Cap. VII°
Bloody Mary
Nel
corso delle due settimane successive, Hilary e Kei fecero visita a quattro
banche, ed erano solo all’inizio.
-Perché
lasciamo passare così tanti giorni tra un furto e l’altro?- chiese la giovane.
-Perché
così rendiamo loro la vita più difficile. Non sanno mai dove colpiremo la volta
dopo.
Viaggiavano
molto, ma a una banca di Fukui ne seguiva una a Matsusaka, ad un colpo a
Hamamatsu uno a Maebashi e poi a Fukushima.
Di
sicuro potevano permettersi il carburante.
Lo
scomparto ricavato sotto i sedili era pieno di pacchetti di banconote,
racchiusi in involucri di banche diverse.
-Perché
la polizia non ci insegue?
Kei
le spiegò che lo schema era sempre lo stesso: si presentava gentilmente, come
rappresentante di Jack Spyro, tirava fuori la pistola nell’ufficio del
direttore della banca, raccoglieva i soldi, lasciava una pare dei profitti al
banchiere e se ne andava.
Ma
Spyro ne aveva abbastanza di quei prelievi. Anche perché sospettava che
l’Angelo non si sarebbe limitato a quelli.
La
borsa con le armi pesava circa dieci chili, ma l’uomo esile che la trasportava,
pallido, di una bellezza fanciullesca e algida, di soli ventidue anni,
procedeva spedito lungo il vialetto di casa, come se il peso che si stava
trascinando dietro fosse leggero come una piuma.
Entrò
proprio quando il telefono iniziò a suonare. Senza affannarsi, appoggiò la
borsa e raggiunse il soggiorno dell’appartamento. Lasciandosi cadere sul divano
vicino al telefono, rispose:
-Yuri
Ivanov.
-Devi
fermarlo! A tutti i costi!- esclamò la voce all’altro capo del filo.
-D’accordo,
capo.
-E
non lasciare prove sulla scena del delitto! Per una volta non fare il
macellaio.
-Ci
proverò- replicò Bloody Mary senza troppa convinzione.
Si salutarono e il killer riagganciò, pensando che sarebbe stato perfetto. La scenografia dell’omicidio si andava delineando nella sua mente. L’Angelo della morte era proprio ciò che mancava alla sua collezione di morti.
Era
inquietante come l’aspetto dei cadaveri lo avesse sempre affascinato. Era
qualcosa che lo faceva sentire vivo. Fin da bambino aveva questa ossessione.
Un
ossessione che non poteva che defluire in quel lavoro. Lui non donava la morte.
La infliggeva, ne faceva il suo capolavoro. Un’opera d’arte, la considerava
lui.
Il
momento in cui un uomo raggiungeva l’apice della bellezza.
E
Kei sarebbe stata la sua opera massima. L’apoteosi.
Ma fu il destino a farla da padrone.
Perché
fu proprio un caso a fare in modo che i due killer più importanti
dell’Organizzazione si incontrassero faccia a faccia.
La
Jaguar si fermò nel parcheggio di un ristorante e Kei si voltò verso Hilary,
seduta al suo fianco.
-Vado
a prendere qualcosa da mangiare.
Vedendo
lo sguardo angosciato di lei, le lasciò sul sedile un revolver a canna corta.
-Ci
sono sei colpi. Stai tranquilla, ok?
Uscì,
lasciando la ragazza ai suoi pensieri. Il ristorante, arredato con mobili
gialli e blu, era ben illuminato, ma nonostante fosse ora di cena non c’era
molta gente. Si avvicinò alla cameriera e ordinò un a cena a portar via.
Stava
aspettando da circa cinque minuti, quando il campanello alla porta tintinnò ed
entrò un poliziotto, un uomo sulla quarantina. Era un agente locale, uno di
quelli agli stadi bassi non ancora corrotti dalla politica sporca di Spyro.
Stava
scendendo la sera e questo bastava ad innervosire l’Angelo. Ma ciò che lo fece
trasalire, furono i fari anteriori del veicolo che stava entrando nel
parcheggio. Un’auto che conosceva bene. La Ferrari rosso fiammante parcheggiò a
poca distanza dalla Jaguar nera. Ne scese un ragazzo dai capelli dello stesso
colore della vettura, vestito di nero.
Quando
entrò, i suoi occhi azzurri incontrarono subito quelli viola dell’altro. Ma
aveva visto il poliziotto: gli lanciò un’occhiata meno indifferente di quel che
voleva apparire.
Ordinò
un caffè e distolse lo sguardo dal suo obbiettivo. Spyro gli aveva ordinato la
discrezione e sapeva che disubbidire significava essere già morto. Non ci
teneva a lasciarci la pelle per colpa di quel pallone gonfiato.
Ma
Kei non era certo intenzionato a farsi catturare così facilmente. Doveva
ammettere che la presenza di Bloody Mary lo aveva sorpreso non poco. Una
coincidenza, certo, ma una coincidenza pericolosa.
-Mi
scusi, signora. Dov’è il bagno?
Attese
la risposta, poi si avviò verso la toilette.
Dal
suo posto Yuri Ivanov si guardò intorno. Il poliziotto stava andando via.
Il
giovane infilò la mano nella tasca della giacca e afferrò la pistola. Sentì
un’auto che veniva messa in moto e si allontanava.
Bene.
Adesso che se ne era andato, Ivanov non aveva alcun problema con quelli che
erano rimasti: un vecchio di tremila anni, la cameriera e il cuoco. Il
pavimento luccicante, schizzato di sangue e cosparso di cadaveri…che immagine
sublime!
Il
campanello della porta trillò di nuovo. Okay, un altro cliente, un altro
elemento nella composizione. Ma era di nuovo lo sbirro!
Yuri
si precipitò fuori dal ristorante. La Jaguar se ne era andata, riusciva a
sentirla mentre si allontanava sulla strada a tutto gas.
Corse
verso la sua auto, ma Kei gli aveva fatto un simpatico regalo: tutte e quattro
le ruote a terra.
-Dannazione!
Incurante
della presenza del poliziotto, Ivanov corse in mezzo alla strada, vide le luci
posteriori dell’auto dell’Angelo che si allontanavano e, lentamente, prese la
mira con il revolver.
Nella
Jaguar, Kei gridò ad Hilary:
-Stai
giù!
Il
lunotto posteriore esplose, seguito da quello anteriore. I due ragazzi non si
fecero male, ma i vetri erano sparsi su tutta la vettura.
Dietro
di loro, compiaciuto di aver udito il rumore del vetro che si rompeva, Ivanov
sparò di nuovo, ma questa volta senza successo.
Il
poliziotto uscì di corsa, con una mano alla fondina che teneva di fianco.
-Hey,
che cosa pensi di fare?
Lui
si voltò e sparò. Due volte. Con la stessa freddezza con cui si può bere un
bicchiere d’acqua. Il sangue continuava a scorrere.
Ivanov
sospirò e poi, con l’arma, tornò nel ristorante a finire il suo caffè.
Il
tenente Kinomiya arrivò a casa tardi quella sera. Il caso Tachibana era ancora
al primo posto nei suoi pensieri, sebbene il suo capo gli avesse consigliato di
lasciar perdere e di occuparsi di questioni più urgenti. Ma cosa c’era di più
urgente che fermare Jack Spyro?
Quasi
inciampò nel pacco alla porta. Una pacco piuttosto voluminoso.
Lo
aprì nella cucina, restando a bocca aperta. Conteneva soldi, una montagna di
soldi. E un biglietto:
“Non fidarti di nessuno. L’Angelo”