Titolo: La Ruota
Titolo
Capitolo: L’Imperatrice
Ship: Girolamo Riario/Caterina Sforza, Altri
Vari.
Rating: Giallo
Sommario:
Girolamo
aveva seguito i passi, disegnando con Caterina una circonferenza immaginaria, “Sei
sfacciata” aveva constata, “Ne sono
consapevole” aveva detto sorniona lei con
una risata, “Potrei riavere i miei occhiali?” aveva chiesto Girolamo, “Sono un
uomo che non tollera essere privato delle sue cose” aveva detto con una voce asettica, lei aveva montato un sorriso
sornione, “Non so di cosa parliate” aveva bisbigliato lei, prima di rifugiarsi
da un altro cavaliere.
Warnings: Tecnicamente
Girolamo e Caterina si portano quasi ventanni, quindi questo potrebbe offendere
qualcuno, ma A è ambientato alla fine del quattrocento, B il legame che si
forma tra loro è qualcosa di diverso dalla sessualità, decisamente non amore,
ma più forte dell’affetto.
A/N:1. Il Titolo è ovviamente riferimento alla carte dei Tarocchi. Purtroppo non troverete nel capitolo i
simboli dell’imperatrice, per esempio nel capitolo precedente Caterina, non
aveva la brocca, ma vestiva con i colori tipici della temperanza. Ma anche in
questo capitolo ho disseminato l’Imperatrice, forse più di una, forse una meno
dell’altra.
2. Nella storia ho deragliato varie lettere, di cui
una pur troppo non verremmo a capo tanto facilmente. Non in questa storia
almeno.
3. Relazioni famigliari, essendo in Da Vinci’s
Demons-verse, Riario un bastardo del Papà, ho sistemato la famiglia in modo che
avessimo più parenti che no … Raffaele e Girolamo non dovrebbero essere parenti
(visto che la madre di Raffaele e la sorella di Paolo Riario), ma forse io li
ho resi (avremo modo di vederli) ancora più parenti.
4. Grazie a Chemical Lady per la recensione. <3
La Ruota
L’Imperatrice
Non era ancora sorto il sole
quando fu svegliato, una giovane cameriera era venuto a chiamarlo portandoli
pancetta affumicata e vino speziato, non aveva emesso suoni, si era limitata e
posarlo vicino al comodino e tanto in fretta si era congedato. Girolamo si era
sollevato dal letto, sistemato e vestito per cura, non dopo essersi concesso un
breve bagno. Aveva indossato il grigio, ma si era reso conto, dopo aver posto
il sua abituale cappello sui capelli, dell’assenza dei suoi occhiali neri. Ed
il suo pensiero andò a Caterina, bambina sfacciata. Uscito dalle sue camere un
valletto era venuto verso di lui, pareva nervoso e quando l’aveva visto aveva
tenuto la testa bassa, “Salve Conte” aveva detto tutto spaventato, “Siete
atteso ai giardini se non è per voi d troppo disturbo” aveva bisbigliato quello.
Era un ragazzo giovane dall’aspetto scarno ed ossuto, anche molto femmineo.
Girolamo aveva acconsentito a seguirlo, non prima di aver chiamato il Capitano
delle sue guardie. I giardini erano un altura di verde, non troppo lontano da
dove camminava, il conte scorse la sua futura sposa, Costanza, giocare con i
figli del conte, sia quelli di Bona che i bastardi, mancava solamente Carlo.
Caterina era tra loro, ma i suoi occhi erano coperti da occhiali neri che
sembravano catturare la curiosità degli altri bambini.
Intorno ad un tavolo imbandito
c’erano gli Sforza, il duca, la moglie, il fratello, il figlio bastardo ed il
cugino, ultima era la marchesa, rivestita a festa, che gustava del bianco con
espressione adirata in viso. Nulla sembrava mai compiacerla. “Bensveglio
Girolamo” aveva esclamato Bona, alzandosi per accoglierlo amichevole, lui le
aveva preso una mano e l’aveva baciata, “Spero abbiate avuto sogni dolci” si
era augurata la madonna Savoia, “Così è stato, mia signora” aveva risposto con
pacata tranquillità, quando poi aveva destato gli occhi agli altri presenti.
