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Autore: Silvar tales    13/08/2013    1 recensioni
"Sei davvero presuntuoso Ratonhakè:ton, se credi di potermi insegnare a cavalcare".
"Cavalcare?" La provocò Connor strizzandole l'occhio. Il cavallo soffiò in direzione di Faline, che arretrò di almeno dieci passi. Ma impiegò soltanto mezzo secondo per recuperare la sua grinta.
"Nel senso primo del termine. Purtroppo credo che per un altro tipo di cavalcata abbia tu bisogno di prendere lezioni da me, Ratonhakè:ton".
Genere: Avventura, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Kenway, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Scotch Plains



Si trovava nottetempo sulla via per New York, quando in prossimità delle creste rocciose di Scotch Plains il suo cavallo si prese spavento e si rifiutò di proseguire oltre.
Il primo pensiero istintivo di Connor fu che una coppia di puma si aggirasse nei paraggi, così imbracciò l'arco e scese da cavallo, abbandonando la bestia al suo destino.
Fastidiose frasche di nevischio gli si attaccavano sulle guance; il clima non era ancora troppo rigido: l'inverno era al principio.
Iniziò a scalare le pareti che incorniciavano il sentiero principale: non lontano da quella catena di cocuzzoli permaneva un forte della Corona, uno degli ultimi baluardi che ancora non era riuscito a spodestare.
Le colline erano silenti; alla sua sinistra, un pauroso dirupo volava a capofitto sul mare. In lontananza baluginavano le luci dell'avamposto inglese; anche nell'oscurità si distingueva con chiarezza la mole delle mura appollaiate sul promontorio.
Connor camminava circospetto tra la neve alta, attento a non far troppo rumore; con la mano destra carezzava le piume delle sue frecce, pronto ad estrarle dalla faretra nel caso un puma balzasse fuori dalla sua tana. La neve era insidiosa, nascondeva le asperità del terreno, le buche, le tracce.
Ma Connor, nella sua ingenuità, non aveva pensato nemmeno per un secondo di guardare in alto.
Sopra la sua testa, due piedi e due mani leggeri come fiocchi di neve camminavano sui rami scivolosi. Un animale più silenzioso di una lince, più lesto di una lepre, più letale di un lupo affamato. Una donna.
Ma non una donna comune, non una donna con il vestito lungo e la cuffia, nemmeno una donna cacciatrice con il fucile in spalla e il coltellino in tasca: una bestia.
Connor ignaro continuava ad avanzare nella neve e a scrutare davanti a sé, non sospettando minimamente che il pericolo gli sarebbe piovuto dall'alto.
Quando l'ebbe a portata di tiro, la belva saltò e atterrò in piedi proprio di fronte a lui, sbarrandogli la strada; il ragazzo a malapena vide il guizzare e il sibilare di un'arma bianca che veniva estratta dal suo fodero, a malapena schivò i primi due colpi che l'estranea gli inferse con velocità e precisione; ne seguirono un altro, un altro ancora, un terzultimo, e Connor, finalmente ravvedutosi, li parò tutti.
Destra, sinistra, destra, gioco di polso. Parate o no, in pochi secondi l'Assassino era immobilizzato da una lama impugnata da una donna sconosciuta, comparsa dal nulla in una fredda notte di inizio inverno, in un luogo inospitale e improbabile popolato da puma e canaglie britanniche. E nemmeno la ragazza sembrava una loro spia, pensò Connor dandole una rapida occhiata: era vestita alla maniera degli antichi barbari nordici, braccia e spalle scoperte, polsi protetti da possenti bracciali in cuoio, corpetto in cuoio e pelo di volpe come il gonnellino che le teneva scoperte le gambe, stivali bassi in pelle grezza rivestiti all'interno di pelliccia. Infine il viso: guance rosse e screpolate dal freddo, occhi castani come i capelli, gonfi vivi e lunghi fino alle spalle. Il suo sguardo era glaciale, eppure ardeva come un indomito fuoco di rabbia e coraggio. Respirava velocemente, il suo cuore palpitava: aveva la vita di Ratonhakè:ton stretta in mano.
"Tu sei Faline, non è vero?" Tentò Connor con cautela, mentre dentro di sé si dava mille volte dello stupido. Per una volta avrebbe dovuto ascoltare il vecchio, l'aveva sottovalutata. Di certo non l'avrebbe creduta così abile.
La ragazza si leccò le labbra, come per pregustare la sua preda. Solo in quel momento Connor notò che in cintola ella portava il simbolo della loro confraternita, un povero triangolo di ferro arrugginito e rovinato dalle intemperie, eppure inconfondibile.
Ma chi era? Perché mai gli era così avversa se erano confratelli?
Perché Achille non gli aveva mai raccontato nulla di tutto ciò? Si chiese Connor con furia crescente, mentre sentiva il battito cardiaco accelerare.
"Sono io, Ratonhakè:ton. Ti senti in pericolo?" Infierì Faline avanzando di qualche passo e calciando lontano la spada di Connor, mentre con il filo della lama rafforzava la presa sul suo collo.
"Non ci provare nemmeno", lo ammonì vedendo che il ragazzo cercava di raggiungerla con le lame celate.
"Cosa vuoi da me?" Chiese in fretta e furia il ragazzo, mangiandosi le parole. Guardò il suo aggressore con odio. Ciò che odiava in verità era sentirsi impotente, soprattutto se a tenerlo sotto scacco era una donna. O meglio, una ragazzina appena diciottenne.
"Non è evidente?" Fece lei, inclinando la testa e assottigliando gli occhi, come se dovesse inculcare un concetto particolarmente complicato nella testa di un moccioso.
"Uccidermi. Posso sapere perché?" Ringhiò Connor, pensando inutilmente a una via di fuga.
Calarono attimi di silenzio; in sottofondo il canto inquietante dei gufi e lo scricchiolio della neve.
Faline parve interdetta, anche se nulla riusciva a toglierle quel sorriso di trionfo dalla faccia.
"Tu sei il figlio di Haytham Kenway, e questo basta".
"Haytham Kenway è morto!" Si affrettò a chiarire Connor sperando di riuscire ad avvalorare la sua difesa. "E stai parlando con l'uomo che l'ha ucciso".
Faline si ammutolì, anche se la sua espressione rimase la stessa. Poi alzò un sopracciglio e ridacchiò divertita.
"Davvero sbalorditivo. Hai fatto quello che andava fatto allora. Edward Kenway era un grand'uomo, cosa direbbe se vedesse in che stato è ora la sua..." E fissò disgustata Connor "...progenie. Così sia, Ratonhakè:ton. Ho deciso di non ucciderti per il momento, attenderò tu faccia qualcosa di incredibilmente stupido che violi i nostri principi".
Faline rinfoderò la spada e Connor sentì ogni muscolo del corpo rilassarsi.
Lo guardò un'ultima volta con i suoi occhi scuri, ammiccando con cipiglio pericoloso: un avvertimento, prima di voltargli le spalle e sparire nella notte nevosa, così veloce e sfuggente da non permettere a Connor di trattenerla.
Eppure, trovò il tempo di sibilargli un'ultima frase.
"Rimani pur sempre il figlio di Haytham Kenway".
   
 
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