeté il suo nome. “Vai a divertirti
in Francia?” aveva chiesto lei, “E’ complicato” aveva mormorato semplicemente
lei. Non aveva voglia di spiegare al mondo intero perché stesse andando in
Francia. Avrebbe voluto dire che andava a prendere Puckerman, che era
anche vero, Quinn l’aveva pregata che di ritorno dal suo viaggio riportasse con
se quel pazzo, anche perché Jake aveva bisogno di suo fratello. Ma per andare
da Puck doveva però fermarsi in Spagna e quindi questo avrebbe dato alla
gente ancora più curiosità.
Per cinque anni Santana aveva aspettato. Pazientemente. Con
Convinzione. Totalmente. Aveva sempre creduto – anzi saputo – che se una
persona ti amava, ti amava sempre. Non importa quanto il mondo potesse rigettarti,
chi ti ama, lo farà sempre e per sempre. L’amore evolve ed involve, ma non puoi
odiare qualcuno che ami, forse ti odi per non essere in grado di odiarlo. Per questo
Santana sapeva che era solo questione di tempo. Che ogni volta che il telefono
squillava, sperava fosse la sua Abuela. Perché lei
sapeva che l’avrebbe chiamata. Per cinque anni aveva aspettato una telefonata
che non era mai arrivata. Eppure era lì, seduta su una vecchia sedia di legno
vicino un letto, una donna semi-incosciente stesa al suo fianco. Alma Lopez era
sempre stata una donna forte, la più forte secondo Santana, quella che le aveva
insegnato a sopravvivere, eppure ora pareva la più debole di questo mondo. Lei
dormiva, ma Santana le prese una mano lo stesso, aveva temuto per tutto il volo
che non avrebbe fatto in tempo.
“Io vado a trovare il mio ragazzo, è in Erasmus” aveva spiegato Rachel,
prima di vomitarle addosso un fiume di parole, che lei non aveva chiesto e
cominciare un lungo monologo sul suo fidanzato Finn, che aveva fatto saltare in
nervi probabilmente a tutto l’aereo. Il suo fidanzato era in spagna, ma loro
l’avrebbero raggiunto solo a fine settimana, per il resto si godevano sette giorni
francesi, sfortunatamente volevano andare a Parigi ed avrebbero dovuto prendere
un treno appena scesi. Aveva mormorato blande offese a mezza bocca in spagnolo
alla ragazza e alla sua vocetta, prima di avvicinarsi verso il vicino, “Kurt,
hai ancora quell’aspirina?” aveva chiesto in un sussurro, “Quando viaggio con
Rachel sempre” aveva risposto quello, sfilandosi dalla tasca delle medicine.
Chiamata l’Hostess, una bionda dall’espressione gentile, si era fatta portare
un bicchiere d’acqua e da quel momento aveva affogato il mal di testa e le sue
preoccupazioni in acqua ed aspirine.
“Niña” aveva detto la donna, con le palpebre semi aperte, l’altra mano si
era chiusa su quella di Santana, “Abuelita” aveva
sussurrato lei di risposta. Tante parole vorticavano tra loro. Parole che
nessuno di sarebbe sognato di pronunciare. Ma Santana non aveva preteso nulla,
aveva stretto le mani della sua abuela e basta. Ricordava il dolore che aveva provato quando la donna
l’aveva abbandonata in quella cucina, lasciandola sola con le sue lacrime. Per
giorni l’aveva odiata e per anni l’aveva aspettata. Aveva fatto di tutto per
evitarla e contemporaneamente aveva sperato di incontrarla. Ogni volta che
tornava a Lima dai suoi genitori sperava sempre che lei venisse a trovarla. Ma
sua nonna non la capiva. Eppure in quel momento, Santana voleva dimenticare
ogni cosa. “Te amo, niña” disse con voce
strozzata, “Non ti sforzare,abuelita” le sussurrò lei, baciandole il polso. Non ti
affaticare, le avrebbe voluto dire. Lei c’era, non sarebbe andato via. Non
importava cosa lei pensasse dei suoi segreti. Santana l’avrebbe tenuta stretta.
“Sei diventata mas
hermosa, mi amor”
aveva bisbigliato la donna. Dopo tanto tempo la sua voce era colma d’amore. Gli
occhi di Santana erano lucidi.
Scesa a Lione aveva preso la sua valigia ed aveva salutato
frettolosamente – e liberatoriamente
– Kurt e Rachel, che erano ancora presi dalla loro discussione. La prima cosa
che fece fu trovare una zona con del campo e comprare una scheda estera, chiamò
sua madre e la tranquillizzò, era sana e salva. Poi chiamò Quinn, ma lei era
abbastanza esasperata, “Che succede, chica?”
