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Autore: EuphemiaMorrigan    23/07/2013    11 recensioni
AU. Comica/Romantica/Drammatica.
SasuNaru.
-Dall'ultimo capitolo-
Questa è la segreteria telefonica di Uzumaki Naruto e Uchiha Sasuke, lasciate un messaggio e vi richiameremo. Se ne avremo voglia.
Se sei Sai: Visto le vendite? Ti ho battuto ancora.
Muori.
Se sei Ino: Nee-chan, non vorrei che tuo marito si suicidasse.
Ammazzalo e raggiungilo.
Se sei Nagato: Sono in perfetto orario con la scadenza.
Non è assolutamente vero.
Se siete Sakura, Hinata o Tenten: Tranquille, ho tutto sotto controllo.
E voi che ancora ci credete...
Se sei Gaara: Amico, mi devi un caffè.
Ed io ti devo un pugno.
Se sei Hidan: Lode a Jashin!
Non riesco a capire chi è più cretino tra te e Naruto.
***
***
Gensaku-sha ripercorre, a modo proprio, alcune vicende del manga.
Con personaggi casinisti, pazzi ed eccessivamente rumorosi.
Genere: Comico, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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-Il nuovo, terribile, nemico di Sasuke Uchiha-

Note: Salve! Mi dispiace per i ritardi in tutte le storie, ma sto avendo alcuni problemi in questo periodo e non riesco a scrivere, oltre al fatto che mi sono anche un po' bloccata per quanto riguarda la scrittura, spero che non duri molto. Che dopo aver pubblicato questo riprenda il ritmo normale, ma non prometto nulla. Il capitolo è abbastanza lungo e parliamo di Anko, Kakashi, Naruto, Sasuke e altri... Ho provato a cercare il vero nome della mamma di Madara, ma non l'ho trovato, per cui sarà Yuri (Giglio). E chi sarà il personaggio alla fine? Chi è per ora non importa, voi odiatelo ^^'.Scusatemi per gli errori l'ho modificato una decina di volte e sicuramente qualcosa mi è sfuggito! Oh, e... La scrittura è troppo grande? Ho avuti problemi con il codice HTML e... Beh, se è troppo grande fatemelo sapere, modificherò in qulche modo!

 

Forse... Aveva ragione mia madre, quando affermava che gli uomini sono tutti uguali,

che usano noi donne soltanto quando avvertono il bisogno di sfogare la loro fisicità,

oppure procreare nuovi eredi.

Forse... Davvero gli uomini sono tutti dei gran bastardi.

Ed io, ovviamente, mi sono innamorata del più bastardo di tutti e...

...Non potevo compiere scelta migliore!

Forse... Mia madre aveva torto.

 

Correva con rapidità ed ansimava a causa dello sforzo.

Era in ritardo, come al solito, per le lezioni di pianoforte che si sarebbero tenute quel pomeriggio a casa della sua nuova insegnante.

Dopo che la prima, troppo anziana per continuare, era giustamente andata in pensione.

Anko quel giorno aveva esultato.

Odiava stare, ore ed ore, seduta su quello scomodo sgabello.

Disprezzava il suono acuto dei tasti quando errava in qualcosa, per cui spesso dato che, come dichiarava sua madre, era terribilmente distratta.

Costantemente con la testa fra le nuvole.

In poche parole: mal sopportava le noiosissime lezioni di pianoforte.

Però, sempre sua madre, aveva insistito così tanto che non se l'era sentita di dirle di no.

La donna desiderava una figlia posata, elegante e gentile.

Tutto ciò che, nonostante i suoi dodici anni, non era Anko.

La ragazza preferiva di gran lunga trascorrere i pomeriggi con i suoi compagni di classe, maschi, e giocare a calcio. O qualsiasi altro sport da uomini.

Non metteva gonne.

Non si truccava.

