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Autore: Matt_Stewartson77    10/08/2013    0 recensioni
come ogni ventenne, Susan Dawson, figlia di una delle più famose famiglie di esploratori, non aspetta altro che un occasione per mettere alla prova le proprie capacità. prende così parte alle spedizione della nave Starlight, alla ricerca di una reliquia spersa nell'Oceano Atlantico. ma qualcosa va storto...
Susan, insieme ai suoi amici, si ritrova naufraga su un'isola non circoscritta sulle cartine, e lì dovrà affrontare le sue paure e combattere contro uomini che vogliano ucciderla. perché la vogliono morta? quale segreto cela l'isola? presto, Susan, imparerà cosa significa davvero la parola "fiducia"
Genere: Avventura, Azione, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PARTE PRIMA
STARLIGHT

 
 

1
Progetti di viaggio

      Ero soltanto una ragazza giovane e inesperta che non sapeva come fare per farsi accettare dalle persone. Fin da quando ero bambina tutti, tutti, mi trattavano come la figlia di un Re che possedeva l’intero mondo. Mi accarezzavano, ammaliavano. Tutto perché ero la figlia di Richard Dawson.
      Da certi punti di vista poteva essere anche un mondo perfetto. Soldi e popolarità. Ma quello non era il mio mondo. Non mi apparteneva affatto.
      Osservavo fuori dalla finestra della mia camera il sole che sorgeva. Era sempre mia abitudine guardarlo innalzarsi nel cielo, e aprire le finestre per sentire sulla mia pelle la dolce e fresca aria mattutina. Lo trovavo rilassante.
     Ma quel giorno non riuscivo a rilassarmi come faceva sempre quell’aria.
      Oggi era il giorno in cui mio zia Jasmine doveva chiamarmi per assicurarmi un posto sulla sua nave. La Starlight. Non avevo ancora capito perché avesse deciso di chiamarla proprio in quel modo. Non si addiceva affatto ad una nave da recuperi.
      Mi ricordavo ancora il giorno che avevo deciso di partire con lui.
 
      «Rosie lo voglio fare!» avevo urlato alla mia badante. Lei più che una badante, per me era come una seconda mamma. Lei c’era sempre quando ne avevo bisogno, non si tirava mai indietro. Era forte e determinata in ogni cosa che faceva «Ma è pericoloso Susy!» mi aveva risposto lei «Hai appena compiuto 20’anni! Sei ancora troppo piccola!» fosse stato per lei, io sarei rimasta segregata nella mia camera pur di rimanere al sicuro. Ma io dovevo partire per fare quel viaggio.
      Me lo sentivo.
      «Rosie ha ragione Tesoro» si intromise mia madre che si era accomodata su una poltrona in pelle bianca nell’enorme salotto «Hai appena finito il College cara. Aspetta ancora un paio di mesi» disse spostandosi una ciocca di capelli biondo lucido dietro l’orecchio. Tutti mi dicevano che avevo preso pari cose dai miei genitori.
      Un esempio?
      Avevo preso i capelli un po’ da entrambi: biondo cenere. Mio padre aveva chioma di nero pece, mamma biondo lucido e il fisico slanciato di mia madre di quando aveva la mia età –non che adesso la avesse persa-, mi dicevano sempre “sei un’esploratrice nata, Susan” se lo dici tu…
      «Ancora un paio di mesi?» ripetei le sue parole irritata «Mamma, non ci vivi tu nella mia situazione!»
      «Quale situazione?» mi chiese incuriosita. Come se non lo sapesse. È da quando sono nata che glielo ripeto!
      «Di andare in giro ed essere riconosciuta come “La figlia del grande Richard Dawson”!» imitai il vocione della gente quando mi vedeva passeggiare per le strade «E questo non ti piace?» chiese quasi offesa Rosie, in piedi di fianco al tavolino posto di fronte al caminetto «No!» risposi ovvia «È da quando ho messo piede in quel college che vi continuo a ripetere di essere scocciata dalla gente che mi apprezza solo per il nome che porto» distolsi lo sguardo da loro, e mi misi a fissare i fiori posti la stessa mattina sul davanzale del caminetto «Io non ce la faccio più! Voglio che le persone mi apprezzino per gli sforzi che, spero, di compiere»
      Un profondo silenzio calò su noi 3. Il salotto era diventato immensamente grande per me in quella situazione.
