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Autore: scrittore 97    29/07/2013    6 recensioni
salve a tutti, sono nuovo qui e vorrei mostrarvi il primo capitolo del mio racconto, spero che vi piaccia, parla di un uomo duro di nome Derb che viaggia per il suo mondo fantastico.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nulla è più sicuro della morte, la vita è un’incertezza che si vive perché così si deve fare, solo la mietitrice oscura dà veramente un po’ di pace, dopo una vita più che tormentata.
Derb pensava a lungo a quella frase, se la rigirava nella mente come una cantilena, la ripeteva come se aspettasse la morte, sembrava che avesse perso tutto, stava camminando sotto il sole cocente della città di Soltenet.
Il suo carattere duro e ostile lo rendeva restio ad avere rapporti con altre persone, preferiva restare solo con se stesso e con i suoi stupidi rimorsi.
Sembrava un uomo come altri, segnato dalla guerra, a testimoniarlo era una lunga cicatrice che gli deturpava il viso, occhi di ghiaccio si posavano con durezza verso tutti, aveva un’aria di rabbia e rassegnazione .
Un mento così marcato che sembrava scolpito nella roccia, la fossetta che aveva sembrava il segno di uno scalpello che gli aveva lavorato i lineamenti.
Aveva delle labbra carnose e screpolate, un naso gonfio di respiri e sospiri rivolti a un passato che mai tornerà .
Lunghi capelli color neri e lisci gli cascavano sulle spalle larghe e robuste, delle grosse mani callose uscivano dalle maniche della camicia di raso, i muscoli straripavano dalle maniche che sembravano sul punto di rottura.
Era alto più di uno e novanta, la sua mole non si limitava in altezza, ma anche in muscoli.
Al posto dei pantaloni portava un’armatura, lo rendeva strano il fatto che di sopra indossava una camicia bianco sporco , dalla quale usciva un collo taurino, sembrava quasi quello di un toro.
Una spada gli pendeva al fianco, quell’uomo infondeva paura a chiunque con quella stazza.
Arrivò nella locanda in cui aveva preso la stanza, il locandiere lo salutò con un sorriso, lui nemmeno rispose, salì con lentezza le scale di legno che scricchiolavano sotto il suo passo incedente, ricordo di altri tempi.
Frugò dentro la tasca della camicia, alla ricerca di qualcosa, con un tintinnio prese le chiavi della stanza, le infilò dentro la serratura della vecchia porta, la spinse e un forte rumore di cardini arrugginiti lo accompagnò dentro la stanza.
Si sedette sul letto, e fisso l’ambiente, c’era solo un giaciglio, una cassapanca, un comodino e un armadio.
C’era un’altra piccola stanza, che fungeva da latrina, una piccola tenda faceva da barriera per i mal odori.
Si mise a fissare la guaina della sua spada, era piena di fregi un lascito del suo passato glorioso, poi la estrasse  era bellissima: l’elsa era piena di arabeschi con intarsiati alcune gemme preziose, il pomo era fatto con un zaffiro che brillava d’azzurro.
L’uomo sospirò, poi dall’armatura prese un pugnale, si alzò dal letto e con passo lento si diresse verso l’armadio, strinse con forza la spada, e la conficcò nel legno, un urlo di dolore arrivò dal mobile.
Sangue coprì la lama che adesso luccicava di un inquietante color vermiglio, il cadavere di un uomo uscì da dentro l’armadio, nel frattempo con uno scatto uscirono due uomini da dentro la latrina.
L’uomo parò l’offensiva nemica con la spada, e uccise l’aggressore piantandogli in gola il pugnale, schivò l’attacco dell’altro avversario, e lo costrinse a terra con un tremendo pugno all’addome, l’uomo sputò sangue a terra, con un gesto veloce della mano Derb spiccò la testa al nemico.
Tutto si era svolto in pochi secondi, ma da dietro la porta si sentiva il vociare delle persone, l’uomo uscì mentre con una pezza puliva le armi e disse con la sua voce cruda e profonda- signori, allontanatevi, e che qualcuno per favore vada a chiamare le guardie, nella mia stanza ci sono tre uomini che mi volevano uccidere-.
