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Autore: LeMuseInquietanti    24/01/2008    2 recensioni
spoiler hp7: è ufficiale: Albus Silente aveva amato. Amato e sofferto, amato e lottato. Cercato. Sbagliato infinite volte. Sbagliato per un amore incontrollabile, per una vita famigliare difficile. Era solo un uomo, seppure grande. Un uomo che troppe volte agì male per il Bene superiore. per il bene di un lui....Salve! La storia su Albus e Gellert avevo iniziato a pubblicarla da circa un mese, ma dopo ho deciso di fermarmi, essendomi accorta di aver sbagliato troppe cose, non avendo ben compreso il libro prima di poter mettere le mani sulla traduzione in italiano. Ad esempio, credevo che Balthilda fosse studentessa ai tempi di Al, invece era la vicina di casa nonché la zia di Gellert… quindi ripubblico questo primo capitolo, e man mano modificherò la storia, sperando che qualcuno abbia il cuore di seguirmi! Grazie mille!
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
Capitoli:
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ecco un nuovo capitolo. qui ho scritto che  gellert e albus si incontrano appena diciassettenni, so che si incontrerannop solo nell'estate dopo i MAGO, ma non avrebbe avuto senso parlare di un viaggio di istruzione nel caso di Grindelwald e poi lasciarlo marcire senza avere almeno un incontro con Al... dal prossimo capitolo credo che Kendra farà una brutta fine, mi dispiace proprio per lei, non se lo merita quella donna!!! Rita Skeeter la vede come una sciocca superba e invidiosa, ma per me è una madre e una donna forte, da ammirare.

e grazie a Sakijune e a Cathleen che mi seguono sempre, siete molto dolci!

 

                                       Capitolo terzo

 

 

La carta da parati si stava distaccando inesorabilmente, lasciando visibili due scarafaggi bavosi che probabilmente stavano corteggiandosi. Questo Grindelwald, preso dallo schifo della scoperta, non poteva proprio negarlo. Disteso in un lettino che assomigliava ad una branda militare di terza categoria ad osservare le macchie di umidità sul soffitto, e le pareti fatiscenti di cartongesso, che non lasciavano nulla all’immaginazione, sospirò della sua miseria irrefutabile trovando  davvero impossibile equivocare quei gemiti proibiti che provenivano dall’appartamento di Armida Middle, la sua vicina di pianerottolo in quella babele di gente ammassata senza futuro nè speranze, che di sicuro non stava pelando patate, e probabilmente stava semplicemente cercando di guadagnarsi qualche spicciolo nel peggiore e nel più naturale dei modi. La prostituzione minorile era una di quelle cose che muovevano il mondo e producevano un profitto certo anche in quei tempi promiscui, ambiguamente tetri. Grindelwald non voleva lasciarsi conquistare da quella macchina alimentata da menzogne e da corpi scheletrici, probabilmente ammalati e percossi, come facevano I suoi coetanei quando il desiderio li sorprendeva, senza che potessero frenarlo. Lui non voleva essere uno dei tanti. Se proprio avrebbe dovuto darsi in pasto ad una donna, sarebbe stato il primo, lo avrebbe fatto per dimostrare al mondo che lui era il migliore. Non uno qualunque. Quando non potè proprio ignorare lo sbatacchiare dei corpi avvinghiati, all’altro capo della parete di cartongesso, decise di alzarsi, andare al cesso per orinare una volta per tutte ed abbandonare per qualche ora quel postribolo abitato da spiriti, fuorilegge e lucciole, in cui vigeva la legge dello sceriffo dai baffoni neri e dal etto villoso, bordello frequentato come Picadilly il sabato sera da filibustieri nascosti sotto spoglie di galantuomini con una banconota fra le mani avide e un gioiello impacchettato nelle tasche dei calzoni, per zittire I dubbi e I pianti delle grandi dame dalla bellezza appassita, quelle mogli sulla difensiva, troppo morigerate e chiuse, donne che l’amore lo conoscevano solo teoricamente, che avevano passato le notti sveglie a sbirciare quei libri del sesso vietati nei loro conventi per brave mogli e a pregare, a supplicare il perdono con un rosario in mano di giorno, perdono, mio Dio, abbi pietà della tua serva peccatrice, donne che pensavano in nero ed agivano in bianco. Grindelwald detestava chi non sapeva seguire I propri pensieri, I deboli, che si abbassavano, si soffocavano, per scegliere tracciati altrui, certamente più sicuri perchè sarebbero stati percorsi da più gambe, ma vili, senza alcuna gloria, perchè nell’uccidere le proprie idee c’era solo da prendersi a schiaffi e sgozzarsi. Ammirava quell’uomo vestito di verde, con la svastica e I baffetti come segni distintivi, che aizzava il popolo puro contro quegli spocchiosi usurai, sodomiti e traditori fino ad allora liberi di deviare la gente che era loro vicina. Detestava perfino quegli orridi mongoloidi, con le facce beone ed il cervello staccato dal corpo, esseri mastodontici che si muovevano per le strade della capitale come in una bolla di sapone, avvolti dalla nebbia, così lontani da sembrare eterei eppure reali, da far disgusto alla gente normale. Ammirava quel babbano folle che ammaestrava le masse, così piccolo ma così certo del suo sogno, delle sue dottrine, da esser entrato nella gabbia dei leoni, solo e senza armi e di essere uscito in groppa al loro capo, signore della vecchia dama piena d’acciacchi, l’Europa, generale di schiere sempre più grosse, che nemmeno si potevano più ignorare per il rumore che sapevano emettere. Lo ammirava, e sapeva che uno come lui sarebbe stato di certo un buon consigliere, quando avrebbe anche lui messo in pratica I suoi sogni.

