Serie TV > Dr. House - Medical Division
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Autore: Kimmy_90    20/01/2008    1 recensioni
[SOSPESA] [ma l'autrice è carica di buoni propositi, e quindi promette che entro il 21 12 2012 la finirà.]
Daisuke e House: legati da un certificato di nascita che fa del primo il figlio dell'altro. Poi una porta sfondata, perchè House è sempre House, non si piegherà di certo al primo che esibisce un foglio e gli chiede ospitalità. Soh, bimbetto che l'inglese non lo capisce ma si diletta ben in altro modo, e Hector, che rimane pur sempre un cane ultracentenario. Cameron, l'eterna crocerossina, e Cuddy, che si lascia investire dal suo istinto materno. Infine Wilson, l'unico che tenta di far funzionare la baracca, che prova a far ragionare la gente e, al solito, ci rimette.
E poi il Vicodin.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Greg House, James Wilson, Lisa Cuddy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
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*-*''
Rendo nota anche qui che ho apportato qualche modifica al capitolo precedente per non fare l'incoerente *.*'' mi ero persa un pezzo della vita di Housinoh (L)
Non succederà mai più, prometto *.*
E non picchiatemi se sbaglio un po' la sintomatica *_*'
___________________________________________________






Cinque: |Radice quadrata di 153 = dodici virgola quattro, zero, nove, sei... |
Chotto chotto, matte: nana... san... ... roku!


“Non ti è molto chiaro il concetto di fuori, a quanto vedo.”
Daisuke si passò le mani sugli occhi, che poi tentò di aprire: fu dissuaso immediatamente dalla luce che gli parve gli lacerasse la cornea. Li chiuse di scatto, e poi andò a guardare, le palpebre a fessura, l'uomo che troneggiava su di lui.
Il ragazzo era disteso all'inizio del corridoio, solamente una gamba che rimaneva fuori dall'uscio.
Si ricordava di essersi addormentato davanti alla porta, fuori dall'abitazione. Strane cose che fa, il sonno. Mugugnò qualcosa, tentando di riaprire meglio gli occhi dopo esserseli strofinati nuovamente.
Oddìo.
Sulle mani un rosso porpora rilucente al sole del mattino.
No. No.
Scattò in piedi, terrorizzato. “Lasciami andare in bagno, ti prego”
House lo guardò apatico. Poi si scansò, lasciando libero il passaggio, e indicando con un vago cenno del capo il corridoio. Daisuke corse verso il bagno, un'orrenda visione ad attenderlo: con quello stupido gesto, aveva sbavato completamente il trucco. Dagli occhi scendevano due righe rosse accompagnate da sbavature nerastre: era orribile. Aprì il rubinetto, pronto a far uso di qualsiasi solvente necessario per mandare via quell'abominio.

Sulla tavola c'era una tazza con del latte. Soh la stava fissando da qualche decina di minuti, il volto goloso, ma senza dare mai il minimo indizio di essere in procinto di afferrarla per bere.
House continuava a non capire che razza di logica governasse il bambino. Ogni tanto il pargolo si guardava attorno, e si soffermava su qualcosa, immobile, riuscendo a rimanerci per lunghissimo tempo. Il medico lo controllava mezzo incuriosito: prima era stato il televisore. Poi il fornello, infine la pila di giornali ammassati vicino alla lavastoviglie, su cui aveva perso ancora più tempo.
“Yo”
Daisuke fece la sua entrata trionfale con un asciugamano al collo, il torso nudo, indosso ancora i jeans e più nessuna traccia del trucco.
“Onii-chan!”
Il bimbo distese tutta la colonna vertebrale, illuminato alla venuta del fratello. Daisuke si sedette di fronte al piccolo, sorridendogli. Poi si rivolse ad House.
“Grazie”
“Non ho fatto niente da mangiare, per te.”
“Fa niente. |Soh, avanti, bevi il latte|”
Soh scosse la testa. “|No, non lo voglio|”
“|Come sarebbe a dire che non lo vuoi?|”
“|C'è il cacao.|”
“|Avanti, Soh, fai uno sforzo. Non è più buono, con cacao?|”
“|Sì|”
“|E allora? Bevilo.|”
“|Ma io il latte della mattina lo bevo col miele.|”
“|Dài, che ti ha messo il cacao pensando di farti un favore... non vorrai mica non berlo, no?|”
“|Bevilo tu. Io voglio il latte col miele.|”
“|Socchan...|”
“Ieeee, niichan!”