Tutti ebbero un sussulto alle parole dell’uomo, più per la calma con cui aveva detto quelle frasi che per la notizia, un uomo si riprese da quello stupore, scese le scale e se ne andò al comando cittadino.
Derb scese di sotto si fermò davanti all’albergatore il quale disse- ma cos’è successo, ho sentito dei rumori-
-credo che voi sappiate cosa sia successo, ma per chiarirvi le idee, vi dico solo che ho trovato tre uomini nella mia camera, e per quanto ne so lei che sta sempre qui, li avrebbe dovuti vedere-
- sono indignato, io non ho visto nessuno, glie lo posso giurare-
-senti damerino, lo capisco subito quando qualcuno mente, e tu lo stai facendo spudoratamente, e a confermarlo è quella borsa tintinnante di monete che hai appesa alla cintola-disse Derb indicando una piccola borsetta.
- questo è l’incasso della giornata- rispose con voce paurosa l’albergatore.
Derb stanco di quel tira e molla prese l’uomo per la collottola e disse- senti, di sopra ci sono tre uomini morti, non sono un tipo paziente con i bugiardi, quindi se li vuoi raggiungere, non hai che da dirmelo-.
L’albergatore boccheggiò e iniziò a sudare freddo poi disse- e va bene, mi hanno pagato per farli salire, ma mi avevano detto che erano vostri amici e vi volevano fare una sorpresa-.
Quando l’uomo finì la frase dentro l’albergo, irruppero due guardie con le lance tese pronte ad attaccare , i due intimarono a Derb di lasciare l’albergatore, cosa che fece spintonandolo.
-tu straniero perché stavi aggredendo quest’uomo?- disse la guardia puntando l’arma verso Derb.
- mi dispiace esservi di disturbo ma oggi quando sono rientrato nella mia stanza pronto per un bel sonno ristoratore, mi sono ritrovato con tre ospiti in camera che volevano la mia testa, io giustamente mi sono difeso con il risultato che troverete di sopra.
Ora il qui presente albergatore mi ha confessato che ha fatto salire nella mia stanza quei tre malintenzionati, perché gli avevano detto che erano miei amici- terminò Derb con voce calma.
La guardia sospirò, si girò verso il proprietario del locale e disse- è vero ciò che dice?-
L’albergatore iniziò a guardare di qua e di là, finché non incrociò lo sguardo terribile e freddo di Derb, che alzando  gli  occhi al soffitto gli ricordò il piano di sopra, l’uomo allora più che impaurito da quel semplice gesto, abbozzò un si.
-tu straniero devi venire alla centrale con me per dirmi tutto per filo e per segno la stessa cosa tu albergatore-
I due furono portati alla centrale dalla guardia, mentre l’altra provvedeva a fare un sopralluogo nella stanza, il trio camminava con lentezza tra le vie della città addormentata.
L’oste era impaurito dalla sola vicinanza di Derb che lo guardava dall’alto verso il basso, tutti guardavano quella scena con disgusto, c’era chi diceva che lo straniero avrebbe portato sfortuna, e difatti c’erano tre morti.
Appena dentro lo disarmarono, poi lo fecero accomodare in una stanza, l’oste fu messo nella stanza adiacente .
Le pareti della stanza erano bianche e spoglie, al centro due sedie, la guardia iniziò con Derb, il quale raccontò per filo e per segno ciò che era accaduto, alla fine del riassunto l’interlocutore annuì, e se ne andò a fare il suo rapporto.
Derb rimase lì, mentre sentiva delle voci nella stanza accanto.
Appena sentì quello che dicevano digrignò i denti, l’oste stava dicendo che lo dovevano uccidere loro, perché gli assassini assoldati non c’erano riusciti, ma Derb si chiedeva il perché fosse tanto odiato da quelle parti, lui non c’era stato mai prima di allora.