<< già, sarà l’ultimo dei babbani che verranno schiavizzati >> sorrise, in quel giorno di primavera in cui l’aria puzzava di sudori proibiti e mercato, mentre si incamminava verso il parco cittadino dove, immerso nel silenzio, tra le fronde erbose e fruscianti della natura, avrebbe potuto smaterializzarsi, per una sana camminata nel mondo dei suoi pari, I maghi inglesi che disdegnavano la civiltà babbana. Sì, gli ci voleva proprio un giro a Hogsmeade!

 

Albus aveva appena compiuto I suoi diciassette anni, festeggiando nel Dormitorio di Grifondoro con Elphias Doge,il sui migliore amico sin dai tempi dello scandalo di Percival Silente. Aberforth, che era al suo quinto anno, si era rifiutato di prendere parte al compleanno, sdegnato e arrabbiato con il fratello maggiore e aveva passato quella serata, acclamata dai professori e dalle tre case sorelle di Grifondoro, Tassorosso e Corvonero, chiuso nel suo dormitorio, mentre I compagni di stanza stavano ballando allegramente nella sala comune, gettando scompiglio fra I morbidi sofa poco distanti dal camino spento. Per quell’occasione Bathilda Bagshoot una strega promettente che aveva la fissa per la storia, ed era l’unica in grado di non impazzire su quei tomi voluminosi sui troll, I goblin continue rivolte tra maghi. Viveva nella casetta limitrofa alla sua a Godric’s Hollow anche se da qualche tempo trascorreva i suoi inverni in giro per il mondo. Aveva molti anni più dei giovani Grifondoro, ma si era recata al castello, portando in dono al ragazzo un sacco di manufatti intrisi di magia romana risalenti come minimo ai tempi di Augusto.

<< Tuo fratello, dov’è Al? >> gli aveva chiesto Bathilda, la quale aveva permesso ad Albus di incontrare la piccola Minerva, una bambinetta del primo anno con I capelli corvini e gli occhi verdi la cui forma rammentava vagamente quella dei gatti. Minerva aveva un portamento da signora di gran classe sin dall’infanzia, mostrava un sangue freddo e capacità organizzative da generalessa, e Albus sorrideva vedendola arrossire quando lei gli domandava in prestito un libro qualsiasi, immaginandosela una grande politica, magari la prima donna ministro della magia. Anche quella sera, nella Sala Comune, Minerva e Elphias gli stavano accanto, aiutandolo nel difficile compito di servire una torta gigantesca all’intero dormitorio meno che ad Aberforth. Albus udendo quella domanda quasi inciampò, barcollò debolmente sulle sue gambe molli, e fu Minerva, rossa in viso, ma con gli occhi verdi severi e decisi, a sorreggerlo e a salvare il tavolo delle vettovaglie.

<< grazie, Minny. Beh, Bathilda cara, Aberforth ha deciso di non esserci. È ancora arrabbiato con me dall’ultima lettera di nostra madre >> sussurrò in un bisbiglio. Sospirò, poi si scrollò di dosso la sua malinconia << gli ho detto che non mi importa. Gli porterò un po’ di torta su in camera, magari a festa terminata >>. La giovane strega annuì, arrossendo violentemente, e sparì, diretta verso Elphias che stava gareggiando con altri studenti a chi ingoiava più burrobirra. In effetti la ragazza si era dileguata perchè conosceva cosa era accaduto tra I due fratelli solo qualche giorno prima.

