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Autore: BlueSkied    19/07/2013    1 recensioni
Leggono Shakespeare, hanno una band che s'ispira alle correnti alternative del rock e del pop inglese tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta, vivono a Londra, ma nessuno di loro è completamente inglese, sono amici da sempre anche se uno diverso dall'altro.
Alle soglie della vita adulta, i Midwinter's Nightmare devono imparare a uscire dal mondo dei sogni, e che l'amore mette in crisi, molto di più di quanto s'immagini il teatro o la musica.
Note: ideata insieme a miss lovett e a lei dedicata, è un'operazione amarcord. Spero che mi si sapranno perdonare piccole ingenuità, ma forse, a ventiquattro anni suonati, si sente il bisogno di tornare ad essere adolescenti, una volta tanto.
BlueSkied
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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3. Shining Road




Certe persone nascono per essere folgorazioni, per brillare più degli altri, e Rebecca Morris era fra loro, Jerome Dampton - Lavier l'aveva capito fin dal primo sguardo.
Sinceramente poco convinto di poter trovare qualcuno d'interessante in quella nuova situazione, non aveva osservato attentamente i compagni di classe, almeno per i primi giorni. Con i suoi trascorsi, non aveva molta voglia d'imbattersi in possibili tempeste. Era andato via da Parigi per stare tranquillo, ma presto comprese che il suo era un desiderio semplice, ma irrealizzabile.
Alzati gli occhi da un libro, a lezione, lei era letteralmente apparsa davanti a lui. All'istinto osservatore di Jerome erano stati sufficienti pochi dettagli per ritrarla completamente, almeno all'esterno.
Alta e snella come una giovane palma, drappeggiata nel pullover e nella gonna della divisa come in un chitone greco, aveva lineamenti straordinari, affilati ed eleganti: occhi verdi dal taglio felino, capelli scuri che arrivavano a stento fin sotto le orecchie e una bocca sottile, ma piena d'espressività.
Il ragazzo ne aveva studiato minuziosamente fino al più piccolo movimento, dai sorrisi alle smorfie di disapprovazione o noia. Diceva tutto senza parlare, con pochi gesti delle mani, belle e nervose, e qualche guizzo degli occhi, luminosi e penetranti, di cui, quasi disperatamente, cercò d'incontrare la luce, ma senza riuscirci. L'attenzione e le parole di lei erano rivolte esclusivamente ad altre due ragazze, una seduta al suo fianco, l'altra nel banco alle sue spalle.
La prima, con il mento appoggiato familiarmente sulla sua spalla, rivelava un'intimità maturata in anni di amicizia, e pareva la sua controparte: là dove Rebecca (ma ancora non ne conosceva il nome) appariva incisiva e preponderante, l'altra era delicata, dimessa, una bellezza da cartolina. Per tutto il tempo in cui l'osservò, Jerome di lei non vide altro che un piccolo scampolo di pallido profilo perduto e la magnificenza dei capelli, una folta chioma rossa che si spandeva su schiena e spalle come un mantello intessuto di rame. Mentre parlava, stava quasi raccolta in sé stessa, e i suoi gesti erano lenti, riflettuti.
La terza, forse, era poco meno appariscente, ma non per questo meno intrigante. Stava sporta in avanti, assorbendo le parole dell'amica con atteggiamento granitico. Di lei, il ragazzo aveva chiara visuale del profilo, e lo trovò adulto, dalle linee decise. Non concedeva dolcezze a sé stessa, stringendo i lunghi capelli castani in una coda, stretta e alta, senza orecchini, braccialetti o piccoli anelli. Aveva occhi nocciola, severi e dritti all'interocutore e restava immobile, congelata, nessun moto dell'anima a far capire cosa pensasse. Ascoltava e annuiva o scuoteva la testa, senza ulteriori aggiunte.
Di nessuna delle tre riuscì a sentire la voce, ma poteva riuscire ad immaginarle, in qualche modo: secca e piana quella della terza, sottile e morbida quella della seconda, vibrante e profonda quella della bella Cleopatra. Ignorando come si chiamasse, nella sua testa Rebecca assunse quel soprannome.
La fascinazione di Jerome aveva attecchito; il suo prossimo passo era riuscire a conoscere tutto di loro.