      «Susy» mia madre si alzò dalla poltrona, e si mise di fianco alla mia Badante «Io e Rosie siamo solo preoccupate per te. Hai appena compiuto i tuoi 20’anni, e vuoi già intraprendere un viaggio in mare che forse durerà mesi e mesi, e noi? Hai pensato a noi Tesoro? Noi che staremo qui ad aspettare il tuo arrivo, senza sapere come stai!»
      «Mamma starò tutto il tempo su una nave! Cosa vuoi che mi succeda?»
      «Starai ugualmente lontano da me e tua madre, Susy!» protestò Rosie.
      Proprio non volevano lasciarmi andare «Mamma» la guardai «Rosie» spostai il mio sguardo su di lei «Non c’è nessun pericolo! Starò tutti i giorni che passerò via di casa, su una nave. Non ci saranno belve pronte a divorarmi! Ci saranno soltanto uomini esperti. Non corro nessun pericolo» cercai di tranquillizzarle –cosa che mi sembrava del tutto impossibile- si scambiarono uno sguardo.
      Era incredibile il loro rapporto!
      Da quando mamma la aveva assunta, si era sempre fidata di lei. Rosie era l’unica della servitù che mamma definiva una sua fidata amica. Se lei diceva una sua opinione, Rosie era pronta ad obbiettare senza scrupoli. Era questo che affascinava mia madre. Lei faceva quello che si sentiva di fare, fregandosene di tutti. Mia madre la apprezzava anche perché voleva soltanto il mio bene. Quando ero piccola, mia madre era sempre occupata con mio padre con impegni che non ho mai capito –e che mai capirò- così mi lasciava sempre nelle mani della fidata Rosie. Di lei si fidava cecamente.
      Mamma si avviò verso di me. La seguii con lo sguardo per tutto il tempo che impiegò ad arrivare da me «Tu sei sicura di volerlo fare?» la sua espressione seria, incuteva quasi paura.
     «Sì»
      Non ci pensai nemmeno un secondo alla mia risposta «Allora noi non possiamo impedirti di intralciare le tue scelte» si intromise Rosie «Ormai sei abbastanza grande da cavartela da sola!» poteva sembrare bruto detto così, ma da Rosie, voleva dimostrare solo puro affetto verso di me.
      «Grazie» era l’unica cosa che mi sembrava giusta da dire.
      Rosie prese il telefono dal tavolino del salotto e me lo porse «Chiama tua zia se vuoi» glielo presi con delicatezza dalle mani «Noi aspettiamo qui» continuò lei.
      Composi il numero, e me lo portai vicino all’orecchio aspettando che rispondesse.
      Il telefono bussò per 4 volte, poi una voce rispose «Pronto?»
      «Zia? Sono Susan» risposi
      «Oh, ciao Susy» sembrava quasi sorpresa a sentirmi «Come stai?»
      «Bene, grazie. Chiamavo per il viaggio zia» gli confessai imbarazzata. Imbarazzata? Che c’era da essere imbarazzata? Mah!
      «Oh sì, certo!» rispose di nuovo con tono sorpreso «Cosa è successo?»
      «Mi hanno dato il consenso!» dissi con un sorriso guardando prima mamma, e poi Rosie «Posso venire!» ripetei estasiata.
      «Perfetto» esaltò lei «Ti chiamerò fra una settimana per farti sapere giorno e ora. Ok?»
       «Si, ok! Certo!» adesso ero io quella che saltava di gioia.
       Mamma e Rosie mi stavano fissando come se io avessi in una mano il loro cuore, e nell’altra un pugnale; pronta a decidere se ucciderle o lasciarle vivere. Che cosa stupida!
      «Allora?» ruppe il silenzio la mia badante per prima «Che ha detto?»
      «Ha detto che mi chiamerà fra una settimana e mi farà sapere» dissi tutto d’un fiato dalla felicità.
      Si vedeva lontano un miglio che Rosie non era affatto felice di quella risposta, probabilmente sperava in qualcosa tipo «No sono troppo piccola per andarci», del tutto prevedibile. Guardammo entrambe mia madre. Entrambe speranzose.