Non le interessavano i ragazzi. Anzi... Provava un profondo e genuino disgusto se pensava che, un giorno o l'altro, ne avrebbe dovuto baciare uno.

Era un maschiaccio, in tutto e per tutto.

Sarò lesbica?!... Si chiese, scoppiando a ridere internamente, per poi sbuffare e gonfiare le guance quando si ritrovò dinanzi il portone di quella villa enorme dove dimorava la sua nuova, già odiata, “aguzzina”.

Suonò il campanello, profondamente imbarazzata, ed attese. Non era mai stata in quel luogo prima di allora, suo padre le aveva scritto l'indirizzo su un foglio di carta dicendo: “Scusa, piccola, domani lavoro devi andare da sola. Vedrai che non avrai problemi”.

Menefreghista... Lo insultò dentro di sé, torcendosi le mani giunte ed aguzzando l'udito, tentando di avvertire se qualcuno stesse raggiungendo l'ingresso per aprirle.

Nello stesso istante in cui stava per allungare ancora una volta la mano e suonare, la porta si spalancò. Mostrando un ragazzino, poco più grande di lei, accoglierla con un leggero sorriso sulle labbra «Ciao. Anko, vero? Sei qui per le lezioni?» Le domandò cordiale.

Lei fece una smorfia e rispose, trattenendosi dallo sbuffargli in faccia, «Sì. Mi dispiace per il ritardo» Come vorrei non essere qui...

«Non preoccuparti, può capitare. Vieni, ti porto dalla mamma» Parlò ancora, continuando a sorriderle gentile e facendole strada verso il salone.

Era strano, Anko si sentiva come in uno di quei videogiochi Horror che tanto le piacevano: la casa era immensa. Pulita, anche troppo. Antica e, nell'ingresso, erano stati appesi diversi quadri che le mettevano terrore solo a guardarli.

In più, quel ragazzino, le pareva un fantasma per quanto era pallido, magro, con infossati occhi scuri come la notte più buia ed i capelli, leggermente lunghi, dello stesso colore. Pareva malato, moribondo, eppure sembrava in perfetta forma.

Magari è davvero un fantasma... Pensò, seguendolo docilmente, percependo l'ansia crescerle all'interno.

«Comunque io mi chiamo Izuna» Si presentò, dopo pochi minuti di silenzio, arrestando il suo passo dinanzi ad una porta chiusa che, evidentemente, dava alla stanza in cui si sarebbero tenute le lezioni di piano.

Anko spostò gli occhi sul suo viso sorridente ed annuì, senza dire una parola, tornando un secondo dopo ad osservare attentamente il pavimento. Voglio tornare a casa...

«Madre... -Lo udì chiamare dopo aver bussato- …È arrivata la ragazza per le lezioni» La annunciò, sfiorandole un braccio e facendole segno di seguirlo all'interno. Pur di non entrare, Anko, si sarebbe perfino finta morta. Ma ormai non poteva fare altro.

Odio mia madre... Pensò, quando si ritrovò di fronte ad una donna magra, ancor più pallida del ragazzo che aveva a fianco, con lunghi e lisci capelli color ebano. La scrutava con un cipiglio duro sul viso fine e magro, assottigliando le labbra ed osservandola dall'alto in basso.

Già alla prima impressione le pareva terribilmente presuntuosa e arcigna, più della sua ex insegnante.

«Sei in ritardo, ragazzina» Disse in tono piatto, freddo, colpevolizzandola.

Anko contrasse la mascella ed affermò acida, poco le importava di chi aveva dinanzi, «Mi sono già scusata per questo».

L'altra donna sollevò elegantemente un sopracciglio curato «Che non accada più... -Poi si rivolse a qualcuno, dall'altra parte della stanza che Anko, troppo presa da lei, non aveva notato minimamente- ...Madara, tu ed Izuna potete andare» Disse con tono leggermente più dolce. Materno.

«Sì, madre» Rispose, una voce profonda e calda.

