- Mad Tea Party -
ATTO PRIMO, SCENA DECIMA
-
La Proposta della Rosa
Lo sentì con tutta la forza che poteva avere un
mare, lo sentì portarsi a lui vicino con la rapidità di un sogno e quando voltò
lentamente la testa vide che lui era lì, che gli correva accanto come il vento
freddo di quell’alba che aveva tinto il cielo di viola.
Non c’era niente a fermarlo, nulla ad arrestare
la vita di quel ragazzo dai capelli lunghi e neri come l’ebano e le gote
pallide arrossate dal gelo e dall’affanno, mentre il fiato condensava in
morbide nubi sottili corrompendo la trasparenza dell’aria sottile.
Non si fermavano ancora, per molto tempo
andarono dritti per la loro strada in quel quartiere deserto, senza neppure
guardarsi in viso, e poi tornarono a frenarsi davanti all’ingresso, e il tempo
attorno a loro ricominciò immobile come se il sole non dovesse sorgere mai,
oscurato dal calore della nebbia. Insieme arrivarono, senza che uno di loro
vincesse quell’implicita sfida che s’erano lanciati.
Gackt rise e finalmente concesse ai suoi occhi
di vederlo, mentre entrambi stavano immobili a recuperare il respiro.
« Complimenti, sei molto veloce. »
Mana teneva chiusa dietro le palpebre
l’ossidiana nera dei suoi occhi, limitandosi a seguire l’ansito del suo petto
che s’alzava e s’abbassava veloce come il battito d’un cuore. Gli abbozzò un
sorriso, tuttavia, un sorriso tenue come un soffio.
« Anche tu. »
E Gackt Camui restò
zitto, fermo, a riprendere coscienza di se stesso fissando con distrazione la
levigatezza delle mattonelle del marciapiede e cercando d’ignorare lo sguardo
di Mana che si sentiva puntato addosso con la stessa infallibile precisione con
cui sempre quel ragazzo l’aveva guardato.
Non poté farlo, come calamitati i suoi occhi
nocciola puntarono quelli del chitarrista, nei quasi si leggeva ancora l’ombra
della gioia. Non capiva a cosa pensava, eppure era certo d’essere parte
integrante di quel suo mondo a lui ignoto, e improvvisamente fu scosso dalla
certezza che avrebbe dato tutto pur di poterne scoprire almeno un poco.
« Andiamo su? Ridotti come siamo è meglio se ci
facciamo una doccia. »
Annuì, senza più la forza per parlare, e lasciò
stancamente che Manabu gli facesse strada.
Fu solo seguendolo che si soffermò a guardare
la sua figura slanciata, e per la prima volta si chiese quale forza quel corpo
nascondesse. Si chiese da dove derivasse la sicurezza che quel ragazzo pareva
possedere.
« Mana? »
Lui era già sulle scale ma sentendo il suo nome
si bloccò, girandosi a guardarlo con le labbra rosa e sottili socchiuse e
appena immobili come quelle scolpite d’una statua. Avrebbe voluto
domandarglielo, aveva quella domanda che gli premeva nel petto, però non ci
riuscì. Non seppe mai perché, quelle semplici parole gli rimasero bloccate
nella gola.
« Niente, non ti preoccupare. »
L’osservò tornare su rapidamente e dopo qualche
istante gli andò dietro.
« Se vuoi farti una doccia vai pure prima tu, »
gli disse Mana prendendo degli asciugamani da un cassetto « io intanto preparo
qualcosa per colazione. »
« Grazie. »
« Poi ti lascio dei vestiti puliti sopra la
cassettiera accanto al lavandino. L’asciugacapelli invece sta sopra la mensola,
dove l’hai visto ieri. »
« Ma sei sicuro che non ti sto dando troppo
disturbo? »
« No, non preoccuparti. E poi non ho quasi mai
ospiti, quindi mi sto divertendo! »
Oh be’, se a parlare
era quel viso dai lineamenti d’angelo, allora poteva pure crederci. Non gli
replicò niente perché non ne sentì il bisogno, e si diresse piuttosto verso la
stanza da bagno in fondo al corridoio.
Si lavò velocemente, frizionando con energia il
suo corpo muscoloso, perché non gli andava che Mana aspettasse. Solo per poco
si godette il calore dell’acqua sulla pelle, cavando fuori dagli occhi le gocce
semplicemente sbattendo le palpebre, poi uscì, si vestì e s’asciugò
sommariamente i folti capelli castani.