Aberforth aveva ricevuto una lettera da Kendra, in cui annunciava che Ariana finalmente era rinvenuta da quello strano stato di perenne nenia, aveva smesso di ripetere sempre le stesse parole, e adesso si era rimessa in forze, passeggiava nel giardinetto della loro abitazione e salutava la vicina con allegria, la madre di Bathilda, e raccoglieva le primule e I gigli, si divertiva e si stupiva osservando il volo degli uccelli, aiutava sua madre nelle faccende domestiche, ma solo quelle in cui non dovesse stancarsi troppo, e da qualche tempo aveva ripreso a mangiare e perfino a sorridere e a chiedere dei suoi fratelli. Kendra sperava che I suoi figli potessero raggiungerla da Hogwarts, magari nel giorno del compleanno di Albus, perchè loro lo sapevano, Ariana non poteva viaggiare e poi I medici avevano consigliato alla madre di non bombardare la mente fragile e delicata della figlia conducendola in luoghi troppo affollati come una scuola brulicante di adolescenti, cosa che avrebbe potuto far tornare in mente la figura di Joe e della sua banda, e di lasciarla in un luogo ad Ariana famigliare, perchè solo così quella creatura avrebbe potuto conservare una parvenza di volontà e di giudizio. Così Kendra, dall’incidente di quella sera tremenda, si era eclissata per la società per vivere solo per la piccola, ne divenne l’infermiera, perse l’appetito e gli interessi esterni, smise quasi di piangere per Percival, che continuava a rodersi in quella prigione inespugnabile, Azkaban, colpevole solo di essersi fatto giustizia da solo, prima che il popolo non li scacciasse tutti e potessero dirsi danneggiati e beffati, anche se con quella mossa la famiglia non avrebbe di certo riavuto il sorriso di Ariana, aveva anzi perso il pilastro,l’albero maestro, e adesso che la piccola imbarcazione era circondata dai pirati, ingoiava acqua da un lato, poteva solo arrendersi, consegnarsi, supplicare. Vi prego, vi diamo tutto, ma non cacciateci di qua, per favore, per favore, sembrava dicessero gli occhi di Kendra, ogni volta in cui era costretta a recarsi in paese, in quella gabbia di iene e avvoltoi che la schernivano con lo sguardo, le chiedevano spiegazioni sui suoi figli, come se lei dovesse metter delle scuse per giustificarsi, le chiedevano principalmente di Albus, l’unico di cui non avessero di che vergognarsi, mentre di Ariana e Aberforth avevano preferito dimenticarli, affidarli all’oblio, fingere di non ricordarli come a voler mettere loro una croce addosso, cancellarli per sempre. Ma la bambina che soffriva di convulsioni e gridava come un’ossessa a volte per una settimana intera, e si strappava I capelli, si svestiva e si graffiava il corpo, strillava istericamente, a volte sembrava davvero posseduta da qualche spirito malefico, e I suoi occhi vuoti potevano incutere terrore anche agli esseri inanimati. Alcuni dicevano che quando Ariana gridava le pietre si spaccavano e le piante si afflosciavano, I bambini dovevano nascondersi, le ragazze bisognava che si vestissero di bianco e recitassero tutto il rosario con la finestra e la porta della camera chiusa e I ragazzi spesso li si celava, alcuni li mascheravano perfino da femmine, perchè la furia della bambina che nessuno voleva confessare di udire si sarebbe gettata addosso a loro, per punirli di quello che le avevano fatto quando aveva solo otto anni, e adesso che ne aveva quasi quindici non poteva più frenare quel dolore, non poteva soffocare la vendetta sotto il cuscino. Voleva, doveva ucciderli tutti.

Ma chiunque avesse guardato quell’uccellino morente disteso sul letto, con gli occhi fissi al soffitto a seguire la filigrana di fiori che si profilava fino alla finestra appannata dal freddo, avrebbe sentito le lacrime sgorgare, e si sarebbe seduto al capezzale di Ariana, chiedendosi chi fosse in realtà la bestia, se lei che gridava inconsciamente o quelli che le avevano fatto così tanto male.

Kendra aveva sperato che, visti I miglioramenti della sorella, Albus avrebbe potuto passare un po’ di tempo con loro, magari per infrangere quel silenzio innaturale, doloroso, che riempiva le ore lente e inesorabili in cui Ariana non voleva parlare, o in cui non gridava ossessivamente. Quelle erano di certo le eternità peggiori per il cuore della madre, perchè non poteva negare che le ceneri di quella famiglia le stavano sfuggendo, rimanevano solo I suoi ricordi, le ore trascorse a passeggio con Percival, accarezzando il pancione in cui Albus si stava formando lentamente, amore, sarà il bambino più bello del mondo, oppure le passeggiate con Aberforth verso I campi di grano, guardate madre, quei folletti ci stanno derubando! Oppure quelle giornate trascorse a pettinare I capelli della piccola della famiglia, a creare mille acconciature, a farle I ricci o le trecce, bambina mia, quale preferisci oggi?sorridere sapendo che sarebbe restato così per sempre.

Ma Kendra si era dovuta smentire: nulla poteva rimanere immutato. Purtroppo.

Aveva aspettato per giorni la risposta dei suoi figli, che si erano fatti grandi, e Albus era davvero un ragazzo meraviglioso, intelligente e pieno di amici, mentre Aberforth si stava facendo un uomo dalle spalle larghe e dagli occhi foschi, che non sapeva amare alla maniera dei rampolli delle famiglie nobili, un po’ come il suo povero Perce, che si rattrappiva in prigione ma lei gli voleva lo stesso bene, quel genere di uomini che sembra possano strangolare una donna in un abbraccio ma che sono I più sensibili e fedeli e possessivi che esistano. Aveva atteso, mostrando le foto consumate a furia di sfogliarle e far scivolare il dito di Ariana sui visi dei suoi fratelli, quando lei non li ricordava o chiedeva di vederli e loro non c’erano e la ragazza poteva rammentare un passato sfuggito solo in quel modo scarno, decisamente triste. Aveva atteso Kendra, e per ore aveva pianto, perchè il giorno del compleanno lo aveva passato da sola, a convincere Ariana che quell’ombra non fosse un brigante, che no, non volevano farle del male, tutt’altro, era solo un gioco di luci, quel profilo grigiastro disegnato sui fiorellini della carta da parati era solo una proiezione, non doveva piangere, non doveva gridare, perchè si stava strappando i capelli, perchè non voleva ascoltare sua madre? Ariana era di nuovo caduta in un sonno inquieto, una passeggiata tra gli spettri della sua infanzia, a tratti rallegrato dalle carezze di Aberforth, a tratti denso degli sguardi di Albus, perchè diavolo la stava osservando?, lei non lo sapeva, ma la cosa le dava da pensare. Ma non aveva da pensare, perchè lei era una.. come l’avevano chiamata quei ragazzi, tanto tempo prima?