      «Signora Olivia» implorò lei «La prego non la faccia andare!» io spostai lo sguardo da lei, a Rosie. Ero sbalordita! «Rosie!» sbottai irritata. Lei mi fissava come per dire «Beh? Già sapevi la mia opinione!» con ancora una piccola dose di rabbia, dissi rivolgendomi a mia madre «Mamma?» lei che era rimasta in silenzio ad osservarci senza obbiettare mi disse «Se sei sicura di quello che fai, allora va’!» disse senza alcuna espressione sul volto «Ma tieni ben presente nella tua testa, che se mai vorrai tornare indietro, non ce ne sarà alcuna possibilità! Decidi con cura il da farsi in questa settimana Tesoro, perché poi, non si torna indietro!»
      Pronunciate queste parole, si volto, salii le scale e svoltò verso un corri doglio. Forse era puntata ad andare in camera sua.
      «Susy!» Rosie richiamò la mia attenzione. Me ne ero completamente dimenticata presa com’era a pensare come la avesse presa per davvero mia madre «Tu lo sai che per te io ci sarò sempre, in ogni istante! Vero?» era estremamente seria
      «Certo che lo so!» risposi ovvia.
      Fece un sorriso, e si avviò anch’essa via da me. Mentre stava per aprire la porta che conduceva alla cucina, si fermò, e ritornò a guardarmi «Tranquilla!» disse «Tua madre non era arrabbiata, è soltanto addolorata dal fatto che non potrà vederti per qualche mese. Come lo sono io»
      Detto questo, entrò e si chiuse la porta alle sue spalle, lasciandomi da sola.
 
      Ebbene, quella settimana avevo deciso!
      Dovevo fare quel viaggio, lo avrei fatto per dimostrare al mondo intero che io la figlia di Richard Dawson, e sarò apprezzata per i miei sforzi e non per quelli di qualcun altro.
      Mi alzai dal mio dolce letto, e mi vestii. Entrai in bagno a darmi un’occhiata. Mi lavai faccia e denti per svegliarmi meglio. Presi il pettine, e lo passai sui miei capelli: impresa ardua, ma potevo farcela.
      Pronta, scesi per la colazione. Oggi era passata una settimana precisa dal giorno della chiamata. Avevo il cuore che pulsava a mille dall’ansia.
      E se mi avesse detto di no all’ultimo momento? Se mi avrebbe respinta? Il mio sogno si sarebbe rotto come una pesante pietra sbattuta violentemente contro uno specchio che raffigura il mio futuro.
      Scacciai quei pensieri malinconici dalla testa, e uscii dalla mia stanza. Percorrendo il lungo corri doglio vidi passare un maggiordomo «Buongiorno» lo salutai cordialmente «Buongiorno Signorina Dawson» mi salutò lui altrettanto gentilmente, e si rimise sulla sua strada. Forse stava andando nella mia camera per metterla in ordine. Al termine del corri doglio, mi ritrovai nel salotto dove precisamente 7 giorni prima avevo avuto quella discussione con le mie madri. Lo percossi ed entrai nella cucina. Era mia abitudine salutare tutta la servitù, anche se mio nonno Victor non desiderava. Diceva che la servitù era è doveva rimanere una schiera di persone inferiori a noi.
      Quando diceva queste cose mi faceva ribollire il sangue nelle vene! Tutti in famiglia non erano d’accordo con lui, neanche mio padre che era suo figlio, ma visto che era malato non aprivamo mai la discussione in modo di non farlo mai arrabbiare. Entrai in cucina e salutai tutti con entusiasmo «’Giorno gente!» tutti si voltarono a guardarmi, anche se sapevano già che ero io. Soltanto due persone in quella casa salutavano gli “schiavi” (così soprannominati da nonno); io e mia madre. Ma soltanto io li salutavo con assoluta vivacità. Mi avevano confessato un giorno che io ero la luce nell’oscurità – l’oscurità era senza dubbio nonno Victor.
      «Buongiorno Susan!» risposero tutti. Da quando avevo quattordici anni gli avevo ordinato di chiamarmi per nome quando eravamo soli.