La scena del giorno prima si stava ripetendo,
di nuovo lo sentiva muoversi agilmente in giro per la cucina a trafficare con
pentole e scodelle, e gli venne ancora da sorridere.
Si stiracchiò, poi aprì la porta e s’affacciò
giusto in tempo per vedere Mana sfaccendare come un ossesso col grembiule
addosso. Solo e solo quando suonava l’aveva visto altrettanto a suo agio,
mentre si muoveva quasi fosse stato posseduto dalla musica, ed era una
meraviglia.
« Eccomi », lo salutò.
L’altro si girò come una molla e lo accolse con
uno dei suoi graziosissimi, brevi sorrisi.
« Hai fatto presto! »
Gackt si guardò attorno, notando come fosse già
tutto quasi pronto.
« Anche tu! »
Glielo disse quasi scherzando, ma Manabu si limitò ad alzar le spalle quasi che per lui fosse
stata cosa ovvia.
« Be’… io vado a farmi la doccia, tu comincia
pure senza di me altrimenti si fredda tutto. »
Ecco, quello lo sorprese.
« Ma scherzi? Dai, ti aspetto! »
Ma non scherzava, Mana, non scherzava affatto e
lo capì quando lo guardò con quegli occhi neri e lucenti pieni di una strana
severità che non seppe a cosa attribuire e che lo colpì appena come una piccola
scossa. Fu smorzata ancora da un sorriso come se mai fosse esistita, e Mana
s’allontanò sparendo dal suo sguardo come un sogno.
Lui restò in piedi immobile e rimase per un
attimo perfino incapace di pensare, a guardare il tavolino apparecchiato
chiedendosi che cosa quel ragazzo
voleva davvero che lui facesse. Non riusciva del tutto a capirlo, e
quell’elemento lo spaventava. Era sempre stato bravo a capire la gente, lui…
Decise in ogni caso di fare quel che gli era
stato detto e si sedette, cominciando a mangiare. Era tutto squisito,
esattamente come la cena della sera prima, e d’improvviso Satoru
pensò a quanto gli sarebbe piaciuto mostrargli che anche lui nel suo piccolo ai
fornelli non era malvagio. Sì, se mai se ne fosse presentata l’occasione – cosa
che gli sembrava alquanto impossibile visto che il giorno dopo sarebbe tornato
dritto a Kyoto e forse Mana non l’avrebbe rivisto mai
più...
Dopo una ventina di minuti lo sentì aprire la
porta del bagno, allora – non seppe mai perché – scattò in piedi e lo
raggiunse.
« Mana, ascolta…! »
Ciò che aveva da dire gli rimase bloccato nel
petto trasformandosi in un’esclamazione muta di stupore che riuscì ad esprimere
solo con gli occhi. Mana gli stava di fronte, appena uscito dalla doccia, e la
sua figura sottile era avvolta in un enorme asciugamano candido che gli
lasciava scoperte le spalle bianche. Aveva la pelle che profumava di frutta, e
nello sguardo una luce di sorpresa che gli animò di guizzi d’argento il nero
corvino dell’iride.
« Che c’è? »
Glielo chiese continuando a fissarlo, pareva
imbarazzato se non leggermente spaurito, e lo guardava con gli occhi a mandorla
sgranati mentre la piccola mano libera saliva a frizionare i capelli
lunghissimi e umidi che gli ricadevano giù lungo la schiena e sul tessuto
dell’asciugamano.
Fu uno e solo il pensiero che attraversò
fulmineo la mente di Gackt mentre lo guardava e che altrettanto rapido se ne
andò quasi volando: era incredibilmente bello.
« Ecco… volevo… sapere se posso usare il
telefono. »
Biascicò la prima fetentissima scusa che il suo
cervello momentaneamente disattivato partorì sul momento, peraltro balbettando
come un imbecille.
« E chi vorresti chiamare a quest’ora
del mattino? Comunque prego, fai pure con comodo. Io intanto vado a vestirmi. »
« Ok… »
Camui Gackt non si girò a guardarlo correre verso la
sua stanza, rimase con gli occhi torti verso il pavimento fino a che la porta
non si chiuse alle spalle del chitarrista, e solo allora parve muoversi e
realizzare che ancora – di nuovo – aveva fatto la figura dell’idiota.