“Buona giornata Conte” aveva detto asettica Gabriella con un elegante sorriso,
“A lei, madonna Gonzaga” aveva risposto lui. “Girolamo ho organizzato una
caccia eccezionale per voi, domani” aveva tenuto immediatamente a dire il Duca,
lanciando un eloquente sguardo al fratello. Lodovico aveva ridacchiato, “Sarà
esaltante” aveva detto malizioso, allora Carlo aveva anch’esso sorriso,
“Caterina vorrà certamente venire” aveva esclamato, Girolamo l’aveva guardato
confuso, una donna a caccia? Si era voltato verso il duca, “Voi permette a
vostra figlia questo?” aveva domandato alla fine, “E’ colpa della buon anima di
mia madre” si era scusato Galeazzo, “E’ colpa sua, ha tirato su Caterina come
un maschio” aveva detto sconsolata Bona, muovendo il capo tristemente. “Ma è
brava” aveva tenuto a precisare Galeazzo, “Più di quanto fosse Carlo alla sua
età” l’aveva denigrato il padre, con sguardo critico. Girolamo non disse nulla,
preferendo il silenzio, quel grasso maiale cominciava già a tessere le lodi
della sua bastarda, pensava seriamente che lui per una bambina che sapeva
cacciare avrebbe cambiato partito?
“Girolamo, caro, sta mani è
arrivata una lettera da parte di Lupo Mercuri” aveva esordito Bona, dopo una
pausa di qualche istante. Cosa desiderava il curatore degli archivi vaticani
dagli Sforza? Assicurarsi che la pace ed il matrimonio non andasse a male,
probabile, ed offensivo, Girolamo avrebbe potuto gestire l’intera faccenda
senza missive o intervento alcune. “E’ cosa riferiva?” aveva domandato alla
fine, la donna aveva sorriso enigmatica, “Pare che sia di suo interesse
visitare la nostra dimora” aveva risposto quella, “Nel tardo pomeriggio il signor
Mercuri e suo cugino Raffaele saranno qui” aveva spiegato, prima di sorseggiare
il vino. Girolamo cercò di non mostrarsi stupito o quanto mai spaesato, poteva
concepire l’arrivo di uno degli uomini più fidati di sua eminenza, ma non
l’arrivo di un tredicenne, quale suo cugino. “Ne sono lieto” aveva risposto con
un sorriso di circostanza. Raffaele poteva rivelarsi spesso un valido alleato,
non era certamente sciocco, era un ragazzo di fine intelligenza, ma era ancora
un bambino per certi versi ed ancora perso nella sua beata innocenza.
Quando la seduta fu sciolta.
Gabriella Gonzaga li si affiancò in una lunga camminata, era una donna alta e
seriosa, “Volete sorreggermi?” lo invitò, allungandoli il gomito, ma il suo
pareva un ordine ben poco chiaro, Girolamo lo prese, “Suo marito e suo figlio?”
