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Autore: Koa__    25/07/2013    3 recensioni
Greg Lestrade credeva che, dopo avergli regalato una parte del parco pubblico di San James, Mycroft avesse terminato con la lista dei regali impossibili. A quanto pareva il suo spirito d’iniziativa non aveva mai fine e Lestrade non poteva che essergli grato.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Di Mystrade, d'amore e d'altre sciocchezze...'
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I diritti di Sherlock BBC non appartengono a me, così come i personaggi. Io li utilizzo senza scopo di lucro.
Fa parte della serie 
di Mystrade, d’amore e d’altre sciocchezze”.
Prima parte  e Seconda parte



Benvenuto a Pendleton House!
 
 

Un aroma di caffè impregnò l’aria del piccolo ufficio al terzo piano nell’edificio di New Scotland Yard, attirando l’attenzione di Gregory Lestrade. Il poliziotto sollevò lo sguardo, notando solo in quel momento che il commissario capo White se ne stava in piedi con due tazze di caffè fumanti tra le mani e gli sorrideva, bonario. L’investigatore scattò all’impiedi, facendo volare i fogli che erano appoggiati sulla sua scrivania, scartoffie che detestava e che ricaddero sulla superficie liscia come piume leggere.
«Signore, è un piacere vederla di prima mattina» borbottò, imbarazzato mentre cercava di fare un po' d'ordine.
«Anche per me, Lestrade, tega: le ho portato un caffè» disse il grassoccio uomo sulla cinquantina, avvicinandosi a lui prima di prendere posto. Il commissario posò una delle tazze sul tavolo, mentre sorseggiava con gusto la propria.
«Non sapevo come lo prendesse e così ho aggiunto una sola zolletta.»
«Va benissimo, ma non doveva disturbarsi tanto» rispose. Greg non sapeva davvero cosa pensare, quelle rare occasioni in cui incontrava il commissario capo era solo per dei rimproveri e, il più delle volte, aveva a che fare con Sherlock Holmes. Il fatto che ora si fosse presentato nel suo ufficio con una tazza da caffè raffigurante la regina, era ancora più preoccupante. [1]
«Ho semplicemente creduto che le andasse di berne un po’. Sono solito prenderlo a quest’ora del mattino, ma il più delle volte mi ritrovo a farlo da solo. Se devo essere sincero è una cosa che non amo. Preferisco la compagnia di qualcuno, al dover restare chiuso nel mio ufficio per tutte quelle ore. Sa che, di tanto in tanto, provo invidia nei suoi confronti.»
«Invidia?» chiese Greg in risposta, imitandolo e servendosi.
«Potrebbe sembrarle sciocco, Lestrade, ma il suo mestiere è piuttosto eccitante. Molto di più che passare carte e firmare documenti, glielo posso assicurare. È per scovare assassini ed arrestare criminali, che mi sono arruolato in polizia.»
«Non mi dica che è venuto a propormi uno scambio?» chiese, ironico.
«Oh, buon cielo, no. Sono qui perché mi risulta che abbia fatto richiesta di ferie, tempo fa» disse White.
«Più di un anno a dire il vero e avevo anche sollecitato, ma mi è sempre stato risposto che avrei dovuto attendere e che il mio ruolo all’interno di Scotland Yard era troppo importante» concluse, senza riuscire a celare un leggero sarcasmo.

Sapeva benissimo che il fatto che non avesse mai potuto prendersi una vacanza, fosse in relazione all’astio che serpeggiava nei confronti di Sherlock Holmes. Lo stesso commissario White che, ora, sedeva di fronte a lui e lo fissava sorridente, gli aveva ripetuto più volte che non voleva assolutamente che quel consulente investigativo ficcasse il naso nelle faccende di Scotland Yard. Aveva provato a convincere tutti che il suo aiuto era prezioso, che era soltanto grazie a Sherlock se avevano acciuffato assassini e malviventi di ogni sorta. Puntualmente però, gli veniva risposto che se voleva fare l’investigatore, allora quell’Holmes avrebbe dovuto arruolarsi in polizia.

«Ed infatti, lei è importante per noi» gli rispose White poco dopo, «proprio per questo ho deciso di concederle un periodo di ferie. Si prenda due settimane di riposo, se le è proprio meritate.»
 Lestrade gli rivolse uno sguardo stupito, aveva forse sentito bene: gli aveva concesso delle ferie pagate?
«Dice sul serio?» chiese, titubante.
«Non scherzo mai quando parlo di queste cose» rispose il commissario, prima di alzarsi dalla sedia e voltargli le spalle.
«La ringrazio, signore.»
«Ah, Lestrade…» disse ormai sulla soglia. «Hanno effetto immediato, quindi lasci lì quei fascicoli e se ne vada a casa. Dimmock penserà a sostituirla durante la sua assenza, ritiene che sia in grado di farlo?»
«Certo» annuì Greg.
«Era quello che volevo sentire, buon viaggio, ispettore Lestrade.»
«Viaggio?» domandò senza capire.

Ancora sbigottito, si lasciò cadere sulla propria sedia roteando su sé stesso. Il commissario capo White era un uomo rigido e conservatore, aveva più di cinquant’anni e lavorava a Scotland Yard da tutta una vita. Si era guadagnato il proprio incarico grazie allo spirito di sacrificio e alla dedizione che aveva sempre mostrato nel lavoro. La fedeltà verso la nazione e il suo essere terribilmente tradizionalista, traspariva spesso; specie quando mostrava con orgoglio una fotografia che aveva fatto assieme al principe Carlo, già molti anni addietro. Di sicuro, Greg non poteva dire d’avere un buon rapporto con lui. White non aveva mai mancato di fargli notare che non amava per nulla le intromissioni di Sherlock Holmes: sosteneva che Scotland Yard fosse in grado di risolvere i crimini senza l’aiuto di nessuno. Non era mai stato ufficialmente richiamato per le libertà che si prendeva: l’elevato numero di assassini che riusciva a catturare, non permetteva infatti a White di fare ciò che desiderava realmente, ovvero cacciarlo. Aveva però fatto di tutto per rendere la sua vita impossibile. Dai turni infiniti ed estenuanti, al numero scartoffie da firmare che aumentavano sempre di più, alle mancate ferie. Non si sarebbe mai aspettato che quell’uomo cambiasse idea su di lui, ma soprattutto non pensava potesse farlo tanto rapidamente. Doveva esserci dell’altro dietro al suo comportamento e, qualunque cosa fosse, aveva quasi certamente a che fare con Mycroft Holmes.