Comunque si mosse, e andò in salotto prendendo
il telefono e componendo il prefisso di Kyoto. Visto
che aveva detto di dover telefonare, tanto valeva farlo per davvero.
Fu una tenera ma assonnata voce femminile a
rispondere all’altro capo del filo, dopo una prolungata sequenza di squilli a
vuoto.
« Pronto? »
Prese un sospiro, cercando nella sua mente un
motivo qualunque per giustificare quella chiamata all’alba.
« Pronto, Kyoko? Sono
Satoru. »
Un istante di silenzio.
« Oh… ciao, Satoru!
Ma… perché telefoni a quest’ora, è successo qualcosa?
»
« Scusami, è che non riuscivo a dormire e
volevo sentire la tua voce. »
Una risatina, sottile e deliziosamente stupita.
« Non mentire, stupido! »
« Non sto mentendo. Dormivi? »
« Sì, come tutta la gente di questo mondo te
escluso. »
No, gli venne da pensare, perché a dir la
verità in quel momento erano in due ad esser svegli. Tese l’orecchio e udì il lontano
vibrare sonoro dell’asciugacapelli.
« Dove sei ora? »
« A Tokyo. »
« Come a Tokyo? E ci sei andato senza dirmi
nulla? »
« Be’… »
Se in quel momento stava a Tokyo era solo per
stramaledettissimi affari suoi e lei non aveva alcun diritto di impicciarsi.
Anche se era la sua ragazza.
« Comunque per domani sarò di ritorno, ciao. »
Senza tante altre parole le chiuse la cornetta
in faccia, e rimase con le mani poggiate sul telefono quasi avesse avuto paura
che squillasse.
Inaspettatamente tornò Mana, qualche minuto
dopo. Si stava spazzolando i capelli con delicatezza, stando bene attento a non
tirarli, e luccicavano come se venati di diamante.
S’era vestito di bianco, un paio di semplici
pantaloni e una maglietta a maniche lunghe, e stava ad osservarlo tranquillo come
se nulla fosse accaduto.
« Hai chiamato la tua ragazza? »
Quella domanda così schietta postagli
direttamente dalla voce di quel ragazzo ebbe l’assurdo potere d’inquietarlo
profondamente. Annuì, ma solo perché non poté fare altro.
« Sì, ma… non la vedo molto spesso. È sempre
impegnata col lavoro e abbiamo orari del tutto differenti, ci incontriamo quasi
solo nei fine settimana. »
Mana rise, come se avesse intuito il motivo di
quella giustificazione.
« Ops, immagino
quindi che si sarà arrabbiata con me ora. »
I begli occhi nocciola di Gackt si spalancarono
a scrutare il chitarrista.
« Eh? »
« Be’, avevi questi giorni liberi e io ti ho
portato via da lei. »
C’era stato un istante in cui al posto del
cuore aveva avuto un solo nero fottutissimo enorme buco.
« Oh… non preoccuparti, sono stato io a voler
venire da te in fondo. »
Mana s’avvicinò, sedendosi comodamente sul
divano accanto a lui.
« Più tardi chiamerò Kami,
il batterista della band. Gli ho parlato di te ed era ansioso di ascoltarti. »
« E quindi? Devo improvvisarvi uno spettacolo?
»
Una semplice, sbrigativa alzata di spalle e una
risata, coronate e definite da una breve luce di divertimento nello sguardo.
« Pensavo piuttosto di andare al karaoke tutti
e tre. »
Lì per lì aveva quasi creduto che Mana stesse
scherzando, ma era stato con altrettanta rapidità che aveva capito che invece
diceva proprio sul serio. E alla fine perché no, sarebbe stato divertente!
Quella mattina, più o meno verso le dieci e
mezza, furono entrambi disturbati dal suono del citofono. Stavano parlando,
come al solito, seduti su quel divano di pelle bianca come se mai si fossero
mossi da lì a partir dall’alba, perché forse non s’erano mossi davvero, e
sentire quel rumore fu per loro come risvegliarsi da un sonno.
Mana s’alzò sbattendo le palpebre e Gackt gli
vide ancora quel suo sorriso delizioso, mentre andava a rispondere e parlava.