aveva chiesto, “Marley dice che il vestito da sposa la fa sembrare un insaccato,
Kitty dice che il suo da damigella è stato recuperato da un mercatino di
offerte ed Unique dice che è il suo è sicuramente stato cucito da una suora
cieca” aveva buttato fuori tutto d’un fiato. Santana se la vedeva dall’altro
lato del telefono, elettrica solo come lei poteva essere. “Dagli un quinteto come tu sai fare” le consigliò,
dall’altra parte del telefono, la risata di Quinn venne cristallina. Sarebbe
rimasta volentieri altre ore al telefono con l’amica. “Ci servirebbe Snix”
aveva ammesso alla fine l’amica, “Lei serve sempre” aveva risposto
Santana; sarebbe servita anche contro Rachel–naso–da–pappagallo–Barry e la sua
chiacchiera senza fine. “Giuro, che non ero così stressata dagli allenamenti
massacranti della Silvester” aveva detto lamentosa Quinn, da qualche parte
nella memoria della latina si era aperta la visione di una donna in tuta rossa
e megafono che urlava di loro di tutto e di più, particolarmente commenti su
sacche di grasso inesistenti o suoi capelli finti. “Ci vuole polso, Febray” aveva
detto, “Mostra a loro quanto polso hai” aveva aggiunto. Quinn ne aveva di forza
da vendere, solo che spesso si nascondeva dietro larghi prendisole colorati o fuoriusciva
nei modi sbagliati, come quando si era fatta i capelli rosa ed usciva con un
uomo di quarantenni che andava sullo skate. “Sia dannato il giorno in cui ho
deciso di aiutare la dannata futura signora Puckerman” aveva commentato
esausta. Dopo chiacchiere più o meno futile ed accortezze per il viaggio, seria
Quinn le aveva ripetuto le stesse parole dell’aeroporto, “Fa attenzione e buona
fortuna, Lopez” c’era un tono nostalgico in quelle parole, “Grazie Q.” aveva
risposto lei, prima di attaccare.
Fino agli ultimi giorni Santana era stata con lei. Alma aveva voluto
sapere tutto degli ultimi cinque anni, non una sola azione voleva che fosse
tralasciata. Santana aveva raccontato ogni cosa, carezzando il dorso della mano
della nonna. “Desculpa me”
aveva commentato, “L’ho fatto” la rassicurò la giovane, tanto tempo fa.
L’aveva già perdonata mentre tornava a casa sua quello stesso giorno. L’aveva
perdonata ogni giorno negli ultimi cinque anni. E sentire quelle parole le
rendeva il cuore colmo di gioia assieme al dolore di starla per perdere. Odiava
l’idea di aver dovuto aspettare così tanto tempo per riaverla, per doversene
separare così presto. Risero, parlarono, scherzarono. Alma raccontò a sua
nipote ogni cosa della sua vita, ignorando o meno se Santana conoscesse tutto
alla perfezione. Ma lei ascoltò. Ogni giorno ed ogni notte, tenendo una mano,
che con il tempo divenne inerte. “Quando ero una niña come te, mi amor, sono stata in un
posto” aveva esordito la donna, con un filo di voce, “Un lugar
hermoso”
aveva mormorato, Santana aveva tenuto le sue mani con decisioni, “Portami lì, por favor” aveva aggiunto.
Lei aveva annuito decisa, con le lacrime agli occhi.
Era andata via dal terminal con lo zaino in spalla e gli occhi rivolti
alla cartina. Era stato Ryder, l’amico di Jake a stamparla, segnando con
minuziosa precisione l’intero percorso con un fatticcio pennarello rosso,
Kitty le aveva raccontato che per farlo c’aveva messo quasi un paio
d’ore, era dislessico eppure si era offerto di aiutarla, impazzendo su tutti i
nomi di quelle città. Il perché poi la lasciava davvero confusa. Uscita in
strada la prima cosa che aveva fatto era stata prendere al volo un taxi, “Est-ce-que où je dois vous mettre?”
aveva chiesto quello in modo gentile, lei era rimasta in silenzio per qualche
istante, cercando di richiamare alla sua mente l’ultima lezione di francese
della sua vita, ricordava di quel giorno l’insegnante, era una supplente che
avevano avuto da un mese, causa una brutta caduta dalle scale, aveva lisci
capelli biondi ed un sorriso accattivante, Holly Holliday, ma poco che niente.
Alla fine rese noto che andava alla stazione dei treni. E seppe da quel preciso
istante che era cominciata la sua avventura. Si tolse il pesante zaino dalle
spalle e lo poso sulle ginocchia, stringendoselo forte a se. Lo aprì lentamente
e ne estrasse il contenitore di ferro, ne accarezzò la superficie, “Todo ira bien,
Abuela” aveva sussurrato. Todo.
Sua nonna era stata cremata. Ma una sorta di funerale c’era
stato, una veglia. Vestita di nero come un corvo, Santana era stata seduta
tutto il tempo sullo stesso divano su cui da bambina aveva giocato. Muta come
un pesce ed il maschara colato. Quinn era venuta da lei, lasciando l’università
senza preoccuparsi o meno di aver abbandonato un importante esame o corso. “Non
dovevi preoccuparti Q.” aveva detto piatta lei, “Io e Puck ci saremo sempre,
Snix” le aveva detto la bionda stringendola in un forte abbraccio. Da un angola
della stanza il ragazzo in questione la salutò in modo comprensivo. Santana si
lasciò cullare. Per tutta la cerimonia ricevette condoglianze. Nonostante gli
ultimi cinque anni, tutti sapevano del legame speciale che le legava. Di notte,
quando tutti cominciarono ad allontanarsi, lei andò da Quinn, stava rispondendo
ad una vario interrogatorio di sua madre, per distrarsi dalla triste
circostanza che li univa tutti. “Quinn devo parlarti” aveva sussurrato la
ragazza, “Dimmi?” aveva detto quella, accogliendola in un caldo sorriso. C’era stato un momento della sua vita che aveva creduto di amare Quinn. “Ho promesso
alla mia Abuela una cosa” aveva
sussurrato, “Cosa?” aveva chiesto confusa la bionda, “Di portarla in un posto”
aveva detto Santana, guardando l’urna che era stata deposta sul tavolo perché
tutti potessero salutarla, “Ho paura a chiederti dove San” aveva risposto
l’altro, “Santiago De Compostela” disse.