      Mi incamminai tra i numerosi tavoli e afferrai una mela addentandola «Come va stamattina George?» lui era il più anziano della servitù. Aveva la bellezza di settantatré anni ed era vispo come un adolescente. Stava con noi da quando ne aveva ventuno. Io per insultarlo lo chiamavo sempre “Il Re della Servitù” «Come al solito Susy» disse e come era nostra abitudine, schiacciammo il cinque con le mani. Sorrisi e mi avvia verso la porta che portava in sala pranzo. La spalancai ed entrai «Buongiorno a tutti!» in quella situazione dovevo contenermi, non ero con i miei amici servili. Mi sedetti al mio posto dove mi aspettava Rosie «’Giorno Bellissima» scherzai. Lei mi guardò sorridendo e disse «’Giorno anche a te Susy!» era la solita negra grassottella messa al fianco delle bambine per fare le badanti. Ma io non la vedevo affatto così. Lei era speciale per me.
      I maggiordomi arrivarono e ci misero la colazione in tavola. Pronuncia un «Grazie» come ogni mattina e, come ogni mattina, mi beccai uno sguardo truce da mio nonno. Non ci feci caso.
      Per tutta la colazione mia madre e Rosie continuavano a fissarmi come se aspettavano che io facessi o dicessi qualcosa. Forse, anzi di sicuro, si ricordavano che oggi era il giorno. Ma io non avevo intenzione di dargliela vinta. Era sciocco, lo so. Ma volevo togliermi questa insignificante soddisfazione.
      Farle stare sulle spine.
      La colazione proseguì come tutte le altre. Mio padre e mio nono che parlavano di qualche ricerca, mia madre e Rosie che discutevano su qualcosa che a me non interessava di certo, ed io che mangiavo in silenzio.
      Certo non potevo negare che l’ansia era al massimo, ma facevo di tutto per contenerla. Poi arrivò la punzecchiata di mamma.
      «Susy, Tesoro, come va’ stamattina?» gli feci un sorriso tipo “Cosa diavolo vuoi insinuare?”
      «Benissimo» risposi convinta.
      «Ansiosa?» il mio sorriso –del tutto finto- si spense del tutto, lasciando spazio ad uno sguardo omicida
      «Affatto! Perché me lo chiedi?» contrattaccai. Sapevo benissimo che lei non voleva prendersi la responsabilità di dirlo a papà.
      Stavolta fu’ lei a guardarmi truce «Nemmeno io» feci un sorriso che voleva dire “ho vinto io! Mi dispiace per te!”
      Rosie assisteva ammutolita allo scambio di sguardi omicidi. Facevamo sempre così quando si trattava di qualcosa che, probabilmente, non avrebbe fatto piacere a papà. Ma gli volevo sempre un casino di bene. In fondo, era la mia mamma.
      Terminata la mia colazione, mi alzai e mi avviai in camera mia, ma non prima di aver salutato tutti. Passai dalla cucina come mia abitudine, e salii le scale, fino a raggiungere la mia dimora.
      Le mia giornata tipo era: svegliarsi, fare colazione, restare in camera mia fino a pranzo, pranzare, rompere le scatole a chi incontravo, cenare, e coricarmi.
      Non era un granché, ma era la mia giornata.
      Arrivato il pomeriggio, era arrivato il momento di infastidire qualcuno, e quel giorno, avevo preso di mira proprio mia madre.
      Ero stesa sul divano del salotto a fissare il caminetto scoppiettante. Tra me e lui ci divideva un semplice tavolo da salotto, basso e di vetro, pieno di cristalleria. L’ansia mi stava letteralmente divorando dall’interno. Non ce la facevo più. Picchiettavo nervosamente sulla spalliera del divano convinta che potesse accelerale il tempo.
      Cosa del tutto inutile.
      «Potresti smetterla?» chiese infastidita mia madre, intenta a leggere un libro seduta sulla poltrona di fianco alla mia.
      «Mi rilassa» risposi schietta.
      «Beh…a me disturba invece!» mi lanciò uno sguardo da scocciata.
      Smisi di muovere il dito sulla pelle bianca. Appena smisi, mi guardai intorno, in cerca di qualche altro mezzo per passare il tempo. Prima che potessi trovarne uno, mia madre mi sviò dalle mie intenzioni «Non pensarci nemmeno!»
      «Suggeriscimi qualcosa da fare allora!» le stuzzicai i nervi come era mia abitudine. Mi lanciò uno sguardo assassino come quello di stamattina a colazione, facendomi sentire…realizzata.
      «Vediamo…» ci pensò su’ «Potresti andartene nella tua camera no?»
