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Autore: Conny Guitar    20/07/2013    1 recensioni
Doveva essere una bella vacanza. Ed invece si trasformerà in una vera prova per Chiara, la protagonista. Chi è Ombra, la misteriosa nuova vicina di casa? E cosa significano i ricordi che Chiara credeva di aver dimenticato?
Un passato difficile che non vuole andarsene, un presente in cui nulla è come sembra ed un futuro incerto. Ma la realtà a volte può sul serio sembrare un film?
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Aaaahhhh!!!-
-Ehi, ehi, tranquilla, sono io, Ombra! Sei in ospedale- disse. Quella voce suadente, nonostante fosse una specie di camomilla, aveva un che di sinistro. Era troppo dolce.
I miei battiti cardiaci erano schizzati al massimo. In quel momento ebbi un altro spavento. Erano troppo alti. Forse, tutto quel giorno era troppo. Ma il mio cuore... quella velocità non mi era nuova. Improvvisamente accorse un'infermiera con una macchina che conoscevo bene e mi attaccò immediatamente sei elettrodi, facendo partire l'elettrocardiogramma.
-Dio Santo!- fece, e chiamò il medico. Anche questo mi visitò, mi fecero monitoraggi Holter, esami e balle varie, riuscendo a far tornare i battiti alla normalità. Il responso già lo conoscevo.
-Signorina, lei ha avuto un attacco di una malattia compresa nelle aritmie, detta sindrome di Wolf...-
Non lo lasciai finire: -...Parkinson-White. Sono nata con questa malattia ed all'età di 14 anni ho subito una radio-ablazione, cioè hanno bruciato la via accessoria che causa l'accellerazione dei battiti. Scommetto che se mi ascolterà il cuore adesso, troverà i battiti irregolari. Mi avevano detto che la radio-ablazione rendeva le possibilità di recidiva bassissime e la mia era stata un'operazione da manuale...-.
-Vedo che lei sa già tutto. Dovrei ottenere la sua storia clinica, la richiederò al suo medico curante-.
Io fui tenuta in osservazione. E dovetti subire la presenza di Ombra che non si staccava dal mio capezzale. Più volte tentai di convincerla ad andarsene, ero in buone mani, ma lei era intenzionata ad assistermi. Mi raccontò che ero stata trovata sulla spiaggia quando, verso le 11 era finito il temporale. Ero piena di bolli, graffi e punture di medusa. Avevano chiamato l'ambulanza e lei stava passando di lì, dopo aver fatto qualche commissione, così mi aveva assistita. All'arrivo dei paramedici mi ero risvegliata, salvo poi iniziare ad urlare e a dibattermi così violentemente da farmi sedare. Ora erano le quattro di pomeriggio. Ombra non si staccava da me per nessun motivo. Restava semplicemente a fissarmi con la pazienza di un gatto. Di un gatto che aspetta che il topolino esca dal suo nascondiglio. Rabbrividii a quest'idea.
Verso sera mi dimisero. Non ero ferita gravemente e gli effetti del sedativo erano scomparsi quando mi ero risvegliata. Avevo temuto che potessero ricoverarmi per la tachicardia, tenermi in ospedale per molto tempo come quando, a due mesi di vita, avevo avuto la prima crisi. Ero uscita dall'ospedale all'età di quattro mesi.
Riuscii a trovare un autobus che faceva la tratta Sanremo-Imperia e che passava da Riva Ligure, dov'era casa mia. Dovetti sorbirmi la presenza di Ombra, poiché lei era venuta in ospedale sull'ambulanza. Tornammo a casa e lei insistette per entrare da me, almeno per accertarsi che non avessi bisogno di nulla. Dovetti ammettere che avevo parecchia fame, così lei si offrì di andare a comprare un kebab in una vicina pizzeria. Finalmente sola, anche se per poco. Non osavo mettere su un film o musica per terrore che piacesse anche a lei e volesse fermarsi. Alla fine, il bisogno fu maggiore della paura e misi su un disco dei Dio. "A meno che uno non sia un'appassionata di rock, Dio è perlopiù sconosciuto alla plebe" pensai sorridendo e feci partire Holy Diver, il mio preferito. Mi spaparanzai sul divano ascoltando la voce paradisiaca di Ronnie James partire con Stand up and shout, seguita da Holy diver, la mia preferita con Rainbow in the dark, purtroppo penultima.
Ombra rientrò con due fumanti, enormi kebab, mentre finiva Holy diver.
-Cazzo, ma questo è Holy diver dei Dio!- urlò come se le avessero resuscitato Ronnie sotto gli occhi. Magari.