chiese il conte, vagabondando nello sguardo, Costanza era con gli altri
bambini, ma anziché giocare, era intenta a ricamare con novizia, il suo sguardo
esito poco su di lei, gli occhi catturarono una Caterina, che sembrava
orchestrare alla perfezione gli altri bambini ad ubbidirle, i suoi grandi occhi
erano coperti da lenti nere. “In giro per Milano” aveva risposto lei sterile,
prima di guardare sua figlia con uno sguardo morbido, “Costanza è tanto cara,
conte” aveva detto, con il tono di madre, un tono a cui Girolamo era estraneo,
“E’ nobile, pura” aveva aggiunto ed i suoi occhi saettarono sulla maggiore dei
bastardi sforza, “Non è certamente come Caterina” aveva detto disgustata,
“Quella ragazza è cattivo sangue” aveva stabilito, “Figlia del peccato” disse
solenne. Nata fuori da un matrimonio,
frutto di una fortificazione. “E’
Costanza meriterebbe Nozze davvero adatte al suo rango” aveva ripreso Gabriella
con totale calma, Girolamo aggrottò le sopraciglia, per un lasso di tempo
minimo, poi era ritornato di puro granito, “Il nipote del papà convengo sia un
buon partito” aveva risposto con cheta tranquillità, “Certamente” aveva
risposto madonna Gonzaga, con un sorriso di circostanza, prima di continuare:
“Sebbene effimero” aveva constato. Il
Conte era rimasto in silenzio per un attimo, decisamente confuso da quelle
parole, “Forse non vi ho compreso, mia signora” aveva detto lui cercando di
mantenere la calma, imponendosi di aver capito male ed obbligandosi a non
scoprire le sue carte prima del tempo. “Certamente, mio caro, mi rendo conto di
aver parlato in modo forviante” aveva riferito lei, con un sorriso irritante in
viso, “Temo ciò che succederà alla mia bambina se mai, Dio non voglia, il santo
padre dovesse venire a mancare” aveva bisbigliato lei. Girolamo aveva taciuto,
anche perché l’espressione di puerile noia che aveva ripreso il suo viso, aveva
messo fine alla conversazione.
Nella mattinata come il marchese
ed il primo figlio, Girolamo e Grunwald passarono il resto del giorno per le
vie della Milano, accompagnati da Lodovico, Carlo e Costanzo. Il Conte li aveva
studiati per bene, erano due ragazzini, dall’espressione divertite, ancora
giocosi e tremendamente immaturi. Probabilmente Raffaele si sarebbe ritrovato
così bene con loro. Almeno lui. Lodovico
invece non aveva fatto altre che riempirlo di domande su Roma, evitando con
intrigante magistralità l’argomento nozze, come se non fosse stato minimamente
informato del discorso con quel Maiale di suo fratello la notte prima o del
discorso di Gabriella la mattina stessa. “Vi piace la città?” aveva domandato
alla fine l’uomo con un sorriso sghembo sul viso, “Incantevole” aveva mentito
Riario, la città di Milano non era nulla di così interessante, rispetto la Roma da cui
arrivava lui. “Sarà il caso di rientrare per pranzo” aveva commentato Costanzo alla fine, “Alla mia dolce sposa
mancherò” aveva detto languido, Carlo
aveva aggrottato le sopraciglia come se quella frase lo schifasse parecchio.
“Concordo, lei conte?” aveva domandato
il più grande degli Sforza, “Certamente” aveva risposto il Conte.
Prima di pranzo Girolamo aveva
avuto appena pochi minuti per poter parlare con il capo della sua guardia per
poter discutere su ciò che aveva scoperto sulle nozze. “Certamente, Conte
Riario, credo che tutto sia fatto apposta perché voi sposiate la Sforza anziché
Costanza” aveva commentato Grunwald con seriosità. Questo era certamente ovvio,
me anche la stessa Gabriella pareva del tutto infilata in questa storia, come
mai anche lei era favorevole alle nozze
di Caterina, azichè Costanza? Così alla fine non aveva trovato altro da
fare che tacere, non perché Grunwald non meritasse le sue magre costatazione,
quanto perché nella reggia sforzesca non erano sicuri neanche i muri. E a
testimoniarlo fu una donna che venne verso di loro. Era alta, slanciata,
elegante come una gazzella, aveva
luminosi capelli d’oro, intrecciati in modo elegante, indossava un vestito rosso come aquile damascate d’oro,
aveva un aspetto regalo, che le conferiva molti meno anni di quanti avesse. “Il
Conte Girolamo?” aveva domandato con una voce di miele, aveva un sorriso
amichevole, che trasudava falsità e all’uomo ricordò Violante per i suoi modi
incredibilmente fini. “Si, mia signora” aveva risposto lui, “Lucrezia
Landriani” aveva risposto la donna, allungando la mano verso di lui, così che
il conte dovesse baciarla, studiò i suoi occhi, avevano lo stesso taglio e
bellezza della figlia bastarda di Galeazzo. “Lei è la madre di Caterina?” aveva
domandato alla fine, “In persona” aveva detto divertita Lucrezia ed anche in
questo Girolamo aveva visto Violante.