      Ecco il colpo di risposta.
      «Nah! ... non saprei cosa fare lì»
      «Invece qui, puoi dare fastidio a me. Vero?» chiese sarcastica.
      «Sei un genio, mamma!» risposi.
      Non riuscivo a restare ferma. Iniziai a ticchettare con il piede, guardandomi nervosamente in giro. Il mio sguardo si posò su mia madre che mi guardava truce «Capito!» dissi alzandomi e girando in tondo per la grande stanza. Nervosismo! L’unica cosa che riuscivo a sentire in quel momento. Erano le 5 passate del pomeriggio, quando aveva intenzione di chiamare zia Jasmine? Camminavo e camminavo per la stanza senza accusare nessuna fatica, non accusavo più niente a meno che non si chiamasse ansia!
      «Susan Dawson!» strillò di colpo mia madre «La vuoi smettere?»
      Terrorizzata dal suo comportamento, mi avvicinai cautamente alla poltrona di fronte alla sua –in modo che ci fosse un ostacolo tra noi in caso avesse voglia di attaccarmi- senza mai staccare gl’occhi da lei. Accomodatami, mormorai uno «Scusami»
      Riprese a leggere il suo libro, e il silenzio calò su di noi. La mia gamba tremava in silenzio, non volevo tormentare la seconda persona presente in questa stanza. Mi accorsi, però, che di tanto in tanto, mi lanciava occhiatine, forse per controllare che non mi venisse un infarto. Mah.
      Di colpo, chiuse il libro da cui di solito era molto presa –il tonfo si sentì per tutto il salotto- Sobbalzai dallo spavento «Tesoro, cos’hai?» mi chiese dolcemente posando il suo amato romanzo sul tavolino di fronte a lei. Mi arresi e la risposi, anche se ero convinta che lei già conoscesse il motivo.
      «Zia Jasmine» dissi piano.
      «Immaginavo» fece un sorrisetto e si alzò, spostandosi di fianco al camino. Restò in silenzio a pensare chissà cosa. Anche io, con lei, fissavo lo scoppiettio della legna che bruciava al caldissimo calore del fuoco.
      «Sai» disse di punto in bianco senza distogliere lo sguardo dal camino «All’inizio volevo impedirti di compiere questo viaggio, anche se non è ancora certo che tu lo faccia» rassicurante eh? «Ma poi mi sono detta “Ehi! ... è una Dawson!”» mi guardò con un sorriso timido stampato sul volto.
      Cosa?
      «Mamma, non capisco cosa vuoi dire» gli confessai confusa.
      «Tesoro» si sedette sul tavolino in modo da fissarmi per bene in volto «Sai quanti giorni ho passato senza tuo padre accanto a me? Senza sapere come stava?» cercai di rispondergli, ma mi anticipò continuando il suo discorso.
      «Ormai ho perso il conto!» disse con un sorriso che stava a dimostrare tutt’altro che felicità «Mamma io…» cercai nuovamente di interromperla, ma mi bloccò di nuovo «Shhh…» mi mise due dita sulle labbra per impedirmi di parlare.
      «Poi... Sei arrivata tu!» mi guardò sfoggiando un sorriso a trentadue denti che sprizzava felicità da tutti i pori «Non puoi immaginare quanto ero contenta di averti messa a mondo! Ogni giorno io e Rosie passavamo ore e ore soltanto a guardarti dormire o giocare» si fece scappare una risata «Tutti eravamo felici di averti con noi. Tuo padre, per tutto il tempo che passava a casa ti teneva sempre con lui, anche mentre lavorava. Ti guardavo cullare tra le braccia di Rosie e, contemporaneamente pensavo a Richard che viaggiava, lontano chissà quanti chilometri da me. Allora mi promisi che avrei fatto tutto quello che potevo per impedire che tu un giorno scappassi da me!» la guardavo stranita. Mi fece cenno di non interromperla «Ma più crescevi, più assomigliavi sempre di più a tuo padre. Pian piano abbandonai il mio scopo, non potevo impedirtelo. Poi sei arrivata una settimana fa a darmi la notizia della tua possibile partenza» distolse lo sguardo da me «Sentivo tutto il mondo crollarmi addosso. Ma non potevo impedirti di affrontare il tuo destino. Avevo sempre immaginato una figlia studiosa, bellissima e piena di energia» mi posò la mano sul volto, e lascio scendere una calda lacrima sulla guancia «E ogni giorno ringrazio iddio per avermela data!»
