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Autore: AbbieWriter    23/07/2013    10 recensioni
'White Horse Tavern' diceva la grande insegna blu a caratteri bianchi. Il locale era piuttosto affollato, perciò mi imbucai tra la gente del posto e i turisti armati di Canon, e cercai un posto dove sedermi. Optai per il bancone, e mi accomodai su uno sgabello alto, poggiando i gomiti sul tavolo e la testa sulle mani. Osservando pigramente il posto, notai un ragazzo seduto da solo a un tavolo, con l'espressione concentrata su un album da disegno, che muoveva freneticamente la matita sul foglio di carta. Rimasi incuriosita da lui, fino a quando non alzò lo sguardo verso di me, e i nostri occhi si incrociarono. Fu lì che il tempo si fermò.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Corri, corri, quella è libera!- gridava Maggie spingendomi verso una porta aperta. Corsi, per quello che le risate mi permettevano, e una volta entrata nella stanza spinsi dentro anche la mia migliore amica e mi chiusi la porta alle spalle.
-Evvai, la stanza è nostra- dissi senza fiato, con la spalle contro il legno.
Ormai tutte le gite erano così. Una volta arrivati all’hotel, tutte le coppie di studenti facevano a gara per prendere le stanze migliori, e ogni volta era una corsa contro il tempo.. e contro quelli più veloci di te.
Ricominciando a respirare regolarmente, osservai la stanza che avevamo ‘scelto’. Sul muro accanto alla porta c’era una cassettiera in legno scuro con uno specchio appeso al muro appena sopra di essa. Sulla destra c’era un grande letto matrimoniale, con cui Meg aveva già fatto conoscenza buttandocisi sopra. Sul muro di fronte a me, sulla destra c’era un altissimo armadio dello stesso legno della cassettiera, più a sinistra invece c’era una semplice finestra che illuminava tutta la stanza. Sul pavimento in mattonelle lucide, proprio davanti al letto, c’era un grande tappeto decorato, mentre vicino al muro alla mia sinistra c’era una comoda poltrona imbottita. Alla fine del muro a sinistra c’era una porta che doveva portare al bagno. Sul soffitto, invece, c’era un grandissimo lampadario, che brillava alla luce del sole.
Lasciai incustodita la mia valigia per sdraiarmi sul letto accanto a Maggie, tutte e due fissavamo il soffitto.
-Potrei abituarmi a questo lusso- disse lei in tono rilassato.
-Sei a New York con Emily Richards, non resterai in questa stanza per più di due ore. Saremo qui solo cinque giorni, e voglio passarli tutti in giro per la città- dissi convinta, sedendomi a gambe incrociate sul letto morbido. Lei sospirò e scese dal letto, disfacendo la sua valigia.
La imitai, e un’ora dopo la nostra camera era diventata del tutto nostra. I vestiti erano al loro posto, gli accessori e gli effetti personali anche. Ci mettemmo sul letto, io leggevo un libro e Meg giocava ai videogiochi. Una mezz’oretta dopo la Johnson venne a bussare alla nostra porta, dicendoci che cinque minuti dopo tutti gli studenti dovevano essere nella hall dell’hotel per iniziare il giro per la città. Appena sentii quelle parole iniziai a saltellare per tutta la camera.
-Stiamo per andare a New York, oddio! Non posso crederci- continuavo a gridare. Maggie mi guardava e rideva.
-Okay, calmati, statua della libertà. Prepariamoci, o faremo tardi- disse lei con tono da sorella maggiore. Mormorai un ‘certo mamma’ e mi arrivò un cuscino addosso, ma per il resto non ci furono problemi.
 