“Iamete!”
I due giapponesi si bloccarono all'intervento dell'americano, che li aveva gelati col suo urlo nella loro lingua. Soh, ammutolito, andò a guardare l'uomo, immobile, senza alcuna intenzione di calare lo sguardo. Daisuke tentennò qualche istante, per poi riprendersi.
“|Tu lo conosci il giapponese, allora!|” Il ragazzo si illuminò. Inizio a riacquistare un po' della grande fiducia nel padre che quello stesso aveva completamente demolito.
“Abbastanza da capire che è un bambino viziato.”
“Perchè non gli hai dato da mangiare, ieri?” continuò grave Daisuke, iniziando a percepire qualcosa di strano.
“Perchè erano le sette. Io non mangio alle sette – voi non mangiate alle sette.”
Il ragazzo sorrise. Il fatto che l'altro parlasse alludendo ad un concetto di futuro lo rasserenò non poco.
“Per quanto rimarrete qua” si affrettò ad aggiungere House, vista l'espressione dell'asiatico. Daisuke corrugò la fronte.
“Soh si angoscia se non mangia quando deve” ribadì il ragazzo, levandosi in piedi.
“Dove credi di andare?”
“A cercare il miele”
“Lascialo perdere, che impari a vivere.”
Daisuke non gli badò, ed iniziò ad aprire gli scaffali a caso, in cerca del dolce nettare. Soh permaneva con lo sguardo su House, per nulla intenzionato a sganciarsi. Il medico lo guardò a sua volta, sbuffando.
“Iamete.”
Soh sussultò al freddissimo 'smettila' di House: si volse rapidamente, andando a guardare i fornelli. Di nuovo.
Daisuke trovò il miele.
“|Adesso ti faccio il latte col miele, ok?|”
“No che non glielo fai” House era vivamente infastidito dalla servilità del presunto figlio, il quale si immobilizzò, allibito dal tono che non ammetteva replica del presunto padre. “Adesso si arrangia.”
“Ma... ma non è viziato, è solo un abitudinario. Cosa vuoi che cambi, se gli do il latte col miele o meno?”
“E' una questione di principio, minipunk.”
Daisuke non sapeva più cosa fare. Soh continuava a guardare i fornelli, ma con la coda dell'occhio aveva notato l'arrestarsi del fratello.
“Neeh, Daisuke!” iniziò a lamentarsi.
House guardò il ragazzo fisso, gli occhi azzurri severi.
“| E Il miele?|” continuò il piccino
“|Mmh..|”
“|Daisuke, il latte col miele!|”
Il giapponese non sapeva più cosa fare. Con il barattolo in mano, da una parte House, dall'altra Soh, era circondato.
“Oniii-chan! ... Onii-chan! |E' mattina, la mattina bevo il latte col miele! Perchè non me lo dai? ... Niichan!|”
Soh si era aggrappato ai bordi del tavolo e iniziava a scalpitare sulla sedia, incapace di capire perchè suo fratello temporeggiasse a tal modo, in procinto ad una crisi di panico. Daisuke posò il barattolo sul tavolo, scuotendo il capo.
“|Ma sì, Soh, adesso faccio. Tranquillo. Avrai il latte col miele.|”
Soh lo fissava negli occhi, il respiro quasi grosso. House scosse il capo, deluso, e si alzò.
Allora Daisuke riuscì a notare, finalmente, che zoppicava.

La mattinata House e Daisuke furono come due leoni che girano in tondo, studiandosi. Ogni tanto il più anziano lanciava qualche ruggito e il più giovane indietreggiava, intimorito, pronto a sottomettersi a quella che per lui rimaneva un'autorità. Ma subito dopo ricominciava a girare in cerchio, spinto da qualche gesto dell'altro che esulava dai suoi schemi mentali, e gli faceva riprendere un po' di ardore.