"Tranquilla, non è detto che lo conosca così bene, stai calma!".
-She was straight from hell, but you never could tell, cause you were blinded by her light!!- cantò con la sua voce bellissima. Scoprii che oltre ad avere un bel timbro, aveva anche una buona potenza ed una bella estensione vocale.
-Hai una bella voce...- dissi.
-Già. A quanto pare, ho un'estensione di quasi quattro ottave, non so se mi spiego...-
-Per Dio che riposi in pace!- risposi. -Quattro ottave! Come Freddie Mercury! E mi pare che tu abbia anche una voce potente. Riesci a coprire la musica del disco. Io ho appena due ottave e mezzo, se va bene. Fai canto lirico, per caso?-
-Sì, e canto indifferentemente O mio babbino caro e Carmen. Soprano e mezzosoprano-.
-Anche io canto lirica. Però faccio solo parti da soprano- puntualizzai ridendo. -Almeno sono un soprano leggero. Sai no, quelli da Aria della Regina della Notte. Magra consolazione. Però la lirica è secondaria, nel senso che io nasco come chitarrista-.
Ombra riuscì a non farmi impazzire del tutto, poiché lei suonava il basso. Mentre mangiavamo, le raccontai di Alessandro e del suo mitico basso, scoprendo che anche lei aveva un Ibanez. Per fortuna, mi salvò il disco, perché proprio in quel momento partì Rainbow in the dark. Non potevo assolutamente resistere a quella canzone e mi alzai in piedi cantando a squarciagola. Ombra mi imitò, e cantammo e ballammo come matte, ricadendo sfinite all'inizio di Shame on the night.
Passammo la serata accompagnate dai miei dischi: Bon Jovi, Police (arrivate al verso "Every breath you take, every move you make" mi sanguinò il naso. Forse ero troppo suggestionata) e Aerosmith. L'ultimo che ascoltammo fu Get a grip, appunto degi Aerosmith, e arrivate a Crazy iniziammo a ballare come matte. 
Viste dall'esterno, potevamo sembrare due grandi amiche, un po' come le protagoniste del video della canzone. Due piccole Thelma e Louise, forse senza tutta la carica femminista di quel film, ma il principio della fuga dalla stronza società è lo stesso.
Accompagnate dalla voce di Steven Tyler, ballavamo un simil-tango, alternato a quei balli romanticissimi da discoteca anni '80 di cui mi parlava mio padre. Diceva che ci portava sempre mamma, quando non avevano ancora figli ed ancora si amavano. Ovvero prima che lei conoscesse Carlo, il migliore amico di mio padre, il quale aveva studiato, grazie ad una borsa di studio, in America e vi aveva lavorato per un certo periodo, durante il quale i miei si erano conosciuti e sposati. Io e mio fratello Fabrizio avevamo 9 e 11 anni quando lui tornò a vivere in Italia. La sua società aveva allacciato rapporti con il nostro paese e lui sarebbe stato un "curatore degli affari esteri".
Mio padre parlava spesso di lui, erano praticamente cresciuti insieme. Dopo le superiori, Carlo aveva avuto la borsa di studio per meriti scolastici e se n'era andato. Claudio, mio padre (l'ho sempre chiamato per nome, oppure Jean, come il suo idolo Van Damme) era andato subito a lavorare in una ditta di disegno meccanico. I due avevano continuato a sentirsi regolarmente. Per Claudio, Carlo era più che un amico. Era un fratello. Era stato il suo braccio destro, spalla, confessore, ospedale se faceva il gradasso con qualcuno più grande di lui. Il suo più caro amico. Quella era stata la mia prima lezione sull'affidabilità degli amici. Era venuto a cena da noi, portando due regalini per me e mio fratello. Aveva baciato sulle guance mia mamma e abbracciato da orso mio padre. I loro sguardi la dicevano lunga sui loro sentimenti. Erano felici. Non contenti o allegri, proprio felici.
La serata passò tra racconti della loro vita recente e ricordi d'infanzia. Mi piacque subito quell'uomo. Poteva anche parlare di economia o di politica senza farti addormentare, e ti descriveva le cose facendotele immagiare benissimo. Carlo, al liceo, era stato il classico latin lover amico del timidone della classe. Alto, biondo e occhi verdi, un po' sfacciato per la verità, ma comunque un simpaticone. Claudio invece era l'esatto opposto, era un timido di prima categoria e con le ragazze si era spesso lasciato scappare occasioni che il suo amico non aveva perso. C'è da chiedersi se si sarebbe mai sposato nel caso in cui Carlo fosse rimasto. Considerato come andarono le cose dopo, non è un'ipotesi così assurda.