Credeva che dopo avergli regalato una parte del parco pubblico di San James, Mycroft avesse terminato con l’elenco dei regali impossibili. A quanto pareva il suo spirito d’iniziativa non aveva mai fine e Lestrade non poteva che essergli grato. Dopo quella discussione in cui entrambi si erano dichiarati, Greg aveva smesso di farsi problemi. Holmes lo amava, lo rispettava, desiderava proteggerlo e non avrebbe permesso a niente e a nessuno di fargli del male. Stava bene quando era in sua compagnia e, a dire il vero, si sentiva in quella maniera anche mentre camminava per strada o entrava in ufficio. Sempre, Lestrade aveva la sensazione che lo stesse osservando, come se avesse un occhio puntato perennemente su di lui, pronto ad intervenire in caso di necessità.

Greg non riuscì a trattenere le risa; in vacanza, lui era in vacanza. Diavolo, da quanto non succedeva? Non sapeva nemmeno bene come dovesse comportarsi, che doveva fare? Portò lo sguardo alla scrivania: fogli e cartellette giacevano ancora lì e, cosa incredibile, non erano più un suo problema. Si alzò in piedi, afferrò il cellulare e lo gettò in tasca mentre prendeva la giacca ed usciva a passo rapido. Scivolò via dall’edificio prima che qualcuno potesse bloccarlo o fargli delle domande. Ignorò tutti quanti, dalla Donovan alle parole insulse di Anderson, che voleva sapere dove stesse andando a quell’ora del mattino.

E, una volta fuori, ispirò l’aria fresca, felice come non mai: era libero.
 
 

 
oOo
 


Mycroft Holmes aveva sempre un piano e Greg lo aveva imparato. Se gli aveva fatto ottenere delle ferie, e molto probabilmente anche un buon trattamento da parte dei capi della polizia, allora doveva esserci un valido motivo. Non poteva essere solo per un favore personale o perché lo amava, c’era dell’altro. E quella strana sensazione, che lo aveva preso alla bocca dello stomaco, gli si materializzò davanti agli occhi mezz’ora più tardi. Aveva ricevuto un suo messaggio nel quale era stato invitato ad andare a casa con una certa urgenza. E lui non se n’era affatto lamentato, non gli dispiaceva per nulla la prospettiva di stendersi sul divano a metà mattina e fare zapping davanti alla televisione. Ciò che non si sarebbe mai aspettato di trovare, era un elicottero parcheggiato sul tetto del suo palazzo.

Una volta giunto nel piccolo atrio del pian terreno, Greg era stato accolto dal viso sorridente di Anthea che, con una valigia in mano, gli aveva chiesto di proseguire su per le scale e di farlo con una certa rapidità. Solo quando si trovò di fronte al velivolo, credette per davvero a ciò che stava vedendo: un elicottero! Mycroft gliene aveva mandato sul serio uno e, ora, stava sorvolando il centro di Londra diretto verso sud. E Greg era quasi sicuro di sapere dove stessero andando.

Atterrò in un eliporto ad ovest di Eastbourne, [2] dove ad attenderlo aveva trovato una macchina che lo avrebbe accompagnato sul posto. La sorpresa che ebbe fu quella di non trovare la bellissima e grande villa vittoriana che si era aspettato, ma una semplice casa in riva al mare di modeste dimensioni. Quando Mycroft gli aveva detto di possedere una piccola casa nel Sussex, era serio. E lui che credeva che stesse minimizzando così com’era solito fare.

Venne ricevuto da una donna sulla settantina, vestita in abiti da cameriera, che lo accolse con un gran sorriso cordiale.
«Signor Lestrade, benvenuto a Pendleton House» esordì la governante con un marcato accento francese.
«Grazie» annuì il poliziotto, guardandosi attorno mentre l’autista posava a terra i suoi bagagli e attendeva indicazioni.
«Io sono Thérèse e gestisco questa casa, per qualsiasi necessità la prego di chiedere a me. Se desiderasse avere con sé qualcosa di particolare, come un cibo che gradisce mangiare o una rivista che vorrebbe leggere, me lo dica e provvederò immediatamente. Questa residenza consta di due soli piani ed è di ridotte dimensioni, ma spero la troverà ugualmente confortevole.»
«Io mi accontento di poco, Thérèse» la rassicurò, non era certo esigente, lui.
«Da questa parte,» disse lei indicando una porta alla sua sinistra. «C’è la sala da pranzo ed una piccola biblioteca che il signor Holmes utilizza a mo’ di studio. Da quest’altra invece» mormorò indicando la porta sulla destra, «ci sono la cucina e le stanze della servitù, le camere da letto invece sono al piano di sopra.»

La cameriera fece un cenno all’autista che sparì oltre le scale. Greg si guardò attorno, mentre la governante gli mostrava la piccola casa. Le dimensioni erano modeste per davvero, ma l’arredamento era di prima qualità. Il tavolo del soggiorno era di cristallo e sedie, soprammobili e lampadari erano oggetti d'arredamento piuttosto pregevoli. Alle pareti erano appesi quadri che Greg sperava proprio non fossero autentici.
«Aspetti un momento» disse, prima che la donna sparisse in corridoio dopo che gli ebbe mostrato la camera da letto ed ebbe disfatto la valigia.
«Mi dica, signore» rispose, compita.
«Myc… Voglio dire, il signor Holmes è in casa?»
«Non al momento.»
«E sa dirmi quando arriverà?»
«Ha detto che avrebbe fatto il possibile per essere qui entro questa sera, ma potrebbe tardare ed arrivare domani. Se posso suggerirle qualcosa da fare, la nostra biblioteca è degnamente popolata. Inoltre, nell’armadio, potrà trovare il necessario per la spiaggia; da queste parti il mare è ottimo, anche in questa stagione. Mi permette di suggerirle di andarci?»
«Grazie» annuì Greg, «seguirò i suoi consigli.» Thérèse annuì ed uscì in corridoio, chiudendosi la porta dietro di sé, di lei nella stanza rimase solo l’intenso profumo che portava.