Soh zampettò in giro per il soggiorno, unico posto abbastanza sicuro per un bambino di quell'età: la maggior parte delle volte si immobilizzava a fissare i particolari di qualche oggetto. Piccole scrittine, placchette, zigrinature. Oppure fissava i palquet. Dopo la strana scena del miele, in cui pareva essere pronto di dare in escandescenze, rimase silente, impegnato nella sua strana esplorazione.
Daisuke dovette convincersi a lasciare il fratellino in mano del padre, che vedeva pronto a spezzare le sue abitudini alle quali, lo aveva visto anche lui, Soh non era capace di rinunciare: d'altro canto, lui doveva andare a prendere i bagagli rimanenti. Quando tornò, per suo enorme sollievo, non era cambiato nulla.
I due House avevano delle microdiscussioni che non stavano ne in cielo ne in terra, in genere scaturite da qualche battutina del medico o da qualche comportamento tipicamente asiatico di Daisuke che chiamava in causa l'altro o i princìpi dell'altro.
Del tipo andare in giro scalzo.
Cose idiote, che il medico faceva notare volentieri, e alle quali il figlio non poteva non rispondere, incapace di sottomettersi totalmente a quell'uomo così diverso da come lo aveva idealizzato.

Wilson affiancava la Cuddy in mezzo al corridoio, le braccia conserte: di fronte ai due, House si appoggiava quasi a peso morto sul bastone.
“Non ci posso credere.” Iniziò il rosso.
“Nemmeno io. Posso andare in ambulatorio, adesso, papà?” ironizzò, cercando la via di fuga dall'interrogatorio.
“House che scappa in ambulatorio: bella, questa. Allora, hai intenzione di sbatterlo fuori dalla porta?” continuò la primaria.
“E' esattamente quello che stavo pensando, mamma.”
“Non puoi fare una cosa del genere, House!” lo rimproverò Wilson
“Vi costa tanto pensare che possano stare meglio senza di me? Dov'è finita la vostra visione dell'House cinico, bastardo e asociale? Me li avreste levati immediatamente di casa, quando la pensavate così, cos'è che vi ha fatto cambiare idea?”
“Tutti possono essere genitori, House.”
“No! IO no! Non posso!”
“Ha ragione.” Cameron usciva giust'appunto dall'ascensore. Forse era lei quella dal tempismo perfetto, e non Cuddy. Ma il medico era troppo irritato per pronunciare quel pensiero.
“Ecco. Vedete? Ascoltate la crocerossina, per una volta.”
Cameron contrasse il volto, infastidita dall'epiteto.
“Ti costa così tanto cambiare?” continuò Wilson
“Sì!”
“Non essere patetico. E' tuo figlio”
“Non, è, mio, figlio! E' mio figlio su di un pezzo di carta, perchè credete ai pezzi di carta? Da quand'è che si crede ai pezzi di carta? Io nemmeno ricordo chi fosse sua madre, perchè allora dovrebbe essere mio figlio!?”
“Fai un test del Dna” tagliò corto Cameron, che già era perplessa all'ida di due minorenni in casa del suo capo.
House sbuffò. Strinse i denti, tentato seriamente di dare una bastonata ai tre: di solito ricorreva sempre a esami che potessero dare conferma alle sue ipotesi, ma quello non era un caso dell'ospedale. Cioè, era suo figlio. Forse.
Non che il suo modo di agire mutasse: solo che la sua ipotesi era ancora in cantiere. Traballante, non riusciva a chiarirsi le idee. D'altro canto, di tempo ne aveva. Magari non dieci giorni, ma due sì. Non sarebbe morto nessuno, nel frattempo: e lui si sarebbe potuto costruire il suo schemino per trovare, al solito, la verità.
Si voltò,mugugnando, e si allontanò, sciogliendo quel piccolo simposio che si era venuto a creare attorno a lui.

Aprì la porta socchiusa con il bastone: dalla casa usciva uno profumo decisamente interessante. Mosse qualche passo, sentendo uno sfrigolìo d'olio, e dunque entrò in cucina, fermandosi sulla porta a contemplare la scena.
