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Autore: Ghen    12/08/2013    0 recensioni
Chiedete ad un ragazzo adolescente se vuole salvare il mondo. Risponderà senza pensarci, e in positivo ovviamente.
Ma chiedete a quello stesso ragazzo se andrà a dissotterrare il suo gatto morto per mettergli accanto una scatoletta di pesce per gatti. Beh, June, dopo tutto questo, lo ha fatto.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. Sangue e fiducia


La porta di casa mia non era mai stata tanto alta, con grosso manico d’ottone e disegni in rilievo con buffe forme d’animali. Non ne riconoscevo neanche uno ma sapevo che dovevano esserlo, altrimenti cosa volevano apparire con quelle bizzarre corna e gambe snelle se non per animali? In fondo non ci diedi nemmeno poi tanto peso, quanto che tutto, mi prendeva la luce fioca che scivolava sotto la porta, che sapeva di grigio e non certo d’arancio, come il cielo s’era macchiato.
La spinsi appena e subito mi lasciò entrare, come invitato: si spalancò e un vento leggero mi pervase. Laggiù tutto sembrava diverso: vi era un sentiero segnato da ghiaia e tenuto insieme da alberi lunghi, altissimi, e dalle foglie gialle. Sembrava un tetto quello che prendeva il posto del cielo, grigio quanto era vero che tutto là dentro, era immerso nella fitta nebbia. Non era certo il giardino di casa mia, quanto più una camera che voleva farmi credere di essere in una foresta d’autunno.
Sentii qualcosa strisciare lungo le mie gambe e Pussy mi sorrise.
«Andiamo, June, hai trovato il percorso», miagolò, per poi sparire ancora dietro un albero.
Tentai di fermarlo facendo un passo verso il sentiero, tuttavia in quel momento capii che il mio gatto mi sarebbe stato vicino, nonostante la sua presenza fosse un continuo viavai.
Era di un piacevole fresco laggiù, che mi ricordò di avere indosso solo una maglietta a maniche corte che avevo usato come pigiama, e un pantalone da tuta da ginnastica vecchio e logoro, che usavo per stare a casa. Ero scalzo. Non era certo l’abbigliamento adatto per stare in un posto come quello, eppure non me ne importavo, tentavo di ignorare il dolore ai piedi freddi che si sformavano e infossavano passando fra la ghiaia.
Mi voltai e della porta di casa mia non c’era più traccia, solo il sentiero che proseguiva nella strada opposta. Capii che non c’era più verso di tornare indietro, ora che avevo fatto il primo passo verso l’avanti, un avanti che non conoscevo e che mi sembrava curioso.
Più camminavo lungo gli alberi e la ghiaia e più mi saliva una sensazione di forza. I piedi non li sentivo più che neanche ricordavo di averli; tutto ciò che mi sembrava avere importanza stava nell’idea che il sentiero non era poi tanto male, che non vi era niente di pericoloso che potesse crearmi difficoltà, che cominciavo ad abituarmi a quell’arietta fresca e lucida, e che tutto laggiù cominciava ad essermi amico, man mano che osservavo la foresta.
Sorridevo fiero che neanche sapevo più perché, quando all’improvviso un mugugno di dolore prese la mia completa attenzione e mi fermai. Era l’unica cosa diversa che avevo sentito dal momento in cui misi piede laggiù; anzi era l’unica cosa che sentii, che di rumori, dal momento che ci feci caso, non sentii proprio altri.
Un altro mugugno e infine capii da chi o cosa provenisse, accostandomi ad un masso, che stava in mezzo al sentiero mio. Una palla di pelo si muoveva con lentezza, continuando a lamentar dolore, e annaspando come nessuno avevo visto fare mai.
«Ehi… Stai male?», chiesi incoscientemente, che una domanda simile non poteva aver alcun significato se vedevo bene già con gli occhi miei che bene non stava e che sangue perdeva. «Dove sei ferito?».
Avevo paura di toccarlo, quel cucciolo. Era piccolo, bagnato e tremava: un cagnolino solo nella foresta, cosa mai poteva farci?
«So-», prese respiro il cane. «Sono stato ferito», disse poi, fissandomi con quegli occhi neri e lucidi, che in me avevano smosso qualcosa.
«Ma chi è stato a farti una cosa del genere?». Non potevo credere potesse esistere qualcuno a questo mondo tanto cattivo da poter fare un male tanto grave ad un piccolo cagnolino; era una cosa che accettare non potevo.
«Non so chi sia stato… Io mi ero fidato», mi gemette tremante.
«Posso fare qualcosa?»
«Portami alla fine del sentiero, ti prego», mi implorò con lo sguardo il cane. «Lì troverò via di casa»
Forse avrei dovuto chiedergli come fare a fermare il sangue che perdeva, eppure non ci badai, cominciando a chinarmi, per farlo salire sulla mia schiena.
«Io guarirò», gemette poi da solo, come se avesse potuto leggermi la mente. «Se sarai gentile con me»