Il possessore di tale timbro passò a fianco della ragazza senza degnarla di uno sguardo e si allontanò silenziosamente assieme all'altro ragazzo, come un fantasma.

Se lui non l'aveva guardata, Anko invece lo aveva osservato fin troppo bene. Sbarrando le pupille per la sorpresa. Si era ritrovata di fronte un ragazzo molto più grande di lei, quasi sicuramente di diciannove/venti anni, immensamente alto e muscoloso.

Simile alla madre e quello che, molto probabilmente, era il fratello minore. Però diverso, aveva qualcosa di assolutamente differente rispetto a loro.

Gli occhi.

Dello stesso nero, ma piatti, morti. Come se in questi non dimorasse alcuna luce, però... Magnetici, almeno per lei lo erano.

Avrebbe passato la vita ad osservare quelle iridi, per assimilare ogni minima sfumatura che esse contenevano.

Sì, è muschio... si disse pensosa, inspirando una boccata d'aria quando passò al suo fianco. Quel profumo ebbe il potere di rilassarla all'istante e, per un secondo, le fece girare la testa.

«Non farlo» La ridestò improvvisamente la voce dell'altra donna, di cui ancora non conosceva il nome.

«Cosa non dovrei fare?» Domandò lei, tornando improvvisamente alla realtà, e ricordandosi di quanto le stesse antipatica quella persona così fredda e pomposa con cui avrebbe dovuto trascorrere, probabilmente, per anni ore ed ore chiusa in una stanza a fare qualcosa che disprezzava profondamente.

La vide sedersi sullo sgabello dell'enorme pianoforte a coda al centro del salone e rivolgerle uno strano sorriso «Non farti piacere Madara, a lui non piacerai mai. Sei troppo piccola, trasandata, stupida ed insignificante per stare con mio figlio. Ed ora muoviti, i tuoi genitori mi pagano per insegnarti a suonare, non per parlare».

Sì, ti odio... Pensò mordendosi il labbro inferiore ed eseguendo i suoi ordini.

Yuri Uchiha, senza che la ragazza la vedesse, sorrise ancora più apertamente, sospirando al suo interno e socchiudendo gli occhi per qualche secondo. Sarà divertente...

 

Ma allora sono veramente sfigata... Si disse Anko Mitarashi mentre correva, come ogni giorno, per le vie di Konoha, nuovamente in ritardo per le lezioni di piano che si sarebbero svolte a casa Uchiha.

Da quel primo giorno, più di un anno prima, aveva intravisto Madara solo altre due volte, e questo la irritava.

L'unico motivo per cui continuava a frequentare quella donna antipatica era... Perché si era presa una cotta per il maggiore dei suoi figli.

Un'enorme, immensa, cotta.

Come non credeva fosse possibile succedesse proprio a lei.

Persa nei suoi pensieri non si rese conto che, nell'istante in cui aveva voltato l'angolo, qualcun altro stava attraversando la via nella sua stessa direzione.

Inevitabilmente sbatté il viso su qualcosa di duro e profumato.

Inspirò per qualche secondo, dicendosi che aveva un odore buono e famigliare, successivamente un fulmine di consapevolezza la colpì in pieno.

Muschio... Pensò arrossendo fino alla punta delle orecchie. Era crollata, con tutto il suo peso, sul corpo del ragazzo che le piaceva.

Qualcosa si posò suoi suoi fianchi, la sollevò senza sforzo rimettendola in piedi, soltanto dopo qualche secondo si rese conto che erano mani: pallide, grandi, con dita lunghe e affusolate... Meravigliose.

Le sue mani.

«Guarda dove vai la prossima volta» Quella voce. Profonda, dura, calda. Per la prima volta in tutto quel tempo si rivolse direttamente a lei. Ed Anko sospirò e decise di godersi appieno il momento. Per questo sollevò il viso lentamente, osservando ogni suo dettaglio: le gambe, il busto, il torace, le braccia, il viso.