Diasuke stringeva nella destra una padella che muoveva scattosamente nell'intento di far smuovere i pezzetti di pollo. Sul fornello, un'altra pentola fumava: Soh era seduto al tavolo, una calcolatrice scientifica fra le mani, accerchiato da verdure varia che evidentemente servivano da ingredienti. House guardò fuori: il tramonto.
“Dove l'ha presa, quella?” fece, alludendo alla macchinetta.
Diasuke si volse lievemente, ancora intento a spadellare, ed infatti non rimase con lo sguardo sull'americano più del dovuto, tornando subito a ciò che stava cucinando, dando così le spalle nude all'altro.
“Era su uno scaffale, impolverata. Non abbiamo aperto i cassetti, se è quello che ti preme. Tranne che in cucina.”
“Così rischi di ustionarti.”
“Ti preoccupi per me, wow.”
“Sono un medico, wow.”
Ad House giunse la strana, assurda sensazione di avere uno specchio davanti a se'. Diasuke riuscì a mantenere un tono talmente vago da non fargli capire se fosse precisamente serio o ironico. Beh, aveva fatto lo stesso anche lui, più o meno, ma questo non lo aveva aiutato in alcun modo nella comprensione.
“Io mangio alle nove.” Precisò. Dopotutto, anche House era un abitudinario: e poi ci teneva a sottolineare la sua autorità.
“Sono solo i Nikomi Udon per Soh.” accennò alla pentola in ebollizione ” Il pollo al curry dura di più. Se vuoi butto gli Udon che avanzano e noi mangiamo alle nove. A me non cambia niente, è Soh che dà fuori di matto. Già non so come ho fatto a farlo resistere due giorni senza Udon.”
“E dove li hai presi, gli Udon?”
“In un negozietto qui vicino”
“E hai lasciato Soh da solo?”
“No, ovvio.”
“Quindi tu te ne sei uscito con Soh lasciando la casa, che ha la porta sfondata, incustodita.... o sbaglio?”
Daisuke si ammutolì, colto in fallo.

“Ittadakimasuuu!”
Gli occhi di Soh brillavano alla vista degli spaghetti di riso e frumento in brodo, circondati da varie verdure lesse e un ovetto mezzo strapazzato. Si lanciò a mangiare il pasto, in mano due bacchette reperite sul fondo di qualche anfratto della cucina. Daisuke non ci aveva pensato, ma se non le avesse trovate, sarebbe stata di nuovo una tragedia. Per fortuna, House era più legato al Giappone di quanto non avesse lasciato intendere all'inizio.
Il medico arrotolava sulla forchetta gli Udon come fossero spaghetti italiani, sebbene sapesse benissimo che il metallo ammazzava qualsiasi gusto orientale. Ciò nonostante non poté fare a meno di notare una certa bravura da parte del ragazzo.
O forse era lui che non mangiava Nikomi Udon da molti anni.
“Quanti anni avresti, allora?” House iniziò il suo piccolo interrogatorio, dopo aver passato un intera giornata con due ragazzini di cui, alla fin fine, sapeva poco o nulla.
“Sedici.”
“Novanta?”
“Novantuno. Li ho... appena compiuti. Da qualche settimana, diciamo.”
“Quindi dovresti essere al primo anno di superiore.”
“Mhh, sì, in quel senso, dovrei.”
House allontanò la ciotola vuota poggiandosi allo schienale della sedia. Se quel ragazzo era suo figlio e figlio di una donna con cui lui era andato a letto, c'erano una serie di prerogative che non potevano mancare.
“E poi?”
Daisuke levò la faccia dalla ciotola “E poi cosa?”
“E poi cosa farai?”
Il ragazzo inclinò il capo verso la spalla, senza comprendere a fondo la domanda di quello.
“All'università” sottolineò acido House, senza mancare di fargli notare l'ovvietà della cosa.
“Ah. Boh, non andrò all'università.”
Un punto in meno per Daisuke.
“In Giappone l'università è praticamente tappa obbligata, se non fai quella, sei inutile.”
“E' che non sono proprio una cima”
Due punti un meno.
“Sono stato bocciato”
Tre punti in meno.
“Due volte.” Questa valeva cinque, che in tutto dava otto punti in meno a Daisuke.
