NdT:
devo chiedere a tutti coloro che seguono questa storia un immenso scusate il ritardo, come ho
già detto
per DYR non sono riuscita a ben organizzarmi tra la mia sessione
d’esami e la
maturità altrui. Ma rieccoci qui, al terzo capitolo,
procediamo piano ma alla
fine stiamo procedendo. Il vostro feedback è dolcissimo e
non mancherò di
riferire ad angelofcaffeine quello che scrivete su ogni capitolo,
nonostante
lei cerchi di seguire pur non capendo un’acca di italiano
(non è una cosa
dolcissima? ♥). Non manco di ringraziare anche coloro che
hanno inserito la
traduzione tra le preferite/ricordate/seguite, molte volte silenziosi
ma
altrettanto importanti.
Poco altro da aggiungere, se non che @nameless
colour sarà sempre una delle mie eroine personali
per aver betato il
capitolo.
Buona lettura!
Link
al terzo
capitolo
Le New
Directions vinsero alle Regionali.
Kurt
avrebbe dovuto concentrarsi sui suoi amici, ridere
all’entusiasmo di Rachel e
prestare attenzione al racconto al racconto di Mercedes
dell’intera serata,
invece si ritrovò ad aspettare un messaggio che sapeva
sarebbe arrivato.
Penso
che la tua voce suonasse come quella
di uno scoiattolo strafatto di elio, ma mazel tov (=congratulazioni.
NdT) per
l’inaspettata vittoria.
Kurt
sbuffò, attirando un’occhiata curiosa di Mercedes,
dunque rispose: La gelosia ti dona. Comprami
un caffè per
questa vittoria, Lunedì. Il caffè è la
bevanda dei campioni.
Ignorò
risolutamente qualsiasi altro messaggio che aveva ricevuto durante la
strada verso
casa, così decise di stringere la mano di Mercedes e
intonare con Puck e Sam
‘We Are the Champions’.
Era
stata una settimana perfetta. Kurt aveva incontrato quattro volte
Sebastian
dopo scuola – tre volte per fare i compiti e un’ora
a stare seduti a parlare
delle Regionali, durante la quale il giovane fu piuttosto insultante,
ma non
sembrava arrabbiato – e la scuola sembrava un posto migliore,
ora che non
sentiva più il bisogno di evitare Blaine come fosse la peste.
Non durò
molto.
Infatti,
l’ottimismo di Kurt venne buttato giù bruscamente
alle 2.48 di Domenica notte.
Si
svegliò sentendo la suoneria del cellulare – era
di quel tipo di suoneria che
sceglieva per le persone che non gli ispirassero una canzone
– e inizialmente
aveva osservato il cellulare prima di guardare lo schermo. Il nome
SMYTHE
lampeggiò di fronte a lui. Kurt rispose più che
altro per curiosità.
“Bastian?”
rispose, affondando nuovamente col viso nel cuscino. “Le tre
di notte. No.”
Ci fu
una lunga pausa dall’altro capo del telefono, tanto che si
domandò se il
giovane l’avesse chiamato per sbaglio. Dunque, con voce
appena distante,
Sebastian disse: “Posso chiederti un favore?”
Kurt si
era messo a sedere prima ancora di sapere di cosa avesse bisogno.
“Cos’è
successo?” domandò.
“Beh,”
rispose l’altro, suonando distante, appena senza fiato.
“Sto cercando di tenere
lontano mia sorella dal commettere un crimine. Il che sarebbe normale,
non
sarebbe... tecnicamente la prima
volta.”
“Cosa?”
domandò Kurt, troppo assonnato per capire. “Quale
crimine? Sei ubriaco?”
Sebastian esitò, il che
costituiva una risposta sufficiente. Riusciva a sentire il rumore delle
macchine
che passavano di sottofondo. “Sebastian, dove sei?”
Sebastian
sospirò. “Sono bloccato,” ammise.
“Vi ha la mezza idea di saltare in auto e
venirmi a prendere. Preferirei che, sai... che non lo facesse. Del
tutto.”
Kurt si
sfregò gli occhi. “Mi stai chiedendo di venirti a
prendere?” domandò, cercando
di mantenere viva la conversazione. “Dove sei? Riesci a
vedere un cartello da
qualche parte?”
Era
fuori dal letto e aveva infilato la giacca prima ancora di capire
completamente
cosa stesse facendo. Quando giunse alla porta d’ingresso,
guardò la casa al
buio e si chiese se dovesse avvisare qualcuno su dove stesse andando
– e
dunque, con un sospiro, decise che era meglio non far preoccupare
nessuno.
Continuò
a tenere il cellulare premuto contro l’orecchio mentre
guidava. Non era una
cosa che faceva spesso, era più che cosciente dei rischi
sulla sicurezza, ma
c’era qualcosa nell’idea di Sebastian ad aspettare
solo al buio che gli faceva
tenere la linea.
“Kurt,”
lo richiamò il giovane dopo molti minuti di silenzio.
“Io... c’è un’altra
ragione perché non voglio che Vi mi venga a
prendere,” ammise.
“Hm?”
rispose,
cercando di concentrarsi sulla guida.
Sebastian
respirò rumorosamente, e ciò giunse a Kurt come
un momento di silenzio statico.
“Non voglio che tu dia di matto.”
Aggrottò
la fronte. “Perché dovrei dare di matto? Non sono
abbastanza sveglio per farlo.”
