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Autore: Vedelita94    27/07/2013    0 recensioni
Più di una volta si sono sentite dire queste due tipiche frasi:
-"L'amicizia tra un uomo e una donna non può esistere"
-"L’unica persona che può renderti felice è il tuo migliore amico"
Ma perché non si sente in giro che innamorasi del proprio migliore amico è una fregatura?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Non sapevo quanto avevamo camminato e quanto tempo era passato da quando avevamo lasciato la redazione. Patrick non aveva fiatato una parola fortunatamente e io non gli avevo dato modo di farlo. Dopo aver percorso tutta la riva e aver imboccato la strada che conduceva alla montagna del Corcovado, arrivammo in cima dove era eretta la statua del Cristo Redentore. Da quando mi trovavo a Rio non ero mai arrivata così in alto. Dalla riva sembrava un piccolo puntino, ma da lassù invece era tutt’un’altra cosa. Ovviamente per arrivare all’enorme piazza non potevamo arrivarci con la macchina. Si poteva arrivare o salendo una serie di scale oppure attraverso degli elevatori panoramici.
Patrick si fermò a pochi isolati da dove iniziavano le scale e spense il motore. Ero più che convinta che adesso ci sarebbe stato il famoso interrogatorio. Lui fissava davanti a se la strada, con le mani fisse sul volante. Sembrava così concentrato, come se stesse cercando le parole adatte per affrontare l’argomento. Cercai di non guardarlo e fissai anch’io davanti a me osservando la marea di persone che si incamminava verso le scalinate. I secondi passavano e il silenzio tra noi si faceva sempre più imbarazzante. Perché non parlava? Cosa stava aspettando? Forse credeva che sarei stata io la prima a parlargli? Magari si aspettava che lo ringraziassi? Forse dovevo farlo ma il mio orgoglio me lo impediva.
«Potresti cercare di far star ferma quella tua gamba? Stai smuovendo tutta la macchina.» Senza rendermene conto avevo iniziato a far tremare la gamba su e giù ripetutamente con una certa insistenza. Questo accade ogni volta che sono sovrappensiero oppure quando sono nervosa. Mi voltai verso di lui e notai che continuava a fissare un punto fisso davanti a se. «Tu invece potresti smettere di guardare la strada in quel modo? Sembra che stai cercando di creare un cratere.» Dalle sue labbra notai un sorriso trattenuto e dai suoi occhi un cenno di divertimento. Come inizio non potevo lamentarmi.
«E’ meglio che continui a guardare davanti. Lo dico per la tua incolumità.» Il tono della sua voce era piuttosto serio. Voleva farmi spaventare? Voleva portarmi a non fidarmi di lui?
Nonostante i precedenti sapevo che potevo fidarmi di lui e che non mi avrebbe fatto del male.
«Non mi farai del male.» Lo guardai decisa e mi voltai completamente verso di lui. «Non mi avresti portata via dalla redazione.»
«Cosa ti fa credere che non ti abbia portata via approfittando della situazione?»
«Beh ecco.. non lo so.»
«Come immaginavo.»
Il silenziò calò nuovamente su di noi. Lui continuava a guardare la strada e non si degnava a darmi retta. Ingoiai l’orgoglio che mi stava divorando e decisi di fare io la prima mossa.
«Senti. Dopo quella sera forse ho buoni motivi a stare alla larga da te. Ma adesso, dopo quello che è successo alla redazione..» Mi bloccai per qualche secondo in modo da riprendere fiato e poi continuai. «Stare qui, con te, penso che sia il luogo più sicuro.»
La sua espressione sembrava mutare. Da quell’aria rigida e fredda di poco fa adesso sembrava confuso e in contrasto con se stesso. I suoi occhi cercavano qualcos’altro da fulminare.
Si muovevano lungo la visuale che aveva davanti senza sosta.
«Ehi, ascoltami.» Portai una mano lungo il suo braccio sfiorandolo appena. Quando ebbi la certezza che mi avrebbe lasciato fare appoggiai completamente la mano sul suo braccio.