Lucrezia non era venuta per
parlare delle nozze con i Fogliani, quanto più per vedere il figlio di Roma,
interessata come lo erano sempre le donne alle stravaganze. Era una donna suadente, più di quanto Bona lo
sarebbe mai stata, “Come è stata per ora
la vostra permanenza a Milano?” aveva domandato con una verta curiosità,
“Buona” aveva risposto Girolamo, non che questo fosse vero, ma era stato a
Milano semplicemente per due giorni e quasi tutto quello che aveva fatto era
stato mangiare, non che lo stupisse visto la stazza che avevano il Duca e la
Duchessa. “E ditemi, Conte, come avete trovato la nostra madonna Gonzaga?”
aveva subito chiesto la donna prendendolo sotto braccio, “Una donna squisita”
aveva risposto sterile lui. Avrebbe preferito passare un intero pomeriggio con
sua cugina Lucrezia che altri cinque minuti in compagnia di quella donna.
Lucrezia sorrise in modo maligno, “Interessante” aveva commentato con un tono
ironico, “Lei non è dello stesso avviso” aveva risposto la donna. Girolamo
l’aveva guardata, mostrandosi piacevolmente stupito, “Gabriella non prova amore
per me?” aveva domandato fintamente sorpreso, mostrarsi così apertamente
contraria alle nozze con sua figlia, ne era la prova, “Alcun genere” aveva
risposto madonna Landriani, “Come mai se mi è concesso?” aveva richiesto
Girolamo, mentre camminava a passo lento, lungo il corridoio, con la madonna
arpionata al braccio, “La curiosità può
essere dannosa, Conte” aveva risposto la donna con un risolino divertito, il
conte non aveva espresso alcun tipo di commento, per un po’. “Ieri sera non la
ho visto” commentò alla fine, preferendo cambiare discorso, aveva incontrato
ogni nobildonna lombarda, ma la madonna Landriani era sfuggita al suo sguardo,
“Ma io ho visto lei” aveva risposto la donna con mera tranquillità, prima di
continuare lungo il corridoio, prima di congedarsi, rivelando che il pranzo li
attendeva.
Lucrezia non si era ovviamente
seduta a tavola con loro, anzi non si era mostrata durante il pranzo. Riario si
era seduto non troppo lontano dai Duchi, ma il posto al suo fianco era stato
occupato a sinistra da Lodovico e quello a destra invece di essere preso da
Costanza come la sera prima era stato arpionato da Caterina. “Avete un cappello
interessante, Conte” aveva detto la ragazzina, guardando il copricapo che
ornava i capelli dell’uomo, “Anche i vostri occhiali” disse mellifluo lui,
guardando l’oggetto che la ragazzina indossava sulla fronte a mo di frontino.
Lei arrossì, un attimo, prima di toglierli e porli verso l’uomo, “Perdonatemi”
disse alla fine, mentre l’uomo recuperava il suo oggetto, “Intelligente” aveva
commentato Girolamo, “Non amo essere privato delle mie cose” aveva confidato
alla ragazzina, che aveva messo sul viso un sorriso amichevole, “Come tutti gli
uomini” aveva risposto lei, prima di concentrarsi sulle portate che veniva
versate nei piatti. “Impudente” aveva detto a mezza bocca, allorchè Caterina li
aveva sorriso di miele, “Ne sono consapevole” aveva risposto lei.