“Potrei
essere un po’ ammaccato,”
ammise il
giovane.
Kurt si
mise diritto così velocemente che quasi lasciò
cadere il cellulare. Boccheggiò
silenziosamente per un momento, dunque respirò come in un
risucchio forzato.
“Perché... perché dovresti essere
ammaccato?”
La pausa
dall’altro lato fu troppo lunga. Cominciò a
guidare più velocemente.
“Io,”
cominciò Sebastian, poi esitò di nuovo.
“Sono stato trascinato in una rissa.”
Kurt si
morsicò il labbro, cercando dal lato della strada in cui
supponeva di doverlo
vedere, dunque tentò disperatamente di non andare troppo nel
panico. “Ti hanno
trascinato in una rissa,” ripeté.
“Sebastian, qua... qua non ci sono clubs,”
gli fece notare. “Dov’eri messo?”
“Scandals,”
ammise il giovane. “Mi sono ritrovato in una rissa con quello
che doveva
accompagnarmi a casa. Non... non è stata la mia idea
migliore.”
“Tu hai
solo cattive idee,” sbottò. “Tu sei la
tipica persona che ha solo cattive idée.
Dio mio, quanto sei messo male?”
Sebastian
soffocò una risata. Non suonava molto divertito.
“Sono una persona dalle idee
brillanti. Solo, non posso evitare alle persone di essere
stronze.”
Kurt
represse un insulto, insieme a una domanda, troppo spaventato per
farla.
Invece, continuò a guidare, gli occhi sgranati e le spalle
rigide.
Sebastian
non mentiva quando aveva detto di essere ammaccato.
Kurt era
fuori dalla macchina senza nemmeno darsi tempo di parcheggiare.
Riappese al
telefono e lo abbandonò nella tasca della giacca, dunque
prese il volto del
giovane tra le mani, sollevandolo perché potesse vederlo
alla luce del
lampione. Un livido scuro partiva dalla guancia, andando dallo zigomo
alla
mascella.
“Oh
Gesù,” soffiò Kurt, cercando di essere
delicato. “Ti sei scontrato con qualcuno
armato di mazza?”
Sebastian
lo fissò, gli occhi appena lucidi per l’ebbrezza,
dunque disse: “Lo sai che i
tuoi occhi sono... complicati?”
Kurt
sbatté le palpebre. “Oh, grandioso,”
commentò tra sé, dunque spinse il giovane verso
la macchina. “Entra. Non vomitare.”
Sebastian
barcollava giusto un po’ mentre camminava verso la macchina,
ma era abbastanza
da fargli capire quanto fosse ubriaco. Il sollievo per averlo trovato
non aveva
comunque allentato la stretta che sentiva al petto; entrò in
macchina e
cominciò a guidare soltanto per avere qualcosa da fare.
Con la
coda dell’occhio, vide Sebastian premere il cellulare contro
l’orecchio.
“Vi?”
domandò con voce assonnata. “Kurt è
qui. Sto bene. Torna a dormire.” Si fermò
per un momento, dunque aggiunse: “No, sto bene, sono solo
ubriaco. Sto bene. Torna a dormire,
Viola.”
Chiuse
velocemente, dunque chiuse gli occhi.
“Sebastian
e Viola?” domandò Kurt.
“Veramente?”
Le
labbra di Sebastian si curvarono appena in su. “Te
l’ho detto che Mamma ha un
ottimo senso dell’umorismo.”
Kurt
sbuffò. “Questo non è umorismo,
è solo cattiveria.”
“Mio
padre voleva chiamarmi come suo nonno,” spiegò il
giovane, gli occhi ancora
chiusi. Kurt si costrinse a fissare la strada piuttosto che il suo
volto. “Mamma
ha accettato alla condizione di poter dare al secondo figlio il nome
che
voleva. Fu così finché non vide La
dodicesima notte quando era incinta di sette mesi, e... il
resto è storia.”
“Che
cattiveria,” ripeté Kurt. “Mi dispiace
per la tua infanzia infelice.” Sebastian
schiuse un occhio, facendogli ricordare di dover tenere
gli occhi su quella cavolo di strada.
“Sarà divertente da
spiegare a mio padre, domani.”
Sebastian
sospirò e volse il capo per osservarlo direttamente.
“Potrei andarmene prima
che si alzi qualcuno,” disse, prima di sbadigliare. Kurt gli
lanciò
un’occhiata, osservando il modo in cui le ombre giocassero
sul suo volto (sul
suo livido, e il resto della sua pelle; sugli zigomi alti e sulla curva
della
mascella), dunque scostò lo sguardo.
“No,”
insistette. “Starai da me finché non
sarò pronto a riportarti a casa.”
E
finché non avrò saputo cos’è
successo
stanotte, aggiunse tra
sé
e sé.
Colse il
suo cenno di assenso. Gli lanciò un’ulteriore
occhiata, per poi trovarlo a
fissarlo seriamente. “Complicati,”
ripeté il giovane, pensieroso.
“I miei
occhi, giusto?” domandò, più che altro
per mantenerlo sveglio e parlare.
Sebastian
mugugnò in segno di assenso, per poi cominciare a
canticchiare. Gli parve che
fosse una prova sufficiente del fatto che fosse ancora cosciente,
dunque lasciò
che il resto del viaggio trascorresse in silenzio.
