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Autore: BlueSkied    10/07/2013    1 recensioni
Leggono Shakespeare, hanno una band che s'ispira alle correnti alternative del rock e del pop inglese tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta, vivono a Londra, ma nessuno di loro è completamente inglese, sono amici da sempre anche se uno diverso dall'altro.
Alle soglie della vita adulta, i Midwinter's Nightmare devono imparare a uscire dal mondo dei sogni, e che l'amore mette in crisi, molto di più di quanto s'immagini il teatro o la musica.
Note: ideata insieme a miss lovett e a lei dedicata, è un'operazione amarcord. Spero che mi si sapranno perdonare piccole ingenuità, ma forse, a ventiquattro anni suonati, si sente il bisogno di tornare ad essere adolescenti, una volta tanto.
BlueSkied
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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FRIDAY LULLABY

 

Visto che i personaggi sono molti, preferisco fare un elenco, almeno dei principali, in modo da aiutare la vostra (e a tratti) la mia memoria. BlueSkied




- Leroy Bjornstahldt

- Jerome Dampton - Lavier

- Rebecca Morris

- Melissa Whistler

- Sebastian Waterhouse

- Shannon Desmond

- Nicholas Leighton

- Javesh Sherawat

- Robert Stonehall

- Jennifer Lewis

- Blaise Delveaux

- Viola Waterhouse

- Miranda Whistler

- Sybil Bjornstahldt

 

1. Pink, orange, red

 

Non andava troppo veloce. Si era solo distratto un millesimo di secondo per rispondere al cellulare, che vibrava insistente sul sedile del passeggero. Era allora che era apparso il lampo rosso, fulmineo, volato ad abbracciare il paraurti dell'auto.
L'uomo rimase paralizzato al volante, gli occhi fissi nella semi oscurità e il piede ancora disperatamente schiacciato sul freno. Un colpo improvviso al finestrino lo fece trasalire: un tizio gli gesticolava di uscire dalla macchina.
Obbedì. Attorno al luogo dell’incidente si stava già radunando la solita folla di curiosi impressionabili. Le loro voci indistinte suonavano come un cupo ronzio di calabroni. Lui non guardò nessuno e si incamminò nel fascio di luce arancio-biancastro proiettato dai fari, che illuminava a giorno quella scena da telefilm.
La ragazza giaceva distesa sulla schiena, a circa un metro e mezzo dall'auto, le braccia piegate sul busto, quasi avesse tentato di proteggersi dal colpo improvviso. Era stata un’apparizione scarlatta, quasi caduta sul cofano, non c'era modo, non c'era modo di evitare l'impatto. 
La contemplò in silenzio e il suo unico pensiero fu: “ Se è morta, sono nella merda.”
Non era morta, non ancora almeno, non sembrava nemmeno ferita. Le uniche tracce visibili erano un rivoletto di sangue che usciva dal naso e un altro da un angolo della bocca, che spiccava appena sul rossetto rosa, così esiguo da non raggiungere neppure il mento.
Gli venne stupidamente in mente Biancaneve: la ragazza era pallida, con un abito di lino rosso, stesa sull’asfalto nero, e pensò fosse colpa dello shock.
Anche i capelli erano rossi, e formavano intorno alla testa qualcosa che somigliava a un cuscino di rose o a un’aureola infuocata. 
Un angelo preraffaellita. Si meravigliò che non avesse in mano un violino.
In quell’istante, un movimento concitato lo riportò alla realtà: un ragazzo e una ragazza si fecero largo a spintoni tra la folla e si inginocchiarono accanto alla vittima. 
Dissero qualcosa che lui non afferrò, ma vide il ragazzo che, in un gesto di pudore quasi fraterno, tirava giù la gonna della ragazza, a coprirle le ginocchia nude. 
Arrivò un’ altra figura solitaria, da sinistra, un altro giovane pallido, che, come lui, non sembrava sapere dove fosse. 
I loro sguardi si incrociarono per un secondo, ma la sirena lamentosa dell’ambulanza impedì qualunque altro gesto di partecipazione.
Gli infermieri scesero di corsa (altri angeli, stavolta bianchi) tastarono il polso, aprirono quelle palpebre serrate per esaminare uno sguardo assente, controllarono i paramentri vitali, cercarono fratture, possibili emorragie, e infine la caricarono sul mezzo, diretti al vicino Royal Hospital. I tre amici della ragazza, quasi all'unisono, rivolsero all'investitore strani sguardi: non sembravano accusarlo, era come se non sapessero cosa dire. Quello pallido se ne andò per primo, con un gesto di secco rifiuto, le mani tra i capelli e un'imprecazione soffiata tra i denti.
L'altro toccò il braccio della ragazza, che parve riscuotersi: annuì e aprì bocca, con difficoltà:
- Non è colpa sua - dichiarò, rivolta all'uomo, gli occhi gonfi di lacrime - è colpa mia - 
Poi parve incapace di dire altro. Crollò il capo e l'amico la circondò con un braccio. L'investitore li guardò allontanarsi, certamente in direzione dell'ospedale, ancora impalato a poca distanza dalla macchina, sordo al capannello di testimoni, che un po' stava dileguandosi, mentre qualcuno restava lì a commentare l’accaduto o i più volenterosi e pettegoli, si accalcavano intorno agli agenti di polizia, nel frattempo sopraggiunti, per raccontare quello che avevano visto.
L'investitore fu interrogato e accompagnato alla centrale. In seguito, sarebbe emerso che non era stata colpa sua, e l’incidente restò conseguenza di una fatalità. Ma lui, comunque, non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine dell'altra ragazza, l'amica, che si accusava.

  
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