Gli occhi...

Quegli occhi la uccidevano senza pietà tutte le volte che si posavano su di lei.

Lo giuro! Sarai mio... Si ripromise con convinzione, decise di farsi coraggio e, sollevando il mento, dichiarò «Quando sarò grande tu mi sposerai!».

Madara, impegnato a scrutarla leggermente stizzito, a quelle parole non riuscì a trattenersi e spalancò la bocca basito, ansimando «Eh...?».

«Mi hai sentito bene... -Parlò puntandogli un dito contro- ...Staremo insieme, mi sposerai e faremo dei figli» Finì, per poi arrossire ancora di più a quelle parole, ed a ciò che comportava la frase “Faremo dei figli”.

Il ragazzo si morse il labbro inferiore, ma non riuscendo a trattenersi scoppiò a ridere divertito dinanzi a lei e le arruffò i corti capelli scuri con una mano «Certo ragazzina, torna quando sarai diventata una donna. Va bene?» Disse ilare, tornando sulla sua strada e scuotendo il capo. Almeno mi ha risollevato l'umore...

Lo farò... Si ripromise Anko con un enorme sorriso. Si voltò di nuovo verso di lui e gli afferrò un polso costringendolo a voltarsi, Madara non fece in tempo nemmeno a fulminarla con lo sguardo che, la ragazzina, si alzò sulle punte scoccandogli un casto bacio sulle labbra. Per poi correre via velocemente, saltellando verso la casa della sua insegnante.

Yuri Uchiha avrebbe potuto dire qualsiasi cosa: che non era adatta, trasandata, un maschiaccio, poco fine, bruttina e per niente femminile. Ma avrebbe conquistato Madara, a tutti i costi.

Lui sbatté le palpebre sorpreso, portando le dita della mano sulle labbra e osservando sconvolto il punto in cui quell'uragano in miniatura era scomparso. Sorrise di nuovo, stranamente felice di aver incontrato quella ragazzina e si passò una mano tra i lunghi capelli neri. Sì, sarà estremamente divertente... Pensò, ripetendo senza nemmeno saperlo le stesse parole di sua madre.

*°*

Anko non si era minimamente mossa da casa di Madara Uchiha.

Se ne stava comodamente seduta sulle gambe dell'uomo, con la nuca poggiata sul torace muscoloso e la mani che giocavano con le dita lunghe di quella dell'altro «Come mai non stai sbuffando, tesoruccio?» Domandò con un sorriso, carezzandogli amorevolmente il dorso e portandolo alle labbra, scoccandoci un bacio.

Nessuna risposa. Lui non parlò.

«Tesoruccio?... -Richiamò ancora, spostandosi leggermente per guardarlo in viso ed ampliando il sorriso quando notò che si era beatamente addormentato. Si allungò verso la sua bocca dischiusa e lo baciò gentilmente, per poi affondare la faccia nell'incavo del suo collo e respirare quel profumo che tanto adorava- ...Ti amo, Madara» Lo udì sospirare nel sonno e percepì le sue braccia avvolgerle la schiena con delicatezza, per stringerla contro di lui ancora di più.

«D-dormi, strega immonda» Biascicò in dormiveglia, trattenendo uno sbadiglio e posando il volto sul capo della ragazza. Sono diventato troppo vecchio per giocare ancora a guardia e ladri con lei... Si disse, consapevole che lui era il ladro e la guardia... Lo aveva catturato da tempo. Anche se, forse, potevano continuare a giocare ancora. Ogni tanto.

*°*

Questa è la segreteria telefonica di Kakashi Hatake.

Lasciate un messaggio dopo il segnale acustico.

 

Bip.

 

“Tutto qui? Niente canzoncine sui serpenti? Insulti? Dichiarazioni d'amore nei confronti del povero Sasuke-kun? È davvero tutto qui? Spaventapasseri... Ecco... Se ti serve un consigl... Oh, vaffanculo. Chiedi a qualcun altro”

 

Bip.