Si sedette tranquillamente, facendo finta di nulla, non aveva con se la sua spada, avrebbe aspettato che una delle guardie andasse da lui e l’avrebbe disarmato.
In fondo però non si aspettava che in quella città bella si potesse nascondere odio per lui che mai aveva fatto nulla contro alcun abitante di lì, ma forse era il suo maledetto passato che faceva ritorno.
Strinse i pugni e li batté sul tavolo, negli occhi aveva voglia di rompere il collo a qualcuno avrebbe voluto buttare tutto all’aria, sentiva ancora le voci di quei bastardi che confabulavano del modo di ucciderlo, ma non sapevano che lui aveva un udito sopraffino, e li sentiva come se fossero lì con lui.
Aspettò in silenzio dentro quella stanza per un tempo indeterminato, si stava stancando di rimanere rinchiuso in quelle quattro mura fatte di pietre incollate tra loro da malta, si sentiva soffocare.
Poi finalmente una guardia entrò, lo guardò con un sorriso nascosto dietro coltri di autocontrollo, ma lui non sapeva che Derb aveva ascoltato tutto, non sapeva che avevano provocato la sua ira.
La guardia lo porto nel sotterraneo della struttura, dove i banditi, i ladri e tutta la feccia della città rimanevano a marcire.
 c’era un forte odore che non sapeva distinguere, aveva le narici punzecchiate continuamente da quel gran fetore che gli faceva rivoltare lo stomaco, la luce lì sotto era poca, ma abbastanza per distinguere corpi cadaverici e divorati dalla fame, che si contorcevano nel dolore delle torture ricevute dalle guardie.
Poi capì qual era quell’odore che gli faceva ritornare in gola il cibo che aveva mangiato ore prima, erano dei cadaveri in putrefazione, che nell’angolo buio di una cella stavano lì con gli occhi spenti a fissare il corridoio.
-ti spaventano quei cadaveri?- disse la guardia non nascondendo un ghigno malvagio.
- no, è l’odore che mi da la nausea, ma come mai li avete lasciati lì?- rispose Derb con tono pacato e mite.
- perché il capo delle guardie ha detto che sono stati condannati a una vita di carcere, si sono salvati per un soffio dalla pena capitale, però la vera punizione sarà che il loro spirito rimarrà qui sotto, e non sarà portato via dai venti-  Derb era furioso per quel dettaglio, non perché gli interessasse della vita di ladri assassini e istigatori di beghe, ma togliere la serenità della morte era terribile per chiunque, perché in quel mondo la vera cosa da temere non era la morte ma la vita stessa, quindi togliere la pace all’anima in quel modo era terribbile per chiunque.
Anche se era furioso per quello che vedeva la sotto cercava di camminare come se nulla fosse.
Derb capì doveva agire,  quando arrivarono in un’ala del sotterraneo priva di guardie e di prigionieri, capì che lo volevano uccider lì lontano da testimoni.
ad avvertirlo del pericolo imminente un piccolo suono dentro una nicchia, non era il solito rumore che facevano i prigionieri, era il rumore di una spada che veniva estratta dal fodero.
Derb finalmente poté togliersi la soddisfazione di   cancellare quel sorriso odioso dal viso della guardia, lo afferrò all’improvviso, e con la sua immane forza gli ruppe il collo, con velocità e senza fare il minimo rumore.
Prese la spada dal fodero, il padrone ormai morto aveva la mano sull’elsa, sicuramente la stava per usare, Derb prese la guardia e la trascinò davanti a se, appena arrivò vicino alla nicchia due fendenti colpirono il costato dell’uomo .
Con velocità Derb uccise uno dei nemici, poi l’altro ripresosi dallo shock provò un fendente, ma il colosso, fermò l’attacco prendendo il polso dell’avversario, con forza lo torse e la spada si conficcò nel petto dell’aggressore, il quale cadde a terra morto.