Continuammo il sentiero, e mi accorsi come quella sensazione di forza che provai agli inizi svanì lentamente dal mio corpo. Ero preoccupato per il cane alle mie spalle, che era piccolo e innocente, e io dovevo prendermi cura di lui.
Sentivo la schiena bagnata del suo sangue, ma il cane non mugugnava più dolore da qualche metro, al contrario lo sentivo odorare con fervore sotto i miei capelli, procurandomi un certo solletico.
Non mantenni più le risate e il cane sembrò ridere a sua volta dopo di me. Ne fui sollevato.
«Hai un buon odore», abbaiò ad un certo punto. «Vuoi essere mio amico?»
«Ma noi siamo già amici», conclusi io.
Fu in quel momento che mi sentii pervadere di felicità: un sentimento che già conoscevo ma che eppure mi pareva così lontano da procurarmi nostalgia. Avevo mai avuto degli amici? Degli amici veri?
Fu quando stavo per accorgermi che mi mancava qualcosa che Pussy sbucò da un albero alla mia sinistra, con il consueto sorriso. «Dobbiamo fare presto, June», miagolò. «Fortunatamente la porta non è lontana da qui, e meno male che hai seguito il sentiero come ti avevo chiesto»
In quel momento mi chiesi se potessi anche non farlo, ma forse avrei potuto perdermi e non ero certo uno che rischiava. Se dovevo fare presto, non avevo il lusso di perdere del tempo prezioso a lasciarmi in sciocchezze. Forse, pensai, che se non avessi conosciuto il cane, avrei anche rischiato. Non per volontà di rischiare, ma la sensazione di forza che era svanita, se non lo avesse fatto conoscendo il cane, forse mi avrebbe tentato.
Forse, pensai. Ma al momento di certo non poteva interessarmi.
«Chi è lui?», mi chiese Pussy, scrutando sulla schiena. «Non perdiamo tempo, caro padrone, magari saresti più veloce senza peso in più»
«Lui è mio amico»
«Credevo di esser io amico tuo», tuonò.
«Siete entrambi amici miei», brontolai, pensando alla solita gelosia tra animali.
Pussy si zittì e per un attimo pensai di dover aggiungere qualcosa, quando finalmente vidi la porta che chiudeva il sentiero. Non riuscivo a vedere cosa andava al di là di quel grande portone di legno che tutto era chiuso tra nebbia e alberi, talmente fitti, in quel breve spazio, che costruivano un muro per concludere il percorso.
Pussy corse per primo e io a breve mi accostai a lui.
Vi era una strana apertura sulla porta, all’altezza del mio petto, e sopra di essa una targa. Non riuscii a comprendere tutte le parole, forse non lessi con la dovuta cura, ma ciò che compresi mi fece impallidire.
M’inchinai per far scendere il cane dalla schiena, che felice mi leccò il viso, scodinzolante. Sorrisi vedendo che si poteva reggere perfettamente sulle sue zampe e che il sangue si era fatto molto meno: le ferite non erano più quelle di quando lo trovai per strada.
«Adesso apro la porta, dovete aspettare un attimo», dissi.
«Io vi saluterò quando andrete oltre la porta», abbaiò il cucciolo. «Devo tornare a casa»
«Non verrai con noi?». Fui come ferito; la sua presenza mi mancava ancor prima che se ne fosse effettivamente andato.
«Devo tornare dalla mia famiglia»
«E se ti faranno ancora del male?»
«Può succedere, ma mi ricorderò della nostra amicizia e guarirò ancora, lentamente», sorrise il cane.
Lo sguardo di Pussy che indicava la porta mi fece ricordare ancora una volta che non avevo molto tempo a mia disposizione e così mi ressi di nuovo in piedi, osservando quella fessura sulla porta, con timore.
«Come bisogna aprire questa porta, Pussy?», mi voltai a lui.
«Temo tu conosca già la risposta», miagolò. Per un attimo il suo sguardo andò a depositarsi sul cucciolo ed io lo seguii: il sangue. Ne aveva ancora un po’ sulle zampe.
La bocca della porta era piccola e una zampa poteva esser infilata senza problemi. Sacrificio, sangue, pegno da pagare. Se volevo proseguire dovevo pagare.
Strinsi i denti e decisi: ero io quello che doveva proseguire ed io quello che doveva pagare, non avrei mai sacrificato un mio amico. Infilai di fretta il mio dito indice della mano sinistra, per non cadere in ripensamenti, quando la bocca della porta si fece più grande per farmi spazio e infilai l’intero braccio.
Una lama veloce mi parve di sentir strisciare dentro la bocca e un taglio netto accompagnato dal dolore. Volevo piangere, ma dovevo esser forte di fronte a loro e mantenni saldamente la mia postura.
«Tutto a posto, mio campione?», miagolò Pussy, mantenendo un tono vagamente compiaciuto.
«Più la paura, che il resto», dissi, convinto, udendo la serratura della porta scattare e aprirsi lentamente.
Ne tirai fuori il braccio e notai una ferita lungo l’arcata del pollice: tutta rossa al suo interno mi parve di vederne un baratro, mentre tutto intorno ad essa le macchie di sangue asciutte facevano capire che ciò che serviva era stato prosciugato.
«Buona fortuna, amico mio», mi parve di sentirlo piangere, mugugnando nella flebile voce e m’inchinai a salutarlo. «Saremo amici per sempre, lo giuro», abbaiò scodinzolante e prese leccarmi la ferita.
«Lo giuro», dissi anche io e mi voltai alla ricerca di Pussy, alzandomi in piedi.
«Sono già innanzi a te», miagolò il gatto a pochi passi, dentro la nuova stanza, nel nero più totale. Lo seguii e il cane corse indietro.
«Spero tu sia pronto per questo, June», miagolò. «Questa sarà difficile»
Mi guardai la ferita alla mano e strinsi i denti: nulla poteva esser peggio, pensai, e deciso presi passo.