Robert Stonehall aveva un'espressione indimenticabile, quando Jerome gli chiese di raccontargli quel che sapeva di Rebecca Morris.
- Amico mio - gli disse, ripresosi dallo stupore iniziale - Mi dispiace dirtelo, ma quella merce è troppo, anche per te -
- Mettimi alla prova - l'aveva sfidato l'altro. Robert aveva sorriso e scosso la testa, tirando una boccata dalla sigaretta.
La sua cricca era composta principalmente da oche e deficienti, ma lui non lo era affatto, anche questo Jerome l'aveva intuito in un lampo. Anche lui aveva un suo polo d'attrazione, un fascino da leader che gli faceva radunare intorno ragazze vanesie e facili e ragazzi deboli ma con pretese da duri.
Li disprezzava, uno dopo l'altro, ma stava con loro per convenienza: conoscevano gente, potevano essere utili in molti modi. Robert Stonehall era consapevole di essere un bastardo, ma in Jerome aveva trovato qualcuno molto più intelligente, con dei segreti da mantenere, e lo rispettava.
Fu solo per quel seme di rispetto e di possibile amicizia che esaudì la sua richiesta.
All'intervallo, il cortile era illuminato dal sole giallastro del settembre londinese. Tra ragazze che trafficavano istericamente con i cellulari e ragazzi che fumavano e cazzeggiavano, Cleopatra e i suoi amici formavano un gruppo solido, impenetrabile.
Lei era al centro, come nella sua sede naturale, circondata dagli altri quasi secondo una gerarchia istintiva. Le ragazze che già Jerome aveva notato a lezione le stavano ai due lati, ancillari, mentre altre due ragazze, poco più piccole, le stavano di fronte, parlandole. Gli altri erano maschi, un po' sparsi.
Robert li indicò tutti, uno a uno:
- La tua bella - esordì - Si chiama Rebecca Morris, sua madre è d'Israele. è la loro cantante -
Jerome avrebbe voluto chiedere di chi era la cantante, ma attese che l'altro andasse avanti.
- La sua amica, quella rossa, Melissa Whistler. Penso che stia alle tastiere, ma non ne sono sicuro, e a dirti la verità non m'interessa un granché di quella spaghetti, mafia e mandolino - proseguì Robert. Un'italo - inglese, dunque, registrò Jerome, passando oltre il banale stereotipo.
 - L'altra, Shannon Desmond. Se vuoi la mia opinione, molto carina, ma fredda come un'iceberg - commentò Robert, parlando della ragazza castana ed evidentemente irlandese. Jerome notò il disappunto della sua voce, ma in quel momento gl'interessava di più sapere quel che aveva da dire sugli altri.
Il successivo fu un ragazzo allampanato con i capelli rossi, Sebastian Waterhouse, batterista. Era figlio di un medico e irriducibilmente hippie, a quanto pareva. Stava a braccia incrociate, ascoltando attentamente il dialogo fra le ragazze e intervenendo, di tanto in tanto.
Poi toccò a sua sorella, una delle due più giovani, Viola, allampanata quanto lui, ma con lunghi capelli scuri e occhi vivaci. Sembrava incapace di stare ferma, ed esponeva le sue considerazioni con notevole energia. Venne fuori che era del penultimo anno e che suonava la chitarra.
L'altro chitarrista era indiano, Javesh Sherawat, piccolo e magrolino, ascoltava il dialogo in quel silenzio meditativo che nell'immaginario è insito in quella cultura.
L'ultima delle ragazze era sorella minore di quella Melissa, simile a lei in tutto e per tutto, tranne che per i capelli, più tendenti al biondo, e per il resto non molto , tanto che non ne ricordò il nome
L'ultimo fra i ragazzi fu l'unico di cui Jerome incontrò lo sguardo. Si chiamava Leroy Bjornstahldt, era il loro bassista mezzo svedese. Talmente pallido nella persona da sembrare scolorito, restava in disparte, incupito, una sigaretta fra le labbra inesistenti e il corpo, lungo e sottile, appoggiato al muro, con indifferenza. Assai di frequente, Melissa Whistler si volgeva verso di lui, comunicando con gli occhi e ricevendo in risposta solo cenni sbrigativi. Il ragazzo non guardava niente e nessuno, ostinatamente fisso a studiare la terra sotto i suoi piedi, isolato dagli auricolari infilati nelle orecchie.
A un certo punto, all'improvviso, aveva alzato la testa, puntando proprio nella direzione di Jerome e Robert. Li aveva scrutati per pochi secondi, gli occhi celesti stretti di disprezzo e sospetto, poi era tornato alle sue fantasticherie.
Jerome aveva continuato a guardarlo, per poi abbracciare tutto il gruppo in un'unica panoramica. Come i protagonisti di un film, spiccavano a fuoco tra comparse sfocate. Impossibili da non notare, pur non facendo niente per attrarre l'attenzione. Erano primi attori, senza recitarne la parte. Folgorazione.
Erano una band, anche questo faceva parte del loro fascino, con un nome profetico: Midwinter's Nightmare, Incubo di metà inverno, chiara antitesi del Midsummer's Night Dream shakespeariano, una favola, la loro, che non lasciava immaginare un lieto fine.
Jerome Dampton - Lavier sapeva che Robert Stonehall non capiva la sua ossessione, e non sarebbe stato lì a cercare di spiegargliela. Ora aveva i mezzi per avvicinarli, per avvicinare la bella Rebecca, ma la questione stava nel capire come usarli.
A questo pensava, guardando Rebecca, Melissa e Sebastian lasciare la biblioteca.
E poi, d'un tratto, l'idea folgorante.
  
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