Alle quattro del pomeriggio, era
arrivato un uomo a cavallo, portando la notizia che dalla porta ad ovest
cominciavano a vedersi i cavalli, il curatore degli archivi vaticani e il
giovane Riario stavano arrivando con un esigua scorta. Bona inistette per
accoglierli all’inizio della città, vestita in modo pomposo, assieme a suo
marito, annoiato ed accaldato dall’arsura dell’estate. Girolamo e Grunwald
erano con loro. Raffaele era arrivato prima di Lupo, era un ragazzino svelto su
un cavallo marrone, era alto, allampanato e con i capelli scuri, vestito di un bruno rosso, ed anche
terribilmente somigliante a lui. Raffaele scese da cavallo, lasciando le redine
ad un servo senza neanche preoccuparsi di guardarlo in viso, lo stesso sbieco
sorriso di Violante sulle labbra, “Cugino” disse per primo, abbracciando
famigliare Girolamo, che aveva contraccambiato la stretta freddamente, poi si
era diretto verso i duchi, aveva chinato il ginocchio a Galeazzo Maria, senza
però chinare gli occhi e baciato la grassa mano di Bona, prima di inventare
squisite lodi. Lupo Mercuri era arrivato con il resto del gruppo, portando
riverenti saluti.
Bona aveva preso l’uomo sotto
braccio, “Immagino che un uomo come lei, con il suo incarico …” aveva esordito
la donna, guardando il signor Lupo, “voglia vedere tutte le opere d’arte che
abbiamo?” aveva proposto, il curatore
degli archivi vaticani, si era trovato costretto ad acconsentire alla proposta,
non avevano neanche il tempo di poter guardare Girolamo, per poterli parlare.
Galeazzo Maria era rimasto con i due Riario invece, “Avete avuto un buon
viaggio, cugino?” aveva domandato il Conte al ragazzo al suo fianco, che aveva
mantenuto un sorriso sul viso, “Ottimo” aveva risposto con cheta tranquillità, “Come
mai siete venuti?” aveva domandato il
conte al cugino, “Lupo aveva una lettera da sua eminenza per te” aveva risposto
secco il ragazzino, gli occhi di Girolamo cercarono quelli dell’uomo trascinando
da Bona, “E tu?” aveva chiesto, “Roma era boriosa” aveva risposto lui,
“Giuliano non aveva la forza di sopportarti?” aveva domandato Riario, senza che
il suo volto cambiasse di un minimo, “Ha avuto problemi con dei giudei” aveva
risposto, prima di infilare una mano sotto i vestiti per tirare fuori una lettera
sigillata in ceralacca rossa senza alcuno stemma, “Ma questa è per voi” disse
il ragazzino, “Avevi detto che Lupo aveva la lettera” aveva constato Girolamo
guardando sospetto la carta che teneva fra le dita. Il duca Sforza non sembrava
neanche curarsi di loro, mentre si approssimavano a tornare sulla monta dei
cavalli, “Questa non è di sua eminenza” aveva risposto, “Ma del nostro amato
cugino” aveva detto sornione, sistemandosi bene sulla sella.
Girolamo era salito in groppa al
suo destriero ed aveva nascosto la lettera sotto i vestiti. Perché mai Giuliano
avrebbe dovuto scriverli? Perché non aspettare il suo ritorno a Roma per
parlarli di persona. Le lettere erano caustiche, le parole scritte rimanevano,
sarebbero potute finire nelle mani di chiunque. “Amate la caccia voi, Raffaele?”
chiese il duca affiancandoli, “Non molto, signore” aveva risposto quello
leggermente a disaggio, “Mio cugino preferisce attività meno ludiche” era
accorso in suo soccorso Girolamo, al che
il grasso Sforza non aveva emesso commenti, guardandolo come si guardava
l’ultimo degli uomini, non capendo questa cosa, tanto lui dovesse essere un
amante del ludico divertimento, “Troverai in Carlo una certa compagnia” aveva
detto prima di tirare le redine e costringere il cavallo ad avanzare.