Rimasto solo, Lestrade si gettò a peso morto sul letto, ridendo apertamente. Era tutto così assurdo… Quella mattina era uscito così come faceva sempre. Era estremamente sicuro di quel che avrebbe fatto: prima il lavoro, poi magari a pranzo avrebbe chattato con Mycroft, dopodiché sarebbe tornato a casa per un meritato riposo. Invece era tutto stravolto, si trovava in una bellissima casa che si affacciava su di un mare splendido, aveva camerieri e cuochi al suo servizio e, cosa migliore, un sole caldo si specchiava nelle acque azzurre del canale della Manica. Incuriosito, Greg iniziò a girovagare per la stanza, deciso a spiare il contenuto di cassetti e ripiani. Era intonacata con dei colori chiari che la illuminavano e sulla sinistra una grande finestra faceva sembrare l’ambiente più ampio. Il letto era grande e pareva essere piuttosto comodo, due comodini ai rispettivi lati e un armadio sulla parete di destra, richiamavano lo stile del letto. Si avvicinò alla credenza, fornita di cassettiera, che stava accanto alla porta d’ingresso. Si soffermò un momento a rimirare la propria immagine nel grande specchio appeso al muro, dopodiché prese a spogliarsi. Non aveva molti dubbi su ciò che desiderava fare, per questo si svestì senza nemmeno curarsi di far finire i suoi abiti a terra. Una volta pronto, recuperò il necessario e volò fuori di casa. Non si premurò nemmeno di avvisare dove stesse andando, Thérèse lo aveva visto uscire e lui l’aveva salutata con un cenno leggero della mano, ringraziandola per il suggerimento. Non aveva fatto molto caso alla sua risposta, ma gli era sembrato che avesse sorriso. La sola cosa che gli era interessata in quel momento era una spiaggia privata e un mare da sogno. Ora mancava solo Mycroft.

Era convinto che nulla potesse più sorprenderlo, ma fu quella governante a farlo per davvero e successe quella stessa sera. Stava sorseggiando un drink analcolico a base di papaia, mentre osservava il sole tramontare dietro al mare, quando lei lo raggiunse. Thérèse attirò la sua attenzione con fare elegante, senza essere invadente. Carica di quella grazia che mostrava perennemente e che Lestrade trovava decisamente insolita su di una cameriera.
«Mi domandavo se gradisse qualcosa di particolare per cena.»
«Non si disturbi, mi accontento di un panino o di un piatto di spaghetti. Non ho pretese assurde come Mycroft.» Greg si morse il labbro, pentito da quell’affermazione. «Mi scusi, non avrei dovuto dirlo» domandò, sorridendole.
«Il signor Holmes è un uomo particolare, l’ha capito anche lei vedo.»
«Particolare non è l’aggettivo che utilizzerei per descriverlo, ma sicuramente fuori dal comune. Ma non c’è da stupirsi, ha mai conosciuto suo fratello Sherlock?»
«Certamente» annuì la donna.
«Sono persone straordinarie, vero? Terrificanti ovviamente, quella loro mente geniale è così, beh… Ma sono entrambi meravigliosi, anche se insopportabili.»
«Le dispiace che non sia qui con lei?»
«Certamente, ma penso che stia facendo qualcosa di importante per l’Inghilterra o altre cose del genere. Appena potrà mi raggiungerà e se non farà in tempo, beh, sono in vacanza, no?»
«Che lavoro fa, signor Lestrade?»
«Sono un ispettore di polizia.»
«A Scotland Yard?»
«Già, è così che io e Sherlock ci siamo conosciuti. Me lo trovavo di tanto in tanto sulle scena di un crimine e non riuscivo mai a mandarlo via. Solo tempo dopo ho capito che la sua intelligenza e il suo mostruoso talento, mi sarebbero tornati d’utilità. Non ce ne sono molti a questo mondo di uomini del genere, Thérèse.»
«Lo so bene.»
«Lei lavora da molto per Mycroft?»
«No, in effetti da pochissimo tempo.»
«Strano…»
«Come mai lo sarebbe?» chiese lei.
«Non lo so, mi dà l’impressione che lo conosca piuttosto profondamente, ma forse mi sbaglio.»
«Vado a prepararle da mangiare» s’affrettò a rispondergli Thérèse, con una premura nei movimenti che lo insospettì. La vide aprire la porta d’ingresso, ma si fermò quando sentì le parole di Greg.
«Se ho detto qualcosa che l’ha offesa, non era mia intenzione.»
«No, è che sono molto stanca, le preparo la cena e poi vado a dormire.»
«Beh, se vuole ritirarsi adesso non ha che da dirlo e io…»
«No, è il mio lavoro e tengo a farlo, ispettore.» La governante si avviò, ma ritornò subito sui suoi passi, rovistandosi nelle tasche del grembiule.
«Per poco non me ne dimenticavo, ho trovato questo a terra mentre sistemavo gli abiti nell’armadio. Il signor Holmes deve averlo perso l’ultima volta che è stato qui.»
«Un anello?» mormorò Lestrade, afferrandolo.
«C’è il nome del signor Holmes inciso sopra» precisò lei, ma Greg era già perso in mille pensieri. Si rigirò l’anello tra le dita c’era davvero un nome inciso all’interno. Soltanto la parola Mycroft e niente altro, nessuna data. Una semplice fedina. Lestrade provò ad indossarla: gli calzava perfettamente all’anulare della mano sinistra. Strano, prendeva perfettamente il posto della sua fede nuziale, fede, che non indossava ormai da tempo. Gli fece piacere la sensazione che gli dava portare una fedina del genere, con il nome del suo uomo inciso all’interno.
Fu così che la tenne al dito.
 
 

 
oOo
 


Holmes si fece vivo soltanto il mattino successivo. Lestrade si era alzato di buon ora e dopo un’abbondante colazione, aveva deciso di tornare alla spiaggia non prima d'aver preso in prestito un libro. La governante gli aveva ribadito l’invito a non farsi scrupoli e a servirsi di ogni beneficio che quella dimora gli offriva, rimarcando il fatto che tutto e tutti fossero a suo servizio. Come se avesse avuto l’impressione, in ogni caso corretta, che non riuscisse ad abituarsi a tanto lusso.