Quello lì, suo figlio? Ha. Ma per favore. Non avevano un solo allele in comune, quei due.
“E allora andrai in giro a barboneggiare vestito da cosplayer per tuta l'America?”
Daisuke aggrottò le sopracciglia. Lui ci teneva, al suo stile. Ed era uno stile anche abbastanza usato, in Giappone. Certo, pochi erano spinti come lui, fra catene, orecchini e trucco incredibilmente pesante, però non c'era mica da scandalizzarsi. Il padre, invece, pareva avercela a morte con lui quel quel suo look da VisualBand.
“Beh, no. Cioè, tanto a scuola quest'anno ci sarò andato forse una volta alla settimana, fra una cosa e l'altra. Faccio... tipo circo, no? Accademia. Circo e recitazione. Corde, trapezio... quelle robe là. Acrobata. Poi, forse andrò a fare lo stuntman. Facciamo anche Jujutsu, non me la cavo male, sai.”
House fissò il ragazzo a lungo, continuando ad interrogarsi sulle sue vere origini. In pratica, si era rilevato il suo perfetto contrario. Aveva lasciato perdere la scuola e le materie di studio per dedicarsi a cose che richiedevano tutt'altra abilità: mimica, forza muscolare, elasticità. L'esercizio della mente non faceva parte del suo mondo.
“Ho iniziato quando ero piccolo” continuò il ragazzo, sentendo lo sguardo dell'uomo adosso “Ero follemente innamorato degli acrobati e delle arti marziali, che poi un po' sono la stessa cosa e un po' sono l'opposto, ma non importa. Quella era l'accademia ideale, poi abbiamo iniziato a fare recitazione e anche lì andavo bene... alla fine fare Giapponese antico o Matematica non è che mi aiutasse granchè, quindi alla fin fine ho iniziato ad andare più in accademia che a scuola. Fisica, ecco, forse quella era più carina, la riprenderò più avanti. Sai, per sapere come funziona il corpo e tutte le tecniche, dev'essere interessante uno studio del genere... però, boh, adesso devo approfittare del mio corpo, non sarà così per sempre. Ho solo scelto prima degli altri, alla fine.”
Non smetteva di parlare. Ne aveva bisogno, questo lo intuiva anche il medico, che non conoscendo affatto cosa fosse accaduto e cosa avessero combinato i due nell'arco di tempo dalla morte dei genitori alla loro comparsa in america, ne deduceva che di occasioni si sfogarsi ne aveva avute ben poche. Lasciò un altro lungo silenzio, ora intento a scrutar Soh.
“In pratica, sei un essere inutile all'umanità.”
Daisuke non l'aveva mai vista a quel modo. “Faccio divertire la gente e mi diverto io.”
“Se accadesse una qualche catastrofe che non permettesse più di sprecare tempo e soldi per i divertimenti, nel bel mezzo di una qualche guerra, sarebbe ben più utile un fisico – o un medico - di te. Non pensi al futuro, in pratica.”
Stoccata.
“Io faccio solo quello che mi piace fare, ci sono tanti modi per essere utili, al mondo, devi mica salvare vite in continuazione. E comunque so combattere.”
“Poco te ne fai del Jujutsu contro armi da fuoco ed armamenti nucleari.”
“Onestamente, non credo che l'umanità possa durare più di due ore con una guerra del genere, quindi il problema non sussiste.”
Almeno aveva detto una cosa intelligente. Un punto in più, anche se rimaneva a meno sette.
Daisuke si alzò per andare a prendere il pollo al curry. Soh, che aveva finito da tempo di mangiare, allungò la mano e, con una certa palese furtività, andò a prendere la calcolatrice per tornare a giocarci.
House lo guardò, rimurginando su quello scorcio di vita che aveva appreso dal ragazzo.
“E poi so due lingue, alla fine” Daisuke gli si avvicinò per calare il secondo nel piatto.
“Io ne so sette.” fece House, a sottolineare per l'ennesima volta l'inutilità dell'altro – specialmente confrontato a lui
“Beh, bravo.”
Nuovamente il tono di difficile decifrazione, a metà fra l'ironico e il dannatamente sincero.
“Dove hai imparato l'inglese?”