“Squisito” aveva commentato inviperito Raffaele, “Esattamente come lo hanno
descritto. Un pingue maiale” era stata
l’affermazione di Girolamo, cosa che aveva fatto scoppiare un risolino in suo
cugino. “Come è possibile che Madonna Violante ti abbia mandato a Milano, senza
insistere per venire anche lei?” aveva domandato alla fine l’uomo, infilando i
suoi preziosi occhiali con le lenti scure, al che il cugino aveva sollevato le
spalle, “Credo che abbia avuto vari problemi con sua eminenza” aveva risposto
il ragazzino. Come sempre, aveva pensato Girolamo, era da sempre che assisteva
ai litigi di quei due. Violante Riario era l’unica persona a storia che potesse
inveire contro il Santo Padre. In privato certamente.
“Quindi domani si va a caccia?”
aveva domandato Raffaele, dal suo viso
si potesse cogliere la tristezza di quest’azione, “Esattamente” aveva risposto
Girolamo. Prima di tranquillizzare il cugino con l’informazione che Carlo,
Costanzo ed il fratello della sua futura sposa avevano all’incirca la sua età,
“Ed il figlio del Duca non è abile” aveva commentato di rimando, “Al contrario
della figlia” aveva aggiunto, pensando a Caterina, l’intera colazione Galeazzo aveva tessuto le lodi della piccola
ladruncola della sua figlia illegittima. Nella speranza che lui preferisse
quella alla figlia legittima di un marchese. “Cosa si fa alla corte di Milano?”
aveva domandato alla fine suo cugino, quando davanti a loro cominciava a
delinearsi la reggia, “Si, mangia …” aveva risposto asettico. E si chiese quanto
sforzo avesse dovuto fare il duca per aver mantenuto un comportamento
dignitoso, si diceva che collezionasse amanti di ambi i sessi di ogni età.
Quando tornarono alla reggia
Sforzesca, Lupo riuscì a liberarsi della contessa. “Quella donna è così …” si stava
lamentando l’uomo, mentre camminava avanti e dietro la stanza di Girolamo, Raffaele
stava ridacchiando divertito, differentemente l’uomo delle guardie sembrava
condividere qualsiasi opinione stesse esprimendo il curatore. Il conte invece
si stava occupando di un sopraluogo nella sua stanza, uno dei suoi farsetti era
scomparso, uno nero con dei istori
d’argento, oggetto singolare da rubare, ma in cuor suo conosceva già il
colpevole, una bambina dai grandi occhi curiosi. “Credo signor Lupo, che mio
cugino vi stia ignorando” aveva commentato Raffaele, attirando la sua
attenzione. “Credo sia ora di fermare queste danze e spiegarmi il suo arrivo
qui” aveva detto acido lui, con occhi sottili, che suo cugino mentisse sul
perché fossero lì, era plausibile, probabilmente Raffaele non doveva neanche
saperlo il motivo. “Ho una cosa dal
Santo Padre” aveva detto il vecchio, prima di cercare da una tasca interna del
suo abito, una lettera che aveva sta volta il sigillo papale su esso. Non
l’avrebbe aperto alla visione di estranei, sebbene questi fossero i suoi più
fidati uomini.
Come aveva fatto da oltre due
giorni, anche quella sera c’era un banchetto, nella sala, non sfarzoso come la
sera prima. Era per accogliere i due nuovi ospiti. Raffaele aveva fatto la
conoscenza di Costanza e mascherare la sua delusione gli fu abbastanza
difficile. “E’ una bella bambina” aveva detto alla fine al cugino. Girolamo
però era stato più assorbito dal ritrovare Caterina, che certamente doveva
averlo defraudato del farsetto, mentre da un lato, sotto le vesti premevano le
lettere venute da Roma. La bambina era insieme a sua sorella, la più piccola che
sedeva sulle gambe della madre, fasciata
in un discreto vestito scuro, quando l’aveva visto la piccola Sforza era corso
verso di lui. “Buonasera conte” aveva detto con una voce dolce, “Credo di aver
perso il conto delle volte che ho espresso il desiderio che le mie cose restino
tali” aveva detto con voce sterile, “Due o tre” aveva risposto lei, “Anche
questa sera mi dirai che non hai idea di cosa parli?” aveva domandato lui.
