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Autore: grenade_    18/08/2013    3 recensioni
Ero innamorato di lei. Abbracciarla, starle accanto, mi procurava sensazioni e brividi che non sarei mai riuscito ad esprimere ad alta voce. Ogni sua parola, ogni suo gesto, erano diventati una perenne ossessione.
Ma ero anche il suo migliore amico. L’unico con cui lei sentisse di confidarsi, su cui poneva fiducia anche ciecamente, e l’ultimo da cui si aspettasse delusioni.
E se avessi dovuto scegliere tra il suo amore e la sua amicizia, avrei scelto la seconda. Perché mentre la prima era qualcosa di incerto e tentennante, sapevo che la sua amicizia sarebbe durata per sempre.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   A Federica, 
                                                                                                    mia personale musa ispiratrice e 
                                                                                                    amante sfegatata di questa donna.


Cercai di annodare la cravatta per l’ennesima volta, ma con lo stesso scarso risultato delle volte precedenti. Per quanto tempo e dedizione avessi impiegato per creare un banalissimo nodo avevo fallito tutte le volte, portandomi all’esaurimento e facendo crescere in me la voglia di liberarmi di quel pezzo di stoffa e gettarlo. Quanto difficile poteva essere annodare una cravatta? Non ne avevo mai indossata un’altra dopo il matrimonio di Greg, ed era stata mia madre a sistemarla, non io, per cui non avevo la minima idea di come si facesse, né che fosse così difficile. Sbuffai quindi inferocito davanti allo specchio, decidendo finalmente di abbandonare l’impresa. Mi appropriai del cellulare sul letto, che segnava le 19.  
Solo un’ora all’inizio, ed io ero in completo panico.
Sospirai passandomi le mani davanti agli occhi, consapevole di stare sembrando forse un disperato. Ma d’altronde era così tutte le volte, non ero certo nuovo a quelle sensazioni, ma le sentivo prendere il sopravvento su di me sempre, rafforzando la mia idea di essere un completo idiota, o un imbranato. Non sapevo nemmeno annodare una cravatta.
Il fastidioso suono del campanello si insinuò nel mio udito, facendomi sbuffare. Era da mesi che avevamo quella specie di lamento forzato al posto di un decente e senza dubbio più adeguato din, e non c’era verso perché venisse cambiato.
D’altronde sapevo che se non sarei stato io ad aggiustarlo, nessun altro lo avrebbe fatto.
Il campanello suonò una seconda volta, più insistentemente. E una terza ed una quarta, fin quando anche la mia pazienza traboccò.
Lasciai perdere la cravatta e corsi ad aprire, furioso.
«Cory se ti sei dimenticato le chiavi qui ancora una volta giuro che...»
Ma quando aprii non fu il solito sbuffo annoiato di Cory ad accogliermi, ma il premuroso sorriso di Elena, che adesso mi guardava un po’ scettica.
«Mi dispiace deluderti, ma non sono Cory.»
Un largo sorriso venne a crearsi automaticamente sul suo viso, «Non mi deludi affatto!»
Allargai le braccia e lei le allacciò al mio collo, unendoci nell’abituale abbraccio da orso che tanto ci caratterizzava.
«Che ci fai qui? Il viaggio da Mullingar è lunghissimo!»
Mi staccai dal suo abbraccio ancora sorridente, e lei fece spallucce. «Avevo voglia di vederti, fratellino» fu la sua risposta, «Non ti fai mai sentire, perciò ho pensato di farti una sorpresa! Spero solo tu l’abbia gradita.»
«Che domande sono?» sbottai offeso, «Ma non dovresti viaggiare nelle tue condizioni» la ammonii. Mi era mancata molto da quando avevo deciso di trasferirmi a Londra circa tre anni prima, ma non potevo evitare di preoccuparmi, sapendola prossima al parto.
«Non ti ci mettere anche tu adesso, il viaggio in aereo è durato pochissimo.» replicò. «E poi a lei è piaciuto!» aggiunse, accarezzando la pancia ormai diventata enorme. Quando l’avevo vista qualche mese prima il rigonfiamento si notava appena, mentre adesso era impossibile non accorgersene.
Era chiaro, dal sorriso ingenuo e dolce che esibiva, quanto desiderasse quel bambino. E non le importava se il padre del bambino fosse scappato via senza farsi più vedere, lasciando una donna di 25 anni ad affrontare una gravidanza e crescere un bambino da sola, mia sorella aveva deciso di tenerlo, perché niente l’avrebbe convinta a negare ad una piccola creatura innocente di venire al mondo e ricevere l’affetto che meritava. E sapeva bene che non le sarebbe mancato, perché per quanto si ostinasse a ritenersi adulta e responsabile, e noi sapevamo tutti quanto forte fosse davvero, l’intera famiglia le sarebbe rimasta accanto, sia per lei, che per il bambino.
«Come fai a sapere che è una lei? Sei diventata una ginecologa, o una veggente?» risi.