Una strega. Si, lo era stata forse. Ma adesso era solo un corpo vuoto, fragile e pallido. Adesso che si stava spegnendo e perdeva le forze, mentre sua madre piangeva e quelle lacrime le causavano crisi isteriche. Perchè sua madre stava piangendo? Lei non lo sapeva, così come non aveva capito che avere poteri magici fosse un crimine, non aveva mai capito nulla della vita, per questo aveva deciso di affrontarla distruggendo la realtà, uccidendosi di strida e di calci, implodendo poco a poco, mettendo a soqquadro la casa dalle stanze vuote piena di dolore.

 

Aberforth si era raggomitolato nel suo letto. Come in ogni grande occasione non aveva saputo frenare le lacrime. Pensava a suo fratello e si sentiva esplodere: perchè diamine si comportava così? Albus, perchè sei senza cuore?

A Natale Aberforth era stato a casa, dalla sua adorata sorella. Chissà perchè, ma si aspettava che la sua sola presenza l’avrebbe risvegliata. Si era presentato con delle roselline fresche, appena colte dalla serra della scuola, sotto la concessione della professoressa di Erbologia che per qualche motivo gli sorrideva sempre, con fare materno e lo faceva arrossire. Aveva chiesto a suo fratello se volesse accompagnarlo a casa, ma Albus aveva l’aria di stare su di un altro pianeta, aveva detto di essere impegnato, così il ragazzo si era rassegnato a partire da solo, chiedendosi come fosse possibile dimenticarsi della famiglia nelle occasioni speciali. Aberforth però non lo avrebbe mai detto a voce alta: diamine, lui non poteva mostrarsi debole, romantico! Ma sua sorella aveva bisogno di dolcezza, e un caprone rude come lui non poteva non piegarsi di fronte a quella creatura delicata, Ariana.

La neve quell’anno non era ancora caduta, ma il cielo terso dava l’impressione che avrebbe messo in scena un putiferio. La carrozza aveva piegato velocemente verso Godric’s Hollow, fermandosi poco distante dalla casetta dei Silente. Aberforth era sceso, assaporando l’aria incantata del borgo a Natale: per quanto lo detestasse era pur sempre bello, tornare a casa e avere un bagaglio di ricordi che cascando all’improvviso, si apriva riversando addosso le giornate dell’infanzia. Per il tragico incidente, Aberforth aveva portato un bagaglio a parte, in modo che I bei tempi non si macchiassero di marcio, delle sue mani sanguinanti, della furia pazza che gli era montata in corpo e delle urla di sua sorella, del suo corpicino bagnato di sputi e pieno di lividi, delle lacrime di Kendra e della bacchetta infranta di Percival, del fratello con il libro aperto e senza parole da rivolgere alla famiglia, già, quel fratello che non aveva mai amato I suoi parenti, troppo normali, troppo insulsi, troppo compromettenti, perchè tra un padre fuorilegge, una madre depressa, un fratello violento e una sorella trasparente non avrebbe avuto nulla di cui vantarsi, poteva fingersi umile, inumidirsi le ciglia, in modo che le ragazze volessero consolarlo e I professori elargirgli favori e trofei. Aberforth si decise a dimenticare quelle sue opinioni, per il bene della madre. Per Ariana. Quando sfiorò il battente, un brivido lo percorse raggiungendogli le ossa: sua sorella stava strillando.

Entrò, battendo come un pazzo contro la porta, giusto in tempo per vedere la sua dea sbattere a terra Kendra, saltarle addosso, graffiandola, mordendola, furiosamente. Aberforth si era sentito morire, ma aveva deciso di mantenere il sangue freddo, così aveva afferrato Ariana per la schiena, incurante dei calci e dei pugni che gli avrebbe assestato e fece in modo di liberare sua madre dalla morsa assassina in cui stava soffocando. La donna recuperò lucidità in un baleno, cosa che fece presagire al ragazzo che quella scena si fosse ripetuta diverse volte, con la stessa tragica foga, e poi anche lei, con le rughe appesantite sul viso, aveva aiutato il figlio nel mettere a letto Ariana, darle un calmante ed osservare le convulsioni scemare, fino a ritrovarla febbricitante e stupita, un uccellino appena nato in balia del vento.

Si erano seduti a tavola, Kendra aveva cercato di rendere la casa confortevole, ma assomigliava al mausoleo del tempo andato, e Aberforth avrebbe preferito morire piuttosto che osservare quella donnona rattrappirsi, a furia di ingoiare dolore e frenare le lacrime. Ma lui non poteva ancora tener fede a quella promessa che si era fatto,

Quel ricordo gli faceva intendere perchè Albus non volesse ritornare lì dove gli orrori si susseguivano senza mai lasciar a riposo I Silente. Lo poteva capire, forse, ma di certo non lo apprezzava. Anzi, lo odiava sul serio perchè Kendra e Ariana non si meritavano la sua noncuranza. Sapeva solo passeggiare con la sua ristretta cerchia di eletti, perchè di amici ne aveva fin troppi, ma il circolo scipionico era una sorta di setta riservata a pochi scelti, e spadroneggiare per la scuola, beccarsi con qualche Serpeverde una volta ogni tanto, ma poi a finire nei pasticci era sempre il fratello rude, non il perfetto primogenito dal naso aquilino e dall’intuito quasi infallibile.