Mycroft l’aveva incontrato solo più tardi, sulla soglia di casa. Greg stava rigirandosi tra le mani una copia di The clocks, [3] quando lo aveva incontrato. Sapeva quanto Holmes poco amasse le manifestazioni d’affetto davanti a chiunque non fosse lui, così come detestava l’essere chiamato con diminutivi o vezzeggiativi. Ma appena lo vide proprio non riuscì a resistergli e gli si gettò addosso, allacciando le braccia al suo collo senza smettere di baciargli il viso.
«Grazie, My, grazie di tutto.»
«Buongiorno, Gregory» gli aveva risposto, provandolo a scrollarselo di dosso. Lestrade l’aveva percepita, una certa rigidità appena lo aveva abbracciato. Ma Mycroft non lo faceva apposta, era semplicemente molto riservato ed attento che la sua vita intima non fosse sotto gli occhi di nessuno. Greg non aveva idea se lo facesse per abitudine in relazione al suo lavoro oppure se fosse proprio una sua caratteristica, ma fatto stava che dovette allontanarsi per fargli riprendere il controllo di sé.
«Bentornato, signor Holmes» trillò Thérèse, facendo cenno all’autista che lo aveva accompagnato di portare i bagagli al piano di sopra. La governante non attese oltre ed anche lei sparì su per le scale, lasciandoli soli. Lestrade rimase per un momento interdetto dallo sguardo indecifrabile che Mycroft stava rivolgendo alla vecchia cameriera. Holmes non disse però nulla e si limitò ad uno sbuffo che gli era quasi sembrato fosse di stizza. Non sapeva davvero che pensare, Greg, forse era semplicemente stanco del viaggio oppure il suo lavoro lo stava impensierendo.
«Vedo che ti sei ambientato piuttosto bene, Gregory» esordì Holmes, accennando al libro che aveva in mano e all’anello al dito.
«La tua cameriera ha insistito così tanto per farmi prendere un romanzo, che non mi è restato che accontentarla. Per quanto riguarda la fede, Thérèse ha detto d’averla trovata in uno degli armadi. Mi piaceva e l’ho messa, ma te la restituisco subito.»
«Non c’è problema, è tua se lo gradisci» disse. «Dimmi un po’, Thérèse come si è comportata?» domandò, indagatore.
«È molto gentile, anche se insistente. Deve aver colto il mio imbarazzo: non sono abituato ad avere persone che mi servono.»
«Pensa che non lo sono al tuo, ma al mio» gli rispose Mycroft, sorridente.

Lestrade era sicuro del motivo per il quale gliel’avesse fatto notare, non era per vantarsi della propria ricchezza che lo aveva rimarcato, ma solo per levarlo dall’impaccio. Holmes non si vantava mai di nulla, anche se ogni tanto Greg aveva come l’impressione che lo facesse di lui. Quando, ad esempio, entravano in un ristorante o camminavano l’uno a fianco dell’altro in pubblico, il portamento serio ed altezzoso di Mycroft assumeva una sfumatura differente. Come se fosse orgoglioso d’averlo al proprio fianco. Quell’uomo era davvero pazzo, di cosa poteva ritenersi fiero? Del fatto che lui avesse bisogno di un intervento dall’alto, per appianare le cose con il suo capo? E a questo proposito, una domanda aleggiava nel suo cervello da che lo aveva rivisto.

«Dimmi, con precisione» esordì pochi minuti più tardi, mentre osservava la figura snella di Mycroft spogliarsi del soprabito e della giacca, «cos’hai detto a White? Perché quell’uomo era così innervosito dal fatto che mi facessi aiutare da Sherlock, d’avermi reso la vita impossibile per degli anni. Che gli hai promesso?»
«È riservato. Posso solo dirti che sono venuto a conoscenza di certi dettagli riguardo la sua vita privata che non posso rivelare. Il commissario capo White è stato così gentile da convenire con me, circa il fatto che avrebbe dovuto trattarti con rispetto e concederti quelle ferie che avevi richiesto molto tempo fa, se non voleva che quelle fotografie diventassero di dominio pubblico.»

Greg rimase interdetto, stava cercando di realizzare le sue parole quando questi prese a salire le scale che lo avrebbero portato di sopra, indifferente. Non l’avrebbe passata tanto liscia, non quella volta. Il ricatto era un reato! E lui non voleva avere a che fare con cose del genere.
«Mycroft Holmes, questo è un ricatto» urlò, e la sua voce riecheggiò lungo il corridoio.
«Preferisco chiamarlo scambio di favori,» rispose Mycroft facendo capolino dalla camera da letto, mentre si slacciava la cravatta; «io ho fatto un favore a lui e lui uno a me.»
«Sono parole da mafioso queste, Mycroft te ne rendi conto? Non era necessario che minacciassi il mio capo per farmi avere le ferie, ora chissà cosa penserà di me… Crederà che ti ho convinto a farlo.»
«E se anche fosse? Non è così che è andata, ho agito di mia iniziativa; la tua coscienza può dormire sonni tranquilli.»
«Già, la mia, ma la tua?» chiese, arrabbiato.
«Io non ne ho una» rispose Holmes, gelido.
«Questa è una cosa a cui non crederò mai, Mycroft» urlò. «Me ne vado in spiaggia, raggiungimi quando ritieni che il tuo grillo parlante sia pronto per farsi vedere.» [4]



 
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Non si videro per tutta la mattina, Lestrade aveva deciso che restargli lontano per un qualche ora fosse la cosa più giusta da fare. Aveva bisogno di sbollire tutta la rabbia e non avrebbe potuto farlo con lui tra i piedi. All’inizio si era allontanato volontariamente, sparendo oltre il giardino, poi però si era addormentato sotto il sole e, quando si era svegliato, era già mezzogiorno. Decise di fare ritorno alla villa spinto, tra l'altro, dai morsi della fame. Camminò  a passo lento lungo il viale che collegava la spiaggia alla casa, ripassando nella sua mente le cose che aveva da dirgli. Innanzitutto forse era più giusto scusarsi con lui, in fondo era certo che aveva buone intenzioni, ma non si sarebbe mai aspettato che arrivasse a certi punti pur di farlo felice. Sapeva di dovergli mettere un freno e che comportamenti simili erano sbagliati oltre che esagerati, ma non poteva negare che tante attenzioni gli facessero piacere. Nessuno lo aveva mai fatto sentire così importante, ma ugualmente doveva aiutarlo a comprendere quanto fosse sbagliato e s'impose di farlo, sperando che quel sorriso non lo facesse capitolare. Holmes era un manipolatore e Greg lo sapeva.

Quando entrò in casa, tutta la sua rabbia riemerse, uscendo incontrollata: c’era una valigia nell’atrio.
«Una piccola discussione e mi metti alla porta?» gridò, entrando con prepotenza in soggiorno.
«Non essere sciocco, Gregory, osserva e non limitarti a guardare. Quei bagagli non sono i tuoi» disse Mycroft, spiandolo da dietro il giornale che teneva aperto alla pagina della cronaca.
«E di chi, allora? Non dirmi che riparti già?»
«Si tranquillizzi, signor Lestrade, sono io ad andarmene.»