 

“Amico mio, segui sempre il cammino della giovinezza che porta alla completa felicità. Ti insegnerò io come fare!”

 

Bip.

 

Hatake se ti suicidi, ti ammazzo!”

 

Bip.

 

Kakashi, sono Jiraya. Domani pomeriggio ti va un caffè?”

 

Bip.

 

Sensei. Ci chiedevamo...

-Diglielo-

Lo sto facendo Danna, non stressarmi.

-Muoviti bombarolo, il telefono costa!-

Stronzo! Dicevo: sta bene? No, perché ieri è arrivato puntuale e Sasori si è preoccupato.

-Io non sono preoccupato, sono solo sorpreso-

Era preoccupato!

-Fottiti. Anzi, ci penso io a farlo-

No, Danna... Lasciami! LASCIAMI, BESTIA!”

 

Bip.

 

Kakashi... Vorrei... Parlarti. Lo so che sono passati anni, ma... Richiamami”

 

Se ne stava seduto lì: sulla scomoda sedia di un Bar al centro di Konoha.

In silenzio.

Da lunghi minuti maneggiava, con un cucchiaino, la stessa tazzina di caffè. Ormai divenuto freddo. Osservava il liquido scuro con occhi vacui e si domandava cosa dovesse fare.

Come doveva agire in quella situazione?

Da quando Rin, la sua vecchia amica, gli aveva lasciato quell'ultimo messaggio in segreteria non pensava ad altro che non fosse lei: se richiamarla ed affrontare il passato, oppure lasciar perdere e comportarsi da codardo.

Come si sentiva da tempo.

Una parte di lui desiderava intensamente incontrarla, parlarle ed abbracciarla nuovamente come quando facevano parte della stessa piccola famiglia che si erano creati.

L'altra, invece, aveva un immenso timore che, quel loro incontro, potesse cambiare ogni cosa.

In peggio.

Ancora una volta.

In quegli anni di solitudine in cui erano stati lontani, a fatica era riuscito ad uscire da quell'enorme baratro di dolore che la morte di Obito gli causò. Egoisticamente non voleva soffrire di nuovo, provare le stesse sensazioni che lo stavano per distruggere tempo addietro.

Quelle stesse che ogni notte divenivano incubi, causandogli un insonnia perenne da anni.

«Sei pronto a spiegarmi per quale motivo sembri così infelice?» Gli domandò d'un tratto Jiraya, distogliendo da quei deleteri pensieri, spezzando il lungo silenzio che li avvolgeva da quando si erano seduti a quel tavolo.

Il giovane sollevò un sopracciglio e mugolò atono «Sto bene. Non sono infelice!».

«Non sembra. Qual è il problema, Kakashi?» Rimbeccò l'uomo più anziano, tentando di invogliarlo a parlare ed aprirsi con lui. Lo conosceva da anni, lo considerava quasi un figlio, e sapeva che qualcosa lo turbava nel profondo.

Lo vedeva chiaramente.

Kakashi non era difficile da comprendere, se si perdeva un po' di tempo a studiarlo, conoscerlo ed apprezzarlo. Era un uomo acuto, capace ed intelligente. Leggermente fuori di testa nei suoi periodi migliori, ma chiuso come un riccio. Preferiva mostrare al mondo quella maschera, la stessa che indossava anche sul volto, pur di non far capire come e quanto soffriva quando ricordava il sangue di Obito impregnare l'asfalto.

Jiraya sapeva che quel rosso lo avrebbe perseguitato in eterno.

«Il problema... -Ripeté il più giovane con un sospiro stanco- ...Cosa ti fa credere che sia solo uno?» Chiese retorico, rifiutandosi ancora di sollevare il viso verso il suo interlocutore.