Quando
giunsero a casa, le palpebre del giovane si chiudevano sole e i suoi
movimenti
erano più goffi. Kurt lo portò su per le scale,
nella sua camera da letto,
mettendolo a tacere per tutta la strada, dunque gli fece bere un
bicchiere
d’acqua prima di farlo rannicchiare sotto le coperte.
Quando
Sebastian fu sotto le coperte, mostrando nient’altro che un
ventaglio di
capelli castani scombinati, sospirò, le mani sui fianchi.
Non ancora pronto a
dormire, andò a prendere qualche antidolorifico e altra
acqua per il risveglio,
dunque sollevò le coperte per togliergli le scarpe.
Sedette
qualche minuto, osservando il giovane sotto le coperte. Qualche minuto
più
tardi, si sdraiò a letto e gli diede le spalle.
Gli ci
volle parecchio tempo per addormentarsi.
*
Kurt si
svegliò al suono di uno schiarimento di gola.
Il primo
pensiero fu semplicemente no, ma
quando si spostò per localizzare quel suono si accorse
immediatamente di non essere
solo a letto.
Si
sedette velocemente, strofinandosi gli occhi, e aggrottò le
sopracciglia a
vedere i capelli castani che facevano capolino dalle coperte. Si
sfregò ancora
gli occhi, prima di sollevare lo sguardo su suo padre.
“Oh,”
disse, dunque inspirò profondamente.
“Buongiorno.”
Burt si
poggiò allo stipite della porta e inarcò le
sopracciglia. “C’è qualcosa che
devi dirmi, figliolo?”
Kurt volse
lo sguardo a Sebastian, che stava cominciando ad agitarsi, dunque
sospirò. Si
mise in piedi e si stiracchiò, prima di raggiungere il padre
in corridoio,
chiudendo la porta alle sue spalle. “Scusa,” disse,
dunque tossicchiò. “Scusa
se non te l’ho detto ieri notte. Non volevo svegliarti. Ha
chiamato alle tre,
era ubriaco e a piedi, dovevo andarlo a prendere.”
“Dovevi,
eh?” domandò Burt.
Kurt
sgranò gli occhi. “Papà, era ubriaco
e a piedi,”
sottolineò. “È anche
pieno di lividi – dice di aver avuto una rissa, ma
io...” serrò la mascella,
dunque si passò una mano sulla fronte. “Senti, lo
so che questa situazione non
è l’ideale.”
“Kurt,
c’è un ragazzo nel tuo letto, certo che non
è l’ideale -”
“Un
ragazzo a cui non sono interessato e che non è interessato a
me,” gli fece
presente. “È solo... un amico. Una
specie.”
“Qualcuno
della scuola?” domandò l’altro.
“Qualcuno del tuo glee club?”
Si passò
nuovamente la mano sulla fronte, desiderando di aver dormito un altro
paio di
ore come minimo. “No,” ammise.
“È Sebastian.”
Sulle
prime, il volto di Burt rimase inespressivo, poi lentamente
sembrò capire.
“Intendi dire quel ragazzo che è venuto in
officina con suo padre?” domandò.
“Il ragazzo che hai aspettato e con cui hai flirtato per
mezz’ora?”
“Cosa?”
domandò. “No, io non ci stavo flirtando.
E – comunque sì. Quel Sebastian.” Di
fronte all’espressione severa di Burt,
aggiunse: “Papà, ha chiamato perché non
sapeva come tornare a casa, non potevo
proprio lasciarlo lì.”
L’espressione
dell’uomo si addolcì un po’.
“No, capisco,” replicò. “Ma
avresti dovuto
svegliarmi, io sarei andato a
prenderlo. E avrebbe dovuto dormire sul divano.”
Non
aveva una risposta a quelle parole – perché non
l’aveva mandato a dormire sul divano? – dunque
aveva scrollato le spalle.
“Scusa,” rispose. “Posso tornare a
letto?”
Burt
mugugnò, ancora poco convinto. “Porta
aperta,” ordinò. “Finn e Sam sono in
casa
tutto il giorno, quindi non pensare nemmeno -”
“Papà,” insistette,
le guance che
andavano a fuoco. “Neanche mi piace.
Non siamo veri amici. Io non… non ho -”
“Va
bene, Kurt,” rispose Burt, cominciando a sorridere.
“In ogni caso, figliolo, ti
credo. Torna a dormire.” Si diresse verso le scale, e disse
da sopra la spalla.
“Porta aperta!”
Kurt
grugnì mentre tornava in camera (lasciando la porta aperta,
ovviamente), dunque
sorrise quando Sebastian ricambiò lo sguardo.
“Non sei
messo molto bene,” commentò Kurt, tornando sotto
le coperte. “Come ti senti?”
“Ugh,”
fu l’unica risposta del ragazzo, seguito da una smorfia.
“Gli
antidolorifici sono sul comodino accanto a te,” disse.
“Bevi l’acqua. Poi
dormi.”
Sebastian
fece come gli era stato detto, le mani che tremavano, poi chiuse gli
occhi e si
immerse completamente sotto le coperte.
Erano
faccia a faccia, ma gli occhi del giovane erano serrati. Kurt si
rannicchiò con
le ginocchia al petto e lo osservò rilassarsi lentamente, il
suo respiro farsi
più lieve.
Dormì a
tratti
per un paio di ore, svegliandosi ogni volta che Sebastian si muoveva
sotto le
coperte.