«Sono cose che una mamma sente nel cuore, mio caro Niall. E poi la tecnologia di oggi si è modernizzata, le ecografie sono delle grandi e utili invenzioni.»
Si chinò per raccogliere la valigia rimasta sulla soglia della porta ma la precedetti, andando a recuperare il bagaglio pesante al suo posto.
«Hai deciso di rimanere qui, quindi...» supposi, «per quanto tempo?»
«Un mese, credo... ho voglia di passare un po’ di tempo con te, mi manca fare la sorella maggiore» addolcì il tono, pizzicandomi le guance come era solita fare.
Sbuffai, infastidito da quel gesto. «Come facevi a sapere che non ti avrei impedito di restare?»
«Beh sono la tua sorellona, sono incinta, e so essere parecchio isterica e rompipalle, quando voglio.» rispose, quasi quelli fossero dei pregi.
Ridacchiai scuotendo la testa, fin quando il mio pensiero non tornò al suo stato fisico. «Sicura che sia una buona idea?» ricominciai, «Insomma, la tua pancia è...»
«La mia pancia è apposto, Niall» protestò, «Sono solo al settimo mese, e ce ne vorranno altri due prima del parto. Posso gestire nausee, vomito e altri disturbi intestinali anche qui, e perfettamente da sola. La vera domanda è, se tu vuoi che resti.»
«Certo che lo voglio!» ribattei, «Mi preoccupo soltanto della tua salute e del piccolo.»
«Della piccola» mi corresse. Sorrise e mi si avvicinò, posando una mano sulla mia spalla. «Lo so Niall, so di essere un po’ pazza per affrontare un viaggio in piena gravidanza, ma se ho deciso di farlo è perché so di esserne capace. Come so di essere capace di gestire la gravidanza anche qui.»
«Non lo metto in dubbio, ma...»
«E se avessi voluto sentire dei ma ad ogni mia frase me ne sarei rimasta tranquillamente a casa con mamma.» riprese, portandosi le mani alla vita, come mi stesse rimproverando.
Non potei fare a meno di ridere davanti a quella scena così familiare, che mi era mancata davvero tanto.
«Sono felice che tu sia qui, e che rimanga.» le confessai, sincero.
«E lo sono anch’io.» accordò, scambiandoci ancora un breve abbraccio. «Un po’ meno nel vedere questa casa ridotta a un semi porcile, ma farò qualcosa a riguardo.»
Ridacchiai guardandomi intorno e roteai gli occhi, notando un cartone di pizza ben in vista su quello che avrebbe dovuto essere il tavolino da salotto. Accanto delle lattine di birra e un enorme pacco di patatine, vuoti.
«E’ Cory, a fare tutto questo casino...» mi lamentai, cercando di ripulire il tavolino dallo schifo che il mio amico/coinquilino aveva creato.
«Cory...» ripeté lei sovrappensiero, «Dev’essere quello che dimentica sempre le chiavi...»
«Sì, è lui.» confermai.
«Ti sei scelto un coinquilino coi fiocchi, a quanto pare»
Annuii, senza nascondere una piccola risata. In realtà non pensavo fosse poi così male. Di certo non amava ordine né pulizia, e l’educazione non era il suo forte, ma era un buon amico, e avevo imparato ad apprezzarlo, negli ultimi tre anni.
«Come mai sei così elegante? Uscivi?»
Elena mi rivolse uno sguardo perplesso e curioso, e solo allora io mi ricordai di essere vestito come un damerino, e di non essere ancora riuscito ad indossare quella dannata cravatta. Per di più, di essere in ritardo.
Intanto mia sorella mi osservava a braccia conserte, in attesa. Non che fossi molto elegante nei miei jeans e le converse, ma indossavo una camicia, e sapeva bene quanto non mi piacessero.
«A dire il verso sì, stavo per uscire...» ammisi.
«Per andare dove, se mi è consentito saperlo?»
«Ad uno spettacolo di danza classica» fui sbrigativo, senza lasciarle intendere poi molto. Mi avviai verso la mia stanza alla ricerca della fatidica cravatta, e lei mi seguì.
«E da quando il mio fratellino è interessato alla danza classica?» chiese retorica, arcuando le sopracciglia. «Oh, aspetta» riprese, «E’ per Maddie che ci vai, vero?»
Mi bloccai nel mezzo della stanza, nel sentire il suo nome. O meglio, il suo soprannome. Le mie guance assunsero per certo un colorito rosso acceso, nel solo visualizzare il suo viso pulito nella mia mente.
Inspirai. «Sì, è per lei.»
Non potei vedere l’espressione di mia sorella, ma pensai avesse inclinato la testa verso destra, fiera di avere ragione.
«Ci vai spesso, ai suoi spettacoli?»
«Non ne perdo uno.»
Questa volta mi voltai a notare la sua reazione, e la vidi sorridere. «Mi fa piacere che voi due siate ancora così legati.»
Annuii, felice di poterlo affermare a gran voce.
