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Autore: Nancy91    13/02/2008    0 recensioni
Se ne era andata, svolazzava libera, distante da lui, per nulla intaccata da quel che era successo. Mentre lui soffriva, sentiva il vuoto dentro, un vuoto lasciato dalla sua “partenza”, dalla sua ormai dichiarata presenza così labile e alternata, un vuoto cosparso come un campo minato da pericolosi ricordi, ricordi di un qualcosa che non sarebbe tornato.
Genere: Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il fiore e la farfalla

In un giardino senza né universo né tempo, in un luogo ove non esistevano città e la vita scorreva ininterrotta, i secondi, i minuti, le ore e gli anni senza importanza, vi era una distesa verde, tutti fili d’erba simili fra loro, che vivevano alla stessa maniera, pensavano in ugual modo. Poi, un po’ più raramente, si potevano scorgere piccoli fiorellini selvatici, così simili a ciò che li circondava che si mimetizzavano e, apparentemente, vivevano come loro; tuttavia, dentro, nell’anima, erano differenti, ma temevano di non riuscire a trovare i loro simili e quindi si adattavano, per non restare soli ed appassire velocemente. Così facendo, però, prolungavano solamente la propria agonia.
E, ancora più rari, come perle in un guscio di un mollusco, come i pianeti abitati nell’universo, come un’aurora, c’erano i fiori, fieri di essere tali.
Non importava loro dell’erba e di ciò che pensava; un unico cervello, un’unica idea per migliaia. Non aveva alcun valore per loro la vicinanza di quegli esili fili così poveri d’animo.
Vivevano per loro stessi, utilizzando il proprio cervello, superando da soli i propri problemi, portando avanti la propria individualità, legando solamente con fiori di altrettanta nobiltà, vestendo ogni giorno petali con colori luminosi e sgargianti, colori di cui erano fieri, che sentivano propri, che li descrivevano.
Nei giorni di pioggia, di nebbia, di tristezza e delusione, di rassegnazione, portavano colori scuri, vicini al nero;
Nei giorni in cui la speranza vacillava, in cui l’ottimismo e la gioia venivano meno, nei giorni in cui non avevano voglia di pensare, non avevano la forza di distinguersi, si mimetizzavano, adottando colori spenti, opachi, morti;
Nei giorni in cui invece erano allegri, la gioia dominava la loro anima e l’euforia governava il loro comportamento ed i colori erano quelli del sole, dell’arcobaleno, esplosioni di luci che scaldavano il cuore.
Un fiore in particolare, che adorava assumere come colori le più svariate sfumature dell’azzurro, non era particolarmente allegro, la malinconia pervadeva le sue giornate, un piccolo vuoto lasciato dalla lontananza di presenze importanti per la sua vita, importanza scoperta solamente all’ultimo, nel giorno dell’addio.
Tutto ciò fino a che non arrivò una farfalla nel giardino; subito questa straordinaria creatura notò il fiore così particolare, così differente dagli altri; e, dal suo canto, anche il fiore notò subito la nuova presenza.
Mossi dalla curiosità i due si avvicinarono, si studiarono brevemente e la farfalla iniziò a passare sempre più tempo col fiore, ascoltandolo, vedendolo aprirsi e, appena l’apertura fu abbastanza grande, appena il fiore sbocciò, ella si infilò al suo interno, assuefandolo, riempiendolo di dolci attenzioni, curando i suoi mali, la sua tristezza, facendo svanire la malinconia, invadendo i suoi pensieri, promettendo un incantevole futuro.
Amore, così fu chiamato questo legame.
Poi, però, la farfalla capì che era impossibile, un concetto utopico.
Si rese conto che fra loro due, in quel giardino, non ci sarebbe potuto essere amore.
Così, volò via un breve periodo, lasciando il fiore solo, abbandonandolo al suo dolore;
per il fiore furono lunghe ed infinite giornate, vuote, riempite soltanto da tristi lacrime e dal ricordo di ogni singolo bel momento condiviso con la sua farfalla.
Fortunatamente il fiore non era solo, ma aveva accanto a sé altri dolci amici che lo consolarono, gli ricordarono che non era solo, e proprio in quel momento né scoprì un altro, un fiore affascinante che aveva trovato la sua metà e provava simpatia per questo povero essere sofferente, una sofferenza che tanto lo rammaricava.
La farfalla tornò. Chiese scusa e il fiore, forse scioccamente, nella sua infinità bontà e per via della grandezza indescrivibile di ciò che provava per lei, la perdonò, le concesse nuovamente di posarsi sui suoi petali, ma stavolta la farfalla neanche cercò di penetrare le profondità dell’amico.