Così quando Albus entrò nel suo dormitorio, con la faccia ammorbidita da un sorriso smagliante, gli parve che stesse gettando fango sul nome della famiglia. Gli prudevano le mani, come tutte le volte che doveva difendersi e dar pugni. << voglio solo parlarti >> sussurrò Albus, imperterrito.

<< va’ al diavolo >> disse lui, di rimando.

Albus si era sistemato in un cantuccio della stanza chiusa, cercando nella penombra delle parole per spiegarsi. Lui che ne aveva sempre fin troppe adesso le aveva smarrite tutte.

<< ho intenzione di partire dopodomani, per restare fino al settimo anno a casa. Da Ariana e nostra madre. Ho intenzione di lavorare a Godric’s Hollow, di scrivere per I giornali e proporre le mie idee. Magari mi brevettano qualcosa e possiamo comprare con quei soldi un regalo a nostra madre, un soggiorno in qualche clinica specializzata per Ariana… ho sentito dire che in Francia ce n’è una in cui solo I Purosangue possono entrare, o per lo meno, solo loro teoricamente possono permetterselo… >>

Aberforth scattò in piedi << quindi tu vorresti porre fine ai nostri problemi con un gioiello per la mamma e un viaggio di sola andata per Ariana? Vuoi mandarla da uno.. >> abbassò il tono << strizzacervelli, questo vuoi Albus? >>

Il giovane scosse il capo << non mi vuoi capire! È come parlare con un muro, Ab. Voglio solo fare qualcosa per lei >>

<< lei voleva che noi fossimo a Godric’s Hollow, oggi, con una torta e un fiore appassito in mano, con un sorriso, che non costa nulla, e qualche favoletta per cullarla quando mamma l’avrebbe portata a dormire! >>

Albus scoppiò a ridere << e una volta che ce ne fossimo andati, cosa sarebbe cambiato? Lei soffre nel vedere partenze ed arrivi in continuazione… non abita in un porto, si sentirebbe usata! >>

<< tu non sai nulla di nostra sorella! Sei così dentro quei tuoi libracci che non ti accorgi di quello che la gente dice di lei, di me, di te, nè ti interessa che nostra madre sia sfiorita in pochi anni, ed ora assomiglia ad una vecchia quando non ha neanche quarant’anni, non ti importa di allontanare Ariana da casa, perchè è per il suo bene, giusto? E magari, quando quei babbani saranno stanchi di aizzarsi l’un l’altro e cominceranno la guerra vera e propria la lascerai come ostaggio ai vincitori, così potrà capire come va il mondo, eh?? >>

<< stai divagando, fratello >> disse Albus, con il viso annoiato << non vuoi capire proprio. Ho parlato con il preside e mi ha accordato il permesso di poter dare gli esami questo giovedì. Sono già preparato, e partirò per Godric’s Hollow sabato sera. Baderò io alla famiglia, mentre tu ti affannerai sui G.U.F.O >> e detto ciò uscì, lasciando Aberforth a tirar pugni contro il materasso e a maledire il mondo, a bestemmiare contro chi aveva fatto franare il loro piccolo paradiso personale.

<< avrebbero dovuto farlo a me, non a lei >> sussurrò Albus, quando fu sicuro che nessuno lo udisse, lo cantò al firmamento, a quelle stelle amare che lo avevano beffato da sempre. Lui era diverso, e ne era ben conscio.

 

Se qualcuno avesse chiesto a Gridelwald dove si trovasse il paradiso, lui avrebbe gridato ai quattro venti Hogsmeade senza alcuna esitazione. Perchè in quel borgo per soli maghi, lontano dal tempo e dalle sue angherie, sembrava che una festa eterna, una fiera sfarzosa e allegra, regnasse sovrana. Dopo tutti I contadini morti per la fame, gli attacchi di panico chiuso in celle fredde, ad aspettare che gli eserciti smettessero di far razzia o violentare le donne della propria famiglia, o a star nella stalla, mentre fuori infuriava la tempesta, e dover rimanere immobile, nel buio, tra lo sterco e l’odore ammorbante della morte, spirito che mai lo abbandonava, sembrava quello l’ombelico del mondo, dove non c’era da temere per la fame, dove il sole splendeva sul serio e non per pura convenzione, e I soldi non mancavano così come il cibo, e di eserciti vi erano solo le schiere di giullari e allegre danzatrici, che lanciavano nell’aria volantini inseguite dai bambini e dai ragazzi dal viso in fiamme. Sembrava una grande giostra circense, e Grindelwald si chiedeva quando sarebbero apparsi I cavalieri e le dame, costeggiando la stradina, agguantando una copia della Gazzetta del Profeta, il giornale più in voga della nazione magica inglese. Gli veniva da ridere, se ripensava alla sua camera puzzolente, dove gli amanti del pettegolezzo avrebbero potuto farsi quattro risate, giocando a indovinare con chi si accompagnassero le ragazzine, dall’altro capo del cartongesso. In quel mentre, una carrozza dall’aria ufficiale stava scendendo dal pendio più remoto che si poteva intravedere dalla larga strada maestra, ininterrotta, sebbene ci fossero così tante buche da far invidia ad una talpa. Dietro le cortine rosse e dorate un ragazzo dagli occhi d’un azzurro intenso, come l’oceano in un giorno di sole si godeva gli ultimi momenti di libertà, prima di riportare a casa le sue conoscenze, la sua pagella piena di eccezionali. Riportava I saluti di Bathilda a Ariana e alla cara Kendra e la promessa di rivedere presto Elphias Doge per una scampagnata, le lacrime di Minerva, che aveva deciso di comportarsi con dignità, senza addii teatrali, ma che poi aveva dato il via ad un melodramma vero e proprio nell’intimità delle sue stanze. Aberforth non aveva voluto salutarlo, la torta di compleanno l’aveva fatta marcire, e se le era date di santa ragione con quella testa calda di Hoggins, un Serpeverde dell’ultimo anno delle fattezze di una balena tanto per smaltire la rabbia. Era così simile a Percival… Albus lo invidiava, perchè anche lui avrebbe dovuto essere brutale almeno un pochino, magari non avrebbe mostrato in pubblico quel suo lato, ma ad averlo qualche volta si sarebbe risparmiato le lacrime e le nottate insonni. Lui non odiava gli uomini, nonostante gli orrori trascorsi e non amava le donne, le rispettava troppo per poterle usare, o corteggiare. Quelle cose erano tutte finzioni, l’amore cos’era se non la più grande burla del mondo? Era un sentimento che non conosceva e forse non voleva conoscere, perchè nessuno avrebbe amato un animo come il suo, troppo saggio per un adolescente, nessuno poteva capire cosa significasse sentirsi fuori posto, non sapere cosa farsene con quella strana bellezza che ammorbidiva le sue fattezze, di quel coso che occupava le sue mutande, che a volte non voleva nemmeno dargli retta, si comportava come se avesse vita propria, facendogli scordare perfino delle sue disgrazie. Albus aveva sospirato tristemente: che essere imperfetto l’uomo! Ma poi non aveva smarrito il sorriso, quella capacità di non perdere il coraggio nemmeno di fronte alla morte certa gli sarebbe servito ad accettare con ironia tutti quegli avvenimenti che avrebbero segnato per sempre la sua esistenza. Quel sorriso un po’ ironico un po’ triste, enigmatico alla stregua del famoso cenno della Gioconda, non lo avrebbe mai abbandonato.