Caterina sorrideva in modo genuino, come Girolamo non vedeva da anni, come solo
i bambini sapevano, “Esattamente” aveva detto, sbattendo le ciglia.
“Caterina, prendi Chiara” l’aveva
richiamata Lucrezia, togliendosi dal ventre la bambina, che sulle sue arcuate
gambe infantili, tendeva ora la mano verso la più grande, che l’aveva presa con
delicatezza, sentendosi costretta ad allontanarsi. Così la donna era arrivata
da lui, aveva un aspetto regale ed imponente, nonostante avesse nascosto tutta
se stessa sotto semplici abiti scuri, “Sapete mio caro” aveva esordito quella
con voce flessuosa, “Penso che mi figlia si sia infatuata di lei …” aveva
commentato civettuola, lanciando sguardi vaghi a sua figlia, “Fortuita
coincidenza” si era lasciato sfuggire il Conte. Lucrezia aveva sorriso di miele
a quell’affermazione, che non le era sfuggita, nonostante le speranze che
Girolamo avesse contenuto in esse, “Potrebbe esserlo” aveva risposto lei con
voce neutrale. Ero assai rare le possibilità che casualmente la ragazzina che
volessero farle sposare, fosse infatuata di lui.
La cena era stata lunga,
accompagnata da musicanti e teatranti, in cui si erano lette strofe di
spettacoli milanesi. Raffaele aveva gustato la cena, cercando di intrattenersi con
Costanza, che alla fine non aveva fatto altro che battere le ciglia perplessa,
come se non avesse capito tutte le insistenti cortesie di suo cugino, cosa che
divertiva, dietro il viso di granito, Girolamo abbastanza. Carlo anche pareva
volersi immischiare anche lui nella conversazione, giusto per tormentare la
piccola Fogliani. Mentre mangiava formaggio giallo, Caterina aveva riso davvero
divertita all’intera scena, impudente, al fianco di Lupo Mercuri, che aveva voltato gli occhi
alquanto confuso ed inorridito dalle libertà di quella bambina. Girolamo volse gli occhi verso il Duca e si
accorse che quel pingue maiale lo guardava compiaciuto. Forse pensava che
l’aver tenuto per tempo gli occhi sospesi su Caterina, volesse dire che
l’avrebbe sposata. Allora discretamente cercò la fiera Gabriella, che
spizzicava salsicce, tra il marito ed il figlio maggiore. Sollevò appena lo
sguardo verso di lui, ma non tradì il che ben minimo sentimento, rimanendo come
lui di puro ferro.
Nelle sue dimore, nel cuore della
notte, con la fioca luce della candela, Girolamo aveva potuto aprire le
lettere. La prima fu quella del Santo Padre, parole scritte di fretta e nulla più
di ordini urlati su carta anziché nelle sue stanze. Ed una richiesta che lo
nauseò parecchio. Sua eminenza
desiderava che lui indispettisse come meglio poteva Madonna Gonzaga. Nella
lettera non era scritto nero su bianco che dovesse farlo per interrompere le
trattative del matrimonio o che dovesse prendere in sposa la bastarda milanese,
c’era semplicemente scritto che il resto era a sua discrezione e che sua
Santità confidava molto in lui. Letta la lettera, ne diede fuoco, riducendola
in null’altro che cenere. Poi prese la lettera che Raffaele aveva portato,
quella che veniva dal neo vescovo di Catania, da Giuliano. Strappò la cera
lacca rossa, senza alcuno stemma, e tirò fuori la lettera. La carta era
ingiallita, così come l’inchiostro sbiadito, troppo vecchio per essere scritto
da poco, la grafia era ordinata, tondeggiante ed incredibilmente famigliare.
Nessuna firma, ne nessun destinatario. La scrittura non era italiana ne latina,
neanche greca, era lingua semitica.