« Ciao Kami, sempre
puntuale mi raccomando! »
Alzò un sopracciglio nel vedere Mana che si
buttava ad abbracciare un ragazzone imponente quasi quanto lui, ridendo come un
bambino nonostante la palese ironia della frase con cui l’aveva accolto.
« Ho ritardato solo di cinque minuti, non
rompere! »
Il giovane ricambiò l’abbraccio, poi lo lasciò
andare e parve finalmente accorgersi di lui. Si guardarono, e Satoru scorse in quel tipo un che di dolce che lo colpì.
Forse era solo il suo sorriso, un sorriso incredibilmente diverso da quello di
Mana, un sorriso talmente luminoso che avrebbe aperto il cielo.
« Io sono Ukyo Kamimura detto Kami, piacere! »
Gli strinse la mano, sentendola forte e sicura
a contatto con le sue dita. Quel ragazzo era piuttosto alto e robusto, aveva i
capelli lunghi fin sotto le spalle come i suoi e tinti di un castano sbiadito
molto chiaro, il volto largo e squadrato e gli occhi un po’ piccoli ma
irresistibilmente dolci. Occhi che s’illuminarono curiosamente mentre lo
scrutava.
« Fai wrestling o
qualcosa del genere? »
Oh, a quanto pareva i membri di quella strana
band denominata Malice Mizer
erano tutti accomunati da quell’insolito senso dell’umorismo…
« No, ma mio padre gestisce una palestra di
arti marziali. Mi chiamo Satoru Okabe,
per gli amici Camui Gackt. »
Sobbalzò nel vedere la testa di Mana spuntare all’improvviso
da dietro le spalle di Kami. A quanto pareva il
chitarrista stava impazientemente aspettando che finissero di presentarsi.
« Bene, ora che sono finiti i convenevoli che
ne dite di muoverci? »
Gackt osservò in silenzio Ukyo,
che continuava a ridere come un bambino davanti alla palese fretta di Manabu.
« Ma come Mana, sono appena arrivato! Non mi
offri neanche un tè? »
« Non abbiamo tempo, se proprio ci tieni te lo
faccio quando torniamo. »
Si stava già infilando un paio di corti guanti
neri e pareva indaffarato a cercare gli occhiali da sole.
Kami non parve badare a quella rispostaccia, si
limitò a ridacchiare di nuovo girandosi a guardarlo mentre rivoltava il salotto
con la precisione di un ladro d’appartamento, cercando pure sotto i cuscini candidi
del sofà.
« Ogni tanto fa così, » disse allora a Gackt «
ti consiglio di non sorprenderti. Quando si mette in testa qualcosa non cambia
idea facilmente. »
« E quindi è meglio accontentarlo? »
Kami gli fece l’occhiolino.
« Vedo che hai capito al volo. »
Oh be’, vedendo il
piglio da soldato con cui Mana si stava infilando il cappello, contraddirlo non
gli sarebbe venuto neppure pensato.
Era con una sorta di divertita perplessità che Satoru stava osservando i lunghi capelli neri del
chitarrista. Ondeggiavano quasi avessero avuto vita propria mentre Mana gli
camminava davanti rapido come un fulmine. Pareva che si stesse dando parecchio
disturbo per evitare i mucchi di folla che lo investivano a scaglioni come
bombe. Ukyo invece procedeva accanto a lui con
relativa tranquillità, senza lasciare che il sorriso gli sparisse dalle labbra
e alzando ogni tanto gli occhi a guardare il cielo azzurro screziato a
intermittenza da qualche nube bianca.
Anche Gackt si guardava attorno, spaesato a mezzo
dagli enormi palazzi di Shinjuku e soprattutto da
quell’immane flottaglia umana che veniva avanti stile
battaglione e che Mana si dava tanto da fare per scansare.
Per il resto, lui e Kamimura
stavano parlando del più e del meno. Quello era un ragazzo davvero simpatico e
alla mano, e gli raccontò in breve della sua famiglia e di come si fosse
trovato a passare ai Malice Mizer,
appena un anno prima.
« Dopo essermi trasferito a Tokyo da Ibaragi ho suonato per un po’ in una band, i Kneuklid Romance, ma dopo una serata venni contattato da Yu-ki, che mi parlò dei Malice e
mi chiese se volevo entrarci. »
Quel ricordo fece sorridere Kami,
e per un istante i suoi occhi splendettero come diamanti.
