Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Daniel Radcliffe
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2
Mi concentrai pienamente su quel questionario, e ciò che
riuscii ad assemblare furono solamente una decina di domande
concentrate su quelle poche pagine che studiai la notte prima.
Non sapevo più cosa fare, cosa pensare. Aspettavo forse
un’ispirazione, un aiuto, una mano ben valida, ma le mie
speranze non avevano una foce molto sicura. Conclusi che
l’unica cosa che rimaneva e che potevo fare, era quella di
sorteggiare le varie possibilità tra le risposte multiple, e
così feci, anche se a dirlo provo un enorme senso di
vergogna e di profonda umiliazione. Mai nessuna ragazza diciottenne
avrebbe fatto simile cosa ad un esame di ammissione alla
facoltà di psicologia.
Sperai con tutta me stessa di aver avuto la fortuna di rispondere
esattamente a qualche domanda.
Nel frattempo pensai intensamente anche a ciò che era
successo la sera prima. Quel sogno distrutto da un misero accendino,
appartenente ad una misera persona.
Non mi era rimasto nient’altro oramai, forse un trailer o un
film alla tv, o un cartellone pubblicitario per le vie di questa
splendida metropoli.
Il mio sogno era rappresentato da un ragazzo in particolare, quello che
la mitica Rowling ha subito scelto a prima vista per il ruolo di
protagonista.
Aveva occhi cerulei,capelli neri e un po’ castani brizzolati
… non sono riuscita mai a vedere il suo fisico, sempre
coperto da quella toga nera che portavano i prescelti Grifondoro.
Il tempo passò davvero in fretta e me ne resi conto solo
quando notai che la sabbia nella parte superiore della clessidra stava
per terminare, riducendosi all’ultimo granello. Il
commissario cominciò a camminare tra i singoli banchi per
ritirare il compito svolto: aveva uno sguardo serissimo, occhialini
circolari pendergli sull’enorme naso,fisico goffo, barba
bianca corta dall’aspetto pungente, capelli spettinati di cui
l’unica espressione per definirli che mi veniva in mente fu
“zucchero filato”.
Risi tra me e me, senza farmi notare. In quegli ultimi tempi erano rari
i tempi i cui ridessi, c’era oramai da rimanere inerti. A 18
anni non conoscevo ancora l’amore, e ciò non
faceva altro che buttarmi di gran lunga giù di morale.
Qualcun altro, non ricordo chi fosse, aprì la porta e ci
indicò l’uscita. Raccolsi le mie cose in fretta e
furia ed infilai il mio cappotto al caso.
Uscii e rividi qualcuno che avevo visto due ore prima. Aveva
un’aria molto familiare, come se l’avessi
già visto da qualche altra parte, come se fosse conosciuto
da tante persone, un’aria da persona importante e matura.
Aveva tra le mani lo stesso ed identico libro su cui io ho passatola
notte intera, ed era seduto dinnanzi una bacheca, e spettava il
risultato di un esame, fatto il giorno prima.
Ebbene si, eravamo fin troppi a scegliere questa facoltà, e
hanno dovuto fare un test d’entrata per verificare chi avesse
delle vere capacità intellettuali.
Presi coraggio e andai a sedere accanto a lui. Rimasi indifferente,
sbattevo lentamente il piede destro a terra, tamburellavo le dita delle
mani sul libro e poi passavo una mano tra i capelli.
Volevo trovare qualche scusa per rompere il ghiaccio, qualcosa che
potesse far si che io abbia conosciuto una volta buona quel ragazzo
… ma che scusa avrei dovuto trovare? Mi guardai intorno per
trovare una risposta, ma nessuna ispirazione mi si trovò
davanti.
Ad un tratto rabbrividii per il freddo e per il lieve e freddo vento
che circolava tra i corridoi di quell’enorme college.
Ecco,forse parlare del tempo meteorologico sarebbe dovuta essere una
scusa plausibile per introdurre un discorso.
“Freddo eh?” mi disse lui, sorpassando
ciò che avevo pensato di dire io qualche secondo prima.
“Si, molto freddo … non ricordo che Londra sia
stata così in questi anni,o almeno è quello che
ricordo da quando sono nata.”
“Quando sei nata?” mi chiese ridacchiando, e
facendo nascere sulle sue labbra un sorriso meraviglioso, di quelli che
rimangono nella mente per sempre.
Ridacchiai anch’io, piegandomi leggermente in avanti.
“Sono nata lo stesso giorno di una famosa scrittrice, anche
se qualche annetto dopo … 31 luglio 1989” gli
dissi, spostando il mio sguardo sui suoi occhi.
Mi catturarono con la loro profondità e mi trasportarono in
un altro mondo, un po’ come in una città sommersa
da un oceano immenso.