Improvvisamente la carrozza si fermò. Albus fece quasi un capitombolo, non era abituato a viaggiare con I mezzi babbani, non a sedici anni quasi diciassette, nella meravigliosa speranza di potersi smaterializzare entro pochi mesi, per questo scese tutto ammaccato e con il voltastomaco e maledicendo a mezza voce il cocchiere d’occasione.

<< cosa succede, messere? >> chiese Albus, sorridendo amabilmente. Il cocchiere, un uomo dal capo spelacchiato e con due folti mustacchi sulle labbra indicò la strada senza replicare se non con gesti. Un cartello annunciava che le strade sarebbero state inagibili fino alla sera. << beh, allora non mi resta che adattarmi >> sospirò il ragazzo, alzando le spalle. Si congedò dal cocchiere, che sarebbe tornato a prenderlo solo nel tardo pomeriggio e decise di non perdere tempo rimuginando su quanto potesse esser sfortunato uno come lui, anzi, si sarebbe goduto al pieno quelle ore di libertà. In fondo se non poteva esser felice alla sua età che vita miserabile sarebbe stata? Così si diede alla pazza gioia, dimenticando di dover risparmiare un po’ di denaro per quella clinica particolare di cui aveva sentito parlare, ricacciandosi nello zaino I dolci di Mielandia, un locale luminoso in cui le bancarelle trasudavano di zuccheri, leccornie di ogni genere, per poi fare un salto nella biblioteca dei Burbage poco distante al gioco degli scherzi di Zonko, il locale più matto della città. Quando ebbe mangiato dolci a sazietà, dopo aver duettato con il vecchio proprietario della biblioteca sui versi di un babbano famosissimo, William Shakespeare, ed aver lasciato una serie di articoli nella redazione della Gazzetta del Profeta, che aveva aperto una filiale in una casetta sbilenca nel vicolo più squallido della cittadella, Albus sentì che non avrebbe potuto più frenare la fame, così decise di cercare in quel borgo in cui le donne potevano passeggiare senza essere importunate e I maghi si levavano il cappello con la galanteria d’altri tempi, e I bambini e gli anziani camminavano dolcemente, l’uno svelando all’altro I misteri del mondo, l’altro sorreggendo il primo con dolcezza e ammirazione, una tavola calda che non gli spillasse più soldi del dovuto. Gli fu chiaro che ai Tre Manici di Scopa, un locale che da poco aveva aperto per la gioia degli adolescenti sfaccendati, non c’era posto per lui: in effetti quel ristorante era troppo affollato, e lui troppo solo per potervisi divertire. Era tutta un’altra storia, a braccetto con la vecchia Bathilda, seguito da Minerva e dal caro Elphias, che sapeva sempre sgraffignare dalla scuola un pacco di gelatine tutti I gusti più uno da sgranocchiare mentre aspettavano i boccali di burrobirra. Così decise di correre a ritroso verso il confine di Hogsmeade, sorridendo come un pazzo del sole nel cielo, della strada bloccata che gli aveva regalato quelle ore di allegria. Giunse fino ad un locale che era stato aperto nella seconda metà del 1500, la Testa di Porco, in cui si diceva che trovassero l’estro artisti melensi e gli spiriti di storie da dover narrare che nessuno fino ad allora aveva accettato di ospitare nella mente e nel cuore, trovavano ascolto, diventavano personaggi reali, con vita e sentimenti visibili. Era anche locanda di sberle e di pugni, di sbronze da capogiro e di amori acerbi, un luogo in cui Albus incontrava il sapore della storia del mondo, e per un attimo capiva Bathilda e I suoi occhi lucenti quando si parlava del passato. Il ragazzo però non poteva che ammirarlo da lontano, ma non invidiarlo: ricordarsi di ciò che era stato per lui non era lecito, faceva male, preferiva non pensarci, era meglio continuare così, seguire il tracciato rettilineo che si era imposto di percorrere. Mentre rifletteva su questo, si ritrovò di fronte all’insegna arrugginita, marcia e ricoperta di una strana muffa verde della Testa di Porco. Con un sorriso che gli illuminava perfino lo sguardo aprì il portone, salutando garbatamente e socchiudendo gli occhi, sorpreso dalla penobra che avviluppava l’ambiente interno: quattro tavoli rosi dai topi con sgabelli abbinati, mezzi zoppi decisamente fatiscenti, muri che sembravano fossero macchiati di olio, tappezzati di incisioni, quadri, forse a nascondere i buchi nelle pareti dai quali penetrava il freddo e rendeva l’ambiente un frigorifero pure d’estate. Le finestre erano ottenebrate da tendaggi violacei, solo un filo di luce poteva penetrane all’interno, interrompendo il dominio continuo della notte. Albus notò che il locale era apparentemente vuoto, ma quando si accasciò su una seggiola del bancone, premendo con l’indice sul piano levigato e guadagnandosi una scheggia, sorridendo della polvere che si era depositata sulla sua pelle rosea e poi aprendo il libro appena acquistato e una bustina di caramelle, si rese conto che un ragazzo dalla pelle olivastra, scuro e pensieroso lo stava osservano dall’altro capo del bancone. Albus finse indifferenza, prendendo a sfogliare con decisione quel libro, sempre percependo gli occhi scuri dello sconosciuto sul corpo.