*
Tre ore
dopo che suo padre se ne fu andato, Kurt era sveglio e in ansia. Si era
fatto
una doccia e vestito (dando un’occhiata alla sagoma di
Sebastian sotto le
coperte ogni minuto), aveva recuperato per il giovane un paio di abiti
dalla
camera di Finn dopo avergli chiesto il permesso (e ricevendo qualche
domanda
imbarazzata e subito ignorata dal fratellastro), poi aveva mandato un
messaggio
a Viola dal telefono del fratello per rassicurarla del fatto che stesse
benissimo
Alla
fine, non riuscì a rimandare ancora il momento di
svegliarlo. Era mezzogiorno
passato e la sagoma sotto le coperte si era mossa appena dopo
l’ultima notte.
Si
sedette sul letto e lo scosse dolcemente per la spalla, cercando di
svegliarlo
senza essere troppo invasivo con la sua sbornia.
“Sebastian,” lo chiamò a bassa
voce. “Sebastian, devi svegliarti.” Il giovane
grugnì e si volse, il suo volto
apparve da sotto le coperte. Aprì un occhio abbastanza per
guardarlo. “A meno
che tu non voglia stare nel mio letto tutto il giorno.”
Aprì
anche l’altro occhio, l’occhiata divenne divertita.
“Mi stai offrendo – sei –
io sono... troppo sbronzo per vivere.” La sua testa scomparve
nuovamente sotto
le coperte. Kurt trattenne una risata. “Vattene
via.”
“No,
alzati,” insistette. “Ti preparerò il
pranzo, se ti alzi. Cosa mangi quando hai
un doposbornia?”
“Toast
alla francese,” disse la voce da sotto le coperte.
“O più alcolici.”
Kurt
diede qualche pacca da sopra le coperte. “Mai più
alcolici per te,” disse.
“Alzati e fatti una doccia. Ho qualche vestito per te qui.
Sono di mio
fratello, non preoccuparti.” Sebastian grugnì,
infelicemente. “E quando
scenderai giù, avrò una montagna di toast alla
francese per te.”
Il
giovane scostò le coperte, poi sbatté le palpebre
per qualche momento. “Dovrei
chiamare Vi,” disse, mettendosi a sedere.
“Le ho
già mandato un messaggio,” lo
rassicurò. “Va’ a farti la doccia, ti
sentirai
meglio. Guarda, ho anche uno spazzolino nuovo per te e tutto il
resto.”
Alla
luce del giorno, il livido di Sebastian era più visibile che
mai. Copriva quasi
l’intera guancia. Il giovane stava per sfregarsi gli occhi ma
scostò la mano
velocemente, dunque poggiò le dita sul livido.
Qualcosa
lo fece rabbuiare. Kurt lo mandò in bagno, e
guardò la porta fino a quando non
sentì l’acqua correre.
Al piano
di sotto, Finn e Sam erano nel bel mezzo di una battaglia con due
filoni di
pane.
Kurt
scosse il capo. “Faccio i toast alla francese,”
annunciò. “I pancakes sono
negoziabili. Se volete mangiare qualcosa, allora non siete autorizzati
a
combattere con il cibo.”
“Aw,
andiamo,” disse Finn, guardando tristemente il pane.
“Fa schifo che tu sia un
cuoco così straordinario.”
Mentre i
due ragazzi mettevano via il pane nella dispensa, Kurt
cominciò a raccogliere
gli ingrediente. “Sì, è davvero una
sfortuna per voi,” commentò mentre
sparivano dietro l’angolo.
Si
distrasse cucinando, e alla fine Finn e Sam furono condotti nuovamente
in
cucina dall’odore di cibo.
“Dunque,”
esordì Sam, sedendo al tavolo e sembrando decisamente troppo
entusiasta. “Chi
era il ragazzo nel tuo letto?”
“C’era
un ragazzo nel tuo letto?” domandò Finn.
“È per questo che volevi prestati
degli abiti?”
Scrollò
le spalle. “I miei non gli entrerebbero,” ammise.
“E probabilmente se ne
lamenterebbe.”
“Aspetta,
cosa?” domandò Finn, aggrottando le sopracciglia.
“Hai un nuovo fidanzato? Come
mai non l’ho ancora visto? Pensavo che fossimo
fratelli!”
“Non ho
il fidanzato,” rispose Kurt. “Ho una fastidiosa
conoscenza che è rimasta a
piedi la notte scorsa. E che ora sta attraversando un dopo sbornia,
quindi
cercate di non essere troppo... voi.”
Finn
sembrò per un attimo ferito, e Sam rise. “Oh
è quel
ragazzo?” domandò il biondino.
Kurt
inarcò le sopracciglia, piazzandogli davanti una pila di
toast alla francese.
“Chi è quel
ragazzo?”
“Sai,”
rispose Sam, “Quello con cui prendi il caffè ogni
giorno e che ti manda
messaggi.”
Kurt gli
lanciò un’occhiata raggelante. “Smettila
di parlare con Mercedes del
sottoscritto. E sì, è la stessa persona, ma il
tuo tono di voce implica
qualcosa che non esiste.”
“Oh
aspetta, si tratta di quel Warbler?” domandò Finn,
gli occhi che scintillavano.
“Rachel mi ha detto che sei sempre con lui, e che
è molto carino.”
Sam, la
bocca piena di cibo, lanciò a Kurt un’occhiata
eloquente. “È molto
carino, Kurt?”