Lui per un attimo rimase immobile e bloccato alle mie parole, come se
ciò che avessi detto fosse la cosa più assurda
del mondo. Mosse le sue labbra appena, cercando di dirmi qualcosa, ma
si bloccò e continuò ad uccidere i miei occhi con
il suo sguardo.
Ancora una volta arrivai alla conclusione che aveva un’aria
abbastanza familiare, ed ero estremamente convinta di aver visto quegli
occhi qualche altra volta nel passato. Forse in televisione, forse per
strada, forse passeggiare accanto alla taverna in cui ero costretta a
lavorare.
Era molto strano il fatto che mi fissasse ancora in quel modo. Poco
dopo riuscì a muovere quelle labbra.
“Allora, in un certo senso, tu mi appartieni.” mi
disse, mettendosi una mano sul petto.
Non capii al momento. Perché aveva detto che gli
appartenevo?E perché in un certo senso?
Ripiombò, ancora una volta, un gran silenzio. Ad un tratto
si udirono delle voci provenire dall’aula accanto alla
bacheca, opposta a noi.
“I say to promote him! Its examination has excellently been
performed! Tell me you because should not do him!”
gridò un professore.
“Because he is an actor! And the commission of the
examination could think that we have promoted him only because he is
famous! We Cannot take this risk!” replicò una
professoressa, alzando sempre di più il tono di voce,
cercando di prevalere sul suo collega.
“Poor boy! Could not he ever enter to belong to an alone
college then because he is an actor? You're ashamed!” rispose
il professore, facendo cessare quell’enorme caos venutosi a
creare.
Poco dopo, lo stesso professore, uscì da
quell’aula, tenendo stretto in mano un enorme cartellone e
alcune puntine di colore blu. Si avvicinò
all’enorme bacheca e , tra i tanti foglietti attaccati e le
proposte di lavoro, fece spazio per ciò che aveva tra le
mani.
Dopo che anche quelle piccole puntine ebbero preso posto, il professore
si girò verso di noi e ci guardò fisso negli
occhi. Poi si rigirò, rientrò nell’aula
e sbatté forte la porta.
“Ecco i risultati dell’esame di oggi
…” mi disse un po’ preoccupato.
“Hanno già controllato tutti gli esami?”
risposi incredula e ignara di ciò che stava accadendo. Ma
anche un altro dubbio tormentò la mia testa … Mi
rivolsi a lui : “Tu non eri all’esame
oggi!”
Si voltò verso di me, con un’aria un po’
stanca, di chi è annoiato di dire e dare troppe spiegazioni
alla vita.
“In realtà io ho fatto l’esame giorni
fa, ed a causa di molte complicazioni che poi ti spiegherò,
non ho avuto subito “l’onore” di sapere
se ero stato ammesso oppure no.”
Ad un tratto si alzò e camminò verso quella
bacheca. Lo raggiunsi anche io, cercando di ottenere la vista di un
“ammessa”.
Lui cominciò a scorrere il suo indice sull’elenco.
Arrivò verso la fine, poi cominciò a scorrere in
orizzontale. Spalancò gli occhi.
“Ammesso!!” gridò ad alta voce, facendo
distogliere dal proprio lavoro tutti coloro che facevano qualcosa in
quel padiglione.
“Complimenti!” gli dissi sorridendo e allungando il
braccio per una stretta di mano.
Ma la mia mano non fu stretta. D’un tratto si
buttò tra le mie braccia stringendomi fortemente e portando
le sue braccia al mio collo.
Poi si allontanò e volse il suo sguardo ad un antico
orologio pendente dal soffitto.
“E’ tardi, ora devo andare via. Arrivederci Joanne!
Ci vedremo presto.” . Fece un cenno con la mano e poi corse
verso l’uscita principale del college. Ma qualcosa lo fece
fermare e rivoltare verso di me. Mise una mano al lato della bocca e mi
gridò “complimenti per
l’ammissione!”.
“Grazie!” gli gridai anch’io, salutandolo
facendogli un cenno con la mano.
Mi fermai e non riuscivo a capire come lui sapesse che ero stata
ammessa. A quel punto mi voltai verso il cartellone dei miei risultati,
e trovai il mio nome proprio al di sotto di quello del ragazzo che poco
prima era accanto a me. Aveva proprio ragione, ero stata ammessa a
quella magnifica università.
Il mio cuore batteva all’impazzata, e mi veniva voglia di
gridare, di saltare, di sbattere fortemente i piedi per terra.
Per semplice curiosità, poi, volli scoprire il nome di quel
ragazzo. Puntai il mio dito giusto sulla parte superiore alla mia
ammissione.
Vi era scritto : Daniel Jacob Radcliffe : ADMITTED.
D’improvviso passarono davanti ai miei occhi tutte le
meravigliose scene di Harry Potter, delle varie pubblicità,
dei cartelloni per le vie di Londra …
Rimasi impacciata, capace di fare nulla, con gli occhi persi nel vuoto.