Strano, pensò il giovane, inizialmente quel viso olivastro, color della notte, non lo aveva notato, perchè gli era parso parte integrante delle tenebre. Apparve in quel dunque un vecchio inserviente, senza denti ma non per questo incapace di sorridere: si chiamava Matthew, ed era il proprietario del locale che amministrava con l’aiuto del figlio Anthon. In comune I due, avevano solo il cognome, perchè se il primo era solare e cozzava con le tenebre in cui era avvolta la stanza, il secondo era silenzioso, ed andava d’accordo più con le portate da preparare che con I clienti. Matthew stava invecchiando, e tante volte aveva proposto al figlio di prendere le redini dell’ azienda di famiglia, ma l’altro aveva scosso il capo, non era la sua strada, lui voleva solo specializzarsi nell’arte culinaria. Matthew allora aveva cominciato a cercare negli sguardi dei ragazzi che si fermavano a quella mensa il suo degno erede. Aveva conosciuto Aberforth e da quel momento, scorgendo I suoi modi un po’ rudi, decisi, forti, indomabili, aveva visto in lui un grande uomo d’affari, magari avrebbe potuto fare gavetta con quel locale. Perchè la Testa di Porco, per quanto vecchia e ammuffita, non poteva chiudere. Era un patrimonio nazionale, un pezzo di storia.

Quando Matthew vide Albus lo salutò allegramente, scorgendolo un po’ preocupato e con un sorrisetto falso sul viso, gli offri da bere, mentre lui sceglieva qualcosa per pranzo.

<< e dimmi, come sta tuo fratello? E la vecchia Hogwarts continua ancora a combattere? Ah, I bei tempi della mia giovinezza, quante ragazze ho baciato! >>

Albus scoppiò a ridere, e rimase colpito nel sentire una risata profonda giungere da poco distante, da quello sconosciuto dagli occhi foschi. Vedendolo partecipe, il ragazzo non si sentì più uno spione e potè osservare l’altro apertamente. Aveva capelli color pece, occhi truci e pesanti, che potevano raccogliere in uno sguardo il cielo della tempesta. La pelle era olivastra ma fresca, forse erano coetanei, e per di più un naso marcato segnava il suo profilo, un segno che bene si armonizzava alla mascella, dandogli un fascino che in Albus non si poteva rintracciare. Anche lui, a detta di Bathilda però non era propriamente orrendo: I suoi capelli ricci e lisci erano raccolti in una coda morbida che gli conferiva un’aria da saggio, e aveva occhi dolci e comprensivi, da buon confidente, occhi che sapevano a tempo debito far tremare la voce e le gambe.

<< ehi ragazzo, cosa fai lì in quell’angolo buio del locale? Vieniti a sedere qui, vicino a noi! È sempre bello fare nuove conoscenze, e tu mi sembri un viaggiatore che ha visto mille soli diversi >>

Grindelwald grugnì, strozzandosi con un po’ di birra << e voi dovete aver visto l’intera umanità da quel bancone, signore, se ritenete di saper leggermi solo con uno sguardo, signore >> replicò con un sorriso. Aveva denti candidi, che risplendevano nel buio del primo meriggio. Nonostante la nota polemica, che Albus notò in quella replica apparentemente cordiale, lo sconosciuto seguì l’invito dell’oste, e si sedette poco distante da Albus. Chissà perchè, ma Silente si sentì come in trappola, e smise di ingozzarsi di caramelle, facendo cadere lo sguardo sul suo libro nuovamente. Matthew sorrise e aprì le finestre << diamine, facciamo entrare un po’ di luce! Mio figlio e le sue fissazioni! È convinto che abbiano tassato perfino il sole! Beh, io devo andare a prepararvi da mangiare, sennò non saprò come cacciarvi da qui. Tra cinque minuti vi porto da mangiare. Voi non siate timidi, socializzate! È quello che ci resta, in questi tempi tremendi >>