Derb non aveva mai avuto rimorso nell’uccidere, tranne quando era ancora un ragazzino, il padre gli aveva messo davanti un povero ragazzino indifeso che aveva cercato di rubare nella loro casa, lui non lo voleva ammazzare, ma il padre gli aveva preso la mano e l’aveva guidato nell’uccisione, da allora non aveva più avuto rimorso nel togliere la vita a qualcun altro.
Sputò vicino al cadavere della guardia, aveva ancora il viso contrito per la furia, tutta la sua ira non si era placata, si sentiva tradito da quella città, lui non gli aveva fatto nulla, ma forse era la sua stessa vita che ormai lo voleva abbandonare,  lui stesso era stanco da quel continuo vagare per il mondo di .
Cercò di darsi un contegno con respiri profondi, aveva capito che lì non era gradito, spogliò uno dei morti, e indossò l’armatura, che in alcuni punti gli stava fin troppo stretta, a volte doveva cercare di non far scoppiare quella ferraglia in cui era rinchiuso.
Cercò di far mente locale, sulla strada da percorrere, per uscire da quel budello, marcescente di cadaveri, e di uomini ridotti all’ombra di se stessi.
Derb si confuse in alcune svolte, e si perse più di una volta, quei maledetti sotterranei erano peggiori di un labirinto, la puzza lo stava tormentando sempre più,  sentiva l’odore percorrerlo , gli strisciava fino alle narici, dalle volte si chiudeva il naso con le dita.
Tutti quei fastidiosi particolari, lo fecero spazientire, all’improvviso doveva sfogarsi, non riusciva più a trattenere la sua irascibilità, estrasse la spada che aveva preso insieme all’armatura, e sfasciò con un unico fendente dall’alto verso il basso il tavolo in cui di solito si posizionava chi montava la guardia.
Quel gesto lo aveva, anche se pur poco calmato, aveva ancora le mani tremanti di rabbia, e non riuscì quasi a sentire dei passi veloci nella sua direzione, si riscosse e iniziò di nuovo a camminare, finalmente la fortuna fu dalla sua, riconobbe un corridoio, per il potente fetore che si respirare, l’aria era malsana in modo inverosimile.
Arrivò davanti alle celle in cui c’erano i cadaveri, dietro di lui sentiva dei passi e delle voci infuriate, Derb capì che ormai era stato scoperto, allora decise cosa fare, avrebbe dato pace alle anime dei morti, e così facendo avrebbe intralciato gli inseguitori.
Ammucchiò tutti i cadaveri velocemente in una catasta, poi prese una torcia, che con la sua luce rossastra rischiarava il corridoio, e la gettò sulla piramide di corpi, che con l’aiuto dei gas sprigionati dalla decomposizione, presero subito fuoco.
Derb si mise a correre, in pochi secondi la cella fu come l’anticamera dell’inferno, i corpi dei morti divennero pian piano sempre più neri, e sembrò quasi come se sulle increspature dei visi comparisse, i sorrisi  per il sollievo della loro anima che ben presto sarebbe andata al grande e glorioso dio Diaeil, che avrebbe deciso se mandarli negli inferi, o prenderli con se nel regno delle nuvole.
L’uomo non poté fare a meno di sorridere per quell’opera di bene, che oltre a servire al dio è servita a lui per poter distrarre gli inseguitori, gli uomini dietro le barre lo guardavano con il loro sguardo spento, ogni corpo era martoriato dalle torture, lunghi tagli rossi che spiccavano su corpi neri coperti dalla sporcizia.
Derb era disgustato, erano pur sempre uomini quelli che erano lì dentro, eppure sembravano animali in gabbia denudati dal loro orgoglio, dal loro essere creature che avevano una volta la voglia di vivere.
Erano gettati dentro  quelle pareti nere, in cui l’umidità faceva vegetare in abbondanza i muschi, là l’aria era satura di polveri malsane, l’unico spicchio di luce oltre alle torce che non compivano bene il loro lavoro erano delle finestre poste in alto.
Dentro  ogni cella c’erano più di quattro uomini, uno spazio troppo stretto per contenere più di tre persone, ma a quanto pareva, chi comandava voleva trattare i prigionieri come bestie, anzi peggio.
