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Autore: Alexiel_Slicer    17/08/2013    1 recensioni
[...] "Si avvicinò alla finestra e pulendo velocemente col palmo della mano il vetro appannato, guardò fuori: il cielo era coperto da una spessa coltre di nubi, che andavano sfumando dal bianco al grigio scuro; il sole era stato completamente inghiottito da esse e tutto veniva immerso in un'atmosfera uggiosa e malinconica. Persino il bel verde degli alberi del parco sotto casa era vittima di quella cupezza, che lo rendeva quasi nero. Osservando giù, tra le fronde che ondeggiavano al freddo vento, notò una figura scura, ricurva su se stessa, che avanzava trascinandosi dietro un carellino sghembo, di quelli che usavano gli anziani per far la spesa. Nonostante Davide spiasse i movimenti del curioso individuo dal quinto piano, vide ugualmente il giaccone logoro e malamente rattoppato. Un barbone." [...]
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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II

La mattina uscì di casa presto per prendere il bus che l'avrebbe portato a scuola. Davide frequentava il primo anno del liceo scientifico, che si trovava dall'altra parte della città. La fermata dell'autobus era appena fuori il complesso di condomini arancio, in cui lui abitava.
L'aria del primo mattino era fredda e pungente, tanto da fargli arrossare la punta del naso e far fuoriuscire dalle sue labbra schiuse una nuvoletta, che si materializzava davanti ai suoi occhi, per infine dissolversi. Camminava stringendosi nel suo cappotto, quando sentì tossire bruscamente. Si voltò in direzione del rumore e vide il barbone piegato su un cestino dei rifiuti, mentre con una mano sulla bocca rovistava con l'altra.
Davide si arrestò di colpo e lo fissò. In lui vi era la grande tentazione di rivolgere a quell'uomo la parola e al contempo un soffocante timore. Tra i rifiuti cercava qualcosa da mangiare e Davide passò una mano sulla tasca dei jeans, che conteneva i soldi per il pranzo, ma un istante dopo scosse leggermente la testa e la ritirò.
"Hey, Davide!". Udì una voce chiamarlo; era Carlo, suo grande amico d'infanzia, che viveva appena ad un isolato da casa sua e che prendeva lo stesso autobus. Lo vide agitare la mano per farsi notare: i capelli biondi erano nascosti da un berretto e il corpo snello coperto da una pesante felpa nera e da dei pantaloni grigi.
Davide distolse lo sguardo dal barbone e andò incontro all'amico. L'autobus arrivò cinque minuti dopo, pieno già a metà. I due ragazzi si sedettero su dei sedili vuoti alla fine e Davide occupò quello accanto al finestrino. Nonostante il vetro fosse appannato e imbrattato di scritte, riusciva a scorgere ugualmente la figura del clochard. Lo guardò finchè il veicolo non si mise in moto, lasciandoselo alle spalle.
Man mano l'autobus si fermava per far salire gli altri studenti che lo attendevano alle loro rispettive fermate. Presto fu pieno e molti ragazzi, in mancanza di posti a sedere, furono costretti a stare in piedi, intasando lo stretto corridoio tra i sedili. Tutti quei fiati accumulati creavano un'aria calda, che faceva dimenticare a Davide lo spiffero gelido proveniente dal finestrino, ma al tempo stesso la rendevano pesante.
Quando le ruote si arrestarono e l'ammasso di studenti e lamiera si fermò davanti la scuola, tirò un respiro di sollievo. Scese e si trovò davanti ad un ampio cortile, al cui centro vi era un'imponente edificio squadrato, dalla facciata color panna. Sul portone d'ingresso campeggiava un cartello con scritto a caratteri cubitali "Liceo Scientifico Archimede". Tra la folla di studenti adocchiò un gruppetto di ragazzi e si avvicinò a loro. Erano tre, tutti suoi amici: Alberto che stava al centro aveva 19 anni e frequentava il quinto anno. Era il classico "fico" della scuola; alto, palestrato e con un sorriso che rimbecilliva le ragazze. Poi c'era Marco, alla sua sinistra, che aveva 17 anni e frequentava il terzo anno. Era basso e mingherlino, con l'aria da nerd, ma in realtà era solo un inguaribile pigrone, che trascorreva le sue giornate sul divano a dormire o a guardare la TV. Infine c'era Domenico, alla destra di Alberto, di 16 anni e compagno di classe di Davide, stava ripetendo il primo anno, ed era un ragazzone abbastanza corpulento che dello studio non ne voleva sapere.
Li salutò e in cambio ricevette una pacca sulla spalla da parte di Alberto.
"Oggi pomeriggio usciamo: ti unisci a noi?" esordì Domenico.
"Non posso. L'allenamento di ieri è stato rimandato ad oggi".
Il ragazzo sbuffò "Tu e i tuoi allenamenti! Un pò di tempo per gli amici quando?".
"Se fino all'altro ieri sono stato tutto il giorno con voi e poi mi basta averti in classe e vederti per cinque ore al giorno...".
Marco disse qualcosa e tutti scoppiarono a ridere, tranne Davide che in quel momento era rimasto imbambolato a guardare con occhi trasognati Beatrice, la ragazza che gli piaceva e che gli era appena passata accanto. Questa frequentava la terza classe, aveva 17 anni ed era magra, di media statura, con un viso grazioso e dei fluenti capelli castani.
"Hey amico, smettila di sbavare. Vuoi che te la presenti? Sai, la conosco". Alberto lo svegliò dal suo stato di contemplazione, accompagnato da una seconda pacca che fece avanzare Davide di un passo.
"Eh? No" rispose lui.
"Perchè no?".
"Non voglio fare la parte dello sfigato che si fa presentare alle ragazze dall'amico fico".
"Fico? Sono fico? Hai ammesso che sono fico?" fece Alberto compiaciuto.
Davide roteò gli occhi.
La campanella trillò invadendo il cortile con il suo suono acuto e fastidioso. I quattro ragazzi si avviarono verso il portone, seguiti dalla calca di studenti.