« Lì per lì io rifiutai, non mi andava granché
l’idea di essere un rimpiazzo. Fino a che, poco tempo dopo, mi trovai
direttamente Manabu di fronte. »
Stavolta il suo sguardo corse ridendo verso
quel sottile tornado di chiome nere che ancora camminava davanti a loro col passo
nervoso di un generale, cercando di eludere meglio che poteva tutti gli esseri
umani che si trovava di fronte.
« Penso che sappia bene anche tu che a Mana per
qualche strano motivo è difficile dire di no. Ha dei modi un po’ discutibili
certe volte, ma è una brava persona e soprattutto ha qualcosa che ti affascina.
Non ti saprei dire cosa, ma quando te lo trovi davanti pensi di doverlo
seguire. Un po’ come se fosse la chiave dei tuoi sogni, come se con lui tu avessi
la certezza di arrivare esattamente dove desideri. »
Uh, lo capiva. Lo capiva magnificamente,
proprio lui che da quella persona era stato sedotto al punto che per un istante
aveva desiderato mollare tutto quel che possedeva per corrergli dietro. Era stato
solo un momento, e gli era parso di vedere un miraggio del futuro.
« Nel nostro gruppo le decisioni le prendiamo
tutti insieme, ognuno ci mette del suo, ma in linea di massima ad avere
l’ultima parola è sempre lui. Punta ad arrivare in alto come me, Yu-ki e Közi, e a stargli vicino
inizi davvero a credere di potercela fare. Lui il nostro futuro lo vede chiaro,
ed è per questo che a te ci tiene tanto. Non sai quanto ci ha parlato di te in
questo periodo, esaltato come un bambino. »
« Insomma gli serve la mia voce, eh? »
« Be’, si è convinto di avere bisogno proprio
di te. E anche se gli dirai di no, non mollerà tanto facilmente. È timido, ma
ti assicuro che ha gli artigli e morde pure! »
E allora quella specie di amicizia che era nata
tra loro era solo dovuta al desiderio di Mana di avere per sé la sua voce? No,
non lo sapeva il perché ma non ci credeva proprio. Alla fine, Takeshi e Manabu erano amici pure
se Taka era stonato come una campana e sparava solo stronzate.
Frattanto, avevano infilato tutti e tre la
porta di un karaoke.
Mana s’era seduto su uno dei divanetti nella
loro cabina, togliendosi gli occhiali scuri e rivelando un cipiglio irritato
che fece sorridere Kami. Il ragazzo gli si avvicinò,
sedendosi accanto a lui e scuotendogli divertito una spalla con la mano.
« Che c’è, Mana-chan?
Sei nervoso? »
Le nere sopracciglia corrugate di Mana non si
stesero di un millimetro, anzi rimasero aggrottate in linea col malumore del
loro proprietario.
« Troppa gente, troppa troppa
troppa gente. »
Gackt lo sentì ruminare quelle parole col
fervore febbrile di un fedele devoto, e la cosa quasi lo incuriosì.
Kami dal canto suo ridacchiò, battendo leggermente
una mano dietro la schiena di Mana.
« Dai, non ci puoi fare niente anche se c’è
gente! »
« Non è necessario che tu cerchi di consolarmi.
»
« Gli esseri umani non sono così male, Mana-chan. Prova a dar loro una chance! »
« Sarà… a me la presenza di troppi miei simili
innervosisce e basta. »
Detto quello ordinò ad Ukyo
di andare a prendere da bere e lanciò a lui il microfono, che gli finì tra le
mani dritto come se ci avesse mirato di proposito.
Con una nota di puro sconcerto Satoru osservò la meticolosità con cui quel concentrato di
elettricità che era diventato Manabu Satou scorreva col telecomando i titoli delle canzoni sullo
schermo del televisore.
Poco dopo - giusto mentre Kami
stava tornando - lo sentì biascicare nel silenzio un sottilissimo ma inequivocabile
“che palle”.
Proferito con tutto il sacrosanto scazzo che una persona poteva avere nell’anima.
Mana alzò gli occhi verso Kami
con una disperazione che aveva del teatrale.