Greg si voltò, sorpreso nel vedere Thérèse, la governante, intenta ad infilarsi un paio di guanti bianchi. Era completamente diversa dalla donna che aveva visto soltanto qualche ora prima: perfettamente pettinata e truccata, con indosso un abito di sartoria e una borsetta di vernice bianca tra le mani.
«Thérèse» mormorò.
«Mio figlio mi ha detto che mi devo scusare per il piccolo inganno che ho ordito, sappia però che non era mia intenzione prenderla in giro. Ciò che desideravo era sapere qualcosa in più sulla vita privata di Myci.»
«Myci?» ripeté Greg, incredulo. Aveva forse capito bene? Quella donna era la signora Holmes?
«Gregory, ti presento mia madre: Kathleen Holmes» esordì il suo compagno, senza tuttavia togliere gli occhi dalle pagine del quotidiano che teneva ancora aperto, come se fosse incurante di tutto.
«Cosa significa?» chiese Lestrade.
«Mio figlio non mi racconta mai nulla sulla sua vita privata e se con Sherlock vi ho rinunciato da tempo, con Myci ho sempre sperato di poter sapere qualcosa di più.»
«E non poteva telefonarmi? Doveva fingersi un’altra persona? Sapete che vi dico, voi altri siete pazzi. Non potete comportarvi, per una volta, come delle persone normali?»
«Non sia sciocco, Lestrade, non c’è nulla di più noioso della normalità. Sappia che mi ha fatto molto piacere incontrarla, ritengo che nessuno più di lei riesca a tenere il mio Myci dentro i giusti binari. Ho davvero apprezzato la sua sincerità e il fatto che non si faccia scrupoli nel dire a mio figlio ciò che pensa riguardo i suoi metodi poco ortodossi. Non smetta mai di farlo, la prego.»
«V-va bene» balbettò Greg, senza sapere cosa dire, era stato sincero con lei, ma chi si sarebbe mai aspettato chi potesse essere in realtà.
«Mycroft, ti prego di chiamare l’autista.»
«Non è necessario che se ne vada, rimanga almeno per pranzo.»
«Lei è molto gentile, ispettore, ma capisco quando non sono gradita» disse la signora Holmes, lanciando un occhiataccia stizzosa in direzione del maggiore dei suoi figli.
«Fa’ buon viaggio, mamma cara.»

Kathleen sparì poco dopo, lasciando dietro di sé un interdetto Greg e un alquanto indifferente Mycroft. Sapeva che tra madre e figlio non correva buon sangue, ma non pensava che potesse esserci così tanto astio tra di loro. Lui continuava infatti a leggere il giornale come se niente fosse successo.
«Sei certo di volerla far andare via così? A me non avrebbe dato fastidio la sua presenza.»
«Quella donna non merita nulla, Gregory» rispose Holmes, pacato.
«Ma è pur sempre tua madre» si azzardò a dire. Ciò che non si aspettò fu la reazione violenta del suo compagno.
«Non lo è affatto. Lei se n’è andata!» sbottò. «Ha lasciato me e un bambino di tre anni con dei perfetti estranei» gridò, gettando il giornale sul tavolo, con forza. «Per Sherlock il fatto d’avere una madre o meno è completamente indifferente, non potrò mai accettarla nella mia vita, mai. E adesso scopro che s’infila qui per spiarti?»
«Ti capisco, davvero, ma ti rendi conto che avete gli stessi metodi? Forse il motivo per cui la detesti tanto è perché, fondamentalmente, le somigli. E se odi lei perché è tanto simile a te, vuol dire che ci sono aspetti della tua persona che vorresti cambiare.»
«Non sapevo che fossi anche uno psicologo» mormorò, ora visibilmente più tranquillo, doveva infatti aver ripreso il controllo di sé.
«Non lo sono, ma seguo il tuo consiglio e mi limito ad osservare. Non parlo di somiglianza fisica, quella c’è e si vede e mi vergogno di non essermene accorto. Però, Mycroft, si è travestita per conoscere il tuo compagno e ha mentito pur di sapere qualcosa in più su di te e sulla tua vita. Mi ha fatto delle domande, voleva sapere se mi mancavi, se a te ci tenevo. Non credi che, a suo modo, stesse cercando di proteggerti? E non è forse la stessa cosa che fai anche tu di continuo con me, con Sherlock e addirittura col dottore? Non ricatti e spii solo per proteggerci, per far sì che non ci accada nulla? Lo so che ti ha abbandonato e che ti ha lasciato con un bambino da crescere, e questo non è perdonabile. Ma voi Holmes non ve ne andate in giro proclamando il qui ed ora? Vale quindi solo per ciò che vi fa più comodo?»

Lestrade vide distintamente Mycroft sorridere compiaciuto, Holmes lo raggiunse e gli tese la mano, invitandolo ad afferrarla.
«Gregory, sei una continua sorpresa; la tua intelligenza alle volte è sorprendente. Ma c’è anche un altro motivo per cui preferisco che non stia qui con noi» disse, mentre prendeva la sua mano e l’attirava a sé. «Altrimenti non potrei fare questo» disse prima di baciarlo.

E gli era mancato, diavolo se gli era mancato. Le emozioni che quelle labbra gli trasmettevano e la forza con cui le sue braccia lo cingevano, gli dava sicurezza. Quel bacio poi, gli ricordava ciò che un po’ troppo spesso Greg tendeva a dimenticare. Mycroft Holmes non era soltanto un uomo freddo e calcolatore, poteva trasformarsi in un vulcano se solo lo avesse desiderato. E lui sapeva esattamente quali tasti toccare, ma soprattutto quali punti stimolare per far sì che ciò accadesse.

«Adesso capisco perché detesti i nomignoli» disse prima di baciarlo di nuovo.
 
 

 
oOo
 

 
Era trascorsa una settimana. Dopo che la signora Holmes si era rivelata ed aveva lasciato la villa, una certa Gwendaline li aveva raggiunti per potersi occupare di loro e della casa. Non che avessero chissà quali necessità: trascorrevano le giornate passando dalla spiaggia al letto e questo alla spiaggia. Mangiavano poco e parlavano ancora meno. E le attività nelle quali si intrattenevano non richiedevano praticamente mai la presenza di Gwendaline.