«Mi fido di te? Non ti basta?»
«Kris.. Non posso.»
«Perché non puoi?»
«Perché.. » Posò lo sguardo sulle sue mani. I suoi occhi sembravano volersi arrendere da quella frustrazione di poco fa. «Perché non riesco a fidarmi io di me stesso.»
Quella sua confessione mi spiazzò. Cosa lo portava a nutrire quel sentimento di sfiducia verso se stesso? Dovevo ammettere che non conoscevo nulla riguardo il suo passato quindi non potevo giudicarlo. Forse anche lui teneva qualche scheletro nell’armadio?
«Dovresti avere più fiducia in te stesso. Mi hai dimostrato più volte che sei migliore di come dici.»
Sollevò lo sguardo dalle sue mani e finalmente si voltò verso di me. I suoi occhi incrociarono i miei e riuscì a intravedere un mix tra stanchezza, rabbia, delusione, rammarico.
«Non sai quello che dici.»
«Lo so invece. Perché è quello che vedo. Dimostrami che possa fidarmi di te.» Piegai la testa lateralmente cercando di incoraggiarlo. Avevo avuto una certa esperienza con le pugnalate alle spalle. Non potevo dire che sarei riuscita a riconoscere quelle vere da quelle false, ma non avevo nulla da perdere, almeno ora come ora. Il suo sguardo era perso nel mio, la sua mano si era avvicinata alla mia e le sue dita giocherellavano con le mie. «Ci provo.» Sulle sue labbra notai un sorriso. Non era una di quelli che faceva solitamente, non era neanche un sorriso sforzato. Era sincero.
Pian piano stava svelando una parte di lui a me sconosciuto. Ero disposta a conoscerlo realmente? Quanto ero disposta ad andare infondo? Non potevo ritirarmi. Non era da me. Avevo deciso di aiutarlo e l’avrei fatto.


«Dobbiamo proprio continuare a salire queste scale? Non potevamo prendere gli elevatori?»
Eravamo a metà della scalinata che separava la strada dalla cima della montagna dove si trovava l’enorme statua, simbolo del Brasile e di Rio.
«Non dirmi che sei già stanco? Non manca molto ormai.»
«Non sono stanco. Non riesco a muovermi come vorrei con questi vestiti.»Indicò il suo abbigliamento da ufficio. Indossava un paio di pantaloni aderenti color ghiaccio, una camicia nera, cravatta e giacca abbinati ai pantaloni. Nei piedi invece indossava un paio di mocassini lucidi di colo nero. Ovviamente il suo abbigliamento non era cero adatto per affrontare una scalinata di circa 222 gradini, ma questa nostra piccola gita non era preventivata.
«Non fare la femminuccia e sbrigati!» A differenza sua mi trovavo di circa dieci gradini più avanti di lui.
«Non mi sfidare. Non ti conviene.» Si bloccò dopo aver salito due gradini e sollevò lo sguardo per guardarmi con un’aria di sfida.
«Umh dici? Non mi sembri nelle condizioni da potermi sfidare.» Lo guardai divertita.
«Non giocare col fuoco, ricordatelo.» Il suo sguardo non prometteva nulla di buono e quel suo sorriso da cattivo ragazzo non aiutava. Scesi di qualche gradino in modo da avvicinarmi a lui stando a parità di altezza.
«Mi piace giocare.» Piegai la testa lateralmente e aspettai una sua mossa. Lui non rispose. Si limitò a studiarmi stando fermo lì davanti a me. Sapevo che non avrebbe ceduto e che a breve avrebbe reagito. Non sapevo bene però cosa avrebbe fatto, dovevo solo aspettare. Iniziai a contare i secondi che passavano. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette..
In pochi secondo lui si levò la giacca gettandola a terra insieme alla cravatta. Si sbottono i primi bottoni della camicia insieme a quelli dei polsi in modo da avere i movimenti più facili e si tiro le maniche indietro.