Il fiore era di nuovo luminoso; certo, non radiante come all’inizio, la consapevolezza d’aver perso quel qualcosa in più, che non sarebbe mai tornato come agli albori, che il suo desiderio più grande non si sarebbe mai realizzato, gli poneva dei pesi alla base, ma l’averla accanto, ogni giorno, parlarci, sentire la presenza di quel legame, avere la consapevolezza di non aver perso la sua farfalla allietava il suo animo; sentirsi dire che gli voleva bene gli riempiva ogni volta il cuore di gioia, era una bella consapevolezza e nulla lo rendeva felice come il sentire quel dolce suono ripetutamente.
Poi, la farfalla scomparve di nuovo e a nulla servirono le ricerche del fiore, le chiamate; per un giorno ed una notte il fiore rimase solo, senza respirare, il cuore chiuso in una morsa, il timore che avanzava ingrassandosi della sua ignoranza.
Al suo ritorno, la farfalla fu fredda, insensibile, si comportò in maniera indifferente, come se non tenesse a lui, un modo così distante da quel che popolava i suoi dolci ricordi, talmente differente che lo spinse a chiedersi se non avesse sognato il periodo precedente.
Disse al fiore che lei era così, poteva esserci come non, mossa soltanto dal suo volere, sparire inaspettatamente e poi, improvvisamente, tornare, unicamente tenendo conto di se stesso; per lei l’amicizia era esserci nel momento del bisogno, il resto non contava, non aveva utilità la sua presenza in altri casi, quando non urgeva un consiglio.
Ma, nei casi di sofferenza, la farfalla si sarebbe offesa se lui non avesse chiesto a gran voce il suo aiuto, se lui non l’avesse cercata; detto questo, volò via di nuovo.
Il fiore pianse per un giorno intero, solo nella sua solitudine, solo nel suo giardino, la presenza dei fili d’erba fittizia, i fiori amici una mera consolazione, un senso di disperazione che toccava ogni corda del suo essere, una melodia triste e malinconica, straziante, era sospesa nell’aria, come a ricordargli ogni istante la profondità della ferita infertagli.
Si richiuse. Fu una delle prime reazioni, troppo doleva restare aperto, esposto ad eventuali altre sofferenze. Non aveva la forza di sopportarne altre, così si chiuse, tenendo al suo interno, però, il dolore inflittogli dalla farfalla, tenendo, conservando quel dolce profumo, la sua innocente polvere depositatasi fra i suoi lembi.
Era triste, irrimediabilmente triste. Non poteva accettarlo, non poteva accettare anche quel sacrificio per la farfalla, troppi ne aveva già fatti. Non lo considerava giusto, giusto nei confronti, sembravano così immotivati quei “ti voglio bene” e “tengo a te”. Se veramente teneva a lui, come mai la sua farfalla non lo dimostrava, come mai pensava solo a se stessa, come mai non aveva un minimo di considerazione per lui, per ciò che provava, come mai gli esponeva con tranquillità concetti così taglienti?
Se ne era andata, svolazzava libera, distante da lui, per nulla intaccata da quel che era successo.
Mentre lui soffriva, sentiva il vuoto dentro, un vuoto lasciato dalla sua “partenza”, dalla sua ormai dichiarata presenza così labile e alternata, un vuoto cosparso come un campo minato da pericolosi ricordi, ricordi di un qualcosa che non sarebbe tornato. Un vuoto così difficile con cui convivere, una nuova ferita più profonda delle precedenti.
E lei non c’era. Non percorreva velocemente strette traiettorie per raggiungerlo, non più.
Non vi era alcun motivo perché la farfalla accorresse dal fiore, il fiore non stava sul letto di morte, non soffriva copiosamente. Ma neanche era allegro, neanche era felice.
Perché, dopo tutto quel tempo, tutti quei giorni passati assieme, nulla nella vita della farfalla era cambiato, come se lui non fosse esistito, come se a lei non importasse nulla di lui, di quel fiore con cui tanto aveva condiviso.
Il fiore iniziò a spegnersi, i suoi colori di un impalpabile azzurro, così distante dai colori cristallini e dalle sfumature oceaniche che soleva assumere.
E non chiedeva il suo aiuto, non chiamava la farfalla. Non vi era un motivo abbastanza grande, non voleva scomodarla, non voleva fare discorsi futili con lei, non voleva invocare la sua presenza consapevole che per lei non avrebbe avuto alcun valore quel momento trascorso assieme.
Si stava spegnendo, e la farfalla non lo sapeva.


Recensite, por favor! È un racconto un po' particolare... ho provato a descrivere una situazione fra due ragazzi in una maniera più... naturale... ditemi cosa ne pensate!
Nancy
  
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