**
 
-Prendete gli stessi posti che avevate nel viaggio di andata, non voglio altri problemi!- urlava mr.Wood, un professore della classe di Chris, con la pelle bianca come il latte, i capelli sul castano chiaro e un grosso paio di occhiali poggiati su un naso altrettanto grande. Era molto magro, ma riusciva a farsi rispettare, più o meno.
Io e Maggie prendemmo i nostri posti, e questa volta Chris si limitò a fulminarmi con lo sguardo, e ad andare al suo posto.
Il viaggio fu molto breve, dopotutto dovevamo solo arrivare nel centro della città.
Una volta che il bus si fu fermato, ebbi il tempo di guardarmi intorno, mentre tutti gli studenti scendevano dal veicolo. I grattacieli erano altissimi e pieni di vetrate e finestre, ogni via era gremita di gente, che parlava ogni lingua, con un colore della pelle sempre diverso. C’erano così tanti negozi e bar che avevo perso il conto di quanti ce ne fossero. La voce di Maggie mi riportò alla realtà.
-Em, resta col gruppo. E’ facile perdersi- mi intimò. Notai poi che ero rimasta indietro rispetto agli altri, che avevano già iniziato a camminare. Nemmeno il tempo di guardarsi intorno, bah.
Camminammo a lungo, in mezzo alla gente, più veloce di quanto volessi. Entrammo nei negozi, prendemmo qualcosa nei bar, ci fermammo a vedere i più svariati monumenti che c’erano per le strade. Ma la cosa che catturava di più la mia attenzione erano gli artisti di strada. In uno spiazzo non lontano da Central Park, un uomo con un berretto disegnava con dei gessetti il ritratto della Madonna con in braccio Gesù Bambino. E non era un semplice disegnino sul marciapiede. Occupava gran parte della superficie della piazzetta, ed era di un realistico straordinario. Mi chiesi come mai quell’uomo non fosse già diventato il nuovo Michelangelo. Sulla Quinta Strada, invece, una band improvvisata suonava dei pezzi dei Guns n’ Roses, ed erano tutti bravissimi. La cantante aveva una voce strepitosa, e il batterista faceva degli assoli degni di Phil Collins*. Li guardavo con gli occhi spalancati, in un’espressione piacevolmente sorpresa. Mi guadagnai gli sguardi divertiti della band, che di sicuro aveva riconosciuto che non ero di quelle parti. Dopo essere stata frettolosamente tirata per un braccio, ci fermammo su delle panchine, per riposarci dopo la passeggiata e mangiare qualcosa.
-Mi scusi, mrs.Johnson, ma non potremmo andare in qualche paninoteca o fast food? Ce ne sono tantissimi da queste parti- proposi alla professoressa, che con espressione leggermente irritata mi rispose: -So che ci sono molti posti in cui mangiare, Emily, ma siamo nell’ora di punta, tutti i ristoranti e i fast food sono strapieni. Dopotutto siamo a New York-  Mi sedetti sbuffando su una panchina piuttosto lontana dagli altri, e presi dalla borsa il mio album da disegno. Mi guardai intorno, assicurandomi che non ci fosse nessuno, e lo aprii. Non permettevo a nessuno di vedere i miei disegni, neanche a Meg. Quando finii di sfogliare le pagine e controllare tutti gli schizzi, mi guardai nuovamente intorno, cercando qualcosa da cui prendere spunto per un nuovo disegno. Purtroppo, a parte banali alberi e una quantità enorme di turisti in bermuda e macchine fotografiche, non trovai niente che mi sembrasse all’altezza. Mi alzai, allontanandomi leggermente; forse più in là avrei trovato quello che cercavo. Senza accorgermene, scesi il gradino del marciapiede su cui mi trovavo, e continuai a camminare, comandata dagli occhi che scrutavano ogni cosa. Ero in una specie di trance, e quando mi voltai vidi solo un’ennesima massa di persone che si affrettava a raggiungere la propria destinazione. Mi voltai ovunque alla ricerca dei miei compagni e dei professori, ma non trovai niente.
-Oh, no- dissi a me stessa, mentre avvertivo i battiti del mio cuore accelerare sempre di più.
 