“Ka-san mi ha spedito alle scuole bilingui.” Si sedette, fermandosi a guardare House. “Secondo me tu sei veramente mio padre.” affermò, sincero
“Secondo me no. Ma non ne sono sicuro.” L'americano iniziò a mangiare.
“Mia madre ci credeva. Tanto da mandarmi ad una scuola di bilingue tanto da riuscire a dirmi ogni sera che avevo i tuoi occhi.”
“Fidati, non sono l'unico americano con gli occhi azzurri su questa terra. Siamo una razza abbondante, noi.”
“Però l'hai impressionata. Ti adorava.” Daisuke non voleva sentire ragione per credere che quell'uomo non fosse suo padre. Ormai ne era convinto, più di chiunque altro
“In genere la gente mi odia.”
“Bella autostima”
Daisuke continuava ad altalenare dalla venerazione per il medico al parlargli quasi quanto fosse un suo coetaneo.
“Cosa fa?” House accennò al bambino che continuava a trafficare con la calcolatrice.
“I conti” rispose con ovvietà Daisuke, avventandosi sulla sua creazione.
“Avrà cinque anni”
“Sì, ne ha cinque. Lui fa i conti.” Soh era completamente assorto nel suo lavoro. “E' un genietto” concluse poi.
House continuava a fissarlo: il piccolo sembrava non badare affatto a loro. L'uomo arricciò lievemente le labbra, perplesso da quel suo comportamento. Sempre pensando al piccolo come a un viziato, si allungò sul tavolo e gli tolse via la calcolatrice di mano. Soh ci rimase un isto male, osservando quello che gli sventolava sotto il naso la macchinetta, in aperta provocazione.
Daisuke osservò la scena perplesso ed infastidito dal comportamento dell'uomo. Soh fissò il diagnosta negli occhi per un attimo, poi tornò a guardare il nulla, a lungo. Infine si volse verso l'orologio, e lì si incantò.
Non aveva fatto una piega: House sembrava quasi deluso.
“Sarai contento, adesso. Te l'ho detto che è un angelo, ma non mi credi. Non è viziato. E tu sei stato uno stronzo.” Daisuke non tollerava. Osservava adirato l'uomo domandandosi cosa avesse in testa.
“Sì” esultò House “Così voglio sentirti parlare! Così ti convinci che questo non è il posto per voi e mi lasciate in pace, felice come stavo prima!”
Daisuke si fece particolarmente torvo. Si alzò con uno sbuffo infastidito per poi rendersi conto che non aveva una camera in cui andare a chiudersi.
“Non sperare che sia così facile” rispose acido al medico, per poi decidere che il divano poteva essere una buona soluzione.

Lasciò che Daisuke si appropriasse di divano e televisore, dando ogni tanto qualche occhiata alla sua figura svaccata. Mise alla meno peggio piatti e pentole nel lavello, innondandoli di un po' d'acqua, senza nemmeno sprecarsi troppo nel dare una pulita generale. Avrebbe fatto la mattina dopo. Forse.
A parte MTV a volume alquanto elevato, nella casa regnava il silenzio. Soh permaneva seduto senza far nulla se non continuare a guardarsi in giro.
“Ehi, tu.”
Il bimbetto non gli diede attenzione. Il medico zoppicò lungo il corridoio andando a reperire un suo fedele, piccolo contenitore giallo. Tornò indietro, non prima di essersi cacciato in bocca un paio delle pillole che conteneva, per poi appoggiarlo davanti al bambino.
“|Lo vedi questo?|” domandò House. Il bambino osservò intensamente il barattolo.
“Hai.”, rispose.
“|Bene. Se tu mangi queste caramelle, muori. Quindi non mangiarle.|”, concluse afferrando il barattolino di vicodin, per poi metterselo in tasca.
Soh annuiva lievemente sconvolto. Continuò a guardare House, le manine poggiate sul tavolo, muto.
“Allora, Piccolo Genio” continuò il medico, Soh che non capiva. “ vediamo... |Radice quadrata di sedici?|”
“Yon.”