      «Mamma» dissi mentre la stringevo forte con un abbraccio «Ti voglio bene» gli dissi ancora incollata a lei «Anche io Tesoro» mi rispose.
      Dimenticai in quel momento la gente, zia, il viaggio, tutto. C’eravamo solo io e mia madre. La persona più importante della mia vita, e nonché la più speciale. Non riuscivo ad immaginare un mondo senza mia madre, Rosie e mio padre. Preferivo la morte a quello.
      Come se il mondo avesse ascoltato i miei pensieri, il telefono di casa squillò.
      Io e mia madre sciogliemmo l’abbraccia per guardarci a vicenda, e poi spostare la nostra attenzione sulla cornetta.
      Ring! Ring! Ring!
      «Cosa stai aspettando?» mi chiese incredula mamma «Vai a rispondere» esclamò
 Mi alzai a mi avvicinai al telefono, posto su un tavolino di fianco alla porta di entrata. Posai la mano sulla cornetta. Ironicamente mi venne da pensare Cosa aspetti? Alza la cornetta, Mondialcasa ti aspetta!
      Scema!
      La alzai, e la portai vicino all’orecchio «Casa Dawson»
      «Susan? Ciao» rispose una voce femminile.
      «Ciao zia Jas!» la salutai entusiasta, ma con voce tremante per l’ansia.
      «Tutto bene?»
      «Più o meno» risposi sincera.
      Sentii un risolino «Ti chiamavo per il viaggio» mi voltai verso mia madre, che mi fissava attendendo qualche mia reazione. Gli feci capire che era zia Jasmine mi aveva chiamato per la Starlight.
      «Cosa è successo?» chiesi curiosa.
      «Niente di grave tranquilla» fece una pausa «noi partiamo fra due mesi…» perché aveva smesso di parlare? Non potevo andarci?
      «Fatti trovare al porto di Liverpool, alle quattro del mattino! Non mancare!»
      Non sapevo descrivere la mia felicità! Saltellai sul posto. Chi avrebbe vista in quel momento avrebbe pensato che assomigliavo ad una bambina di cinque anni, a cui era stato appena regalato un pony! Mamma vedendomi esultare, capì tutto quanto e si avvicinò a me con un sorriso a trentadue denti.
      «Susan? Ci sei?» mi richiamò mia zia vedendo che non rispondevo.
      «Sì, sì sono qui zia» dissi alla cornetta.
      «Tre Giugno!» confermò la data a voce alta. Forse aveva capita che stavo esultando e aveva paura che non riuscissi a sentirla «Non mancare!» mi ripeté.
      «Tranquilla zia. Tre Giugno. Alle Quattro del mattina. Porto di Cork. Capito!» riassunsi le informazioni in modo da non poterle dimenticare. Ma per essere sicura, feci cenno a mamma di scrivere. Le corse in una stanza e tornò con carta e penna. Si sedette sul divano e scrisse le informazioni.
      «Adesso vado Susy» disse Jasmine a telefono «Ci vediamo il giorno della partenza»
      «Ciao zia! Grazie mille!» ero così felice che il mio piano, un passo alla volta, stava prendendo forma, e io lo guardavo crescere, e crescevo insieme a lui.
      Riattaccai il telefono e corsi da mamma «C’è l’ho fatta mamma! C’è l’ho fatta!» esultai per poi abbracciarla.
      «Sono felice per te tesoro» disse mentre ancora mi stringeva. Sciolsi l’abbraccio e presi il foglietto che aveva scritto poco prima lei «Dove vai adesso?» disse mia madre, mentre mi seguiva con lo sguardo.
      «Ah dirlo a Rosie!» risposi estasiata «e a posare questo!» alzai il foglietto che avevo tra le mani mentre salivo le scale. Correvo per il corri doglio che portava nella mia stanza. Non smettevo di sorridere, non riuscivo a smettere. Ero troppo contenta. Spalancai la porta e mi avvicinai al letto posto al centro della stanza. Aprii il cassetto del comodino posto alla sua sinistra, e gli riposi al suo interno il tento prezioso –almeno per me- foglio. Chiusi il comodino e uscii fuori dalla stanza. Iniziai di nuovo a correre, stavolta puntata verso la cucina. Forse avrei trovato lì Rosie, intenta a preparare la cena.