«Spiegati allora. Parlamene» Sussurrò paterno, aspettando paziente una sua risposta. Quel fiume di parole che, era certo, lo avrebbe inondato da un momento a l'altro. Poteva leggere nitidamente, nonostante la mascherina che gli copriva parte del volto, tutta la sua frustrazione.

Hatake si morse l'interno di una guancia, accasciandosi ancor di più sulla sedia, cominciando ad esporre con lentezza «Sta cambiando ancora ogni cosa ed io non sono pronto ad accettarlo. Non voglio vedere Rin, non voglio innamorarmi di qualcuno che non sia Obito, non voglio andare avanti... -Fece una pausa, portandosi il dorso della mano sotto al mento ed inspirando una profonda boccata d'aria- …Nonostante gli anni mi sento ancora in colpa per la sua morte. Nonostante tutto il tempo passato ancora lo amo, ma... Non riesco a non provare sensazioni simili con quel qualcun altro che io stesso ho avvicinato. Sto tradendo Obito, Rin e anche lo stesso Iruka. Tutti. E non posso. Non posso tradire la sua memoria, dimenticarmi di lui come se niente fosse stato. Era... È... Il mio intero universo» Soffiò in tono impercettibile, sentendosi lui stesso confuso da quelle parole.

Jiraya assottigliò le labbra ed affermò acido, deluso, «In tutti questi anni non hai compreso nulla!... -Socchiuse gli occhi e continuò acquietando il tono di voce- ...Non lo devi dimenticare e non lo stai tradendo. Guarda me... Sono sposato da anni con una donna che rimpiangerà sempre la morte del suo primo amore eppure... Eppure so che mi ama, così come amerà Dan allo stesso modo per sempre...»

«Un ripiego...» Lo bloccò Kakashi, avvertendo il senso di colpa nei confronti di Iruka crescere ancora di più.

«No!... -Esclamò immensamente irritato- ...Perché non riesci a comprenderlo? L'essere umano può amare incondizionatamente più persone, in modi diversi, ma allo stesso tempo di eguale intensità ed importanza. Kakashi... Non dimenticare il passato, ma voltati verso di lui con un sorriso. Non aver timore del futuro, afferralo e vivilo sulla tua pelle. Se non lo fai, non sarai mai completamente felice» Concluse posandogli una mano sulla spalla e stringendo con forza quel punto.

Kakashi abbassò il capo e continuò ad osservare l'interno della tazza, senza aggiungere altro. Non pensando a nulla.

Non voleva farlo, non ci riusciva.

Non in quel momento. Non da solo.

*°*

Dopo quel primo momento di grande imbarazzo, e dopo che Sasuke ebbe maledetto internamente la sua sfiga, la coppia di sposi si rivestì velocemente raggiungendo loro figlio ed Iruka nel salone.

Lì, l'uomo più grande, si stava martoriando le mani facendo avanti e indietro con un cipiglio cupo e preoccupato sul viso. Come se gli fosse capitato qualcosa di orribile.

Ma perché non possiamo mai stare tranquilli?... Si chiese l'Uchiha, facendo segno al bambino di seguirlo in cucina, dato che era quasi giunta l'ora di cena, così da poter lasciare il compagno solo con suo fratello.

Intanto lui si sarebbe messo ai fornelli, sentendosi sempre di più la donna della coppia in quelle occasioni, ma se avesse lasciato cucinare il dobe sarebbero tutti morti avvelenati. Le uniche cosa che sapeva fare Naruto erano, ovviamente, il Ramen ed i dolci.

Entrambe schifate dai due Uchiha.

Daisuke lo seguì docilmente, si accomodò su una sedia e, oscillando le gambe mentre lo osservava macchinare ai fornelli, chiese in modo del tutto innocente «Oto-san, che gioco stavate facendo tu e Naru?».

Sasuke, preparato a quella domanda, rispose atono e perentorio «Nessuno!».