“Sì,
Kurt,” esordì una terza voce alle sue spalle.
“Lo è?”
Kurt
chiuse gli occhi per un attimo, dunque si volse a Sebastian con un
sorriso. “A
dire il vero, è un fastidioso stronzetto,” ripose.
“Ecco, toast alla francese.
Mangia.”
“Amico,”
esclamò Finn, mentre Sam sollevava i pollici a Kurt senza
molta discrezione (e
oh, Kurt aveva bisogno di lavargli il cervello con la candeggina),
“cos’è
successo alla tua faccia?”
Sebastian
prese un paio di toast. “Una rissa,” rispose,
fissando il cibo. “Ho bevuto
troppo. Sai com’è.” Cominciò
a mangiare, dunque, prima di volgersi a Kurt con
un veloce sorriso. “Grazie per il pranzo.”
“Ne
arriva altro tra poco,” rispose, sventolando la spatola in
faccia a Finn. “Non
terrorizzatelo. Non importa quanto sia stronzo, è anche un
ospite.”
“Non
volevo,” replicò Finn, suonando ferito.
“Stai qui, oggi? Come ti chiami?”
“Sebastian,”
rispose. “E tu sei?”
La bocca
di Finn era ovviamente piena di cibo quando rispose: “Sono
Finn, il fratello di
Kurt. E questo è Sam, vive con noi.”
“Ciao
Sebastian,” esordì Sam. “Stiamo andando
da Puck a giocare a Mario Kart per un
po’, se volete unirvi a noi.”
“No, amico,” rispose Finn con
veemenza.
“Non invitare Kurt, seriamente.” Il giovane in
questione lo fulminò con lo
sguardo, e Finn sollevò le mani. “Mi spiace, Kurt,
ma non giocherò mai più con
te. Ti diverti a vincere per tutto
il
tempo.”
Kurt
rise, portando loro altro cibo. “Tutto ciò che
devi fare per battere Finn è
avere un minimo di coordinazione mano-occhio. Ma non
preoccuparti,” rassicurò
il fratello. “Non sono interessato a intromettervi nei vostri
giochi.”
Sebastian
era incredibilmente tranquillo mentre mangiava, e Kurt si
ritrovò a mettergli
di fronte altri antidolorifici dopo l’ultima ondata di toast.
“Grazie,”
rispose il giovane. “Tu non mangi?”
Kurt
inarcò
un sopracciglio. “Avete idea di quante calorie avete appena
ingerito voi tre?
Mangerò un po’ di frutta, grazie.”
“Oddio,
sei serio?” grugnì Sebastian. “Ho
cambiato idea. Non parlare, mi fai venire mal
di testa. Potresti essere meno stereotipato, solo per un paio
d’ore?”
Sia Finn
che Sam sembrarono sorpresi; Finn sembrava sul punto di difenderlo, il
che era
alquanto ridicolo di per sé.
“Oh, per
favore,” sbottò Kurt. “Mi hai chiesto
aiuto nel bel mezzo della notte. Potrò
anche essere io quello che sta attento alle calorie, ma sappiamo
entrambi chi è
la damigella in difficoltà dei due.” Si
sciacquò le mani. “O uno scoiattolo
gigantesco in difficoltà.”
“Non
riesco a vivere,” rispose Sebastian. “Posso tornare
a letto e basta?”
Kurt lo
osservò – i suoi capelli arruffati e umidi, il
livido sul volto – e non poté
fare altro che addolcirsi mentre rispondeva, “Certo. Torniamo
pure sopra.”
Sam gli
aveva fatto nuovamente il pollice verso, e Finn sembrava sconcertato.
Mentre
Kurt conduceva Sebastian verso le scale, riuscì a sentire il
fratello chiedere,
“Uh, stanno andando a-? No, vero?”
Apparentemente,
Sebastian sembrò trovare la cosa divertente
perché ridacchiò per tutto il
percorso che conduceva alla camera da letto. Quando entrarono,
comunque, tutto
il divertimento sparì e si rannicchiò sotto le
coperte.
Kurt
scivolò sotto le coperte, al suo fianco, di fronte a lui.
Dopo qualche minuto,
il giovane si volse a imitare la sua posizione. “Mi stai
fissando,” gli fece
notare.
“Mi sto
chiedendo quando mi dirai cos’è accaduto la scorsa
notte,” rispose.
Sebastian
sbatté le palpebre. “Non ti devo una
spiegazione.”
Inspirò
profondamente. “Non devi,” convenne. “Ma
mi sono tirato su dal letto per venire
a prenderti nel cuore della notte, e sono preoccupato.” Si
lambì le labbra e
Sebastian abbassò lo sguardo per osservarle prima di
sollevarlo di nuovo
velocemente. “Se non vuoi parlarne... va bene. So che non
siamo esattamente amici.
Ma sono preoccupato.”
Il
giovane lo fissò per quella che parve
un’eternità, dunque chiese: “Come ti
senti?”
Kurt
aggrottò le sopracciglia. “Uh...”
“Rispondi
sinceramente, poi ne parleremo,” spiegò il giovane.
“Okay,”
rispose. “Ho i piedi gelidi, e probabilmente avrei dovuto
mangiare qualcosa
mentre eravamo al piano di sotto.”
Sebastian
sembrò divertito. “Non intendevo
questo,” rispose, e Kurt si portò le coperte
sotto il mente. “Come ti senti riguardo… Blaine? E
tutto ciò che è accaduto?”