Carlo era una persona davvero affabile. Dispensava sorrisi a tutti e, all'epoca, mi sembrava avesse la faccia per fare un unico mestiere: il politico. Lo immaginai spesso al posto di George W. Bush, che al tempo era appena stato eletto presidente degli U.S.A., a dispensare i suoi sorrisi in campagna elettorale.
Dichiarò con fierezza che a 37 anni era ancora felicemente scapolo, anche se, un paio di volte, era stato vicino al matrimonio. -Ma solo vicino- precisò. -Tu, invece non hai perso tempo. Complimenti, hai una bellissima famiglia-. Ma la pace era destinata a durare ancora poco.
Carlo entrò nella nostra famiglia come lo zio giramondo di noi bambini. Durante quegli anni aveva fatto spesso viaggi di lavoro, ritrovandosi in Australia, Giappone, Russia, Emirati Arabi, e ci raccontava di quei luoghi lontani. Fu lì che maturò in me l'idea di studiare lingue. Anch'io volevo girare il mondo come lo zio Carlo, e poi scoprii di avere il talento di imparare con facilità il lessico straniero. Carlo sosteneva che con l'inglese si poteva andare dovunque, che era meglio fare una scuola che insegnasse a fare qualcosa, ma io, da brava bastian-contraria quale sono e fui, non lo stetti mai a sentire.
Tra le tante avventure, aveva passato due anni dopo la fine degli studi universitari girando per l'America con un gruppo di amici hippie su un vecchio Volkswagen giallo. Ci aveva mostrato diversi album di foto scattate in California, Oklahoma, Utha. Questi suoi amici erano Sessantottini convinti, di quelli con la testa piena di idee da buddhisti, che sostenevano la causa dei nativi americani e si vestivano con i dashiki. Avevano decorato il bus con simboli della pace e portavano un acchiappasogni appeso allo specchietto retrovisore. Una delle ragazze (che era stato vicino a sposare) gli aveva insegnato a suonare la chitarra. Mio fratello già suonava il pianoforte, mentre io non avevo mai manifestato grande interesse ad imparare a suonare. Amavo la musica ed avevo una discreta cultura, sugli anni '80 in particolare, ma non mi era mai passato per la testa l'idea di farla. Questo finché Carlo mi mostrò la sua chitarra acustica e mi suonò San Francisco di Scott McKenzie, brano simbolico della Summer of Love e dunque amato dai suoi amici hippie. Mi innamorai di quello strumento e pretesi che lui mi insegnasse. Comprammo una chitarra di seconda mano da un vicino di casa e mi impegnai a fondo. Non so perché fino a quel gioro non avevo mai mostrato interesse per la chitarra e subito dopo me ne innamorai perdutamente. Conoscevo la canzone, anzi, ero un'appassionata di rock, e se non c'è una chitarra in un pezzo rock... beh, non è rock! Eppure non era mai scattato quel "colpo di fulmine". Non l'ho mai saputo e mi va bene così.
Con il fatto che era diventato il mio insegnante di chitarra, Carlo iniziò a passare ancora più tempo da noi. Aveva libero accesso a casa nostra ed iniziò a frequentare molto mia madre, che lavorava part-time in un ufficio per potersi occupare di noi. Lei ammirava molto Carlo, inoltre la sua natura ingenua e spontanea la rendeva sempre un po' civettuola. Lui ogni tanto le lanciava qualche sguardo ammiccante, ma lei non se ne accorgeva o faceva finta di niente. Comunque potevano sembrare due innocenti amici che fanno gli scemi per divertirsi.