« Non c’è niente che posso cantare… mi fa tutto
schifo! »
« Ti fa tutto schifo? »
« Perché diamine nei karaoke al giorno d’oggi
trovi solo stupide canzonette pop che tutt’al più
possono piacere alle liceali? »
Kami gli si avvicinò e senza tanti complimenti lo
abbracciò coccolandoselo come avrebbe fatto col suo cane.
« Manabu, Manabu… il nostro povero punk incompreso… »
Non fece in tempo a finire la frase che Mana
gli rifilò un cazzotto giusto sulla bocca dello stomaco, facendo annaspare il
pur ben piazzato Kamimura – che però scoppiò a ridere
subito dopo e si rifugiò a sedere sul divanetto di fronte a quello su cui era
stato Mana.
« Non provare a sfottermi, caro il mio
chitarrista fallito. La pagheresti molto cara.
»
« Non ne ho la minima intenzione, signor dio
dei plettri. »
Mana lasciò correre e Kami
continuò a sorridere, mentre Gackt si godeva quel siparietto che aveva qualcosa
di incredibilmente comico. Almeno fin quando gli scintillanti e neri occhi a mandorla
di Mana non si puntarono su di lui con un lampo di irata determinazione che gli
fece battere il cuore per l’ansia.
« Tu! Mollami quel microfono! »
Lo apostrofò proprio in quel modo, e fu con un
misto di trepidazione e sorpresa nel nocciola delle iridi che lui si trovò inaspettatamente
a ubbidirgli, tirandogli quel povero microfono che Mana afferrò e strinse come
se da quello fosse dipeso il suo onore.
Infine, con l’indescrivibile e inequivocabile
rumore di uno schianto, uno dei piedi di Mana andò a posarsi dritto sul tavolinetto dove di lì a poco sarebbero dovuti finire i
loro drink.
Mancò poco che rompesse il tavolo con quel
calcio.
Inutile… Gackt stava iniziando a provare nei
confronti di quel ragazzo qualcosa che somigliava vagamente al timore
reverenziale. Ora sì che capiva
perché era amico di Takeshi!
« Statemi bene a sentire, ragazzi. »
Nel silenzio improvviso che seguì, quella sua
profonda ma bella voce morbida echeggiò come un comandamento.
« Da ora in avanti, la musica la farò io. »
E iniziò a cantare, così, senza musica.
Era una canzone straniera, solo dopo avrebbe
saputo che era Angel of Death degli
Slayer.
Si girò verso Kami e
vide con quanto affetto lo stava guardando, mentre con le mani gli batteva il
tempo sul piano del tavolo e lo osservava dimenare la testa come un pazzo
simulando il suono di una chitarra invisibile che in quel momento non aveva tra
le mani.
Era un grande. Era semplicemente grande.
Non sentirono aprirsi la porta, e Mana continuò
a cantare a squarciagola.
« Angel of Death, monarch to the kingdom of
the dead, infamous butcher, Angel of Death… »
Parve accorgersi della presenza di un cameriere
solo dopo che quest’ultimo ebbe depositato tre birre
chiare e qualche snack sul tavolo per poi andarsene augurando loro buon
divertimento.
Mana seguì quel suo armeggiare col microfono
fermo a mezz’aria, osservandolo con gli occhi dilatati come fosse stato un
alieno, accompagnandolo alla porta con un ultimo sguardo di imbarazzo
inconfessabile e con la certezza di avere fatto una figura di merda non indifferente.
In silenzio abbassò il piede e la testa e
spense il microfono, non prima d’essersi ravviato dietro la testa le
lunghissime ondulate chiome nere arruffate causa headbanging
selvaggio – poi poggiò il microfono sul tavolo e lo fece rotolare delicatamente
e in perfetto silenzio verso Gackt.
« Camui… canta. »
Lui prese il microfono e sorrise, ben felice di
dirgli di sì, mentre Mana si stappava una birra.
Kami gli scelse una canzone, lui aprì la bocca e
prese fiato, certo che se avesse cominciato non avrebbe più smesso. In realtà
aveva una certa trascendentale paura che sarebbero rimasti tutti di nuovo in
silenzio come il giorno prima, e non voleva. Se poteva evitarlo cantando,
allora avrebbe proseguito fino a rimanere senza voce.
Cantarono tutti, comunque, e risero come bastardi.