Quel mattino, la luce era entrata prepotente dalle finestre, destandolo dal suo sonno. Greg si era rigirato tra le lenzuola sfatte, le uniche testimoni di quella notte d’amore, ma nessuno era steso al suo fianco. Sollevò lo sguardo, erano appena le sei e Mycroft se ne stava in piedi davanti alla finestra. Era avvolto da un morbido accappatoio bianco e fumava una sigaretta, guardando il paesaggio si stagliava di fronte a lui.
«Mycroft» mormorò, assonnato. Holmes si voltò di poco, scrollò la sigaretta nel piccolo posacenere appoggiato al davanzale, facendone cadere un bel po’.
«Non volevo che ti svegliassi così presto» mormorò.
«Che fai a quest’ora?» chiese, mentre scostava le coperte e si alzava, raggiungendolo.
«Devo pensare.»
«E a cosa?»
«Non possiamo più restare qui, la mia presenza è richiesta a Londra e ho bisogno che tu vada a Baskerville.»
«Dove devo andare? E poi dove diavolo è Baskerville?»
«Ieri sera mi è arrivata la notifica che Sherlock ha utilizzato il mio pass per entrare in una base militare contenente segreti di stato. Ha finto d’essere me per poter indagare là dentro, sembra per un caso che un certo Harry gli ha commissionato.»
«Ha fatto che cosa?»
«Non te lo domanderei se non fosse necessario, ma ti chiedo il favore di raggiungerlo e proteggerlo. Ti farò trovare la una pistola sull’elicottero; temo potrai trovarla necessaria.»
«Non puoi mandare uno dei tuoi uomini?»
«Non questa volta, Sherlock non si farebbe avvicinare da uno di loro. Tu invece lo consoci, di te si fida, basta solo che tu non gli dica che sono io a mandarti. Potresti fingere d’essere in vacanza.»
«E tu credi che la berrà?»
«Assolutamente no» disse Mycroft, sorridendo. Lestrade gli sorrise di rimando, gli rubò dalle mani la sigaretta e ne tirò una boccata.
«A Londra ci devi andare per lavoro?» soffiò fuori, assieme al fumo che si sperse nell'aria.
«Abbiamo arrestato un uomo che ha deciso finalmente di collaborare con noi. La mia presenza è stata richiesta esplicitamente, dice che tratterà solo con me.» [5]
«Quanto tempo abbiamo?»
«Poco meno di un’ora.»
«Ce la faremo bastare» concluse Greg prima di baciarlo con passione.



 
oOo


 
Baskerville era una cittadina decisamente molto piccola, circondata dalla brughiera ed apparentemente tranquilla e vivibile, apparentemente… Perché più di un mistero si aleggiava nelle lande attorno al villaggio e tutti andavano vaneggiando riguardo un famigerato mastino che chiunque affermava d’aver visto, ma che nessuno aveva la più vaga idea di come fosse fatto. Parcheggiò l’auto che gli uomini di Mycroft gli avevano fornito e poi entrò in un piccolo pub, dove gli avevano detto avrebbe trovato John e Sherlock ed anche una stanza prenotata a suo nome. Giunto sulla soglia, si guardò attorno, aggiustandosi al meglio gli occhiali da sole mentre si passava un dito sull’anulare. Si era quasi abituato a portare quella fede, tuttavia prima di partire l’aveva lasciata sul comodino perché non poteva davvero pensare di accettare anche quel regalo. Un gorgoglio allo stomaco gli ricordò che era affamato, era quasi mezzogiorno e lui non mangiava dalle sette di quella mattina.

Si guardò attorno, il posto era piccolo, ma molto confortevole. Lestrade venne accolto da un uomo sulla cinquantina, con una folta barba, che lo salutò con un ampio sorriso.
«Salve, mi chiamo Lestrade e dovrei avere una prenotazione.»
«Buongiorno a lei, controllo immediatamente» rispose prima di aprire un grande libro e sfogliare con rapidità le pagine.
«Lestrade, Lestrade… Eccolo!» disse, girandosi ed afferrando una delle chiavi appese.
«Potrei avere una birra? Chiara. Nel bicchiere più grande che avete.»
«Ha fatto un lungo viaggio?» si sentì domandare, in un palese tentativo di fare conversazione.
«Tortuoso e piuttosto movimentato.»
«Da dove arriva?»
«Da Eastbourne, nel Sussex.»
«Ne ha fatta di strada… [6] ecco, tenga» disse, porgendogli la pinta colma di birra chiara non prima d'avergli dato anche la chiava della stanza.
«Già!»
«Ed è qui per il mastino?»
«Anche, volevo approfittarne per incontrare due amici che dovrebbero essere qui in vacanza, forse alloggiano da lei: si chiamano John Watson e Sherlock Holmes.»
«Watson, Watson…» sussurrò, meditabondo. «Ma sicuro!» esclamò. «Quella bellissima e giovane coppia. Mi è tanto dispiaciuto non aver potuto dar loro una camera matrimoniale, quando si è così giovani non si è molto felici d’esser separati dal proprio amante, non so se mi spiego» concluse, ammiccando.
«Beh, non solo quando si è giovani» borbottò Greg in rimando, «sa se sono nei paraggi?»
«Il biondino è uscito molto presto dopo aver fatto colazione. Quell’altro, quello più alto, se n’è andato poco dopo, ma non si sono incontrati; credo che il moretto andasse di fretta, non ha nemmeno mangiato. Devono aver litigato ieri sera, alcuni clienti li hanno sentiti discutere animatamente in sala da pranzo. Ah, ma eccoli.» Lestrade si voltò verso la porta d’ingresso e li vide entrare a passio deciso.