Riario fissò la lettera, senza provare a leggerne davvero le parole, erano solo
linee grigie su un foglio giallo, che sembravano spaventarlo più di qualsiasi
altra cosa. Il Santo Padre, la buon
anima di Paolo e suo zio, si erano occupati di insegnarli le lingue, perché fosse
istruito. Lui e Giuliano avevano imparato assieme, ma ora sembrava che tutte le
sue nozioni si fossero estinte.
Quando cominciò a leggere le
parole, si rese conto che era ciò che più temeva. “Il tuo Re dei Giudei, amore
mio, fu venduto per trenta talenti d’argento. Concedimi il tuo perdono, se ti è
possibile, il mio prezzo è stato infinitamente più alto: La volta celeste.” Mormorò a mezzavoce guardando quel primo
periodo. Possibile che dopo un anno di
vuoto silenzio, senza poter arrivare ad alcun progresso, Giuliano avesse
scoperto finalmente qualcosa sul libro delle lamine? Si sedé sul letto livido,
continuando a leggere le parole sul foglio di carta ingiallita, “Ho nascosto
ciò che avevo di più caro, dove non sarà trovabile” aveva ripreso Girolamo a
leggere, “E perdonami ancora, amore mio, specialmente perché queste saranno le
ultime parole che ci scambieremo” un lungo attimo di silenzio, Girolamo lesse
le restanti parole con gli occhi. Era la lettera di sua suicida, che dedicava
ad il suo unico amore i suoi ultimi pensieri, dedicati nei ricordi, nel dolce
sentimento sollazzevole che era fiorito in un estate calda e morto nel freddo
dell’inverno ed ancora una volta chiedeva perdono. Il conte avrebbe dovuto
bruciare quella lettera, più di quanto avrebbe dovuto liberarsi di quella del
Santo Padre, ma questa volta sembrò più difficile.
Nascose la lettera sotto la veste
e chiamò Grunwald. “Ditemi mio signore” aveva detto quello, con voce impastata
dal sonno, “Fate immediatamente venire, mio cugino” aveva detto con voce
sottile. Grunald era arrivato dopo con un Raffaele con indosso una bianca
vestaglia, “Mi riposavo per la caccia, Girolamo, spero tu abbia scuse” aveva
bisbigliato il ragazzino, continuando a sfregarsi gli occhi. Riario lgli aveva
aperto la porta e fatto accomodare, prima di lasciare il capitano delle guardie
fuori. “Cosa sai della lettera di Della Rovere?” aveva domandato con una grinza
di rabbia negli occhi, “Nulla. Di ritorno dal Ghetto ebreo me l’ha consegnata
per te” aveva risposto Raffaele leggermente a disaggio, “Si è sussurrato che
Giuliano venisse dalla casa dell’Usurario” aveva detto quello dopo un lungo
silenzio, “Lisimacus?” aveva domandato lui apprensivo, “E come posso saperlo?”
aveva domandato retorico il ragazzino. A quel punto il Conte aveva desiderato
trovarsi a Roma o a Catania, dove avrebbe potuto raggiungere di fretta il
cugino per poter chiarire ogni dubbio, “Lisimacus?” aveva domandato comunque
Raffaele, “Non era il cognome di quella giudea suicida l’anno scorso?” aveva
chiesto ingenuamente il ragazzino, “Non ricordo perché fosse così importante,
ma a Castel Santangelo se ne parlò molto” aveva enunciato alla fine. “Va via,
cugino, va a dormire” aveva detto sterile Girolamo, aprendoli la porta della
stanza, quello era uscito senza emettere commenti e tenendosi per se i pareri
degli ambigui comportamenti del cugino.
Girolamo estrasse ancora la
lettera da sotto i vestimenti e cercò in quelle parole la giudea suicida,
rilesse la lettera, ma nella sua mente la voce era un dolce musicale suono. E
si rese conto che era la lettera d’addio per questo mondo di Clelia Lisimacus.
Era certo che avrebbe dovuto bruciarla, che avrebbe dovuto dar fuoco all’intero
quartiere dove aveva abitato, uccidere la sua intera famiglia e dissacrare la
sua tomba ed invece rimase a leggere quelle parole ancora ed ancora.