Perfino Mana, a cui il secondo giro di birre aveva sciolto incredibilmente la
lingua.
Come bambini, risero fino a non poterne davvero
più.
E poi uscirono e se ne andarono tutti e tre a
mangiare sushi.
Rimasero in giro fino a sera, come tre buoni
amici che non avevano un problema e nulla da fare al mondo.
I lampioni si stavano accendendo quando
tornarono verso l’appartamento di Manabu, che
camminava accanto a Gackt in silenzio mentre Kami li
seguiva qualche passo indietro.
Il batterista guardava le spalle di Mana col
sorriso, senza parlare, perché Mana aveva qualcosa da dire a Satoru e lui lo sapeva.
Era un qualcosa a cui il giovane Mana s’era
preparato da molto tempo, con quella stessa meticolosità scrupolosa e tenace
con cui aveva dato la caccia ad ognuno di loro, cercando gli elementi migliori
per quello che a suo parere sarebbe stato il miglior gruppo dell’intero
Giappone e di tutta l’Asia.
Kami sapeva quanto profondamente Mana ci tenesse e
desiderava aiutarlo in ogni modo, perché arrivare in alto era ciò che volevano
entrambi. E per riuscirci, Mana aveva bisogno di Gackt Camui.
Poteva immaginare quanto stesse battendo il cuore al suo amico.
Lo vide fermarsi e si fermò anche lui,
poggiandosi al muro bianco di un palazzo e accendendosi una sigaretta in silenzio.
Satoru percorse qualche passo ancora prima di
rendersi conto che Mana era rimasto indietro, e solo allora si girò a guardarlo
e vide i suoi capelli illuminati dalla luce tenue di un lampione appena acceso.
Vide che s’era tolto gli occhiali, e che teneva un po’ china la testa.
Per un istante la sua pelle provò di nuovo il
brivido del vento freddo di quella mattina, quando avevano corso entrambi,
insieme.
Quando Mana alzò lo sguardo, per un solo
interminabile secondo lui si fermò a fissare quegli occhi neri come ossidiana
che lo scrutavano immensamente brillanti, e allora capì che voleva dirgli
qualcosa. Lo capì dalla lacerante, profonda titubanza celata dietro quegli
occhi. Capì che era qualcosa a cui Mana teneva più che alla vita.
« Camui… »
L’incertezza nella voce gli durò un istante,
indugiò un solo attimo sulle labbra rosee e sottili poi sparì dietro un
sospiro.
« Gackt Camui, ora
ascoltami bene. »
Non avrebbe perso una sola parola neanche se
avesse voluto.
« D’ora in avanti la musica la faremo noi. »
Insieme.
Fu quella la parola che restò sospesa nell’aria
senza che né lui né Mana avessero il coraggio di pronunciarla.
Fu ancora la voce di Mana a raggiungerlo, senza
che lui facesse nulla. Teneva la testa alta, e Gackt lo guardava in cuor suo
ben sapendo già cos’avrebbe detto. Pensò alle parole di Kami,
ore prima. Pensò al fascino di quella persona, alla prima volta che l’aveva
vista, a ciò che gli aveva mostrato in quei soli pochi giorni. Pensò…
« Te lo chiedo ufficialmente, Satoru Okabe. Vuoi diventare il
vocalist dei Malice Mizer? »
Soffiò, ancora e di nuovo, il vento freddo
della sera.
- continua -
N.d.A.
Ho fatto uno strappo a quel che m’ero imposta, con questo capitolo. Uno strappo
enorme. L’ho fatto per Mana-chan, che di stare
inattivo non ne poteva più e mi stava rompendo l’anima da giorni. Se in questo
lungo periodo non avete visto capitoli di Mad Tea
Party, è perché al momento questa fanfic sarebbe
sospesa. Non per mancanza di ispirazione o altro, ma per il fatto che sto
revisionando un mio romanzo nella speranza di mandarlo a qualche editore e
dedicarmi anche alla fic mi rallenterebbe troppo il
lavoro. Indicativamente, posso dire che la pausa di Mad
Tea Party durerà ancora fino ad aprile, dopodichè potrò tornare a lavorarci
senza problemi.
Spero che
abbiate gradito il capitolo e vi anticipo che alla fine del primo atto mancano
solamente due capitoli!
Grazie
a tutti
Vitani