Ovviamente, Sherlock non era stato felice di vederlo, ma se con lui si aspettava praticamente di tutto, rimase sorpreso nel vedere un John Watson con un viso tanto tirato. Il gestore della locanda aveva ragione: dovevano aver avuto una qualche discussione, ma non per le bazzecole da poco conto che li facevano litigare spesso. Era qualcosa di differente, forse Sherlock aveva esagerato. Per questo, prima di andare nell’altra stanza e interrogare la coppia che gestiva il ristorante, Greg prese per un braccio John e gli domandò se andasse tutto bene.
«Grazie per l’interessamento, è tutto a posto» ribatté John, in un evidente tentativo di chiudere in fretta quella conversazione e non parlare di niente che non riguardasse il caso.
«No, non credo, hai una faccia strana; avete litigato?» chiese, preoccupato.
«Non proprio.»
«Avanti, John, se c’è qualcosa me lo puoi dire e lo sai. Siamo o non siamo amici? Io ti ho raccontato tutto di me e Mycroft, permettimi di ricambiare il favore.» Diavolo, pensò Greg di sé stesso, pur di capire quel che stava accadendo, la stava mettendo su toni che solo Mycroft avrebbe usato. Il ricatto morale era anche peggio di certi comportamenti che aveva avuto di recente il suo compagno, e che lui aveva giudicato forse con troppa rapidità.
«Allora dovresti saperlo meglio di me: io e Sherlock siamo solo amici, solo che stargli accanto non è sempre facile. Tutto qua.»
«Forse è questo il vostro problema, siete molto più che degli amici e fino a che non lo accetterete, litigherete in questo modo.»
Watson afferrò il suo braccio di rimando, si fece più vicino ed abbassò il tono di voce, di modo da non farsi sentire da altri che da lui.
«Stare con Sherlock non è come stare con Mycroft, Greg. Per quanto su certe cose si somiglino, noi due sappiamo che Sherlock ha un carattere unico e per certi versi inconciliabile con chiunque. Approcciarsi a lui non è facile, ieri sera cercavo di aiutarlo e sai cosa mi sono sentito rispondere? Che per lui non sono niente, mi consideravo suo amico, ma non valgo neanche questo. La sola cosa che conta nella sua vita sono i suoi casi e quel suo cervello ad alta funzionalità. Non c’è spazio per me là dentro e me l’ha fatto capire piuttosto bene.»
«Non è così, John e come lo so io lo sai anche tu. Sono certo che anche Sherlock ne è al corrente e che quando la sua mente non è occupata, pensa a quello che prova per te. Mycroft mi ha raccontato delle cose sulla loro infanzia e giuro di non mentirti quando ti dico che nessuno, John, nessuno è mai riuscito a toccare il cuore di Sherlock come hai fatto tu. Dev’essere un inferno vivere al suo fianco e sopportare tutti quei cambiamenti di umore, ma rifletti sul fatto che sei l’unico fino adesso che è riuscito a stare con lui, il solo che lui abbia accettato nella sua atipica quotidianità. Forse gli occorre del tempo, forse ne serve anche a te… Ma un giorno o l’altro il vostro rapporto cambierà, io ne sono certo.»
 
Lestrade non gli diede possibilità di replica, posò il bicchiere ancora colmo di birra sul bancone e seguì Sherlock nell’altra stanza. Non ebbe più il tempo di tornare sull’argomento con John, né tanto meno con Holmes. I fatti che seguirono quella mattinata e che portarono solo quella notte alla soluzione del caso, non furono facili da affrontare. Greg dovette subirsi una telefonata preoccupata di Mycroft, il quale gli aveva chiesto spiegazioni circa il permesso di entrare nella base militare per quello stesso pomeriggio, che suo fratello aveva preteso. Non aveva capito a fondo il piano di Sherlock e, Lestrade, era certo che nemmeno il dottore avesse una vaga idea di quel che sarebbe successo di lì a poco. L’unica cosa che sapeva era che, quella notte, in quella nebbiosa brughiera del Devon, era accaduto di tutto. Alla fine, il mastino di Baserkville esisteva per davvero. Non si trattava di niente di diabolico o soprannaturale: era un semplice cane, seppur feroce e spaventoso, un animale che i proprietari della locanda del villaggio avevano tenuto per poter aumentare il proprio volume d’affari. Ciò che lo aveva per davvero terrorizzato erano state certe immagini spaventose che gli erano passate davanti agli occhi, che poi aveva scoperto essere allucinatorie. Anche adesso, dopo averci dormito sopra per un’intera notte, non poteva dire di ricordare alla perfezione ciò che aveva visto. Sapeva solo che aveva avuto paura e che la sensazione di venire sopraffatto, ancora aleggiava dentro di lui.

Greg consegnò le chiavi al locandiere, che erano da poco passate le nove del mattino. Prese il telefono digitando un breve messaggio a Mycroft, per informarlo del fatto che il caso era chiuso e che stava per tornare a Londra. Lui lo chiamò pochi secondi più tardi.

«Ciao» lo salutò, mentre si accomodava ad una delle panche che il ristorante aveva al di là della strada.
«Va tutto bene, quindi?» domandò Mycroft, andando diretto al punto.
«Sì, abbiamo avuto qualche problema, ma adesso ogni cosa è risolta. Sherlock e John non si sono ancora visti, ma immagino che il dottore voglia dormire dopo quello che ha passato.»
«Parli di ciò che è accaduto nella brughiera?»
«Non solo, tra lui e tuo fratello c’è stato qualche problema; Sherlock dev’essersi chiuso in sé stesso e, ad un’offerta di aiuto, ha cacciato John in malo modo. Il dottore c’è rimasto piuttosto male, dice che non lo considera nemmeno un amico e che nella vita di Sherlock conta solo il lavoro e nient’altro.»
«L’hai fatto ragionare?»
«Posso dire d’averci provato, ma non sono affatto certo che mi si sia stato a sentire. Quando quei due capiranno di volersi veramente bene, sarà troppo tardi.»
«Ciò che temo è che Sherlock non riesca mai ad ammettere di provare dei sentimenti, il dottore potrebbe dover attendere per il resto dei suoi giorni.»
«No, Mycroft, non dire così, è triste anche solo il doverci pensare.»
«Ma è la realtà, Gregory che ci piaccia o no. La cosa che per il momento mi preme, è che Sherlock non sia solo. Il dottore è fondamentale e devono rimanere uniti. Quindi fa’ ragionare John e mettigli in testa che non sono due dodicenni in crisi ormonale.»
«Ci proverò, sta arrivando il dottore. Adesso chiudo, ci vediamo e… Ti amo» sussurrò, parandosi le labbra.
«Anch’io, ti chiamo questa sera» disse Mycroft, prima di far cadere la comunicazione.
Lestrade venne raggiunto da un ancor mesto dottor Watson; l’espressione del suo viso era tirata, ma ora sembrava più per la stanchezza che per altri motivi. Appena Greg sollevò una mano per salutarlo, John accennò un sorriso leggero e lo raggiunse, sedendosi sulla sua stessa panca.
«Buongiorno, Lestrade» aveva mormorato.
«Dormito bene?»
«Per niente, tu?»
«Come un bambino, anche se quel cane mi ha fatto fare più di un incubo, lo ammetto. Con Sherlock come vanno le cose?»
«Ieri sera mi è sembrato che volesse parlarmi, ma io ero davvero troppo stanco per poter affrontare un qualsiasi discorso logico. Sono andato subito in camera mia» spiegò.
«E come hai intenzione di comportarti, adesso?»
«Credo che far finta di niente sia la soluzione migliore, in fondo ha già cercato di scusarsi, seppur a modo suo. Quella cosa che c’era nella nebbia l’aveva sconvolto più di quanto credessi, solo dopo che ho capito che era stato drogato, sono riuscito ad interpretare il suo comportamento e le sue parole. La colpa è la mia, ormai dovrei riuscire a capire i suoi stati emotivi.»
«Non dovresti accusarti, John. Sai, Mycroft dice che dovrei farti ragionare, ma il suo unico interesse è che tu stia con suo fratello, per proteggerlo. Ma io ho un dovere anche verso di te, perché siamo amici. Ammetti che lo ami e la tua vita diventerà più semplice. Ascolta…» disse, accalorato, prima di farsi più vicino. «Io ci sono passato e proprio con uno che fa Holmes di cognome. Non sono gay, John, se vedessi un modello camminare per strada non me ne fregherebbe niente, anzi probabilmente cercherei di abbordare la sua ragazza. È lui, John, è solo lui e ti sembrerà insensato, impossibile o stupido, ma fidati: è così. Tu e Sherlock già vi comportate come una coppia, dovete solo accettarlo.» Lestrade si alzò dalla panca, inforcò gli occhiali da sole e fece un segno di saluto, prima di recuperare la piccola valigia che aveva posato poco lontano. «Ascolta quel che ti ho detto, John e riflettici.»