«E perché eravate senza vestiti?» Rimbeccò ancora, saltellando dove era seduto, divertendosi un mondo nel vedere l'irrigidimento delle spalle del suo papà.

Senza che l'uomo adulto se ne rendesse conto era appena caduto nella trappola dei “perché”, perdendo inesorabilmente contro un bambino di nemmeno cinque anni.

«Avevamo caldo» Disse, spostando una ciocca di capelli neri dietro l'orecchio destro e continuando il suo lavoro, sperando, invano, che fosse finita lì.

«Perché avevate caldo?» Chiese ancora, grattandosi il naso.

Sasuke si voltò verso di lui, lo scrutò per qualche secondo e disse esitante «Perché... Perché sì, non c'è un motivo».

«Perché, perché sì. Non c'è un motivo?» Squittì il piccolo, aprendosi in un sorriso. Che somigliava più ad un ghigno stile Uchiha in verità.

Il padre s'impose di rimanere perfettamente calmo e decise di smetterla con quel gioco che, a parer suo, era durato anche troppo.

Non poteva di certo definirsi un uomo paziente.

«Daisuke, ascoltami. Io e Naruto stavamo facendo una cosa che possono fare solo gli adulti, ed ora smettila di fare domande» Concluse, sbattendo la pentola sul fornello con irritazione.

Passò qualche secondo di silenzio e poi il bambino rimbeccò di nuovo «Perché possono fare quel gioco solo i grandi?»

«Daisuke!» Lo sgridò, voltandosi verso di lui ed incrociando le braccia al petto. Imponendogli di smetterla con un'occhiataccia.

Il piccolo s'imbronciò e poi sbuffò risentito «Va bene... -Fece una piccola pausa e parlò in modo genuino e del tutto ignaro di quello che stava per dire- ...Quando sarò grande potrò giocare con voi?».

Morto.

Sasuke Uchiha si strozzò con la sua stessa saliva, avvampò come non gli era mai capitato arrossendo fino alla punta dei capelli a culo di papera. Tossì così violentemente da sputare quasi un polmone e, tentando di tornare a respirare, disse rauco «N-no... -Schiarì la voce e ripeté con convinzione- ...No. Mai, nemmeno tra un milione di anni».

Il bambino s'intristì al fatto che i suoi genitori non volessero giocare con lui, ed esclamò flebile «Ma anch'io voglio fare quel gioco!».

«Ascolta... -Parlò Sasuke, poggiandosi al piano cottura- ...Quando sarai grande lo farai con qualcun altro, ok?» Finì sentendosi sempre più imbarazzato da quel discorso, sperando che fosse concluso lì. Vide suo figlio storcere le labbra pensieroso e poi muovere la testa in un gesto affermativo, si rilassò voltandosi verso i fornelli e sospirò impercettibilmente.

Ce l'aveva fatta.

«Però mi devi insegnare come si gioca».

Kami, questo marmocchio mi ammazzerà...

 

Intanto in salone Iruka se ne stava rigido accanto alla finestra, con Naruto che non aspettava altro che una sua parola. Conosceva il fratello, e sapeva che non poteva chiedergli lui stesso cosa c'era che non andava. Lo avrebbe soltanto imbarazzo e bloccato, senza risolvere nulla.

«Non so cosa fare...» Soffiò piano, dopo qualche minuto.

Uzumaki, seduto sul divano, si strinse le ginocchia al petto e poggiò il mento su queste «Cosa intendi dire?» Indagò cauto.

«Kakashi... -Rispose con un lieve mormorio- …Mi piace, ma... Ma... È come se ci fosse qualcosa che non mi ha detto. Non riesco a fidarmi di lui e... A farlo aprire con me. Mi preoccupa, però non voglio apparire un impiccione. Non so che fare» Ripeté ancora, rifiutandosi di voltarsi verso il suo interlocutore.