Erano passati circa 13 anni dal nostro primo incontro e il nostro rapporto non era cambiato, era ancora lo stesso dei due bambini che si rincorrevano in giardino.
«Hai avuto modo di dirle cosa provi per lei, Niall?»
Ma bastarono quelle parole, quella frase, per ricordarmi che ero sempre stato io a rincorrerla. Lei non faceva che stare al gioco. Perché questo era per lei, un gioco. Eravamo ancora i due bambini che costruiscono coroncine di fiori, che fanno a gara sulle altalene per chi andasse più in alto, e rubano i biscotti di nascosto dopo cena.
La domanda era: sarebbe mai stata lei, a rincorrermi?
«Mi aiuti con la cravatta?» proposi a mia sorella, afferrando il pezzo di stoffa in questione e porgendoglielo.
Non avevo voglia di parlare di quell’argomento e lei lo capì, perché non si oppose alla mia richiesta, ma mi sorrise.
«Ecco fatto.» annunciò, quando la cravatta fu finalmente annodata al mio collo. «Direi che sei perfetto. Vero piccola, che zio Niall è il più carino di tutti?» domandò ancora alla sua pancia, con il tono più dolce che potesse assumere.
Le sorrisi. «Grazie. A tutte e due.»
Ricambiò. «Siamo sincere. E adesso và, altrimenti farai tardi!»
«Sì, vado. Ma tu sei sicura di poter restare qui da sola?»
«Certo che sono sicura, Nialler! Ti garantisco che non corro nessun rischio, mi sistemerò in salotto.»
Aprii bocca per ribattere contro l’ubicazione che aveva scelto come sua stanza da letto, ma non potei proferire parola, che Elena mi spinse fuori dalla mia stessa casa. «E salutami la piccola Lee!» si raccomandò, sbattendomi la porta in faccia.
Perlomeno non si poteva dire che non si sentisse già a casa.
 
La folla in teatro era opprimente. L’area era completamente piena, l’aria soffocante, ed ero circondato da una marea di uomini in giacca e cravatta e donne vestite elegantemente. Ammettevo di sentirmi un po’ a disagio nel mio abbigliamento un po’ inadeguato, ma ormai era troppo tardi per tornare a casa a cambiarsi.
Quindi mi feci coraggio e presi posto in una delle poltroncine rosse in seconda fila, spensi il cellulare che ormai segnava le 20.10, e cominciai a rigirarmi tra le dita il lembo della cravatta e farmi un po’ di fresco sventolando la mano, in attesa che lo spettacolo iniziasse.
Al mio fianco prese posto una donna bionda, che sarebbe potuta essere denunciata dalla protezione animali solo per la pelliccia che aveva indosso. Non mi notò nemmeno, accavallò le gambe e cominciò a farsi del fresco con il ventaglio che tirò fuori dal cappotto, gli occhi fissi sul palco. Provai una forte gelosia per quel ventaglio, si moriva di caldo lì dentro.
Dovetti aspettare un altro quarto d’ora prima che la folla si appiattisse e ognuno avesse preso il proprio posto, e le porte d’ingresso venissero aperte, per garantire la circolazione d’ossigeno. Alla signora snob alla mia sinistra s’era aggiunto un bambino fin troppo vivace alla mia destra, ed io avrei dato qualsiasi cosa per uscire di lì.
Negli spettacoli a cui avevo preso parte mi erano capitati quasi sempre compagnie indesiderabili, cominciavo a credere fosse una specie di maledizione. Ma lo avrei sopportato, per lei.
Ad annunciare l’inizio dello spettacolo furono l’abbassamento delle luci e le prime note di una tranquilla sinfonia, che si propagava in tutto lo spazio. Ad accompagnare la melodia il solito pianista, vestito nel solito modo.
Il tendone si aprì e la luce andò ad illuminare il palco, su cui primeggiavano tre ballerine, strette nello stesso tutù.
Tutte e tre sembravano delle bambole di un carillon, con chignon e trucco inclusi. Avevano pose diverse, ma ugualmente delicate ed eleganti.
La mia attenzione ricadde sulla ballerina al centro, i cui occhi si illuminarono, quando mi vide osservarla.
Mi rivolse la consueta linguaccia porta-fortuna, e poi cominciò a muoversi con le altre, in una danza magica e sovrannaturale che riusciva ad incantarmi sempre nello stesso modo. 


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Ciao a tutti!
Bene, sono tornata con una nuova fan fiction. 
L'idea mi è venuta parecchie notti fa, ascoltando due determinate canzoni. Mi è bastato unirle e la mia testolina ha elaborato la trama, e ha deciso di mettere stavolta Horan come assoluto protagonista. Non credo gli altri quattro verranno fuori nel corso della storia, forse una piccolissima comparsa.
Per chiunque volesse farsi un'idea dei personaggi, una mia amica ha realizzato un bellissimo
trailer riguardo la storia :)
Spero piaccia come inizio, non si capisce granché ahah
Alla prossima!



  
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