      Spalancai la porta, e in cucina c’era solo Gorge che pelava le patate. Sobbalzò dallo spavento «Signorina Dawson!» mi richiamò «Se continua così, non vivrò per molto tempo ancora» disse poi sarcastico.
      «Scusa George! Sai dov’è Rosie?»
      «Dovrebbe essere nel giardino di fronte casa» disse con aria pensante.
      «Perfetto! Grazie» urlai mentre già era scappata verso la porta principale. La spalancai ritrovandomi nel giardino principale. In fondo, si innalzava il grande cancello. Il percorso che collegava esso alla porta ero largo e lungo, con del sterrato. Ai fianchi, crescevano dei cespugli di forma quadrata –la avevo scelta io quella forma-, ed oltre di loro, due grandi giardini di forma ovale con al loro centro una fontana di uguale forma. Rosie era impegnata a sistemare delle rose cresciute sui fianchi del cancello.
      «Rosie!» urlai mentre correvo verso di lei. La mia badante, accorgendosi di me, smise di sistemare i fiori e mi rispose a sua volta urlando.
      «Cosa succede Susy?»
      «Zia… zia Jasmine ha…» ansimai. Mi piegai sulle ginocchia per riprendere fiato dopo la corsa veloce di poco fa «Zia Jasmine… ha chiamato poco fa» disse dopo aver ripreso quel poco di fiato che mi serviva per parlare.
      «E?» chiese sbarrando gl’occhi dalla sorpresa. Forse non se lo aspettava.
      «Partiamo il tre Giugno¸ alle quattro del mattino, al porto di Cork» mi ricordavo ancora tutto perfettamente, come se lo avessi scritto sulla mano. Non volevo dimenticarlo, anche se lo avevo scritto.
      «Davvero?» chiese con un misto tra la sorpresa e la delusione. Probabilmente sperava che ci fosse una possibilità che io non partissi. Quella possibilità che speravo fosse del tutto remota.
      «Sì» dissi gettandomi su di lei e abbracciandola. Ora mi ero ripresa del tutto. Però, notai che quell’abbraccio era, in un certo senso, forzato. Mi scansai e la guardai «Rosie? Va tutto bene?»
      «Ma certo! È solo…» non concluse la frase.
      «Cosa?» chiesi, anche se credevo di conoscere bene la risposa.
      Distolse lo sguardo «Per quanto starai via?» chiese… imbarazzata.
      «Non so, qualche mese forse. Perché?»
      Ritornò a guardarmi posando una sua mano sulla mia guancia «Ci mancherai qui» disse piano.
      «Anche voi a me» e mi gettai di nuovo su di lei ad abbracciarla. Mi sarebbe mancata un casino. La mia dolce badante. Lei che era pronta a proteggermi da tutto e da tutti. Lei che quando ero piccola mi proteggeva dagli insulti e cose del genere dagl’altri bambini, lei che si prendeva la colpa al posto mio, lei che mi accudiva come una mamma quando la vera non c’era. La strinsi forte, come se qualcosa ci avrebbe diviso. Avevo ancora molto tempo prima di partire, ed in quel lasso di tempo avevo intenzione di stare con le persone più importanti in quella casa. Non sapevo per quanto tempo sarei stata via, e la cosa mi spaventava non poco. Spinsi una lacrima a tornare indietro.
      «Tesoro?» anche mamma era venuta lì. Io e Rosie sciogliemmo l’abbraccio.
      «Sì, mamma?»
      «Adesso che tutto questo è sicuro…» stava guardando la donna di fianco a me. Mamma gli fece un cenno con la testa e lei subito capì e si fece scappare un risolino.
      «Cosa?» non capivo cosa c’era di divertente. Adesso anche mamma cercava di trattenere una risata «Cosa?» chiesi ancora più frustrata.
      Rosie si riprese e disse a mia madre «Su’, diglielo»
      «Ok!» disse lei. Si riprese e mi guardò, cercando di assumere uno sguardo serio «Adesso però, devi dirlo tu, a tuo padre» e scoppiò in un’altra risata insieme a Rosie.
      Pensai alle sue parole, e mi unii a loro.
  
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