“|Di centoventuno?|”
“|Undici.|”
“|Milleduecentonovantasei!|”
“|... trentasei.|”
House si ammutolì, dovendo ammettere che, per avere cinque anni, non era certo scemo. Però, si sapeva, imparare a memoria i quadrati perfetti non era certo una cosa che richiedesse un'intelligenza superiore.
“|Centocinquantasei virgola venticinque.|”
“|Mh... dodici... virgola cinque.|”
L'uomo ridusse gli occhi a due fessure, pronto ad uccidere il superego del bambino – nonostante, da quanto si era visto, pareva non lo avesse. Praticamente non aveva cognizione del fatto di essere, almeno per ora, un gradino più in su degli altri. Che lo fosse stato o meno, il medico lo avrebbe riportato al suo giusto posto con un violento strattone.
“|Cinquantaquattro.|”
Soh arretrò il capo un istante. Teneva gli occhi fissi su House, squadrandolo, il che iniziava ad infastidire l'uomo: poi, lentamente, il piccolo iniziò a mettere a fuoco il vuoto. Il diagnosta sentì odore di vittoria.
“|Sette... virgola tre... quattro... ... otto... |” Gli occhi di House si allargarono “|quattro...|” continuò, imperterrito “|... sei...|”
“Va bene, ho capito”
“|nove...|”
“Basta così”
“|... due|”
“Iamete!”
Il piccolo sussultò, come richiamato da un sogno ad occhi aperti. “Gomen nasai.”
House lo guardò, tentando di nascondere il fatto che era stato decisamente colpito. Di sicuro conosceva l'algoritmo della radice quadrata, e riusciva anche a farlo a mente. Scosse lievemente il capo, andando a rendere la calcolatrice al piccolo. Soh gli sorrise, entusiasta, e tornò a giocarci.

Il pennarello scivolava dolcemente sulla plastica della lavagna. I paperotti erano stati praticamente incatenati negli ambulatori, ma lui aveva finito il suo turno contrattato ed ora, finalmente, poteva fruire dello studio di diagnostica, vuoto.
Sulla sinistra, in alto, 'SON'; poi una riga dritta, verticale, e sulla destra 'FOOL'.
Si distanziò, per andare a contemplare lo scheletro del suo schema. Tornò ad avvicinarsi, iniziando a scrivere.
Aveva gli occhi azzurri, il che poteva valere, come no. Lo scrisse in piccolo. Dall'altra parte, invece, alquanto in grande, sottolineò il fatto che non era affatto intelligente. Cancellò: 'STUPID' rendeva meglio l'idea. Sotto, aggiunse 'ASIATIC, SHORT'.
Tornò ad allontanarsi.
C'era un'altra cosa che avrebbe dovuto includere, ma non ne era certo di doverla segnare. Poi si avvicinò, arrendendosi all'evidenza.
'Belivies in ON'.
Si allontanò, scrutò la lavagna, si sedette. E lì rimase per lungo tempo, facendosi girare il bastone nelle mani, giocherellandoci, impasticcandosi un po'.
“House”
Il medico si volse, notando la ragazza che era entrata silentemente nello studio. Cameron notò subito la lavagnetta, scrutandola con attenzione.
“Allora, mi portate qualche omino dalla carnagione blu?”
“No, nulla del genere. Siamo ancora senza un caso.”
“Le malattie stanno iniziando a perdere fantasia.”
“La Cuddy vuole vederti.”
“Perchè?”
“E io devo renderti il cane.”
“Tienilo pure. Cosa vuole, la Cuddy?” House si levò in piedi
“Non ne ho idea”
“Hu-hu.” Si avvicinò a Cameron, pronto per uscire. L'immunologa era sempre ferma lì, a contemplare lo schema.
“Dovresti trovargli un posto migliore.” fece la dottoressa, scoccando un'occhiata ad House. Il medico mimò un sorriso contratto.
“Ti ho fatta venire su bene, a quanto vedo.”
“Tu non puoi crescerli”
“Tranquilla, non è mia intenzione.”
Cameron scosse il capo, espirando.
“Che cavolo ci fai con un vasetto di miele sul tavolo?” domandò, notato l'oggetto leggermente fuori luogo.
“Lo metto nel caffè. Lo zucchero ingrassa, dovresti saperlo.”














   
 
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