Kurt
aprì la bocca, ma non venne fuori alcun suono.
Osservò la fantasia della
federa, la fronte corrugata, e provò a pensare a come
rispondere a una domanda
tanto brusca. Sebastian voleva ovviamente sentire qualcosa di vero
–
probabilmente qualcosa che lo facesse sentire emotivamente vulnerabile,
al fine
di sentirsi a suo agio a condividere cosa fosse successo la notte prima.
Giunto a
quella conclusione, Kurt si preparò ad essere onesto.
“Mi
sento usato,” disse. Era la prima
volta che lo ammetteva ad alta voce. Si lambì
nuovamente le labbra, osservando le lenzuola piuttosto
che Sebastian. “Non credo che mi manchi, non davvero, non...
sapendo cosa ha
pensato per tutto quel tempo. Ma
sì, mi sento usato.” Sollevò gli occhi
al cielo. “Il
mio primo bacio
e la mia verginità sono state prese da un ragazzo che era
solo interessato a me
perché ero lì.
È
qualcosa di decisamente banale.”
“Il tuo
primo bacio?” disse Sebastian, incoraggiandolo a parlarne
ancora.
“Beh,
avevo baciato Brittany prima, a dire il vero,”
balbettò Kurt, “Ma la prima
volta che un ragazzo mi ha baciato… è stato da
parte del bullo che mi
perseguitava a scuola – la cosa peggiore al mondo.
L’ho fronteggiato urlando a
riguardo e lui mi ha baciato. Ha minacciato di uccidermi se
l’avessi detto a
qualcuno.” Si arrischiò a lanciare
un’occhiata al giovane, i cui occhi erano
sgranati. “Va tutto bene, è tutto finito adesso. Ma
fa schifo
che... non lo so.” Scrollò le spalle. “Ho sempre
creduto che le persone dicessero ‘ti amo’ quando
intendevano realmente farlo. Ho
creduto che Blaine lo provasse davvero.
E... non era vero. E questo
lo sai.” Si sentì improvvisamente strano a
condividere quei pensieri con
Sebastian. “Fa schifo.”
Ci fu
qualche momento di silenzio, in cui Kurt si convinse di non essere
turbato e
sperò aldilà di qualsiasi cosa che Sebastian non
usasse quelle confessioni
contro di lui, poi il giovane si spostò. Sembrò
distendere le gambe, dunque si
schiarì la gola.
“Ho
perso il mio autista designato, la ragazza con cui ero andato al club,
perché
aveva attraccato con il suo ex,” spiegò il
giovane. “Così ho chiesto in girò se
ci fosse un altro autista designato che potesse riaccompagnarmi a
casa.”
Kurt
chiuse gli occhi. “In
futuro,” lo interruppe, “Se rimani a
piedi e la tua altra opzione è un estraneo,
chiamami e basta okay?”
Sebastian
gli lanciò una lunga occhiata, dunque proseguì
nel suo racconto. “C’era un uomo
che stava riaccompagnando a casa due persone. Li ha portati a casa, e
tutto
sembrava andare bene.” Kurt non spinse per avere dettagli
questa volta, lo osservò
solo mentre aggrottava le sopracciglia. “E quindi mi sono
accorto che non
stavamo andando nella giusta direzione, e quando gliel’ho
detto ha accostato.”
“Oddio,”
disse Kurt, incapace a trattenersi. “Sebastian,
ha...?”
“No,”
rispose il giovane. “No, ha
detto cose che preferisco non
ripetere, mi ha preso, e poi gli ho dato un pugno.”
Bene, pensò
Kurt, sperando che quel pugno gli avesse fatto
vedere le stele dal dolore.
“E poi
mi ha colpito in faccia con il gomito e io ho aperto la macchina e sono
caduto
fuori.” Sebastian inspirò a fondo. “Lui
se n’è andato, dunque ho chiamato Vi,
che era a casa di alcuni amici, e che stava per saltare in
un’auto qualunque
per venire a prendermi. Così le ho detto che avrei provato a
trovare qualcuno
che possedesse una macchina. E
conosci il resto.”
“Dio,
Sebastian,” disse Kurt, sentendosi
male. “Dovresti
dirlo alla -”
“Non
essere stupido,” sbottò l’altro.
“Cosa pensi che succederà? Non so nemmeno il
suo nome, e anche se non lo sapessi non farei nulla... sarebbe solo la
mia
parola contro la sua.”
Kurt
sgranò gli occhi. “Non importa, non puoi lasciare
che lui -”
“Gli ho
dato un pugno in faccia, non gli ho lasciato
fare nulla.”
Deglutì.
“Okay. Qualunque cosa tu
voglia, va bene. Solo...
sai come la penso.”
Il
giovane annuì. “Grazie. Per essere venuto a
prendermi.”
“Quando
vuoi,” rispose. “Dico davvero. Non entrare in
macchina di qualcuno che
non conosci. Non puoi fidarti di
loro.”
“Ma di
te sì,” disse Sebastian, e Kurt non era sicuro se
fosse una domanda o
un’affermazione. “TU ti fidi di me,
quindi?”
Non
sapeva cosa rispondere. Non era sicuro che fosse una domanda che
richiedesse
una risposta.