«L’hai voluto tu.» Con uno scatto mi prese dalla vita e mi prese in braccio.
«Non vale! Mettimi giù.» Cercai di divincolarmi ma senza successo. Per quanto potessi dimenarmi lui non mollava la presa, anzi, mi teneva stretta senza preoccupazione e riprese a salire le scale con più facilità rispetto a prima.
«Non muoverti troppo, se non vuoi che cada e che ti porti insieme a me.» Ero più che convinta che stesse sorridendo.
«Lo so benissimo! Non sono stupida.» Feci una piccola smorfia e incrociai le braccia.
Dalla posizione in cui mi trovavo ero costretta a guardare alle sue spalle. Da quell’altezza potevo vedere attentamente la città dall’alto. Il Centro di Rio, zona dove abitavamo io e Kayla, da quell’altezza la chiesa della Candelaria e la Cattedrale in stile moderno, il Teatro municipale. Era possibile vedere interamente tutta la linea costiera di Rio, i diversi quartieri, lo stadio della zona Nord, la zona Ovest, nota come la zona metropolitana di Rio. Tutti questi elementi da quell’altezza sembravano dei puntini, un paesaggio che le bambine si creano per i propri giochi. Era qualcosa di meraviglioso.
Mentre ero persa nello spettacolo di quel panorama, Patrick era giunto alla cima della montagna dove si trovava il Cristo Redentore. Si abbassò lentamente in modo da farmi scendere e poi si sistemò la camicia.
«Chi era la femminuccia?» Mi guardò con quel suo sorriso che mi faceva perdere il fiato.
«Sapevo che ci saresti riuscito. Avevi bisogno di essere motivato.» Lo presi in giro.
«Ah beh. Se la metti così. Mi devi una completo nuovo.»
«Adesso stai esagerando.»
«Tutta colpa tua.»
Era da tempo che non mi divertivo in quel modo, almeno con lui. Con lui mi sentivo me stessa. Non avevo pura a mostrami per quello che ero realmente, ma ancora ero portata a tenere eretta una barriera.
Il pomeriggio lo passammo a scherzare e a divertirci non badando alle occhiate che ci lanciavano i turisti o le altre persone del luogo che si trovavano intorno a noi.
Quando il sole stava per tramontare ci avvicinammo al muretto in modo da goderci il panorama.
«Devo dire che questa gita, non programmata, mi ha fatto bene.» Disse Patrick mentre si sedeva sopra il muretto.
«Già, puoi dirlo forte.» Mi andai a sedere accanto a lui.
«Sei sicura che devo dirlo, forte?»
«Non ci provare!» Scoppiammo a ridere.
« Forse non dovrei immischiarmi e rovinare proprio adesso la giornata. Ma..»
Piegai la testa e lo guardai confusa. Dalla sua espressione avevo capito dove voleva andare a parare e ne aveva tutto il diritto. Gli dovevo qualche spiegazione.
«Non sei l’unico ad avere un passato così, misterioso.» Lo guardai accennando un sorriso. Cercavo di rendere la cosa il meno imbarazzante possibile. Non mi andava di cambiare l’atmosfera che si era creata. Se volevo che le cose non cambiassero dovevo essere sincera con lui, in cambio però lo doveva essere anche lui con me.
«Hai perfettamente ragione.» Ricambiò il sorriso e spostò lo sguardo verso l tramonto.
«Beh, mi tocca fare una nuova presentazione.» Con una scatto in avanti mi rialzai emi misi davanti a lui. Patrick ritornò a fissarmi con un espressione che diceva ‘E adesso che cosa vuoi fare?’
Feci un respiro profondo e poi con decisione gli porsi la mia mano.
«Mi chiamo Neen, Neen Stewbert.»





Per adesso mi fermo qui gente. Prima di andare avanti vorrei prima modificare alcune cose nei capitoli precedenti. Voi comunque continuate a leggere e a recensionare. Invitate quante più persone potete a leggere questa storia. A presto con il resto della storia di Neen Stewbert.
   
 
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