La terza campanella della giornata suonò. Questa era la più aspettata e amata dagli alunni perchè annunciava l'inizio della ricreazione.
Davide intorno a sè vide i compagni di classe alzarsi, facendo scorrere i piedi di ferro delle sedie sul pavimento, producendo un rumore stridulo, poi tutti si fiondarono fuori dalla porta. Lui uscì per ultimo, seguito da Domenico. Trovò Carlo davanti la porta dell'aula ad aspettarlo e insieme andarono al bar della scuola, nel cortile sul retro. Lì i due si unirono ad Alberto e Marco, mentre Davide fece la fila per comprare il panino. Dieci minuti dopo, quasi alla fine dell'intervallo finalmente fu il suo turno e decise di prendere un semplice panino con il prosciutto, che, però, mai mangiò. Avvolto dalla carta color senape lo conservò intatto dentro lo zaino, proprio perchè quel panino non era per lui, ma per qualcun altro...

La giornata scolastica terminò e con due ore di matematica, una di inglese, due di italino e una di chimica sul groppone risalì sul bus, affiancato da Carlo. Arrivati alla loro fermata si salutarono, per poi dividersi. L'amico si incamminò verso casa e Davide fece altrettanto, ma fermandosi davanti alla panchina. Lì vi era il barbone che frugava nel suo carrellino in cerca di qualcosa. Il ragazzo lo guardava con il respiro che si bloccava a metà. Adesso che se lo trovava davanti non riusciva a mettere in atto i buoni propositi che si era posto durante la mattinata. Respirò una profonda boccata d'aria fredda che gli gelò le narici e si sforzò di parlare.
"C-ciao" balbettò.
L'uomo dalla lunga barba grigia, alzò la testa per guardare chi gli rivolgeva la parola e Davide vide su di sè due occhietti di un azzurro annacquato che lo scrutavano, poi il barbone ritornò a fare ciò che aveva lasciato un attimo prima.
"C-come ti chiami?".
Non rispose.
Davide imperterrito continuò "Io mi chiamo Davide e tu?".
Questo proseguì a ignorarlo.
Il ragazzo sospirò e dallo zaino tirò fuori il panino "Questo è per te..." disse porgendoglielo, ma l'uomo non lo prese. Allora Davide lo poggiò sulla panchina. "Io intanto lo metto qui, magari ci ripensi" disse deluso, poi mormorò un "Ciao" e se ne andò.
  
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