*
Alle
cinque del pomeriggio, dopo un altro paio d’ore trascorse a
dormire e parlare,
Kurt condusse Sebastian a casa. Una giovane con una gonna lunga sino ai
polpacci e un’alta coda di cavallo uscì di casa
nello stesso momento in cui
Sebastian scendeva dalla sua macchina, lo avvolse in un abbraccio prima
di
osservare il livido sul suo volto.
Kurt
avviò l’auto quando Viola abbracciò il
fratello una seconda volta. Volse lo
sguardo a entrambi abbastanza a lungo da vedere le labbra della giovane
mormorare un grazie.
*
“Dunque,”
disse Kurt un paio di giorni dopo, tamburellando sul tavolo che li
divideva,
“Parigi o New York?”
Sebastian
arricciò il naso per l’avversione. Il livido era
ancora molto visibile, un
marchio scuro sulla sua pelle, e lui si sentiva a disagio a guardarlo,
così
aveva abbassato lo sguardo alle sue mani.
“Non lo
so,” rispose il giovane. “Deluderò
qualcuno in un modo o nell’altro.”
“Hm?”
domandò, sollevando nuovamente lo sguardo. “Perché
mai?”
Sebastian
gli lanciò una lunga, piatta
occhiata. “Mia
madre vive a
Parigi, mio padre qui. Prova
a indovinare, genio.”
“Non
dovrebbero essere delusi,” gli fece notare.
“È della tua decisione e della tua
vita che si parla. Perché
dovrebbero intromettersi?”
Il
giovane sollevò gli occhi al cielo.
“Dovrò decidere di vivere lontano da qualcuno. Ho considerato Berlino, invece
– sai, un campo neutro – ma mia madre ha dato di
matto e non posso sopportare
di occuparmi anche di lei a questa maniera.” Al suo inarcare
le sopracciglia,
spiegò: “I suoi nonni sono morti in guerra. Non
sa quanto io e
Vi amiamo Berlino.”
Kurt
annuì. “Quindi, se scegli la Francia tuo padre ne
sarà deluso, se scegli
l’America tua madre ne sarà delusa. Non hai
considerato ancora l’Australia?”
Le
labbra di Sebastian si curvarono in un sorriso. “Ho
considerato altri posti, ma
Vi probabilmente mi seguirebbe ovunque io vada e il suo ragazzo
seguirebbe lei. Penso che sarebbero
felici sia a
New York che a Parigi.”
Kurt lo
fissò per qualche attimo, dunque scosse il capo.
“Perché devi sempre pensare a
qualcuno di loro? Dove preferiresti vivere tu?
Non deve seguirti e i tuoi genitori dovranno capirlo.”
Sebastian
schiuse le labbra per rispondere, ma furono interrotti da
un’improvvisa
apparizione al loro tavolo. “Ciao, Kurt!”
Kurt
chiuse gli occhi per un momento, dunque li riaprì per
sorridere a Rachel. “Ciao,
Rach. Ciao, Finn. Che ci fate qui?”
“Volevo
trascorrere un po’ di tempo con il mio migliore amico, e
giusto caso ho saputo
che eri già qui,”
disse Rachel,
prendendo una sedia per sedersi al suo fianco. “Finn,
siediti.”
Finn
sembrò imbarazzato quando si sedette con loro, e Kurt
sgranò gli occhi. Quindi
era decisamente un’idea della ragazza. “Rachel, ero
piuttosto occupato.”
“Non ha
senso,” rispose la giovane in tono allegro. “Stai
prendendo un caffè con un
amico. Siamo amici. E abbiamo il
caffè.” Sollevò il
bicchiere a mo’ di prova. “Dunque, di cosa stavate
parlando?”
Kurt le
lanciò la sua migliore espressione da che
diavolo stai facendo, ma non vacillò nemmeno un
po’.
“Di mia
sorella,” rispose Sebastian, piuttosto divertito.
“Di come parli di matrimonio
nonostante sia ancora un’adolescente, e di quanto sia una
cosa fastidiosamente
stupida.” Non era ciò di cui stavano parlando, ma
lo fece sorridere. “Voi che
ne pensate ragazzi?”
Kurt
volse il capo per nascondere la sua espressione. Forse non avrebbe
dovuto
raccontare al giovane del ‘fidanzamento’ di Finn e
Rachel, ma quel
momento era troppo perfetto per
poterselo perdere.
“Uh,”
rispose Finn, l’esitazione evidente nella voce.
“Insomma – se lei lo ama –”
“Ha
sedici anni,” rispose Sebastian. “Lei pensa
di amarlo, ma non è un’adulta. Il matrimonio
è una decisione da adulti.”
“Sedici
anni non sono così lontani dall’età
adulta,” disse Rachel, infastidita. “Può
fare da sola le sue scelte. Se entrambi lo vogliono, allora
è... è diverso.”
Gli
occhi di Sebastian brillavano di divertimento.
“Sicuro,” replicò, dunque scosse
il capo. “È un tipo super-religioso,”
spiegò, tornando a osservare Kurt. Capì
che la sua era parte di una vera e propria spiegazione, e non
più un semplice
modo di pungolare Finn e Rachel. “Pensa che sia normale
sposarsi appena
diplomata, ma penso che sia da matti.”
“E lo
è,” concordò Kurt, rischiando
un’occhiata all’amica – che lo stava
fissando. “Sono
fidanzati?”
“No,”
rispose il giovane. “Ma ne stanno
parlando. Lo
tratterrà sino
ai vent’anni per una vera e propria proposta, grazie a Dio.