Naruto si morse il labbro inferiore, indeciso su cosa fare, lui sapeva di Hatake. O meglio, era cosciente che nella vita dell'uomo c'era stato Obito, ma null'altro. Ed in più non considerava giusto parlarne con il fratello, doveva scoprirlo da solo, doveva... Avere la completa fiducia di Kakashi senza che lui si mettesse di mezzo «Nii-chan, devi parlare con lui».

«Non... Non lo so... E se, davvero, mi considerasse solo un impiccione?» Chiese ancora, guardandolo negli occhi in cerca di un aiuto.

Il biondo gli rivolse un sorriso e scosse la testa «Non lo farà, vedrai. Fidati di me».

*°*

Passarono l'intera serata insieme ed Iruka si rilassò completamente in compagnia della sua famiglia. Quando si congedò Naruto e Sasuke erano così stanchi che l'unica cosa che riuscirono a fare fu mettere a letto loro figlio e crollare loro stessi sotto le lenzuola, mentre il più giovane ancora malediva internamente tutti gli strani tizi che conoscevano.

Il giorno dopo, quando ebbero portato uno sbuffante Daisuke all'asilo, raggiunsero il Rinnegan controvoglia.

Difatti Nagato, qualche settimana prima, aveva chiamato informando suo cugino che ben presto avrebbe dovuto occuparsi di un nuovo assistente per qualche mese.

Naruto non era per nulla d'accordo, aveva già Sasuke, Sakura, Hinata e Ten-Ten, per quanto fossero i migliori, da istruire così come avevano fatto con lui anni addietro.

In più il Manga era ad un punto morto, in ritardo di una settimana con la pubblicazione.

Un altro ragazzo, uno sconosciuto, sarebbe stato un impiccio che non poteva, e non voleva, permettersi, ma Nagato era stato chiaro: “Tu sei il migliore. Tu ti becchi le grane!”.

Maledetto... Pensò Uzumaki, sedendo al suo posto e osservando l'ufficio ancora vuoto.

Nemmeno Sasuke ne era felice.

La vena possessiva nei confronti del marito, in quel breve periodo, non si era ancora mostrata del tutto. Un po' perché avevano affrontato in poco più di un anno molti, troppi, problemi. Ed un po' perché, in fondo, le persone che frequentava assiduamente Naruto erano di famiglia e, anche se faceva fatica ad ammetterlo, si fidava di Hidan, Tayuya, Sai, Ino e gli altri.

A parte l'episodio con Madara, che col senno di poi lo faceva sorridere data la faccia schifata di entrambi per quel bacio, non aveva mai avuto motivo di ingelosirsi.

Ma quello sconosciuto... Gli dava una spiacevole sensazione.

«Chi di voi è Uzumaki?» Domandò una voce piatta e cupa, d'improvviso, il cui proprietario non ebbe nemmeno la buona educazione di presentarsi.

Naruto, che era una persona solare e gentile, dopo il primo momento di sorpresa s'avvicinò a quel ragazzo dai lunghi capelli neri e gli occhi grigi, allungando una mano e sorridendogli calorosamente «Sono io. E lui è Sasuke Uchiha, un tuo collega» Parlò, presentando il marito in un modo che questi odiò profondamente.

Collega?... Pensò il giovane... Marito, non collega!... Si disse tremando di rabbia, cosa che si aggravò quando vide lo sconosciuto scrutare attentamente ogni parte del corpo della sua personale proprietà privata.

«È un piacere conoscerti, Uzumaki-sama» Sorrise leggermente, inchinandosi dinanzi a lui e decretando fin da subito che quell'uomo sarebbe divenuto suo.

E sarà un piacere ancor maggiore portarti a letto... Si disse, intuendo e godendo del malcelato disprezzo che proveniva dall'Uchiha.

Questo significa guerra, stronzo... Si ringhiò in testa Sasuke, scrutando cupamente le mani ancora allacciate dei due.

   
 
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