***
Non ci sono scusanti! Da più di un anno non aggiorno Il sesto, mi dispiace :(
Da adesso spero di aggiornare con tempi un po’ più regolari, visto che comunque la storia è finita non dovrei avere troppi problemi.

C’è qualcosa da dire su questo capitolo?
Passate il mouse...
Due elementi principali: il cane e la forza. La sensazione di forza lo avrebbe condotto a sbagliare, questa è stata persa quando ha deciso di prendersi cura del cane. Il cane rappresenta un amico, colui che ti consiglia, aiuta nel momento di bisogno e ti sta accanto; se un amico non ci fosse stato non si sarebbe forse perso? Senza amicizia qualcuno rischia di perdersi. La forza rappresenta la spavalderia ed era causata dal sentiero, che sembrava facile e senza rischi, senza capire che il rischio stesso di quel posto era dato da quella sensazione, perché lo avrebbe fatto smarrire e quindi fallire. Invece un amico lo ha aiutato a prendere la decisione giusta.
Il cane era ferito. Com'era stato ferito? Le ferite interiori in questo senso erano esteriori. La ferita del cane era una ferita dell'anima, qualcuno lo aveva tradito oppure trattato male e si era ferito al cuore. Il cane è guarito grazie all'amicizia legata a June. La fessura sulla porta era piccola apposta per la zampa del cane. Una trappola o un consiglio? June poteva benissimo sacrificare il cucciolo ma ha preferito farsi male. È stata la decisione giusta?


Onni Onni -> Scusami davvero tanto per l’attesa! Comunque sembri perfetto per questa storia, sei perfino nato a giugno :D Spero di non deluderti con i capitoli che seguiranno ^_^’

Il prossimo capitolo de “Il sesto” s’intitolerà “Battito, nero, e paura”!


Ciao, ciao da Ghen =^____^=


   
 
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