Penso che lui la
sposerebbe domani se lei gli dicesse che è pronta. Folle
bastardo.”
Rachel
si schiarì la gola, e quando Kurt volse lo sguardo a lei
aveva un chiaro senso
di determinazione negli occhi. “Voler stare con una persona
che ami non è
‘follia’,” disse. “Francamente,
ciò dimostra il fatto che tu non sia mai stato
innamorato.”
“E spero
che le cose rimangano così,” rispose Sebastian,
sollevando la sua tazza come se
stesse proponendo un brindisi. “Non capisco perché
una persona voglia farsi
qualcosa del genere. Ma non è un ‘folle
bastardo’ perché è innamorato, ma
perché vuole sposare lei.”
Finn
aggrottò la fronte, sembrava perplesso. “Non
è carino dire qualcosa del genere
su tua sorella, amico,” gli fece notare.
Sebastian
sorrideva mentre scuoteva il capo. “Non
capisci. Lui
è religioso.”
Fece un gesto che inizialmente Kurt non capì, sollevando
entrambi gli indici
alle sue tempie e poi unendo le mani verso il basso e poi roteando le
dita come
se stesse dimostrando un’unione.
A
Rachel, comunque, sfuggì un suono sorpreso.
“Intendi dire –”
“Intendo
dire che ha davvero un cappello nero,” spiegò il
giovane. “E che vuole sposare Vi,
la cui idea di religiosità non si è
mai estesa più in là di periodi di
digiuno.”
“Uh
oh,”
disse la ragazza, mostrando vera e propria pietà. “Quindi
cosa
faranno?”
Sebastian
sospirò, abbassando lo sguardo alla sua tazza di
caffè. “Ho sentito dire che il
compromesso dovrebbe essere la chiave,” rispose.
“Vado a prendermi un altro
caffè.”
Quando
Sebastian si alzò e lasciò il tavolo, Kurt si
volse corrucciato al fratello e
alla sua miglior amica. “Che
cosa ci fate qui?”
La
ragazza incrociò le braccia. “Se hai
deciso di essere così
con lui, penso che dovremmo sapere se sia abbastanza
buono per te,” insistette.
Kurt
sbatté le palpebre. “Rachel, Sebastian e io non
siamo in nessun modo. Facciamo i
compiti insieme.”
“Uh,”
Finn li interruppe, l’espressione confusa (nonostante Kurt
pensasse che fosse
la sua condizione naturale). “Quali compiti?”
gesticolò indicando il tavolo, e
lui aprì la bocca, privo di parole per un paio di momenti.
Intendevano
fare i compiti. Kurt aveva portato con sé il portatile, e
aveva una relazione
da fare – ma non erano andati molto avanti, perché
Kurt era troppo nervoso per
il suo provino della NYADA (che era ancora lontano, ma abbastanza
vicino da
terrorizzarlo) che si era trasformato nell’argomento di
discussione riguardo il
college e, poi, sulla decisione di Sebastian.
“Non li
faccio,” cominciò, dunque si schiarì la
voce. “Ci siamo distratti. È solo caffè,”
disse. “La state ingigantendo
troppo questa storia.”
Rachel
incrociò le braccia. “Ti comporti da stupido se
non riesci a capire che questo
è più di un semplice caffè,”
lo informò.
Kurt si
massaggiò la fronte, esasperato. “Gli
piace Blaine,”
spiegò. “Sebastian
e io... penso che siamo amici in un modo piuttosto strano e tortuoso,
ma è
sempre stato attratto da Blaine.”
Ciò
sembrò fermare la ragazza. Sembrò sconvolta per
un momento, dunque la sua
espressione si raddolcì e divenne impietosita.
“Oh, Kurt,” disse, allungando
una mano a stringere la sua.
Stava
per rispondere che il fatto che al ragazzo piacesse Blaine non gli
importasse –
che non era geloso (un po’ ferito, stranamente, in un modo
che non capiva, ma
non voleva tornare con Blaine) – ma Sebastian era tornato al
tavolo.
Sebastian
spinse una tazza di caffè verso di lui, che sorrise a
mo’ di ringraziamento,
dunque chiese: “Dunque, avete finito di parlare di
me?” Alla sua espressione
sorpresa, spiegò: “Sei deliziosamente
trasparente.”
“Kurt ci
stava dicendo che tra voi si tratta solo di fare i compiti
insieme,” disse
Finn. “Il che è strano perché non avete
sul tavolo nessun compito.”
“Siamo
stati sviati,” aggiunse Kurt, osservando il suo
caffè e sperando che Rachel e
Finn li lasciassero alla loro precedente conversazione.
“Sebastian mi sta
aiutando con la Matematica.”
Il
sorriso di Sebastian sembrava quasi si potesse sentire
quando replicò, “Sì, è per
questo che siamo qui. Se ne
capissi un po’ di matematica, saresti un uomo libero. Oh, e
se solo avessi un
cervello.”
“Se solo
tu avessi un cuore,”
rispose Kurt.
“Okay,
amici di Dorothy,” li interruppe Rachel, gli occhi
scintillanti. “Penso che
potremmo parlare di musica. Sebastian, come hanno reagito i Warblers
alla
recente sconfitta alle Regionali?”
Finn,
apparentemente ignorando l’improvvisa tensione al tavolo,
domandò: “Chi è
Dorothy?”