Il sole estivo del pomeriggio non era
nemmeno troppo
molesto, nell’ombra del parco. Li sfiorava appena da sotto
strati di foglie e
aghi di pino, come un ricordo lontano del caldo da spaccare le pietre
che c’era
sulla strada. Il pezzo di prato su cui si erano stesi era quasi
– addirittura –
comodo, un leggero vento rinfrescava l’aria e, ciliegina
sulla torta, da
qualche parte qualcuno stava suonando, troppo lontano per distinguere
la
melodia. In pratica era la situazione perfetta. Ma col tempo si sarebbe
dimenticato di tutti quei dettagli. Non era un grande osservatore, e
per quanto
potesse essere bello o piacevole l’ambiente attorno a lui,
sarebbe stato
difficile mantenerlo nella memoria. Sarebbe stato molto più
semplice ricordarsi
il motivo principale per cui stava così bene.
Dopotutto a Nikolaj, in una
situazione normale, dei Giardini
Reali di Torino non gliene sarebbe fregato un cazzo. Non sarebbe stato
nemmeno
capace di sdraiarsi in un posto e stare immobile, così,
senza far nulla per
tutto quel tempo – non aveva importanza quanto si
potesse star bene.
E lei? Bhé, lei
era
un altro discorso. Lei era la
principale differenza tra una situazione normale e quella giornata.
Gael sembrò
intercettare il flusso dei suoi pensieri, e si rannicchiò un
po’ di più sopra
il suo petto, il viso nascosto nell’incavo del suo collo. Le
accarezzò
lentamente la schiena, chiedendosi se si era addormentata. Come
riusciva a
farlo? Ci voleva una buona dose di fiducia per addormentarsi nel bel
mezzo del
nulla. O peggio, in un parco frequentatissimo nel pieno pomeriggio.
Ogni tanto
un suono attirava la sua attenzione, e girava la testa,
oppure, qualche movimento catturava la sua
visione periferica. Insomma, stava attento che nessuno si avvicinasse a
disturbare la pace. Vero, se fosse stato solo non gli sarebbe importato
dei
passanti – ma se fosse stato solo non avrebbe avuto motivo di
stendersi
sull’erba, tanto per iniziare – e comunque non si
sarebbe addormentato.
Insomma, stava facendo quello che
ogni animale con un
briciolo di istinto predatorio fa, ogni tanto. La guardia. A confermare
il
fatto, lanciò un’occhiata torva a un paio di
stronzetti che bazzicavano lì
intorno. Fastidiosi figli di puttana. Conosceva alla perfezione che
tipo di
comportamento poteva avere un branco di idioti di quel genere. E non
gli
piaceva affatto il pensiero. Se le cose si fossero messe …
Gael mosse il braccio, e
iniziò a carezzargli il torace con
lenti movimenti circolari. Allora era sveglia. Si permise di inclinare
la testa
all’indietro un attimo, e socchiuse gli occhi. Doveva tenere
il suo odio
naturale per gli esseri umani a bada, quel giorno. Aveva di meglio su
cui
concentrarsi. Oltretutto, si sentiva benissimo. Con lei tra le braccia,
quel
posto anonimo sembrava esattamente il posto dove lui doveva
essere. Come se qualche antica divinità maya avesse deciso
di posticipare la fine del mondo per permettergli di stare
lì, sopra una
piccola coperta stesa sul prato, abbracciato a Gael.
Espirò, e la pancia gli si
svuotò di cattivi pensieri.
L’odore di lei gli arrivava dalla matassa dei suoi capelli.
Buono.