**
 
Non potevo essermi persa. No, no, no, no. Okay, era il mio sogno vagare per New York senza una meta, ma non quando sono in gita scolastica e non so tornare all’albergo. Ormai mi facevano male le gambe da quanto stavo camminando, ero anche tornata indietro più di una volta, ma non ero ancora riuscita a trovare nessuno. Mi girai per la centesima volta in una direzione sconosciuta, e il mio sguardo si soffermò su qualcosa.
'White Horse Tavern' diceva la grande insegna blu a caratteri bianchi. Il locale era piuttosto affollato, perciò mi imbucai tra la gente del posto e i turisti armati di Canon, e cercai un posto dove sedermi. Optai per il bancone, e mi accomodai su uno sgabello alto, poggiando i gomiti sul tavolo e la testa sulle mani. Osservando pigramente il posto, notai un ragazzo seduto da solo a un tavolo, con l'espressione concentrata su un album da disegno, che muoveva freneticamente la matita sul foglio di carta. Rimasi incuriosita da lui, fino a quando non alzò lo sguardo verso di me, e i nostri occhi si incrociarono. Fu lì che il tempo si fermò.
Ci osservammo per quelle che sembrarono ore; alla fine, accorgendomi che la situazione stava diventando imbarazzante, distolsi lo sguardo, giocherellando con le mani. Mi voltai di soppiatto, sperando che non si accorgesse che lo fissavo, ma purtroppo anche lui teneva gli occhi fissi su di me, con un’espressione che non riuscivo a decifrare. Presi un respiro profondo, e scivolai giù dallo sgabello, avviandomi verso il suo tavolo con la mano stretta al manico della mia borsa. Sentivo le gambe pesanti e non avevo la minima idea del perché stessi andando da lui. ‘Oh, ho notato che ci stavamo fissando, perché non prendiamo un caffè insieme?’ non potevo dire questo. Allora, cos’avrei detto? Senza accorgermene ero davanti al suo tavolo, mentre il ragazzo mi guardava con aria interrogativa. Mi guardai freneticamente intorno, cercando qualcosa da dire.
-Posso chiederti un’informazione?- dissi tutto d’un fiato, come se una semplice domanda mi costasse tutte le mie forze.
Lui annuì tranquillamente. –Certo, dimmi pure.-
-Sai qual è la strada per il Refinery Hotel? Non sono di qui e mi sono persa- finita la frase guardai in basso, poi di nuovo affondai nei suoi occhi. Sorrise in modo amichevole e adorabile, e mi fece cenno di sedermi di fronte a lui. Un po’ impacciata, riuscii a sedermi senza fare casini, e poggiai le braccia sul tavolo.
-Dunque, partendo da qui, devi andare sempre dritto fino alla quarantasettesima, quando trovi uno Starbucks sulla sinistra, gira in quella direzione. Cammina sempre dritto fino a quando non trovi una grande piazza a fianco a una piazza più piccola. Se attraversi la piazza grande verso destra puoi imboccare la trentatreesima str..-
-Non ho idea di cosa tu stia parlando- lo interruppi con espressione sorpresa e abbattuta. Sorrisi malamente.
-Non sono di qui, se non so arrivare all’hotel come pretendi che conosca le strade?- chiesi retoricamente. Lo vidi accennare un sorriso, visibilmente in imbarazzo.
-Scusa-
-Non preoccuparti-
lo rassicurai sfoggiando uno dei miei sorrisi migliori.
Dopo qualche istante il mio sorriso smagliante si consumò, e su di noi cadde un silenzio di tomba. Non riuscivo a guardarlo negli occhi e mi sentivo arrossire sempre di più.
-Hai un album sul tavolo. Ti piace disegnare?- chiesi e subito sbarrai gli occhi non rendendomi conto di quello che avevo detto. Dovevo imparare a collegare il cervello alla bocca, in certe situazioni.
-Sì, adoro disegnare. E’ più che altro un hobby, ma lo faccio spesso. Vuoi vedere qualcosa?- chiese ora più sicuro di sé. Annuii con foga, impaziente di vedere i suoi lavori.
Mi mostrò un paio di uccellini su un ramo fatti a carboncino, una bambina che prendeva il palloncino che il suo papà le aveva regalato, fatto a matita come schizzo. Mentre sfogliava i disegni non la smetteva di parlare, di descrivere la scena, di dirmi dove aveva visto quello che disegnava, quali erano i suoi posti preferiti. Ero davvero interessata, ma dopo un po’ alzai gli occhi su di lui per osservarlo meglio: aveva la pelle olivastra, i capelli scuri e luminosi come le piume di un corvo, protesi in alto con un lungo ciuffo, i lineamenti perfetti, un accenno di barba ispida e degli occhi color caramello, che luccicavano mentre parlava di quello che non era solo un hobby, ma era un suo talento. Chiacchierava con un perenne sorriso sulle sue labbra, mentre osservai anche il suo petto e le braccia, pieni di tatuaggi di ogni tipo. Dopo qualche istante mi sembrò strano sentire il silenzio; o meglio, c’era sembra quel brusio confuso dei clienti nel locale, ma lui non parlava. Alzai lo sguardo e vidi che lui mi fissava compiaciuto e sorridente. Avvampai d’un colpo, mi aveva presa nel pieno delle mie ‘analisi’.
-Mi stavi fissando- disse lui con quel perenne sorriso. Non gli facevano male le guance?
Non sapevo che dirgli. Era vero, lo stavo fissando. –Non è vero- dissi, in modo poco convincente. Cosa avevo detto riguardo la bocca e il cervello?
-E’ che mi sono accorta che non so nemmeno il tuo nome- speravo di essermi salvata il culo.
-Mi chiamo Zayn- disse lui tendendomi la mano.
-Io sono Emily- ricambiai il sorriso e gli strinsi la mano. Era calda e leggermente sporca di carboncino. Ci sorridemmo ancora per un lungo istante.
-Se vuoi posso accompagnarti all’hotel- propose lui.
-No, davvero, non preoccuparti. Mi comprerò una cartina e chiederò in giro-
-Vuoi davvero perderti di nuovo?- chiese retoricamente. Risi timidamente, e lui si alzò, prendendo quello come un sì.



 

*famoso batterista britannico




Eccomi qui con un altro capitolo :) Le recensioni scarseggiano da morire, e un po' mi dispiace. Ma adoro scrivere, e spero sempre che a qualche visitatore possa piacere la mia storia e possa recensirla c: Questo è il primo incontro tra Emily e Zayn, e forse è un po' troppo lungo, ma non volevo farvi aspettare oltre lol Niente, godetevi il capitolo e PER FAVORE, recensite. Non vi costa davvero niente, anzi, otterrete dei punti (?) Ciao :)
ps: per qualsiasi cosa, su twitter sono @shescontagious

-Emily:


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-Maggie: 

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E ovviamente -Zayn:

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