Visto da occhi esperti ed esterni, il modo in cui lui la ottenne doveva sembrare una cosa da filmone cerebroleso. Pian piano, i due si fecero sempre più affiatati. Ogni volta un po' più in confidenza, ogni volta un po' più vicini. Lei gli raccontò di come si sentiva incompresa da suo marito e come, nonostante avesse una bella famiglia ed un lavoro sicuro, non si sentisse appagata. Il suo carattere è sempre stato piuttosto chiuso e poco propenso a manifestare emozioni. Per queto aveva bisogno di qualcuno che fosse il suo opposto, un uomo sicuro di sè ed espansivo. Uno come Carlo. Lui non aveva impiegato molto a capire che i miei avevano lo stesso carattere e gli opposti si attraggono. Claudio era più concreto e per niente incline alle "psicofesserie da strizzacervelli cerebroleso", come definiva lui la psicologia. Lui non poteva capire se lei voleva bianco o nero, se era incazzata con lui o se aveva semplicemente la sindrome pre-mestruale. Ma Carlo, che, a quanto pareva, negli States aveva avuto parecchie avventure, possedeva l'esperienza necessaria per capire mamma. Con donne di quel genere bisognava costruire una trappola, un po' come il ragno che, a fatica, fa la ragnatela. E, una volta costruita, bisogna aspettare a lungo perché l'ingenua mosca si sbatta lì sopra. Così fece lui. Costruì una ragnatela di confidenze; giocò un po' a fare lo psicologo e riuscì a convincerla a parlargli dei problemi del suo matrimonio. Riusciva a riconoscere il momento in cui lei era giù di corda a premeva per sapere che cosa non andasse. All'inizio lei gli raccontava balle del genere: -Le mie colleghe sono delle deficienti- oppure -La cassiera mi ha dato della ladra perché il codice a barre di un prodotto si era rovinato, quelli delle poste sono dei perditempo e mi hanno scippato l'ombrello con la tempesta-. Ma poi iniziò a raccontargli delle frequenti liti con il marito e della voglia di tornare indietro di quindici anni per cambiare il corso degli eventi. -Amo i ragazzi, eppure vorrei rifare il passato- diceva. Le scuse di prima erano un po' il Gavrilo Princip della situazione. Solo il pretesto, ma non la vera causa dei suoi malumori. E lui che l'ascoltava, la comprendeva, le dava ragione. Ah, non c'è che dire, una tecnica invidiabile. Se non che era mia madre.
Iniziarono una vera relazione più o meno nell'autunno del 2002, quando io avevo dieci anni. Facevo quinta elementare e, sui banchi di scuola, iniziavo a fare le prime scoperte sulla riproduzione. Prima avevo solo qualche nozione generica, ottenuta da mio fratello, che aveva due anni più di me. Penso che già allora avesse capito di essere omosessuale. Ricordo bene di quello scherzo che fece alla sua maestra di scienze delle elementari, che aveva dichiarato apertamente agli studenti il suo odio per i gay. Fabrizio era tornato a casa in lacrime, per poi convincere me ed alcuni suoi amici ad aiutarlo nella sua impresa. Avevamo intercettato un'insegnante di inglese, lesbica dichiarata e forse un po' ingenua, e l'avevamo convinta che la maestra di Fabrizio l'amava. Non so come fece a crederci, fattostà che questa era andata da quella di scienze per chiarire la questione. Mio fratello si era premurato di far assistere la classe a quella scena bizzarra, con la maestra di inglese fermamente convinta di ciò che le era stato detto e l'altra sempre più imbarazzata e confusa. L'insegante di scienze aveva chiesto il trasferimento, mentre noi sedicenti "cupidi" eravamo stati sospesi per un paio di giorni. Per sua fortuna, la mia maestra non era omofoba.
Mio fratello mi aveva dunque preparata all'argomento, aggiungento alcune note ai libri di testo, quali ad esempio il piacere e la masturbazione. Ne ero rimasta scioccata e non ne aveva fatto parola con nessuno. Anche lui aveva notato mamma e Carlo, soffrendone ancora più di me, ma cercando di proteggermi dalla verità nuda e cruda. Lo ammiro per questo. Tuttavia, alla fine anch'io capii come stavano le cose: gli sguardi desiderosi, il confabulare sottovoce per decidere quando incontrarsi, gli abbracci ed i fugaci baci sul collo lontano (o quasi) da sguardi indiscreti. Maledetta la mia curiosità che mi spinge a notare i più piccoli particolari.
Non so tuttora come lo scoprì mio padre. Forse anche lui si era accorto della loro complicità ed aveva indagato, oppure glielo aveva detto Fabrizio. Sta di fatto che li scoprì e chiese immediatamente il divorzio, nell'estate del 2003. Fu così che io, mamma e Fabrizio ci trasferimmo ad Ivrea, dove lei aveva il lavoro. Anche Carlo abitava lì, seguendo il suo lavoro principalmente da casa. Improvvisamente, da zio era diventato uno sconosciuto e "non si accettano caramelle dagli sconosciuti. Ricordatelo, Chiara!". Per un mese non toccai più la chitarra, ma alla fine la passione fu più forte, ormai ero diventata brava. Allora mi chiedevo se la passione tra mia madre e Carlo fosse come la mia passione per la chitarra: un fuoco che brucia all'interno, rendendo impossibile ogni distacco. Ma presto la passione tra mamma e Carlo si esaurì. Così lei si trovò con due figli a carico, perché mio padre non pagava gli alimenti e presto anche lei smise di pretenderli, ed un lavoro che non le permetteva di mantenere lo stesso tenore di vita precendente. Dovemmo tirare la cinghia, mentre mio padre affogava nell'alcool e nessuno lo tirava fuori. Passammo tre anni e mezzo difficili, finché mia madre non cambiò ufficio e posizione, iniziando a guadagnare meglio. Fabrizio, intanto, si impiegò part-time in un negozio di dischi. Mio padre, intanto, passò cinque a bere e vivere come un cane. Poi un giorno andai da lui e lo pregai di farsi ricoverare. Andò in ospedale, ma ne scappò dopo pochi giorni.