Derb credeva, che per chi fosse lì esistesse un motivo,  nulla però poteva giustificare quell’abominio, quello che vedeva là dentro era la vera facciata della centrale delle guardie di quella città, non una struttura quadrangolare colorata di bianco, anche le cose più candide alla fine avevano un cuore nero come la pece.
Finalmente Derb fu davanti alla scala, anche se era felice di poter uscire da quei corridoi e da quel fetore nauseabondo, non lo era per la sorte di quelle povere anime.
Però una cosa gli saltò agli occhi, prima di poter salire la scala, incrociò lo sguardo di un uomo, gli occhi gli brillavano ancora di vita, lo guardavano come se non avesse sofferto nulla in quei giorni, ma la sua carne piena di tagli diceva tutt’altro, i vestiti stessi neri e putridi erano solcati da segni di frusta.
Stava seduto sopra una rozza pietra, era solo nella cella e appena vide Derb sorrise, e delle piccole rughe gli solcarono i lati degli occhi, quell’uomo sembrava un gramin in un branco di lupi-vampiri.
Derb avrebbe voluto fermarsi per interrogare quell’uomo, che sembrava alieno a tutta quella sofferenza, ma sapeva che non aveva tempo, da lì a poco i soldati che lo stavano inseguendo, avrebbero smesso di lottare con le fiamme e lo avrebbero potuto trovare.
Appena fu sopra le scale sbucò nel corridoio bianco che precedeva quell’inferno nero, c’era una sola guardia a proteggere l’ingresso, e per sfortuna sua lo riconobbe, Derb fu veloce estrasse la spada, e la conficcò nel collo del malcapitato, mentre per non farlo gridare gli tappava la bocca.
L’armatura che indossava fu zuppa di sangue lo sentiva entrare nei punti d’aria, sentiva la carne incrostarsi di quel sangue, non ne poteva più di quell’odore pungente, e nemmeno di quella maledetta situazione, appena sarebbe stato fuori non aveva intenzione di scappare e rifugiarsi nelle terre ventose, territorio in cui lui pensava di non trovare nemici.
Anche se aveva l’armatura piena di sangue, irruppe nella stanza centrale del comando, gli occhi dei presenti si magnetizzarono su di lui, che urlò- i prigionieri hanno iniziato una rivolta, lì sotto hanno bisogno d’aiuto-
Per qualche istante nessuno mosse un muscolo, Derb teneva il viso calato per non farsi riconoscere, faceva finta di essere sofferente per una ferita grave, e in quel modo giustificava la presenza di sangue sull’armatura.
Dopo che tutte le guardie compresero appieno le parole dell’uomo, presero le armi in spalla e iniziarono a correre verso le prigioni, appena furono tutti nel corridoio Derb chiuse la porta di ferro battuto, imprigionando tutte le guardie lì dentro.
L’uomo sorrise, adesso era solo con chi lo aveva portato lì, sapeva che l’albergatore era ancora nella sala dell’interrogatorio, Derb con passo svelto si diresse verso un tavolo sopra il quale stava la sua meravigliosa spada.
La estrasse, e osservò a lungo la lama, sorrise, e entrò nella stanza, c’era una guardia seduta dirimpetto all’albergatore, gli spiccò la testa con un sol colpo, l’uomo che era seduto tranquillamente scattò in piedi, e si mi se a indietreggiare davanti alla figura enorme di Derb, che in pochi passi lo sormontò.
-ti prego, ti darò tutto quello che vuoi, ma non uccidermi- disse l’uomo mentre era con le spalle al muro.
- non voglio niente da te, tu mi hai preso in giro fin dall’inizio brutto bastardo, non ti chiedo il perché e chi vi ha ingaggiati, perché ho poco tempo, quindi addio- rispose Derb con un rapido colpo di spada alla gola dell’uomo.