«Grazie, Greg.» Le parole di Watson arrivarono alle sue orecchie quando, già lontano, Lestrade vide Sherlock osservarlo da dentro il locale. Decise di non raggiungerlo e di non parlargli di persona, ma di digitare poche semplici parole sul telefono:
Vedi di appianare le cose con lui.
Inviò il messaggio osservando la sua espressione, immutabile.
Altrimenti? SH
Dico a tuo fratello di tormentarti e, credimi, è a tanto così dal metterti addosso le guardie del corpo! Specie dopo l’altro ieri.
Non oserai… SH

Certo che lo farò e anche subito. John ti vuole bene, Sherlock. Dovresti cercare di tenerti stretta l’unica persona al mondo che vuole stare con te. 

 
Sherlock non rispose a quel messaggio e, vittorioso, Lestrade fece ritorno alla propria auto e poté finalmente tornare a Londra. Il viaggio fu lungo, ma riposante. Aveva categoricamente rifiutato di usare ancora l’elicottero: due viaggi su quel piccione di metallo gli erano bastati per tutta una vita. Nonostante il suo compagno non si fosse dimostrato d’accordo sulla sua scelta di fare l’intera strada in macchina, Greg aveva insistito. Poté quindi godersi ogni singolo istante di quella splendida campagna inglese. Paesaggi rilassanti e riposanti, chilometri di prati costellati di brugo ed erica, i cui fiori rosa e bianchi, coloravano le terre.

Quando fece ritorno a Londra, Lestrade si sentiva ringiovanito di dieci anni. Era tanto tempo che non si prendeva una vacanza, e troppo che non veniva amato da qualcuno in quel modo. Parcheggiò l’auto poco lontano dal proprio palazzo. Recuperò poi quella busta sigillata, contenente le sue chiavi di casa e consegnatagli da Gwendaline, la cameriera di Pendleton House, prima che partisse. Non badò a dove avesse lasciato la macchina, era sicuro del fatto che gli uomini di Mycroft sarebbero venuti a recuperarla senza nemmeno avvertirlo. Si soffermò un momento di fronte alla porta chiusa dell’androne del suo palazzo, aprì quindi la busta, rovesciandone il contenuto. Notò immediatamente il suo mazzo di chiavi, ma ciò che attirò la sua attenzione fu l’anello.

Quell’anello che la signora Holmes gli aveva regalato e che suo figlio aveva insistito perché lo tenesse.

Venne da ridere a Lestrade, da ridere e prenderlo a sberle allo stesso tempo, mai una volta che lo stesse a sentire. Ma, in fondo, avrebbe dovuto sapere che Mycroft Holmes non accettava un no come risposta.

La sua felicità si smorzò notevolmente quando, giunto sul proprio pianerottolo, vide la porta di casa sua aperta. Anthea non poteva non averla chiusa. Per questo non si era premurato nemmeno di andare a controllare, quella donna era più efficiente di un computer. L’aprì piano, estraendo la pistola dalla fondina dopo aver posato la valigia nell’atrio. Camminò quatto lungo il corridoio, cercando di non farsi sentire. Chiunque fosse entrato non era un ladro: tutto era perfettamente in ordine e…

«Mycroft» disse, stupito. Lestrade gli diede una rapida occhiata, il suo compagno era l’emblema dell’ansia e della preoccupazione. Doveva essere accaduto qualcosa, qualcosa di grave e lui aveva paura di scoprire cosa fosse.

«Temo di aver commesso un errore, Gregory, un grosso, grossissimo errore.»


Fine
 

[1] Dato che siamo in periodo fervido per la casa reale inglese, e che spuntano un po’ ovunque Royal Mug raffiguranti il Royal Baby, ho pensato di inserire questo piccolo dettaglio.
[2] Eastbourne: è una cittadina nel Sussex dell’est.
[3] “The clocks”: romanzo giallo di Agatha Christie, pubblicato nel 1964. Il titolo, che fa riferimento ai quattro orologi che sono la chiave del romanzo, in italiano è stato tradotto con “Sfida a Poirot”.
[4] Grillo parlante in veste di coscienza, è un riferimento al “Pinocchio” della Disney.
[5] Mycroft qui non ha ancora idea di ciò che Moriarty pretenderà di sapere.
[6] Il romanzo di Conan Doyle ambienta la vicenda a Dartmoor, nel Devon. Che si trova sempre nell’Inghilterra del sud ma dalla parte opposta rispetto al Sussex. La distanza che c’è tra il Devon e Eastbourne è minore di quella che c’è da Londra al Devon, ma è comunque ragguardevole. Ambiento questa storia tra la fine di aprile e i primi di maggio. Dato che non abbiamo annotazioni specifiche a riguardo, e che il clima del Devon si aggira tra una media di 6 gradi a gennaio e 16 a luglio e che l’influenza della corrente del golfo rende il clima differente da quello del Sussex, dove è più caldo, ho pensato che fosse corretto che indossassero una giacca pesante.


 
Il nome contenuto nel titolo, Pendleton, è un cognome inglese.
   
 
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