Dopo questo, io e mio fratello maturammo un'idea. Io avevo qualche risparmio in banca, mentre lui lavorava. Non erano molti, ma bastavano per mandarlo in una clinica del Monferrato.
-Jean, questi sono i nostri soldi. Lo facciamo per te, mamma non lo sa. è tutto ciò che abbiamo, ci bastano appena per pagarti la terapia. Ti prego, fallo per noi- gli aveva detto Fabrizio, chiamandolo con il suo nomignolo che amava tanto ("Beh, non avrò il fisico di Van Damme, ma sono comunque un gran figo!" era una delle sue frasi abituali). L'amore paterno gli bastò per entrare nella clinica e seguire la cura diligentemente. Noi lo andavamo a trovare, a volte bigiando a scuola perché nostra madre era al lavoro.
Quando uscì, si sentiva come nuovo. Riprese a lavorare e non smise mai di ringraziarci. Io ero davvero felice per ciò che avevamo fatto. Poi morì Alessandro.
 
-Ehi, ti senti male?- mi chiese Ombra con aria preoccupata. Mi ero immersa nei miei ricordi senza più badare al fatto che mi trovavo abbracciata a lei, a ballare come due ubriache. Crazy era finita da un pezzo ed ormai stava per iniziare Amazing. Peccato, mi ero persa Lenny Kravitz.
-No, tranquilla, è solo che... ecco, mi sono ricordata delle cose...- risposi, confusa.
-Quali cose? Se vuoi puoi raccontarmi tutto!- mi rispose.
Le raccontai brevemente della mia famiglia e di ciò che era successo. Lei parlai anche del fatto che mia madre (e anche mio padre, nonostante lui non fosse granché assertivo) non aveva gradito molto il fatto che Fabrizio avesse apertamente dichiarato di essere gay, nonostante fosse palese fin dal giorno dello scherzo alla sua maestra.
-Mi dispiace... è brutto avere dei genitori che non capiscono e accettano ciò che tu sei. Anch'io sono anni che nutro dubbi sulla mia sessualità, eppure i miei non vedono di buon occhio l'omosessualità o la bisessualità, che sento più vicina a me- mi disse.
La guardai stupita: stava dichiarando in tutta calma ad una ragazza semisconosciuta di essere presumibilmente bisex. Non c'è tanta gente che lo fa così apertamente. Ammirevole.
-Penso che mia madre debba solo digerire la notizia. Quanto a mio padre... noi vivevamo da nostra madre, dunque non l'ha deciso lui di spedirlo fuori. Credo non sappia come comportarsi, visto che non è stato granché come padre. Ma noi gli vogliamo bene. Anche solo dovendo scegliere tra un padre ex alcolizzato che ci è riconoscente di averlo salvato ed una madre che gli ha messo le corna sotto il naso di due bambini...-
-Forse hai ragione. E poi ci sei sempre tu per Fabrizio- disse, sorridendomi.
Rimanemmo a guardarci negli occhi, vicine tanto da sentire sulla pelle il respiro dell'altra. Ombra chiuse gli occhi e mi baciò.

The corner: un paio di precisazioni: quella frase tra parentesi sul brano dei Police, che è Every breath you take, l'ho scritta perché in realtà la canzone parla di un personaggio che è quasi uno stalker. Per questo Chiara, che si ritrova Ombra praticamente dappertutto, si lascia un po' suggestionare.
Il titolo del capitolo può sembrare un paradosso, dato che la canzone dei Cranberries dice "mia madre mi stava accanto quando ero lì fuori". Però secondo me "ode alla mia famiglia" ci sta, parla comunque dei suoi ed emerge la figura del fratello, una persona protettiva nei suoi confronti, forse l'unico che si è preso veramente cura di Chiara. Boh, non sono una psicologa, ergo mi fermo qui e lascio a voi l'ardua sentenza.
   
 
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