L’ira dell’omone non si placò del tutto, e con un fendente amputò un braccio al corpo ormai morto, il filo della sua meravigliosa spada si increspò di un intenso colore vermiglio, quell’arma aveva visto la battaglia dei venti regni, e non si era nemmeno scalfita, con tutto che aveva parato i colpi delle asce di Anelacort, le più taglienti e distruttive.
Derb la guardava come sempre con meraviglia, come la prima volta che l’aveva vista, se lo ricordava benissimo, il padre era morto e gli e lo aveva dato perché quello era il cimelio che si tramandavano da generazioni, quell’oggetto aveva più di settecento anni, ed era stata forgiata con l’ultimo dente di drago, una specie ormai estinta.
Derb si riscosse dai suoi pensieri, non aveva altro tempo da perdere con i ricordi,  strappò uno straccio dai vestiti dell’albergatore, e pulì sia la spada sia la sua armatura grondante di sangue.
Uscì dalla stazione, come se nulla fosse, le due guardie all’ingresso lo fecero passare senza nemmeno guardarlo, di sicuro non sapevano cosa avrebbero trovato all’interno.
Appena Derb svoltò l’angolo, si tolse l’armatura, e iniziò a correre verso la stalla  dove aveva lasciato il suo magnifico stallone da guerra.
Percorse le strade che si inerpicavano su per una piccola collina, la gente che lo vedeva lo squadrava di malocchio, gli ultimi raggi del sole morente si posavano sui bastioni del castello, che si ergeva in tutta la sua magnificenza sopra il colle, doveva fare in fretta di li a poco sarebbe stato buio.
Appena dentro la stalla gettò una moneta d’argento allo stalliere, che calò il capo, mentre iniziava lentamente a mettere la sella al cavallo.
Derb disse al ragazzo- no, non c’è bisogno, ho fretta, lo cavalcherò a pelo-.
Il suo cavallo era nero come la notte, con due occhi pieni di furia,  una lunga cicatrice gli percorreva l’addome, un vecchio lascito della guerra che aveva vissuto con il padrone, aveva delle enormi zampe con i calzini bianchi, un aspetto fiero e nobile lo caratterizzavano, sembrava possente nella sua statura.
-Bahid, amico mio, sei pronto per continuare il nostro viaggio senza meta?- disse Derb accarezzando la criniera all’animale che sembrava sodisfatto.
La risposta fu un lungo e sonoro nitrito, l’uomo sorrise, e con un balzo fu in groppa al destriero, che lo accolse con uno sbuffo d’aria, poi Derb con un colpo di redini fece partire Bahid al galoppo.
L’omone si sentiva ancora più possente sopra al suo animale nonché amico, gli ritornavano in mente gli anni in cui lui non era un semplice vagabondo, ma era un glorioso combattente, quando ancora era giovane e stupido, si ricordava quando non era ancora stato stretto dalle braccia della troia che lo aveva fatto innamorare, e che lo aveva portato alla rovina.
Derb spronò al massimo Bahid, infischiandosene della gente che per poco non finiva sotto gli zoccoli del suo destriero, imboccava le vie con velocità incredibile,  e si sentiva rinato, anche il cavallo da parte sua era felice di poter correre dopo due settimane che stava fermo a marcire nella stalla.
Le mura che stringevano in un abbraccio la grande città, si fecero sempre più vicine, finché Derb non fu davanti al portone principale della città, le guardie dall’alto della loro postazione lo squadrarono a lungo, dopo qualche istante di silenzio, gli fecero segno di andare.
L’uomo non se lo fece ripetere, e spronò al massimo Bahid, che si sentiva rinato, si sentiva come quando era appena nato, quel piccolo istante di spaesamento, poi sua madre nera come lui, che lo fissava con una dolcezza che sembrava non provenisse da un animale.
Dopo qualche minuto che Derb fu fuori da Soltenet, nella città scoppiò un allarme, le guardie ormai erano libere, e lo stavano cercando, ma non lo avrebbero trovato mai e poi mai, quello era il pensiero ottimista dell’uomo, che stava macinando gli zoccoli alla sua cavalcatura, la sua destinazione erano le terre di grande vento.
  
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