Grindelwald mosse il suo boccale nell’aria, brindando alla salute del vecchietto. Albus sorseggiò a sua volta un po’ di burrobirra. L’aria era improvvisamente rovente, o forse stava capitando di nuovo? Si stava sentendo in… imbarazzo? E per chi? Per uno di cui non conosceva nemmeno il suo nome.

Grindelwald si volse e fece cozzare I boccali per una frazione di secondo. Albus rimase stupito, ma non seppe cosa dire. Doveva essere arrossito, cosa che gli capitava raramente, e non senza apparente motivo. << è bella la vostra nazione >> sussurrò rocamente quel giovane, strascicando la voce con il suo accento pesante, nordico, troppo duro. Era la voce di un generale quella abbinata agi occhi color petrolio. Albus bevve un altro po’ di birra. Non sapeva cosa dire. Sorrise semplicemente << in molti lo pensano. Io però farei di tutto per cambiarne la mentalità >>

Grindelwald si grattò il naso, osservando il soffitto << quanto pensi sia vecchia questa catapecchia? Mi fa rimpiangere quasi casa mia >>. Silente lo guardò con un sopracciglio alzato. Grindelwald scoppiò a ridere << voi inglese e le vostre sopracciglia mobili. Ho provato ore a copiarvi, ma non ci riesco proprio. Mi sentirò dei vostri solo quando sarò in grado di farlo muovere per la fronte a mio piacimento >> poi si ricordò di non essersi nemmeno presentato. Gli porse la mano, sorridendo con quei grandi occhi foschi << mi chiamo Gellert Grindelwald e ho ottenuto una borsa di studio dalla mia scuola di Dumstrang. Ho finito gli studi per quest’anno e credo che per un po’ resterò qui sulla vostra isola. Mi manca solo un anno prima dei MAGO >>

<< beh, benvenuto allora! >> prese la mano tra le sue. La prima era callosa, indurita dalla guerra. Mani di adulto. La sua sembrava pasta per il pane, così soffice e delicata. Solo un minuscolo callo, dovuto al modo sbagliato di reggere la piuma, si era insinuato nella cavità laterale del suo dito medio, ma comunque non era nulla di cui vantarsi, non c’erano storie legate che avrebbe potuto narrare ad un pubblico << io sono Albus Silente, piacere mio. Beh, anche io ho una borsa di studio e sto ritornando a casa da Hogwarts. Anche io sono al sesto anno >>

Gellert annuì << è una coincidenza alquanto strana che due studenti si ritrovino in una baracca del genere e che abbiano ordinato lo stesso cibo per pranzo >> osservò, quando Matthew tornò con due piatti identici per loro. << già >> commentò l’altro ridendo << chissà se la pensiamo ugualmente sul mondo? >>

Ma non pensavano nello stesso modo. O meglio, entrambi avevano grandi progetti per il futuro. Uno voleva costruire, l’altro distruggere. Uno voleva ricongiungere I cocci, l’altro voleva spazzarli via. L’uno si sarebbe innamorato, l’altro avrebbe finto per non perdere un sostegno contro le avversità. O forse, aveva amato solo a modo suo. In quella locanda che un giorno avrebbe visto Aberforth invecchiato e ingobbito pulire I bicchieri senza convinzione, perchè del resto non avrebbero mai brillato quei dannati boccali, dove I due giovani si sarebbero incontrati tante altre volte l’uno felice come in paradiso,l’altro con sul volto la febbrile follia delle sue idee, qualcosa era appena sbocciato. Un interesse timido da un lato e curioso dall’altro. Non sapevano cosa potesse essere quella forza che li aveva fatti incontrare. Era da approfondire, pensarono entrambi, quando vollero scambiarsi gli indirizzi, e Albus, salendo sulla carrozza molte ore dopo, pregò Gellert di potersi recare lui nel palazzetto degli amori proibiti, perchè in casa sua aveva la madre che soffriva di salute, mentì. Non voleva che quel giovane dovesse conoscere Ariana. O Aberforth.

<< certo, ci vedremo presto. Hai delle buone idee, Albus Silente >>

Si, idee fasulle, che lui non condivideva. Aveva detto una seconda bugia. Per parlare con quel misterioso cavaliere finito per studi nella sua terra aveva detto senza pensarci << per me I babbani dovrebbero essere usati come elfi domestici >>. Che grande cazzata.

Albus sbattè la testa contro la tappezzeria della carrozza, mentre la luna piena occupava il cielo illuminandolo dolcemente, ripensando alla giornata appena trascorsa. Chi era quel giovane inciampato nella sua vita? Non lo sapeva, solo Gellert Grindelwald, un ragazzo dalle idee strane e dagli occhi crudeli. Occhi misteriosi. Occhi affascinanti. Quegli occhi che non lo fecero dormire per molte notti, nell’attesa di poterli rivedere.

Continua… bene, che ve ne pare come terzo capitolo?????


  
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